06. Buon compleanno (I)

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The Weekend – Michael Gray

Certe volte, a Zaira sembrava di essere soggetta a impossibili accelerazioni del tempo, quasi fosse andata a dormire per svegliarsi qualche settimana più avanti, senza essersi persa nulla di importante nel periodo d'incoscienza. Talvolta una simile sensazione, invece, procedeva al contrario, portandola chiedersi come fosse possibile che fin troppi avvenimenti si concentrassero in un paio di giorni o poche ore e lasciandola con un vago senso di vertigine davanti a tutto ciò che le accadeva.

Quel venerdì, però, l'impressione predominante era di certo la prima: nei dieci giorni precedenti, infatti, non era successo niente. Il tempo si era diviso equamente tra università, discussioni con gli amici e nottate dedicate allo studio, alternate alla visione di film o alla lettura di fumetti. Grazie alla spinta di Michele e Ginevra, poi, si era decisa a scrivere a Elia per chiedergli se volesse accompagnarla alla festa dell'amica, ma il ragazzo le aveva risposto di avere un altro impegno.

In compenso, la sera precedente l'aveva chiamata a sorpresa dopo cena e, tra una parola e l'altra, avevano finito per chiacchierare fino alle due del mattino, quando Zaira, nascosta sotto il piumone, si era ritrovata a sonnecchiare sul cellulare a causa della stanchezza. Di cosa avessero parlato non lo ricordava neppure, ma durante quelle lunghe ore le era parso di averlo vicino a lei, steso sul suo letto e pronto a scompigliarle i capelli e farle il solletico davanti a ogni riflessione troppo cupa e pessimista – inutile a dirsi che era riuscito a farla sentire bene, tanto da rendere la successiva mancanza più acuta e difficile da sopportare.

"Cosa ne diresti di venirmi a trovare in Accademia la prossima settimana?" le aveva chiesto a un certo punto. "Così mi faccio perdonare per domani."

Zaira in un primo momento aveva nicchiato, non del tutto convinta che perdere delle ore di lezione fosse un'idea brillante o anche solo da considerare, nonostante il pensiero di rivederlo l'avesse fatta sentire subito su di giri, a un passo dal saltellare come una molla per tutta la camera.

"Dai, così andiamo in Pinacoteca" aveva continuato Elia con tono supplicante. "In supersettimana c'è sempre poca gente, se non qualche scolaresca da dribblare."

Alla fine, la ragazza si era ritrovata ad acconsentire, in parte perché curiosa di vederlo nel suo ambiente, in parte perché lusingata dalla sfilza di "Ti prego" con cui aveva deciso di convincerla. Oltretutto, l'ultima volta che aveva visitato Brera aveva ancora l'età dei bambinetti da evitare.

"Quando pensavi?"

"Martedì può andare?" aveva risposto lui. "Fino alle dieci sarò impegnato col torchio, ma poi sono libero fino al primo pomeriggio."

Dopo la piccola parentesi avevano ripreso a parlare del più e del meno, fino a quando, attorno all'una e mezza, la conversazione era scivolata nel sottile limbo di confessioni e pensieri capaci di nascere solo quando la mente è poco lucida. Zaira gli aveva raccontato a grandi linee dei genitori e di ciò che era accaduto, evitando però di farsi scappare tutto il ribollire di dubbi relativi al suo interlocutore, mentre Elia le aveva donato un nuovo pensiero fisso su cui fossilizzarsi.

"Scusami per l'ultima volta, comunque" le aveva detto, sorprendendola.

Aveva provato a dirgli che non aveva nulla da perdonargli, ma l'altro aveva continuato imperterrito la sua battuta lunga. "È che... Cristo, mi sento un cretino solo a pensare di dirlo" aveva borbottato. "Non vorrei aver fatto casino. Sei di gran lunga la ragazza più interessante che ho incontrato da quando sono a Milano, o addirittura la più interessante di sempre. Ho paura di fare delle cazzate."

"Non hai fatto casino."

"La tua vicina di casa non penso sia d'accordo."

Zaira si era ritrovata a dover soffocare una risata, così da non svegliare la madre che dormiva nella stanza accanto, e poi era rimasta in silenzio, con un sorriso a incurvarle le labbra e un leggero tepore che le aveva sussurrato di addormentarsi quando le cose andavano ancora bene. Alla fine, Elia le aveva chiesto se avesse sonno e si erano salutati con un "Buonanotte" carico di promesse.

"Tanto a martedì non arrivo viva" si disse, recuperando una borsetta nera dall'armadio, in cui buttò i documenti e altre cianfrusaglie utili. La mattina si era svegliata con un'ansia martellante che, oltre a impedirle di seguire le lezioni in università, si era propagata in ogni parte del corpo come un'onda nera, togliendole l'appetito e facendole sfuggire di mano ogni cosa che afferrava.

