07. L'orto degli ulivi

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50milabaci – Axos (feat. KINA)

Zaira si sentiva fradicia fin nelle ossa.

Pareva che da venerdì notte qualcuno avesse aperto un rubinetto e deciso che, dopo tutto il sole che aveva tentato di scaldare l'inverno, era arrivato il momento perfetto per dare inizio a un lungo periodo di pioggia torrenziale e grandine, così da rendere l'imminente arrivo della primavera ancora più piacevole. Oltretutto, alle continue e spesse gocce d'acqua si univano delle improvvise sferzate di vento che, come una frusta, scivolano tra le viuzze di Brera spostando scrosci di pioggia che finivano per colpire Zaira in viso, eludendo la scarsa protezione data dall'ombrello.

"Che disastro" pensò, dando un'occhiata ai jeans fradici dal ginocchio in giù. "Speriamo che almeno dentro ci sia il riscaldamento."

Si infilò sotto l'ingresso dell'Accademia con un sospiro di sollievo e, dopo aver osservato la statua di Napoleone in mezzo al cortile, percorse il patio, per poi infilarsi insieme a qualche altro studente tra gli enormi corridoi che definivano lo scheletro dell'istituto. Inutile a dirsi che pure al loro interno scivolavano le medesime raffiche di vento, capaci di farla rabbrividire a ogni passo.

Notando un bagno, ci si fiondò dentro nella speranza ci fosse un bocchettone dell'aria calda o un calorifero a cui attaccarsi giusto il tempo necessario per scacciare via il freddo che le faceva battere i denti.

"Cazzo, ma almeno oggi non poteva esserci un po' di tregua?" pensò, sedendosi su termosifone della vernice azzurra sbeccata. "Sono un disastro."

Scosse la testa e afferrò il telefono, così da rileggere il messaggio mandatole da Elia una decina di minuti prima; visto che era ancora bloccato nell'aula 29, le aveva chiesto di raggiungerlo al dipartimento di grafica, proposta che Zaira aveva subito accettato. Tutto pur di non stare da sola ad aspettarlo all'ingresso della Pinacoteca a inseguire le peggiori paranoie che la sua testa fosse in grado di produrre; già aveva faticato ad addormentarsi la notte precedente, e l'idea di passare altro tempo in silenzio a languire sotto i colpi dell'ansia non era affatto allettante.

Abbandonò con un brivido il posticino caldo e tornò nei corridoi, pronta ad affrontarli. Dopo aver raggiunto l'ingresso dell'Osservatorio Astronomico, fece un paio di svolte a destra e si ritrovò in un cortiletto dal pavimento in mattoni rossicci e un unico albero solitario sotto il quale, incuranti della pioggia, stavano un paio di fumatori; seguendo le indicazioni datele da Elia sempre via messaggio, lo attraversò ed entrò in un piccolo e basso corridoio, terminante con una porta sul quale capeggiava in bella vista un cartello.

"Vietato l'accesso ai non addetti ai lavori" lesse a bassa voce, fermandosi. "Ma cosa cazzo...?"

Guardò un'altra volta le istruzioni, certa di averle seguite correttamente, e tale era la concentrazione che quasi non fece caso a uno studente trafelato che, con uno "Scusa", la costrinse a spostarsi e attraversò l'uscio senza far caso al divieto.

Allibita, Zaira decise di seguirlo, ritrovandosi così sul pianerottolo di una rampa di scale.

"Dovrei esserci."

Scese i gradini fino al piano interrato, dove si trovava una porta sulla quale era stato incollato un foglio di carta con su scritto Grafica.

Zaira ringraziò la prima entità ultraterrena che le venne in mente e spalancò l'ingresso, trovandosi catapultata in un mondo del tutto diverso dal freddo silenzio asettico a cui l'aveva abituata il percorso precedente: il piccolo corridoio che le si era parato davanti, infatti, risultava gremito di gente intenta a chiacchierare, o a lavorare su dei banchi appoggiati alla parete destra, o ancora a frugare in delle cassettiere in metallo. Troppo sorpresa per riuscire a formulare un qualsiasi giudizio, avanzò tra le persone, confortata dal fatto che la prima aula era numerata come la 28. La successiva, però, era la 27.

"Dove cazzo sono finita?" si disse, pensando che, forse, non sarebbe stata più di tanto una cattiva idea salire subito in Pinacoteca.

