05. Così

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Così così - Dutch Nazari

Peggio della sessione, c'è solo la ripresa delle lezioni.

Zaira, ormai al quarto anno di università, aveva fatto di tale frase il motto costante dei primi giorni del nuovo semestre, in cui la testa vagava alla ricerca di un buon motivo per rimanere in aula e non scappare via dopo una manciata di minuti. A ben vedere, era solo il suo buonsenso – unito all'idea di non poter abbandonare una lezione a metà senza fare una pessima figura – che la teneva incollata alla sedia e la portava a concentrarsi a fatica sulle parole pronunciate dai professori.

L'attuale nuovo primo giorno, però, riusciva a risultare peggiore di tutti quelli vissuti in precedenza. I pensieri, infatti, tornavano imperterriti a venerdì pomeriggio, con una costanza tale da portarla a incantarsi a metà di una frase o di un concetto, il fondo della penna appoggiato sulle labbra e gli occhi persi nel vuoto; gli appunti della mattina avevano ormai assunto l'appeal di uno scolapasta, vista la quantità di buchi presenti. Oltretutto, gli incessanti messaggi che Ginevra, seduta al suo fianco, le inviava in chat non l'aiutavano a mantenere la fragile concentrazione riconquistata a fatica ogni tre slide.

Tu devi ancora raccontarmi di venerdì.

Zaira osservò la manciata di parole ricevute, seguite da una sfilza di "Dai" e faccine supplicanti che quasi le impallarono il cellulare, per poi decidersi a rispondere. Tanto, peggio di così non poteva andare.

È andata bene, anche se non è successo niente di particolare.

Sentì Ginevra sospirare e, con la coda dell'occhio, la vide scuotere la testa e digitare una risposta tanto prevedibile quanto vera.

Bugia. Continui a osservare il nulla con occhi sognanti, quindi c'è qualcosa di "particolare".

Zaira mordicchiò l'interno guancia e provò a seguire la lezione, ignorando le occhiatacce con cui l'amica accolse la mancata risposta. Non voleva parlarle per via telematica, non di quell'argomento che la portava a distrarsi e a sentirsi come una ragazzina davanti alla prima cotta, incapace di ragionare o capire cosa le stesse accadendo; oltretutto, non voleva che l'altra reagisse in modo esagerato nel bel mezzo della spiegazione, magari con qualche gridolino o agitandosi sulla sedia – il fatto che non fossero sedute in fondo non aiutava di certo a rimanere discrete.

Ginevra, però, non parve più di tanto intimorita dal suo silenzio, considerando le leggere gomitate che le diede sul fianco sinistro. Zaria si decise a risponderle.

Se fossi arrivata in orario, ti avrei già detto tutto. Ne parliamo dopo la lezione.

Neppure il tempo di premere invio che l'amica si avvicinò a lei per sussurrarle qualcosa nell'orecchio. "Eh no" disse, dandole un pizzicotto sul braccio. "Ora mi dici tutto."

"Dopo. Abbi un attimo di pazienza."

Ginevra fece per replicare, ma un grugnito da parte di uno studente seduto dietro di loro la zittì e la convinse, invece, a tornare alla carica col cellulare. Zaira le lanciò un'occhiata allibita, mentre l'altra digitava e inviava frettolosa tanti "Dimmi" ripetuti, le cui notifiche impedivano allo schermo del telefono di spegnarsi e a lei di provare a concentrarsi sulle parole della professoressa.

"Se glielo dico, mi farà un culo quadro" pensò, sentendosi arrossire.

Non riuscì a non ripercorrere per l'ennesima volta la manciata di secondi rovinata dalla Mazzanti Viendalmare, e finì per darsi di nuovo della stupida per non essersi fermata in un qualsiasi altro punto del grande portone collegato al passo carrabile. L'immaginare cosa sarebbe potuto accadere la fece tornare alla realtà con un sobbalzo, proprio mentre la professoressa chiedeva agli studenti di tenere ancora duro, visto che mancavano poche slide.