Dopo aver dato un'ultima occhiata al suo abbigliamento – corta gonna nera, maglioncino rosso e anfibi sempre presenti –, recuperò il sacchetto col regalo e uscì dalla camera, sperando solo che il compleanno di Ginevra riuscisse a risucchiare le paranoie che le rimbalzavano per la testa. Stava arrivando a nausearsi nei confronti di se stessa e dei suoi comportamenti, tanto si sentiva stufa delle sensazioni che le risalivano per la gola ormai da un mese.

"Come vai da Ginevra e quando torni?" le chiese la madre, sdraiata sul divano a leggere un libro.

"Macchina, se me la presti" replicò lei, infilando il cappotto. "E torno per... non lo so. Forse l'una e mezza o le due?"

Sentì l'altra sospirare e appoggiare il romanzo per terra sul tappeto. "Non bere, eh."

"Ovvio." Zaira alzò gli occhi al cielo, per poi andare a sedersi sulla poltrona opposta al divano. "Farò attenzione, non preoccuparti."

Sua madre annuì e le lanciò un'occhiata carica di curiosità che subito la mise in allarme; quando la guardava così, coi grandi occhi scuri socchiusi e le labbra carnose piegate in un sorrisetto divertito, le possibilità che stesse per proporle una conversazione spinosa erano sempre troppo alte.

"Ma dimmi..." iniziò infatti, mettendosi seduta con le gambe accavallate. "Ci sarà anche il tuo ragazzo?"

"Chi?"

"Quello con cui ti ha visto la Mazzanti qualche giorno fa."

Zaira trattenne la risata isterica che le era subito risalita per la gola, rimanendo impassibile; le discussioni tra sua madre e la vicina di casa erano rare quanto la sostitutiva notturna della M1, ma, come nel migliore dei copioni, l'unica volta in cui si parlavano doveva per forza essere lei l'oggetto della discussione.

"Mi avrà confusa con un'altra" rispose, controllando intanto di avere tutto. "Magari la ragazza del sesto piano."

La donna alzò gli occhi al cielo. "Difficile si sia confusa, visto che mi ha detto che le sei quasi caduta addosso."

Zaira scrollò le spalle e, senza replicare, si alzò e si diresse verso la porta, afferrando durante il breve tragitto le chiavi dell'automobile abbandonate sul tavolino all'ingresso. Stava per uscire di casa, quando la voce della madre la bloccò.

"Anche se pensi il contrario, noto sempre quello che ti accade."

La ragazza trattenne la risposta acida ferma sulla punta della lingua, preferendo invece salutarla con un fiacco "A più tardi" mentre chiudeva la porta. Ironico che si rendesse sempre conto delle cose più inutili.

Zaira aveva invidiato l'atmosfera che si respirava in casa di Ginevra fin dal primo giorno in cui ci aveva messo piede. Era stata subito accolta con affetto sia dai genitori, sia da Giulio – il fratello sedicenne che l'amica continuava a dire imperterrita avesse una cotta infinita per lei –, tanto da svignarsela nel loro appartamento ogni volta che poteva.

A un certo punto ne aveva parlato a Ginevra, spiegandole quanto invidiasse l'affetto che riempiva le quattro mura in cui abitava, ma l'altra era rimasta solo molto sorpresa.

"Ti piace quel buco di casa mia?" erano state le parole con cui aveva accolto il suo commento, cosa che l'aveva portata a ridere e a scuotere la testa.

"Non in quel senso" aveva replicato. "Anche se invidio molto il balcone del salotto."

Col passare degli anni le visite dall'amica si erano fatte sempre più frequenti, soprattutto durante la sessione estiva, quando i genitori di Ginevra fuggivano al mare in Liguria e il fratello spariva chissà dove, lasciando l'appartamento libero alle scappate di lei e Davide. Zaira considerava i lunghi pomeriggi estivi passati a studiare all'ombra dell'ampio balcone, o rinchiusi in cucina con l'aria condizionata settata al massimo, tra i migliori ricordi che possedesse dell'università – la dolcezza e quiete vissuti erano indescrivibili.

In fondo, era anche a causa dell'onnipresente senso di familiarità che sperava di riuscire a staccare dai suoi pensieri. Certo, guidare per una mezzora abbondante sulla superstrada per raggiungere Cinisello Balsamo l'aveva aiutata, ma non le pareva il caso di sprecare quantità immani di benzina solo per riuscire ad alleggerire di poco il peso che le gravava sullo sterno.

"Ma guarda un po': è arrivata la donna sempre in anticipo" commentò Davide, aprendole la porta dell'appartamento di Ginevra. "Molto in tiro, tra l'altro. Viene l'uomo del mistero?"

La ragazza gli fece una linguaccia. "No" disse, per poi squadrarlo da capo ai piedi. "Pure tu sei molto elegante per i tuoi standard" aggiunse, notando la camicia bianca dalle maniche arrotolate fin sopra il gomito e i pantaloni scuri. "Potevi pure farti la barba, visto che c'eri."

Davide alzò gli occhi al cielo. "Uguali..." commentò. "Tu e Ginevra siete uguali. Faccio una cosa bene, ma alla fine non è mai effettivamente bene."

Zaira alzò le mani al cielo e, senza badare agli ulteriori borbottii in cui si era lanciato l'altro, si diresse in camera dell'amica, salutando nel mentre Giulio, sdraiato sul divano del salotto. Arrivata alla porta bussò con delicatezza e, dopo un attimo, la socchiuse appena.

"Per fortuna che sei arrivata!" esclamò Ginevra, tirandola dentro. Richiuse subito l'uscio alle sue spalle, per poi abbracciarla stretta, schioccarle due baci sulle guance e allontanarsi in modo altrettanto rapido da lei.

In parte stordita dall'intensa zaffata di profumo messo dall'amica, Zaira si chiese a cosa fosse dovuto l'entusiasmo, ma le bastò notare che l'altra era ancora in intimo e il letto cosparso di abiti per rispondersi da sola.

"Tu non hai idea" iniziò intanto Ginevra, scuotendo la testa. "Ero perfetta, vestita col giusto misto di trash e sciatteria che volevo facesse da tema ai miei ventitré anni." Indicò un orrido abito a fantasia geometrica anni '80, verde e rosa fluo, accompagnato da dei collant strappati. "Ma poi è arrivato Davide per una volta in vita sua in ordine e ora non ho più niente da mettere. Lo odio."

Zaira ridacchiò, abbandonando il cappotto su una sedia. "Allora buon compleanno" disse, alzando il sacchetto argentato che teneva in mano. "Regalo mio e di Michele, ma direi che posso dartelo già adesso."

"Salvatori della patria e della mia sanità mentale."

Zaira la osservò sedersi sul letto e aprire il pacchetto, per poi estrarre con delicatezza una blusa rosa cipria a maniche lunghe e dei pantaloni a palazzo neri e pieghettati, che guardò con aria sognante. "Grazie" disse, alzandosi per abbracciarla, questa volta con meno foga.

La ragazza ricambiò la stretta ed entrambe rimasero in silenzio per una manciata di secondi, con gli occhi chiusi e intente a sfiorarsi la schiena con leggere carezze, nessun pensiero a ballare nelle loro menti. Se solo fosse stato possibile, Zaira sarebbe rimasta incastrata in quel piccolo nucleo per sempre, lasciando che il mondo esterno crescesse e brulicasse lontano da lei e da tutte le persone a cui voleva bene, in modo tale che nessuno rimanesse ferito o col cuore ridotto a pezzi.

"Non hai idea di quanto sia agitata" sussurrò Ginevra, allontanandosi. "Penso che Dave abbia in mente qualcosa."

Zaira alzò un sopracciglio. "Dici una sorpresa di compleanno?"

"Non mi piacciono le soprese." L'amica infilò i nuovi pantaloni, valutando come le stavano. "Questi però li adoro! Dopo riempirò di baci pure Michele."

"Lui ha l'altra parte del regalo" specificò Zaira, accomodandosi sul letto. Rimase in silenzio a guardare l'amica che, con calma, finiva di prepararsi, aggiungendo un velo di rossetto e pettinandosi i lunghi capelli biondi, per finire il tutto con un'occhiata soddisfatta alla se stessa riflessa nello specchio.

"Il bel fotografo ha per caso cambiato idea?" le chiese, voltandosi verso di lei. Fece anche una piroetta, così da farsi vedere meglio.

Zaira le fece un occhiolino prima di rispondere. "Tu sei bellissima e lui continua ad avere un altro impegno."

"Magari aveva deciso di lasciarlo perdere."

"No... ma ci vediamo martedì" disse la ragazza. "Anche se... non lo so. Voglio e non voglio vederlo."

"Ah no." Ginevra venne a sedersi vicino a lei sul letto, prendendole le mani nelle sue. "Per stasera niente paranoie, chiaro?"

Zaira la guardò negli occhi, sentendosi subito così sollevata dalla dolcezza che vi lesse dentro da annuire convinta, cosa che strappò un sorriso all'altra.

"Ottimo!" esclamò. "E, se hai bisogno di dimenticare il fotografo, c'è sempre Giulio su cui ripiegare."

"Facciamo che tuo fratello sta bene con le ragazze della sua età, cosa ne dici?"

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