L'universo sembrò tornare sui giusti binari quando al fianco della successiva porta aperta comparve il fatidico numero 29. Zaira sbirciò all'interno dell'ampia aula, divisa in due ambienti distinti – a sinistra quelli che dedusse essere dei torchi, a destra sedie e qualche bancone su cui erano stati buttati zaini e giacche –, per poi rimanere immobile nel notare tra i vari studenti Elia, dai capelli ancora più scompigliati del solito e con indosso degli occhiali tondi e dalla montatura sottile. Riuscì a riscuotersi solo quando il ragazzo la vide e, dopo aver scambiato due parole con un suo compagno, le venne incontro, facendole perdere più di un battito.

"Ehilà!" la salutò con un enorme sorriso. "Vieni dentro, non stare qui ferma."

"Ma... posso?"

L'altro scoppiò a ridere. "Hai fatto caso a dove sei?"

"Fin troppo" disse Zaira, arricciando il naso. "Non sono abituata a tutta questa confusione."

"Quando ci sono le revisioni è peggio. Dai, vieni."

La ragazza seguì Elia all'interno e, trovata una sedia libera, ci si abbandonò sopra, lasciando invece il cappotto vicino a quello dell'altro.

"Penso ci vorrà ancora una decina di minuti" le disse, per poi spostarle dietro le orecchie una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso. "Mi sei mancata, sai?"

Zaira fece per dirgli che anche lei aveva desiderato tanto rivederlo, ma un ragazzo chiamò Elia, annunciandogli che era arrivato il suo turno; quest'ultimo non se lo fece ripetere e, dopo averle lasciato un leggero bacio in fronte che le mandò ancora una volta in cortocircuito i pensieri, corse a lavorare.

Scuotendo appena la testa nel tentativo di schiarirla, la ragazza rimase a osservarlo per qualche minuto sottecchi, seguendone i movimenti e chiedendosi che cosa stesse facendo di preciso; le sarebbe piaciuto andare a spiare il suo lavoro, nonché sistemargli gli occhiali che continuavano a scivolargli sul naso, ma rimase incollata alla sedia, timorosa di far danno. Oltretutto, aveva altro da fare; infatti, visto che nei giorni precedenti Michele non le aveva spiegato cosa avesse scatenato il suo strano comportamento alla festa, si era decisa a scrivere a Davide. Peccato non sapesse come impostare il fatidico messaggio.

Perché Michele dice che sei un pezzo di merda? le pareva fin troppo brutale come approccio.

"La nuova tipa di Elia?"

Zaira distolse lo sguardo dal cellulare, per portarlo sulla ragazza che si era seduta davanti a lei. "Non proprio..." rispose, osservandola con curiosità.

L'altra, invece, la guardò con aria scocciata, i piccoli occhi a mandorla truccati con una spessa linea di eyeliner blu elettrico carichi di un giudizio per nulla sottointeso. Si aggiustò la frangetta con un gesto irritato e, dopo aver spostato i lunghi capelli neri dietro le spalle, tornò a parlarle. "Buona fortuna" le disse con tono ironico. "Vediamo in quanto tempo ti rimpiazza."

Zaira spalancò gli occhi e, incapace di risponderle, la vide alzarsi e andare ai torchi, prendendo il posto di Elia che, invece, stava tornando da lei con un nuovo sorriso a illuminargli il volto.

"Andiamo?" le chiese, togliendosi il camice. "Ma va tutto bene?"

La ragazza si riscosse dalla sorpresa. "Sì... C'è stato solo uno strano incontro del terzo tipo."

Elia la osservò con un sopracciglio alzato, ma non le fece nessuna ulteriore domanda, preferendo raccogliere le sue cose, né Zaira ne fece a lui, troppo confusa dallo scambio di battute surreale appena vissuto. In silenzio, uscirono dall'aula.

L'ultima volta che Zaira aveva messo piede nella Pinacoteca frequentava ancora la scuola elementare. Nonostante gran parte dei ricordi relativi alle opere fossero andati perduti col passare del tempo, soprattutto a causa dello scarso interesse mostrato nei riguardi della storia dell'arte, aveva ancora presente il senso d'impotenza provato davanti a certe enormi tele, sotto le quali si era sentita ancor più piccola dei suoi nove anni.