Dopo aver valutato cosa fare per un'altra manciata d'interminabili minuti, si decise ad afferrare il cellulare e rivelare il minimo indispensabile.

Lunga passeggiata. Poi mi ha accompagnata a casa e ci siamo quasi baciati. Ora possiamo finire di seguire questa noia mortale?

Inviato il messaggio, Zaira bloccò il telefono e lo appoggiò sul banco con lo schermo rivolto verso il basso, mentre Ginevra si mostrava più contenuta di quanto si sarebbe mai immaginata.

"Sarà rimasta sconvolta" pensò, scarabocchiando un paio di margherite tra gli appunti mentre l'amica, in un gesto del tutto inaspettato, metteva via il cellulare.

Zaira trascorse gli ultimi minuti della lezione con la mente del tutto assente, tanto che le parole della professoressa finirono per rimbalzare sulla bolla di pensieri scomodi creatisi intorno a lei. Solo quando la donna spense il proiettore, annunciando a tutti che per quel giorno erano ormai liberi, si riscosse e, cauta, si girò verso Ginevra, che la stava osservando con un sorriso enorme.

"Tu sei cotta" partì subito alla carica l'amica. "Anzi, più che cotta. Hai già immaginato come dovrò vestirmi il giorno del tuo matrimonio?"

Zaira alzò gli occhi al cielo, per poi mettere via gli appunti e tutto il materiale che aveva sparso sul bancone, allargandosi come suo solito.

"Con gli ultimi con cui sei uscita non eri affatto così" continuò intanto Ginevra, imitandola. "Manco dopo esserci andata a letto avevi un'aria così rosa confetto."

"Cristo! Ginevra!"

L'altra fece le spallucce, ignorando l'occhiataccia che le riservò l'altra. "Cosa posso farci se è vero?"

Zaira si alzò in piedi e infilò rapida il cappotto, incapace di formulare un pensiero coerente rispetto alle parole dell'amica che, nel frattempo, si era decisa a imitarla.

"Vi siete almeno parlati dopo il quasi bacio?" la incalzò, seguendola nella sua fuga dall'aula. "Deciso quando rivedervi o altro...?"

Con un sospiro, Zaira si fermò appena fuori dalla porta, cacciando le mani in tasca e tenendo lo sguardo basso. "No" ammise. Nonostante nel corso del fine settimana avesse provato più volte a scrivere un messaggio a Elia, non aveva mai trovato il coraggio di premere il tasto di invio; forse anche lui si era ritrovato nella stessa situazione, visto il silenzio radio che le aveva riservato.

Ginevra spalancò gli occhi e, dopo un attimo di esitazione, la prese sottobraccio, conducendola attraverso il corridoio. "Dovresti farlo" le disse con tono dolce. "Non ha senso lasciare perdere, se ti interessa così tanto."

"E cosa dovrei dirgli?" borbottò lei. "Al pensiero di rivederlo mi viene voglia di sotterrarmi per l'imbarazzo."

Scesero le scale in silenzio e Ginevra, apparsa pensierosa fino a quel momento, tornò alla carica solo quando si fermarono sul marciapiede davanti all'ingresso del dipartimento. "Invitalo al mio compleanno" disse, guardandola soddisfatta. "Così non diventa niente di troppo intimo... a meno che vi debba chiudere in camera mia."

"Signore santissimo!" esclamò Zaira, strabuzzando gli occhi. "E due! Ma cos'hai oggi?" Sentì risalirle il sangue fino alle orecchie, facendola arrossire del tutto, ma cercò di non farci caso.

"Esprimo pensieri che tu non hai il coraggio di esprimere" replicò l'amica, alzando le mani in segno di resa. "Comunque, perché no? Così avresti fino a venerdì prossimo per toglierti di dosso quest'ansia assurda."

Lei scrollò le spalle. "Ci penserò..." mormorò, per poi cambiare discorso. "In ogni caso, io pranzo fuori con Michele. Vuoi unirti?"

