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E se non dovessimo parlarci più, ti mancherò?
E se non dovessimo vederci più, mi cercherai?
Mille mari da solcare, ogni giorno conterai.
Imparerò a volare e ti ritroverò.

Un sogno ad occhi aperti, per un attimo ho l'impressione di udire le onde infrangersi e la brezza salina soffiarmi in faccia mentre il mondo intero è un oceano e la nave mi porta fino all'orizzonte. Fifa è di nuovo in pausa.

«Malefatte?» sussulta mio fratello. «Allora quante te ne sei scopate?»

Torno sulla Terra, lo perdono. «Hai il chiodo fisso, eh?»

«Che posso farci? Sono un adolescente aitante e infoiato. Tanto la tiri per le lunghe, m'interessa di più sapere quante te ne sei scopate di come hai conosciuto la tua ragazza immaginaria.»

«Sei un insolente» lo pizzico.

«Sei un insolente» mi fa il verso, e io tolgo la pausa per riprendere la nostra entusiasmante partita, di cui lui nemmeno lontanamente considera l'importanza visto quanto mi sono mancati certi momenti tra fratelli. «Sta a vedere che ti stai inventando tutto, in realtà sei vergine.»

«Nessuna» lancio la bomba. Per l'ennesima volta, Fifa viene interrotto dal suo stupore.

«Che? Sei serio? Non te ne sei scopata nessuna?»

«Sì. Oddio, a dire il vero una cosuccia mi era capitata, ma è lunga da spiegare e con la storia c'entra poco.»

«La voglio sapere!» gonfia lui la voce.

«Non la ricordo, ninni» rispondo annoiato. «Lei si chiamava Pamela e conosceva Davide, che avendola trattata di merda l'aveva resa disponibile a ricevere le attenzioni da chiunque, se capisci cosa intendo.»

«All'incirca» si gratta il collo. «Una ragazza che voleva l'amore vero e si è ritrovata prima con un coglione e poi con te. Ma mi sfugge il perché.»

Pure a me, in tutta sincerità. Lo "schiaffo" di Giada, seppur gentile, aveva toccato i nervi scoperti da Alice e il mio non sentirmi all'altezza aveva destato gli istinti competitivi del ragazzino qual ero, sempre pronto a fraintendere. Pensavo che praticando l'arte del sesso mi sarei fatto uomo, ci cascavamo tutti. Ma cosa non pensavamo noialtri, presi dalle foghe e dal bisogno di sentirci pazzeschi, era l'umanità di chi aveva la sfortuna d'incontrarci: ragazzine talvolta frivole e superficiali, altre volte sveglie e determinate, una per ogni tipo, unica e magnificamente irripetibile. Erano accomunate soltanto da necessità che riguardavano anche noi, perciò erano in egual misura confuse, bisognose di affetto, di approvazione, di concepirsi e distinguersi. Da piccoli è difficile comprendere che, come si ama in due, si cresce in due e ci si schiarisce le idee l'un l'altra; quando ciò non accade, la natura vince sul buon senso e il risultato sono le incomprensioni, le figuracce e le esperienze dimenticabili.

La saggia Desi inizialmente approvò il mio cambio di look, più alla moda e appariscente. Di certo meno acquiescente fu quando mi scoprì aver raggirato Pamela. Si fece allora un paio di conti e in un lampo gli fu chiaro che qualcosa non quadrasse affatto.

Un mattino, prima di un'assemblea d'istituto, la raggiunsi nel bar vicino alla scuola, dove tolti i soliti anziani che maledicevano Prodi eravamo i clienti abituali. Lei guardava beata verso il vecchietto che leggeva la Gazzetta, non dava l'idea di voler chiacchierare. Le mossi la mano davanti agli occhi in cerca di attenzione, almeno di un saluto; allora mi guardò torva, disapprovante e severa.

«Che stai facendo?» scandì fredda.

Sapevo a cosa si riferiva, era lampante. Fingermi ancora una volta tonto non sarebbe servito, perciò abbassai lo sguardo e memore delle ultime settimane feci un tacito mea culpa.

