04. Orlo di possibilità

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Supermassive Black Hole - Muse

Prima di ogni appuntamento Zaira finiva sempre per pensare ai suoi genitori. Non c'era stato nulla di eclatante nella loro storia, così come nel corto matrimonio: si erano incontrati a una festa di amici in comune e sua madre era rimasta subito affascinata dal neolaureato in economia di famiglia spagnola presentatogli, tanto da chiedergli il numero e chiamarlo il giorno dopo; una cosa aveva tirato l'altra e, a un certo punto, si erano scoperti innamorati e decisi a sposarsi. Poi era nata lei, ma l'amore millantato dai due aveva iniziato a spegnersi, tanto che sua madre, incapace di sopportare ancora quell'uomo e la vita costruita assieme, l'aveva tradito. Il divorzio era arrivato poco dopo, seguito da tutta la confusione e i vari dissesti che Zaira non era riuscita a sostenere.

Col passare degli anni la situazione si era abbastanza appianata - in fondo, i suoi genitori rimanevano pur sempre delle persone civili -, ma a Zaira capitava spesso di chiedersi se anche a lei avrebbe potuto succedere qualcosa di simile. Non riusciva a concepire l'idea di costruire in fretta, senza alcun freno o cautela, per poi far crollare tutto in un secondo, lasciandosi dietro macerie di certo restaurabili, ma pur sempre fragili.

Davanti alla prospettiva di uscire con Elia, simili pensieri diventavano ancora più acuti a causa della crescente sensazione che si stesse lasciando trasportare troppo da uno sconosciuto in tutto e per tutto, per quanto simpatico e bello.

"Ci si frequenta per conoscersi" si era ripetuta più volte da quando l'aveva contattato dopo l'esame. "Nessuno ti punta la pistola alla tempia dicendoti che devi svenirgli tra le braccia."

Simili riflessioni sensate, però, erano subito appannate dal caldo grumo di eccitazione che le cresceva in corpo quando ripensava a lui e al modo in cui l'aveva salutata. Aveva camminato a qualche centimetro da terra per i giorni successivi, troppo leggera per riuscire a rimanere concentrata su ciò che le accadeva intorno, e solo il pensiero dell'esame era riuscito a tenerla ancorata a terra il tanto necessario - cosa dimostrata dal sudatissimo ventisei guadagnato tre giorni prima.

Dopodiché era subentrata l'ansia, tanto che aveva faticato a trovare una proposta di uscita capace di non farle venir voglia di rimanere chiusa in casa fino alla fine dei tempi. Una passeggiata in centro le era sembrata la soluzione più innocua, idea sottolineata dall'imperterrita sferzata di bel tempo che continuava a illuminare le giornate di Milano, nonostante il freddo sempre pungente.

"Cammini, parli e in caso scappi via con una scusa" si disse, per poi lanciare un'occhiata rapida all'orologio appoggiato sulla scrivania. Notando che ormai doveva prepararsi per uscire, si rimirò un'ultima volta nello specchio davanti a cui si trovava già da qualche minuto; si scompigliò la massa di capelli ricci che le incorniciava il viso e, dopo una rapida valutazione, infilò il maglione rosa dentro i jeans a vita alta e dalla gamba larga.

"Non che serva a più di tanto" pensò, recuperando venti euro dal portafogli per metterli nella tasca della giacca con l'abbonamento atm e la carta d'identità. L'altro l'avrebbe vista imbacuccata fino al naso, considerato che le temperature esterne non invitavano a rimanere vestiti leggeri.

Presa da simili riflessioni, abbandonò la sicurezza della camera tenendo giacca e sciarpa in una mano, per andare in cucina a bere un sorso d'acqua - sarebbe morta per disidratazione a furia di sudare così tanto per l'agitazione. Dopodiché si diresse in salotto, dove abbandonò tutto su un divano e raccolse i fidati anfibi; stava giusto finendo di allacciarli quando sentì la porta di casa aprirsi, seguita da un "Ciao" che, per intensità, le trafisse le orecchie. Sua madre e Ginevra condividevano la medesima capacità di spaccarle i timpani.

"Ehilà" borbottò lei, mentre la donna abbandonava le scarpe sul tappetino vicino all'ingresso e, spossata, andava a sedersi sulla poltrona davanti al televisore, passandosi con fare stanco una mano tra i medesimi capelli ricci ereditati dalla figlia.

Zaira sentì il suo sguardo curioso scorrerla da capo ai piedi, tanto da renderle difficile continuare a mostrare la maschera d'indifferenza che aveva deciso di indossare; non pensava sarebbe tornata a casa tanto presto dallo studio.

"Ma esci?" le chiese intanto la donna, con aria subito molto più interessata. "E con chi?"

"Con chi vuoi che esca?" replicò lei, controllando l'ora sul telefono. "Michele."

Non seppe neanche lei cosa la spinse a mentirle con tale tranquillità; forse voleva solo evitare domande scomode e imbarazzanti che, oltretutto, avrebbero potuto farla arrivare in ritardo.

Sua madre si lasciò sfuggire un verso deluso. "Quindi ora ti piace lui?"

"Mamma!"

La donna alzò le spalle, per nulla colpita dall'occhiataccia che le aveva rivolto la figlia. "Sei tutta in ghingheri" le disse a mo' di scusa. "Pensavo uscissi con qualcuno di diverso."

Zaira si mise il cappotto, cercando di tenere a freno la lingua, ma l'altra non sembrava per nulla intenzionata a lasciar cadere il discorso. "Insomma, potresti provare a cercare qualcuno di più interessante..."

"Cos'ha che non va Michele?" Zaira appoggiò le mani sui fianchi e fece un passo verso la donna che, nel frattempo, osservava le unghie smaltate con aria colpevole. "O cosa non va nei miei amici, visto che sei sempre così entusiasta quando esco con loro" aggiunse ironica, per poi voltarsi di scatto e indossare la sciarpa. Si riproverò tra un pensiero e l'altro, conscia che fosse stata una pessima idea lasciarsi trascinare in quel vecchio discorso trito e ritrito.

"Ma nulla. Mi paiono un po' noiosi, ecco tutto."

"Noiosi per te" replicò secca lei. "Non mi sembra di averti mai costretto a frequentarli."

La donna alzò le mani al cielo in segno di resa e non aggiunse altro, mentre Zaira si tastava il cappotto nel tentativo di capire se avesse preso tutto; dopo che l'ispezione ebbe raggiunto un esito positivo, si avvicinò alla madre e le lasciò un bacio in fronte, per poi acchiappare le chiavi di casa dal tavolino all'ingresso.

"Quando torni a casa?"

Zaira si fermò sulla soglia. "Credo prima di cena" rispose, sentendo una punta di colpa risalirle in gola per il modo in cui aveva trattato l'altra. "Se vuoi, quando torno andiamo a comprare qualcosa da mangiare."

"Pizza dagli egiziani o qualcosa dall'Esselunga?" le chiese la madre, ancora ferma in salotto. Zaira non riusciva a vederla da dove si trovava, ma riuscì a percepire nel tono usato una leggerezza che la fece sentire subito più tranquilla.

"Egiziani, direi."

"Ed egiziani siano" concluse la donna. "Ciao! Divertiti e dimmi per che ora arrivi."

Zaira rispose al saluto e, senza più alcuna esitazione, si chiuse la porta alle spalle e scese rapida le scale, pronta a raggiungere la fermata della metropolitana per arrivare in centro. Nascosta tra l'agitazione, cresceva la voglia di vedere Elia.

Una caratteristica che Zaira sperava sempre di trovare nelle persone era la capacità di farla sentire leggera. Trascorreva gran parte della vita coi piedi ben saldi a terra e la testa china a seguire ciò che le accadeva intorno, cercando di analizzarlo e dargli un senso, tanto che col passare degli anni non aveva potuto fare a meno di avvicinarsi a chi, in apparenza, era l'opposto. Ginevra, con la sua dolcezza e ingenuità, aveva un modo di osservare il mondo capace di ridarle speranza, mentre Davide era un simpatico idiota per sua stessa natura, in grado di farla ridere quando ne sentiva il bisogno; Michele era forse il più simile a lei, ma aveva un modo di spingerla a vivere che, nonostante certe volte fosse troppo pressante, l'aiutava a sentirsi bene.

Prima dell'appuntamento, invece, Elia era stato una grande incognita. Durante il percorso in metropolitana tra casa sua e Duomo, Zaira aveva alternato attimi di eccitazione a momenti in cui aveva solo desiderato scendere e raggiungere la banchina opposta, terrorizzata dall'idea che il sogno in cui si era cullata nei giorni precedenti si rivelasse tutt'altro; neanche il ricordo del pomeriggio passato al dipartimento era riuscita a placarla.

Eppure, quando si era ritrovata davanti al ragazzo tutto era scivolato nel verso giusto.

Si era sorpresa della semplicità con cui si erano messi a chiacchierare, così come di quanto l'ansia fosse riuscita ad acquietarsi col trascorrere delle ore, per lasciare spazio a una tranquillità capace di farla sentire al posto giusto. Si era sentita così leggera da dimenticarsi dello scorrere del tempo e dell'esistenza del telefono, su cui aveva notato comparire qualche blanda notifica di messaggi ignorabili.

Tra una parola e l'altra, la lunga passeggiata che avevano intrapreso li aveva portati fino alle Colonne di San Lorenzo, sul cui muretto si erano seduti a riposarsi giusto il tempo necessario per una sigaretta, e alla Darsena, che avevano scoperto essere affollata di turisti e persone pronte a godersi il venerdì già alle quattro del pomeriggio.

"Ci prendiamo un caffè decente?" le aveva proposto Elia a quel punto.

Zaira aveva subito annuito e si erano infilati in uno dei tanti bar vicini, dove erano rimasti per chissà quanto a parlare davanti a un cappuccino e una cioccolata - università, famiglia, musica, cosa volevano fare dopo la laurea, amici vari e ricordi lontani... tutto si era mischiato fino a costruire una sinfonia dolce da cui si era fatta trasportare. Era così bello stare bene.

Quando erano usciti di nuovo, il cielo violaceo sull'orlo del tramonto e l'aria più gelida le avevano schiarito la mente e ricordato che, forse, doveva tornare a casa; aveva quindi comunicato a Elia l'intenzione di abbandonare la metropolitana a se stessa e coprire pedibus calcantibus la distanza che la separava da Amendola, rimanendo sorpresa quando l'altro si era proposto di accompagnarla.

"Ma tu non dovresti andare nella direzione opposta?" gli aveva chiesto, per poi mordersi la lingua e darsi della stupida.

Elia, però, aveva solo scrollato le spalle. "Se preferisci stare da sola, vado a casa."

"No."

Si erano ritrovati a camminare fianco a fianco, e lei ne aveva approfittato per indicargli alcuni dei luoghi in cui era cresciuta, rispondendo alle domande su Milano che l'altro, di tanto in tanto, le poneva. Ed era stato tutto ancora così semplice e naturale, tanto che Zaira non aveva potuto fare a meno di chiedersi se anche sua madre, più di venticinque anni prima, si fosse sentita allo stesso modo. Aveva sperato di no con tutta se stessa.

"Cos'è quella roba là?" le chiese Elia, indicando il groviglio informe di pezzi di metallo giallo vicino alla fermata della metropolitana in piazza Amendola.

"Un'installazione artistica, credo" rispose lei. Inclinò la testa di lato, studiandola per la millesima volta, e rinunciò a cercare di capire cosa rappresentasse, mentre il verde del semaforo li invitava ad attraversare la strada. "Ma non dovresti essere tu l'artistoide?" lo punzecchiò.

"Si vede che la mia sensibilità artistica non considera tale quella cosa."

Zaira ridacchiò appena, per poi lasciare che il rumore del traffico riempisse il vuoto nato nella loro conversazione guidando intanto il ragazzo verso il palazzo in cui abitava, del quale era possibile scorgere il profilo già da dove si trovavano.

"Ma come fa a essere tutto di colpo così silenzioso?" le chiese Elia, mentre si avvicinavano al condominio.

"È il quarto segreto di Fatima." La ragazza alzò le spalle, ricordando quante altre volte si fosse domandata la stessa cosa senza però riuscire a trovare una risposta. "Vero che è strano? Avranno trovato il modo per insonorizzare tutto, visto quanto costano gli appartamenti qui..." aggiunse, a metà tra il serio e lo scherzoso. Che la zona fosse una porzione della Milano bene le era noto, visti alcuni vicini di casa snob, o ancora tutti gli interventi attuati dal comune per tenere le strade perfettamente pulite e le aiuole sui marciapiedi curate.

Elia non rispose in alcun modo e lei, incapace di dar forma a una qualsiasi frase sensata, tagliò l'incrocio che la separava dal portone di casa, approfittando del fatto che non passassero mai delle automobili; si fermò solo quando fu vicino al citofono, col cuore in gola al pensiero che era arrivato il momento di salutarsi - e non poteva proprio permettersi di rimanere di nuovo imbambolata.

Si appoggiò al portone di legno rossiccio e, senza sapere cosa dire, osservò il ragazzo, dal viso reso ancor più pallido dalla fredda luce posta sopra l'ingresso e i capelli biondi scarmigliati per tutte le volte in cui ci aveva passato una mano. Lui la osservò di rimando, inclinando appena la testa e socchiudendo gli occhi in un'espressione che le fece perdere un paio di battiti.

Si rese conto che non avrebbe più potuto ribattere a Ginevra che la accusava di essere cotta come una pera. Scacciò l'immagine dell'amica che le urlava di non stare lì impalata e di fare qualcosa e, dopo un attimo di esitazione, allungò la mano, per seguire con l'indice il profilo del viso dell'altro che, intanto, la osservava con un leggero sorriso a incurvargli le labbra.

"Sono stata bene oggi, sai?" gli disse, allontanando la mano dopo aver percorso il corto naso all'insù, così da riportarla in tasca.

"Anch'io." Elia fece un passo avanti e la guardò negli occhi. "Molto bene."

Zaira si morse il labbro inferiore e, incapace di sostenere il contatto visivo, abbassò lo sguardo sugli anfibi, col cuore che correva come un forsennato nella cassa toracica. La pace di cui si era beata nel corso del pomeriggio era sparita davanti a un improvviso colpo di vento, lasciandola inerme e in balia delle sue emozioni contrastanti, che la invitavano o a darsi a una fuga ignobile, o a seguire il leggero filo elettrico che sentiva correre tra lei e il ragazzo.

Tutte le riflessioni furono spazzate via da Elia che, con estrema delicatezza, le sollevò il mento, invitandola a tornare a guardarlo.

"Quando fai così non so mai cosa fare" le disse, avvicinandosi a lei di un ulteriore passo. Ancora una volta, le punte delle loro scarpe tornarono a toccarsi, disegnando una sottile linea che continuava a separarli.

"In che senso?"

Elia inclinò il viso, quasi a volerla osservare meglio. "Non vorrei spingermi troppo oltre, solo questo" rispose, solleticandole il viso col respiro.

Zaira rimase in attesa di una conclusione che, però, non arrivò, lasciandola in balia dell'elettricità statica che le faceva tremare l'anima e desiderare di colmare la piccola distanza che ancora li divideva; senza sapere neanche lei cosa stesse facendo, provò ad annullarla attirando a sé il ragazzo per il giubbotto, mentre Elia in contemporanea le appoggiava una mano in vita, col desiderio di avvicinarla.

Eppure, il delicato equilibrio fu rotto da Zaira stessa che all'improvviso sentì sparire da dietro di lei il solido appoggio del portone. Elia l'acchiappò al volo, afferrandola per un braccio ed evitandole così di crollare addosso all'anziana signora che, invece, aveva scelto proprio quel momento per uscire dal palazzo.

"Ma... Zaira!" la rimproverò la donna. Non ascoltò affatto il balbettio nervoso della ragazza, tutta arrossita in viso, e, anzi, le lanciò uno sguardo sprezzante, nascosto in parte dalla pelliccia di visone in cui era infagottata. "Ti sconsiglio di amoreggiare ancora davanti al portone" aggiunse, piegando la faccia rugosa in un'espressione di disgusto.

Zaira non provò neanche a replicare, fin troppo imbarazzata, e si accontentò di scusarsi con aria mesta mentre l'altra si allontanava, accompagnata dal ticchettio delle scarpe e l'ondeggiare di una crocchia di capelli dal colore verdastro.

"Ma chi era?" le chiese Elia, che ancora la teneva per il braccio e la vita.

"La Mazzanti Viendalmare" mormorò Zaira, rendendosi conto solo dopo che l'altro non poteva capire il soprannome. "La mia vicina di casa."

"Ti ha spaccato in testa qualche bottiglia per sbaglio?"

"No, solo perché oggi è di buon umore" rispose la ragazza con un brivido. "E abbastanza rimbecillita da aver sbagliato a fare la tinta bionda. Quando le parte la cattiva, la chiamiamo Rottenmeier."

Lanciò un'occhiata rapida a Elia che, in silenzio, ricambiò lo sguardo, prima di lasciarla andare e infilare di nuovo le mani nelle tasche della giacca.

"Ci sentiamo?" le chiese, schiarendosi la gola.

"Certo." Zaria recuperò le chiavi di casa e le infilò nella serratura. "Allora... ciao."

L'altro ricambiò il saluto e, senza darle il tempo per correre a nascondersi dietro l'ingresso, le lasciò un rapido bacio in fonte, a cui aggiunse uno "Scusa" mormorato con un tono di voce talmente basso da farle temere di esserselo immaginato. Non fece in tempo a chiedergli il perché che il ragazzo era già in mezzo all'incrocio, la visione delle sue spalle ampie sempre più lontane che le lasciò tanti piccoli spilli nel cuore.

Piccola galleria:

Danza - Gianfranco Pardi

(scultura in mezzo a piazza Amendola nota anche come Il ragno)

La Mazzanti Viendalmare viene da Il secondo tragico Fantozzi

(ma voi siete bravissimi e l'avete colta subito, vero?)

https://www.youtube.com/watch?v=bsm1U2NWjhI

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