"Ah no." Ginevra scosse la testa. "Vi lascio pure tranquilli a spaccarvi la testa in due su che regalo farmi. A domani!"

Zaira la guardò allontanarsi con passi svelti, non riuscendo a capire se fosse diventata lei troppo palese in ogni azione e pensiero, o se l'altra avesse acquisito qualche strano potere che le permetteva di leggere la mente.

Col passare degli anni, lei e Michele avevano trovato un loro equilibrio, capace di resistere alla separazione dettata dalle diverse scelte universitarie intraprese. Tra i tanti modi per mantenere salda la loro amicizia avevano scoperto che il migliore era riuscire a passare qualche ora assieme ogni settimana, magari ritagliandosi del tempo tra una lezione e l'altra o posticipando impegni di vario tipo – l'importante era che fossero solo loro due, così da poter creare la bolla di pace e confidenze sulla quale avevano imparato a crescere. Quando non ci riuscivano sostituivano le uscite con una videochiamata, ma il semplice fatto di non essere l'uno al fianco dell'altra creava in Zaira un sottile senso di alienazione che le impediva di essere limpida in ogni gesto e parola; certe volte aveva un bisogno quasi fisico di averlo vicino, tanto si era abituata alla sua presenza durante i lunghi anni del liceo.

Alla fine, aveva chiesto a Ginevra se si volesse unire a loro solo per gentilezza, ma immaginava che l'amica avrebbe rifiutato; in fondo, anche lei aveva presente quanto le uscite rappresentassero per Zaira una quadra a tutto ciò che le accadeva.

Proprio a causa di ciò la ragazza si era ritrovata ad aspettare con impazienza Michele in piazza Leonardo, picchiettando il piede per terra e tenendo le braccia incrociate. Il vento che aveva iniziato a soffiare, portando con sé cumuli di nuvole scure che rendevano l'atmosfera molto diversa da quella delle settimane precedenti, non l'aveva aiutata a coltivare l'infinitesimale pazienza che le scorreva in corpo. Per poco non si era messa a correre quando aveva visto l'amico farle segno di raggiungerlo davanti al camioncino della pizza.

"Ehilà!" l'aveva salutato, mettendosi in punta dei piedi per schioccargli un bacio sulla guancia. "Tutto bene?"

"Normale" aveva risposto Michele. "Un po' annoiato. Tu come stai?"

Zaira aveva alzato le spalle. "Così" aveva detto. "Ne parliamo dopo, che ne dici?"

Avevano trascorso il tempo in coda chiacchierando del più e del meno e riflettendo su quale regalo fare a Ginevra; nello scorrere tra le offerte sulla home di un sito di paccottiglia si erano messi più volte a ridere davanti ai suggerimenti assurdi comparsi, anche se alcuni – come le buste piene di brillantini pronte a scoppiare appena aperte sul malcapitato – avevano esercitato su entrambi un certo fascino.

Recuperato il pranzo, si erano rintanati nel cortile del dipartimento di Veterinaria, dove avevano occupato un tavolo e discusso del nulla fino a quando Zaria non si era appoggiata allo schienale della panchina con un sospiro.

"Dunque, a cosa è dovuto il così?" le chiese Michele, per poi bere un sorso di Coca Cola. "Visto che è ancora troppo presto per dare la colpa all'uni, per caso il fotografo ha fatto danni?"

Lei scosse la testa. "No, per niente" rispose, giocando con una crosta di pizza. "Anzi, mi sono trovata molto bene."

"E allora cosa accade?"

Zaira sollevò la testa per guardare l'altro, intento a finire l'ultima fetta del pranzo, e si chiese da dove partire per spiegare ciò che le vagava per la testa – si sentiva confusa dai suoi stessi sentimenti, cosa che la lasciava con l'amaro in bocca e una difficoltà ad aprirsi verso l'amico che mai aveva provato prima.

"Non so da dove partire..." ammise dopo un paio di minuti di silenzio. "Alla fine, non è oggettivamente niente, se non qualche vecchia sensazione inutile."