La sorprese riconoscerla come la stessa sensazione che sentiva tutt'ora, ferma davanti al San Girolamo penitente di Tiziano, con Elia appoggiato sulle spalle e intento a sussurrarle all'orecchio qualche informazione sulla storia del pittore e del quadro stesso. Fin da quando avevano messo piede nelle sale, dopo il teatrino per non pagare i biglietti – dove lui aveva portato all'esasperazione la receptionist facendole credere che Zaira fosse una studentessa dell'Accademia che aveva dimenticato il libretto a casa, così da avere l'ingresso libero –, si era infatti sobbarcato l'ingrato compito di farle da cicerone, soffermandosi su specifiche opere e riportando a galla vecchie nozioni risalenti al liceo.

Zaira, a dire il vero, era rimasta più che altro affascinata dal suo modo di parlare, incantata da come sorrideva mentre gesticolava e le indicava piccoli dettagli, come la terza figura tagliata dalla prospettiva nel Cristo morto di Mantegna, o l'espressione scanzonata di un putto di Luini. Era riuscito a farle capire quanto potesse essere bello l'umanistico, con cui lei aveva sempre fatto fatica a rapportarsi. In più, non aveva potuto non apprezzare il fatto che, alla fine di ogni spiegazione, si soffermasse sempre a chiederle cosa ne pensasse lei dell'opera, ascoltandola con interesse e costruendo, talvolta, piccole discussioni.

"Mi sembra più potente degli altri che abbiamo visto" disse la ragazza, inclinando appena la testa di lato. "Più umano."

Elia le sorrise. "Dovresti vedere la Pietà a Venezia" replicò. "È indescrivibile da quanto è straziante. Io sono rimasto senza parole."

Zaira annuì appena, nonostante non avesse idea di come fosse il quadro citato, mentre l'altro la prendeva per mano e la portava con sé dalla parte opposta della sala, fermandosi davanti a un'altra tela che le disse essere il Cristo nell'orto del Veronese.

"Fuori dai capolavori universali, è il quadro che più amo della Pinacoteca" le rivelò, disincastrando le dita dalle sue. "Penso di aver riempito un quaderno intero coi miei tentativi di copia."

Zaira si girò a osservarlo sorpresa, e rimase ancora più di stucco quando lo vide arrossire.

"Non guardami così, ti prego" le mormorò, scompigliandosi i capelli. "Qui dentro è pieno di studenti dell'Accademia che si esercitano, soprattutto quelli di pittura."

"E perché ti piace?" Zaira tornò a concentrarsi sull'opera, chiedendosi cosa ci vedesse che lei non riusciva a cogliere. Per essere bello lo era, ma le veniva difficile comprendere cosa ci fosse di talmente incredibile da spingerlo a copiarlo più e più volte.

"Tralasciando la tecnica e l'uso dei colori?" le chiese retorico. "Come hai detto per Tiziano, pure qui è tutto molto umano." Le passò il braccio destro attorno al fianco, avvicinandola a sé, e poi le indicò la tela. "Non mostra Cristo mentre prega, ma nel momento in cui sviene dopo aver saputo cosa l'attenderà. Anche l'angelo rimane molto terreno: sembra quasi essere sul punto di supplicare Dio di trovare un'altra soluzione e di non sacrificare suo figlio."

Zaira si concentrò sulle due figure, notando quanto le parole di Elia aderissero alla realtà del quadro; eppure, nonostante la spiegazione, non riusciva a vederne la genialità.

"A te come sembra?" le sussurrò all'orecchio a tradimento, facendole risalire per tutto il corpo un'onda di brividi. "Non ti vedo molto convinta."

"Non ho un occhio allenato come il tuo" rispose, voltando il capo verso l'altro.

Non le servì concludere il movimento per rendersi conto che fosse stata una pessima idea. Ancora una volta erano vicini, troppo vicini, e la sottile elettricità statica già provata la invitava di nuovo ad annullare le distanze e a lasciar perdere tutto ciò che accadeva intorno – anche la rumorosa scolaresca che aveva appena messo piede nella sala.

Elia le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le accarezzò il viso con delicatezza, mentre Zaira faceva un leggerissimo cenno del capo, quasi a volergli dire di non preoccuparsi, di farsi avanti. Quel vago invito fu sufficiente.

Quando si baciarono chiuse gli occhi e lasciò che il resto sparisse, tutto il suo corpo che le urlava di non allontanarsi mai più dall'altro, tra le cui braccia e sulle cui labbra screpolate ogni cosa assumeva la giusta prospettiva.

Dopo un tempo che le parve infinito ma pur sempre troppo breve, si allontanò con un sospiro, facendo addirittura un passo indietro e distogliendo lo sguardo da Elia, che si mordicchiava il labbro inferiore. Zaira quasi scoppiò a ridere quando incrociò per caso l'espressione con cui una bambina li stava osservando, coi grandi occhi chiari spalancati e le labbra arricciate dal disgusto.

"Temo che abbiamo appena sconvolto dei poveri bimbi" mormorò, mentre l'altro si lasciava sfuggire una risata liberatoria che le alleggerì ancor di più il cuore e la portò a sogghignare, incurante dell'occhiataccia riservata loro dalla guida.

Elia l'abbracciò e le diede un bacio in fronte. "Li abbiamo preparati all'ultima sala" le disse criptico, prendendola per mano. "Andiamo avanti?"

"Certo."

Come se nulla fosse accaduto, ripresero il giro e tornarono a compiere gli stessi gesti, con lei che ascoltava e lui che le spiegava paziente. Ogni tanto Zaira sorprendeva Elia intento a guardarla, cosa che la portava a distogliere rapida lo sguardo e, temeva, ad arrossire.

Rimasero a lungo nella sala dedicata a Piero della Francesca, Raffaello e Bramante, dove il ragazzo fece con aria referenziale l'analisi delle tre opere esposte; l'ultima, in particolare, era così intensa da lasciare Zaira stordita e incantata al contempo, presa da una sensazione che Elia, con tono divertito, aveva definito essere la sindrome di Stendhal.

"Se fosse possibile, ti porterei subito alle Gallerie dell'Accademia" le disse a bassa voce. "Hai davanti solo una briciola di quanto il Rinascimento abbia fatto qui al nord."

Dopodiché ripresero a camminare, inoltrandosi nelle buie sale dedicate al Barocco dove faceva da grande protagonista la cupa Cena in Emmaus di Caravaggio. Superato poi il piccolo corridoio dedicato al Rococò, in cui Zaira si sorprese davanti ai colori pastello e le limpide vedute della laguna veneta, misero infine piede nell'ultima sala, dalle pareti di un blu intenso che la rendevano simile all'interno di un piccolo scrigno foderato in broccato.

"Neoclassicismo, ovvero il trionfo di Hayez" annunciò Elia con una smorfia. "Non il mio preferito, lo ammetto."

"Come mai?" gli chiese la ragazza, osservando la languida figura della Malinconia. "Non sembrano brutti."

"Li ho sempre trovati freddi, abbastanza leziosi, anche se la ritrattistica è meravigliosa e i titoli infiniti hanno del geniale."

Zaira annuì, nonostante non avesse compreso per niente cosa intendesse il ragazzo, e girò attorno al muro che divideva la sala in due; si ritrovò davanti a un quadro a lei noto, tanto da poterne dire il titolo.

"Il bacio. Questo lo conosco" disse, osservando le due figure. Ricordava di aver pensato da piccola che lui somigliasse fin troppo a Robin Hood, col cappello piumato e l'aria misteriosa, mentre aveva invidiato l'abito di quella sorta di principessa, di un azzurro cielo e all'apparenza morbidissimo.

"Forse il peggiore" replicò lui, fermandosi al suo fianco. "Banalissimo."

Poco lontano, un'altra scolaresca era intenta ad ascoltare una guida che parlava dei Promessi Sposi davanti al ritratto di Manzoni.

"Ti va di ripetere lo spettacolo davanti a nuovi bambini implumi?" le chiese Elia con un sorrisetto, senza però osare guardarla e con un leggero rossore a imporporargli le guance. "Certo, qui è tutto molto più banale e canonico, ma perché no?"

Zaira alzò gli occhi al cielo, incapace di trattenere l'espressione divertita che le aveva piegato le labbra.

"Poi, è anche noioso e stucchevole, quindi neppure questo crea un'atmosfera par..."

La ragazza lo afferrò per il maglione arancione e lo avvicinò a sé. "Dovresti stare un po' zitto."

Si ritrovarono entrambi a sorridere nel fraseggio di un nuovo bacio.

Piccola galleria delle opere citate:

San Girolamo penitente - Tiziano

Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti - Mantegna

Pietà - Tiziano

(questa si trova alle Galleria dell'Accademia a Venezia)

Cena in Emmaus - Caravaggio

Malinconia - Hayez

Il bacio - Hayez

Ritratto di Alessandro Manzoni - Hayez

L'opera di Veronese, invece, è in copertina. 

Piccola aggiunta: se vi capita di passare a Milano, la pinacoteca di Brera è una tappa fondamentale. Se siete troppo lontani, il sito ha delle scansioni meravigliose e un sacco di schede di approfondimento tra cui spulciare.

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