Fuori era nuvolo, l'inverno si stava imponendo e minacciava un clima impervio. Desi si prese qualche secondo per pensare a che dire, mentre io avevo molte scuse da porgere. Nell'ordine, uscii con una decina di ragazze, con solo metà di loro sentii un minimo feeling e verso tutte rivolsi sospetti apprezzamenti, per poi passare a conversazioni telefoniche ancor più sospette e impacciarmi in miserabili tentativi di ricavarci il sesso che proprio non sapevo "guadagnarmi", dunque feci il cascamorto con Giada beccandomi il suo "no" e le risate di Gianlu. Infine, convinto dai ragazzi a presenziare alla festa di compleanno della Chicca, mi ritrovai sul palco a cantare I don't wanna miss a thing degli Aerosmith mentre al locale, guarda caso, Pamela restava incantata. Secondo il soldato, nella vita occorreva avere gli occhi della tigre; io avevo quelli del salmone bollito e pescato con le bombe, ma a Pamela andavano bene, per cui...

«Ho capito» disse Desi dopo il mio resoconto. «Sai, non ti sto riconoscendo più.»

Dispiaciuto per la piega presa dagli eventi, nemmeno io mi riconoscevo allo specchio. Certo, il nuovo taglio mi piaceva, però guardavo un perfetto sconosciuto andato in tilt, ancor più demotivato dai nulla di fatto e solo a cercare di darsi una definizione. Meglio quindi: «Ci metto una pietra sopra e smetto di dare peso a tutte queste stronzate.»

«Ti stai cacciando in un circolo vizioso» precisò lei. «Più sbagli e più ti scavi la fossa. Passi l'aggiornamento dello stile, ma la persona che sei non la cambi e gli altri lo sentono.»

«Eccome» risposi già affossato. «Non ce la faccio a essere diverso. Sono... trasparente, non ho la faccia da culo.»

«Per niente.»

«Per niente...» sospirai. «Mi dispiace, mi sono comportato male.»

Desi anche prese un respiro. Poteva persistere a rimproverarmi, a sottolineare la stupidità insita nel tentare di emulare personaggi affatto degni di ammirazione. Invece, come suo dolcemente tipico, mi prese la mani. «Facciamo tutti degli errori. Quando non ci sentiamo bene, e vogliamo a ogni costo stare bene, sbagliare è un attimo. Ferire, non avere tatto... Non ti giustifico, ma ti capisco. Vorrei solo vederti felice e meno in crisi, perché tutto quello su cui ti stai fissando in realtà non ha valore.»

Tacqui per un po'. A Pamela avrei senz'altro rivolto delle scuse per essermi approfittato della disponibilità con cui cercava di accaparrarsi un fidanzato, ma in quel momento beneficiai del calore delle mani avvolte alle mie e pensai che Desi fosse l'emblema dell'irripetibilità che mi migliorava la vita. Ed era arrivata da sé, per caso, senza ch'io facessi il fenomeno: bastava dunque vivere secondo la mia vera natura e le cose sarebbero andate per il verso giusto.

«Mi sono mollata con il ragazzo» dichiarò dopo con tono sereno, benché vi fosse un accenno di dispiacere per ovvi motivi. Non fui capace di spendere belle parole o di stupirmi, perché in parte me l'aspettavo e in parte lui non mi aggradava. Le chiesi: «E... E come stai?» e lei guardò placidamente l'inizio della pioggia fuori dalle finestre.

«Sto, non sono distrutta e non sono felice. Lo avevo messo in conto quest'estate, quando lo sentivo che sembrava... più distante, abituato, ecco. Non è che ho gettato la spugna, ma lo sai che non mi piace insistere. Non sono quella giusta per lui e va bene così, senza rimorso. L'importante è conservare dei bei ricordi di una persona e salutarsi come si deve, perciò anche se è finita mi ritengo fortunata.»

Guardò poi verso di me e concluse sorridendo: «Dai, adesso avrò più tempo per tornare a cantare. Facciamo una cosa a tre con Virginia, ma non in senso ambiguo, eh.»

Già, Virginia. Lei il fidanzato lo aveva ancora, altro tizio fortunato e chissà se meritevole. Dopo l'ultimo incontro, la cantante mi scrisse qualche volta e io non ragionai sul perché, dato che fui più impegnato a farmi un "curriculum" che ad avvilirmi dietro una ragazza che non potevo avere – sembrava. Ma anche Virginia, come era evidente, aveva i suoi bei guai in un rapporto infelice, che gli occhi della tigre di Gianlu avevano colto alla perfezione. Giada era d'accordo quando lui sosteneva che lo scrivere dei messaggi fosse un prudente, prudentissimo guardarsi attorno per avere un rimpiazzo. Versione che non mi piaceva, dunque fu a Desi che domandai cosa ne pensasse, giacché l'aveva menzionata.

«Beh, non è facile dare una spiegazione» mi rispose, e il cielo s'ingrigiva. «Può darsi però che abbiano ragione loro. Mi metto nei panni di lei, provaci anche tu. Leva quanto possa essere scorretto, ma tu, in un rapporto che probabilmente non ti dà alcuna felicità, non faresti la stessa cosa? Non cominceresti a guardare cos'altro c'è fuori dalla relazione, che non interrompi perché magari non vuoi ferire il tuo partner, o perché ormai è l'abitudine di cui ti parlavo prima a mandare avanti la storia? Io so che lei è da tanti anni che sta con lui, quindi... potrebbe essere... Ma conta che non è che qualcuno scrive a un ragazzo perché per forza sta cercando un nuovo fidanzato, cioè, sarebbe abbastanza triste. Non so, la risposta ce l'ha lei.»

Lei che, anche se non le scrivevo come prima, pareva andare avanti ugualmente. Trascorreva le ricreazioni con le amiche e rideva. Era sempre di buonumore. Davvero non capivo cosa c'entrasse con il tizio che in due volte che l'avevo visto altro non ha fatto altro che arrivare snervato e impettito, sempre sul piede di guerra per attaccare briga con la sua stessa fidanzata. E di quanto discutessero non ne sapevo nulla, come nulla sapevo di cosa passasse per la testa dell'enigmatica cantante. Eppure volevo sapere tutto, maledizione, ma avvicinarsi a Virginia significava metterla in difficoltà. Mi serviva un'occasione dove parlarle non avrebbe comportato alcun rischio per lei.

Il tempo peggiorava, l'aria si faceva fredda. Nelle nuvole si celava una minaccia che nella notte si sarebbe manifestata nella forma della mia buona sorte: fiocchi di neve, in abbondanza e in anticipo rispetto alle previsioni che li avevano pronosticati dopo la prima metà dicembre. La città fu sepolta da un candido manto di gelo nell'arco di poche ore, e nonostante i disagi al traffico a scuola ci andai comunque - si trattava di neanche mezz'ora di cammino. Le stesse intenzioni non le ebbero i più, che o restarono a casa o si ritrovarono bloccati nella neve.

Ebbene, anche Virginia si divertiva a scuola, siccome fu tra i pochissimi presenti ad apparire all'ingresso. Dato che ormai ero lì e i professori impantanati furono diversi, le ore buche dovevo pur riempirle in qualche modo: a metà mattinata attraversai il corridoio che portava verso la sua classe e lì la trovai, in compagnia di giusto quattro persone.

https://www.youtube.com/watch?v=AMDkemefjxk

La cantante stava per i conti suoi, sfogliava il diario. Mi appostai sulla porta in attesa dell'avvento del coraggio, quando lei m'individuò e subito ripose tutto nello zaino per raggiungermi. Salvo poi fare un rapido dietrofront, infilarsi la giacca e i guanti e iniziare a tirarmi verso l'uscita.

«Li sai fare i pupazzi di neve?»

Così, all'improvviso, senza un vero saluto e senza chiedermi come stessi, dopo giorni che non mi facevo sentire. Trascinò la mia perplessità giù per le scale, spinse con entusiasmo la porta d'uscita e balzò in strada a piedi uniti, mentre un altrettanto perplesso Roccatagliata sorseggiava il caffè scrutandoci dalla sala professori.

«Scusami se sono stata un po' brusca, ma in classe ci stavo morendo» mi disse sollevata. «Quelli che sono venuti oggi non li sopporto, sono così altezzosi...»

Benissimo, se ciò significava poter passare del tempo con lei. «Nessun problema, anche da me sono venute solo le secchie.»

«Beccati questa!»

Mi arrivò secca una palla ghiacciata in faccia. Feci un balzo, non ero preparato all'evenienza. Virginia se la rise di gusto, confidente come se mi conoscesse da sempre. Feeling, esattamente quello che avevo provato a coltivare nei miei fallimentari appuntamenti: fu la familiarità con cui mi colpì a farmi una certa impressione, più di quanto il suo piacermi le avrebbe permesso di trattarmi come preferisse – un altro l'avrei mangiato vivo. Una pallina in faccia per vedere che con me si sentiva a suo agio, che si divertiva, che stava bene; stetti al gioco e fu il turno mio di alimentare la nostra guerra, così raccolsi neve e dimenticai le settimane trascorse.

I «Gnegne, non mi prendi!» insensati, il correre allegro per la strada innevata, l'essere colpito ancora e infischiarmene del freddo sulla pelle. Si divertiva lei, mi divertivo io e Roccatagliata ancora si interessava alla finestra, lasciandoci esprimere nella nostra giovinezza per il resto del tempo. Peccato non avere foto di quella battaglia, penso ogni volta che mi capita di vedere la neve e di non odiarla come quasi tutti i miei coetanei. Per questo è un ricordo che conservo avidamente, per via anche della brevità che durò prima che la campanella suonasse e Virginia dovesse fare ritorno per la lezione che le toccò. Con una promessa, tuttavia.

«A fine mattinata devo andare in Fiumara* tanto che vado verso la stazione» mi disse. «Ti va di fare la strada assieme?»

L'avrei fatta a prescindere da quanto fosse vicina a casa mia, sarei andato pure in direzione opposta. E non sarebbe stato un problema neppure accompagnarla almeno per un tragitto verso casa sua, poiché con la scusa di raggiungere il mio vecchio al lavoro uno strappo l'avrei avuto. Nope, stare con lei era tanto piacevole, e a vederla ero convinto che stare con me fosse ugualmente bello, perciò che importanza poteva avere allungarsi il viaggio nell'inverno fino al suo portone?

Neve, vento freddo, parlare di musica, ignorare che non avesse citato il suo fidanzato manco per errore e che non avesse considerato i numerosi messaggi che le erano arrivati da quando avevamo iniziato a giocare fino a quando non eravamo giunti a destinazione.

«Ci vediamo a scuola se non la chiudono, okay?» le dissi.

«Assolutamente» sorrise lei. «Grazie per avermi accompagnata, te sei pazzo.»

«Sono un cantante, non posso essere normale» scherzai sapendo che avrebbe condiviso.

«Già, hai ragione...» arrossì.

Non sarebbe stato sbagliato salutarla con un bacio sulla guancia, che fosse nata un'amicizia era palpabile. Però rammentai l'esistenza del suo uomo, di essere uno sbadato e di avere gli occhi del salmone pescato con le granate, che ammiravano la semplicità di una ragazza per certi versi ancora sconosciuta e divenuta a/più bella nel tempo passato assieme. Deliziosa con il suo berrettino, non ebbi l'intraprendenza di avvicinarmi più di quanto già fatto.

«Beh, buona giornata.»

Come il codardo si voltò, la principessa lo fermò.

«Aspetta!»

Appena egli si girò nuovamente, la principessa si alzò di poco sulla punta degli stivali. Un cuore si fermò per incanto quando le labbra di lei, leggere come la neve sotto i loro piedi, si posarono su quelle di lui, facendogli sentire per la prima volta il primissimo sospiro dell'amore che avrebbero conosciuto. E tutto ciò che v'era attorno, senza un valido perché, si fermò assieme al battito del piccolo principe, mentre la principessa immaginò, per un istante eterno, di poter tornare a essere felice.

Quando a sussultare fu invece il cuor di lei, la paura divorò il sogno taciuto e ciò che per lui fu magia si tramutò in un incubo per la ragazza, che stupefatta da sé stessa si staccò, lo osservò impietrita e scappò nel suo castello.

«Scusami» gli disse impaurita. «Scusami tanto.»

«Virginia!» tentò di fermarla lui, ma il portone si chiuse e il coraggio svanì dietro l'ombra di mille dubbi.

*Centro commerciale e divertimenti nel quartiere di Sampierdarena, a Genova.

Spazio autore

Così, di botto, senza senso, un bacio. Sul come mai ci pensiamo la prossima volta, adesso vado a fare delle flessioni.

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