"Dimmi comunque questa vecchia sensazione inutile" replicò subito Michele. Incrociò le braccia davanti a petto e rimase in attesa.

Spinta più dal desiderio di muovere le mani che da una reale necessità, Zaira recuperò il tabacco dalla tasca della giacca e si mise a fare una sigaretta, mentre le sue labbra articolavano frammenti di pensieri. "Mi sento troppo presa, del tipo da colpo di fulmine e altre stupidaggini da romanzo rosa, quando invece lui non lo conosco quasi. Non vorrei che le cose andassero male, non quando sento... questo." Si mise a gesticolare davanti al petto, nel tentativo di mostrare il ribollire che la riempiva quando pensava a Elia. "Non riesco a creare castelli sul nulla ... almeno fino a quando non me lo trovo abbastanza vicino da scombinarmi del tutto."

Michele appoggiò un gomito al tavolo di metallo, così da poter sostenere la testa sul pugno chiuso, e la osservò con le folte sopracciglia aggrottate e le labbra strette. Zaira non poté che rimanere in attesa, mentre l'amico la scrutava in modo impietoso, quasi stesse cercando di far sparire tutte le sovrastrutture dietro a cui si nascondeva ogni volta che non riusciva più a convivere con ciò che provava; purtroppo, col passare degli anni l'innocuo meccanismo di difesa aveva finito per prendere il sopravvento in tutte le situazioni più spinose.

"Quando sei con lui ti senti felice?" le chiese alla fine, guardandola negli occhi. "Sii sincera."

Zaira si mordicchiò il labbro inferiore e, evitando lo sguardo dell'altro, mise la sigaretta finita assieme al tabacco, non sapendo di che farsene. "Sì. O almeno credo" ammise a fatica, resa insicura dal continuo vorticare d'idee differenti che la frenavano. "Non vorrei finire come al liceo e fa..."

"Allora la questione è chiusa" replicò lui, tornando ad appoggiarsi allo schienale della panca. "Lascia perdere tutti i ma e va avanti."

"Ma..."

"Eh no, cosa ti ho appena detto?" le chiese retorico con un sorriso dolce. "Lasciati andare. Vuoi uscire con lui? Chiediglielo. Hai voglia di parlargli? Chiamalo. Fai ciò che ti senti, insomma." Si passò una mano sul collo taurino, con un sospiro cristallizzato sulle labbra. "Pensa a Ginevra e Davide. Se anche lei si fosse fatta tutte quelle paranoie, non si sarebbero mai parlati e tu non la conosceresti neppure."

Zaira rimase in silenzio a riflettere sulle ultime parole. Da quando li aveva incontrati, l'amica e il suo ragazzo rappresentavano per lei l'equilibrio che avrebbe tanto desiderato trovare lei stessa; ogni tanto si chiedeva come fosse possibile che un incastro simile esistesse, così come quale fosse il giusto modo per trovarlo. Le pareva sempre tutto troppo naturale per riuscire ad applicarsi con successo a lei e alla sua coscienza frastagliata.

"Tieni presente un'ultima cosa" aggiunse intanto Michele, riscuotendola da simili pensieri. "Il fotografo di rivela uno stronzo? Io gli spacco la faccia."

Zaira non riuscì a rimanere seria e si fece sfuggire una risata leggera, mentre il cuore le si riempiva di gratitudine davanti all'ennesima dichiarazione squinternata con cui l'amico provava a rincuorarla.

"Guarda che io dico sul serio" specificò Michele, stendendo verso di lei la mano destra col mignolo teso. "È una promessa."

Zaira si allungò verso di lui per suggellare il piccolo patto bambinesco che le stava proponendo, sentendosi risucchiata indietro di anni, quando ancora quel giochino aveva il sapore di un giuramento divino.

Allo stringersi dei mignoli il ragazzo le fece l'occhiolino. "Tanto vedrai che non ce ne sarà bisogno" le sussurrò, prima di cambiare argomento. "Senti, ma a Ginevra cosa compriamo? La busta coi brillantini secondo me rimane l'idea migliore."

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro