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Al campetto che conoscevo è stato rifatto il look. Fu necessario che Nello si rompesse il braccio incespicando in una buca nel cemento per far intervenire il comune. Sono state erette porte che possono essere chiamate così, con reti vere e proprie. Le linee che profilano l'area di gioco sono chiare, il campo è circondato da una recinzione stabile e sufficientemente alta da impedire che qualche bolide sfondi la finestra di un residente. Non ci sono più le radici degli alberi adiacenti che emergono dal corner, o le fronde che penetrano attraverso un recinto forato e prossimo a crollare; nemmeno la vecchia nicchia nel muraglione dove, narrano i più vecchi, vi fosse una fontana poi chiusa, che lasciava spazio a noialtri per pomiciare in segreto.

Si è "irrobustito", il campetto. Come, d'altro canto, ci siamo irrobustiti noi, che non lo frequentiamo più per anzianità. E dire che ne sono passati di personaggi sopra le righe, da Alberto Costa e la sua banda a Luca Morando e la sgraziata Azzurra, fino al malinconico "Straniero" e i suoi amici spariti dalla circolazione. Oggi che vi torno, un velo di nostalgia si ammanta nel mio petto e sprazzi di nuvole si accalcano nel cielo. Non di certo una minaccia di mal tempo fermerà il porta a porta in corso tra me e i mio fratello, la cui mira non occorre di essere migliorata vista la mia agilità perduta – segna parecchio per mio demerito. Non abbiamo neppure stabilito a quanto si debba arrivare per vincere, semplicemente tiriamo finché ne abbiamo voglia o fintanto che i miei racconti non lo stufano.

«A una festa delle scuole non ci sono mai andato» mi dice calciando di potenza, incurante della soffocante aderenza dei jeans che gli coprono le gambette.

«Non so se le fanno ancora, considerato il vostro andazzo» faccio il vissuto moralista. «Già quando avevo la tua età non erano proprio dei successi, voi con quei belìn di telefoni preferite sicuramente stare a casa ad ammazzarvi di seghe.»

«Ma non rompermi le palle, anche te stai sempre al telefono.»

«Vero, ma non per perdere tempo dietro agli Youtubers: studio nuove canzoni.»

«Ah, ah» recita un riso sarcastico a gran voce. «E le cover maschili delle canzoni che ti studi chi le fa? Sono Youtubers, avvocato.»

Mi concentro sulla sfera, prendo un bel respiro. Calcio appositamente di punta, così da trarlo in inganno. Non è mio proposito centrargli la faccia, eppure poco ci manca che la boccia lo colpisca sul naso. Lui, piegato come Neo quando schiva i proiettili, dice che sono uno stronzo permaloso; in realtà apprezzo l'acume di cui non si serve a scuola e vorrei che lo avvalorasse. Tempo, dialogo, ascolto: arriverà il giorno che compirà dei passi in questo "cementoso" campetto e proverà la mia nostalgia, realizzando però che la sfericità del pallone rappresenta la circolarità di giorni che si ripetono. Belli, ricchi di fraternità tra amici, ma carenti di ciò che dà quel brio unico, quello che ripetersi non può. E lo sta iniziando a capire, nonostante il telefono gli sia fermo, intoccato in tasca: lo ha scritto negli occhi che ascolta le mie storie perché non vuole pensare a quanto la ragazzina della quale è cotto lo stia sotto sotto ferendo.

Il pallone rotola fino alla recinzione, si arresta su un manto di foglie screpolate. Intreccio di ferro attorno a noi; una prigione divertente, ma pur sempre una prigione ove più di una partitella e qualche delirio non accade. Il campetto non mi rattristava, a essere onesto: voler però cambiare aria è naturale.

«Sai perché decisi di andare alla festa?» gli dico, mentre lui si rialza da terra per recuperare il pallone.

«Spara.»

Sorrido. «Perché sapevo come sarebbe andata a finire se avessi scelto diversamente. Davide avrebbe cercato il fumo in giro, Andre sarebbe scappato alla prima ragazza e Nello l'avrebbe seguito. E indovina un po', sarebbero venuti a citofonarmi per venire qui, ancora e come sempre. Solo che dopo che ti ci sbucci le ginocchia per degli anni, già non sei granché contento di passarci la serata. E se poi ci metti l'ormone che avevo in quel periodo...»

«Non dire altro, ho capito!» afferma veloce, ironico. «Al campetto ti annoiavi perché avevi fame, quindi sei andato alla festa perché volevi vedere se riuscivi a divertirti. Va' avanti, e poi?»

E poi volevo evadere. Dal campetto, dalla mia fissa. Quel desiderio di uno specifico divertimento, che accomuna molti maschietti di un'età movimentata e non, in me non era mai veramente nato. Ovvio, se mi fosse mai capitato non mi sarei tirato indietro, ma non era la mia priorità, e ciò mi rendeva alquanto insolito. È così che iniziò con Alice, benché fu categorica ad asserire che non mi ci dovessi affezionare. Facile a dirsi, pensai dopo la prima e unica volta che facemmo sesso: mi aveva sconvolto, lanciato nel Valhalla.

Alice, guarda caso, era alla festa delle scuole che si teneva nel cuore della città, negli anfratti di immani palazzi moderni, sedi di banche, uffici e prestigi a cui i vicini vicoli potevano solo lustrare le scarpe. Non per niente c'era un po' di tutto quella sera: gli snob, gli universitari affamati, i fattoni, i figli degli operai, le principesse, i nautici, le studentesse di economia e commercio, gli scientifici, i classici e infine noi, che non avevamo una collocazione particolare data la nostra diversità. Nello era un tontolone alberghiero e subito fu rapito da altri ripetenti della sua scuola, Andre era un buono sportivo e si era fatto il nome, perciò fu conteso tra svariati colloquianti che volevano chiedergli come stesse andando il calcio; Davide era uno sbruffone sagace e impertinente, ma comunque un bravo fratello che nel momento del bisogno non mi avrebbe lasciato indietro. Infatti, fu lui per primo ad accorgersi che Alice, appena fuori dai silos che ospitavano dozzine di macchine, era presente, a gambe accavallate su di un muretto e con un paio di leggins che avrebbero fatto esplodere le sensibili coronarie dei miei compagnoni. Senza accorgersi che anche io l'avessi notata, sicuro che l'avrei ahimè incontrata, mi spinse nella calca, in direzione opposta rispetto a dove lei sedeva con altri scappati di casa del suo stampo, gentaglia di varia provenienza ed etnia che ad accomunarli avevano le droghe e una notevole fantasia per mescolarle.

Fastidio, brutte immagini nella mia mente. Se Alice fu tanto brava a letto da rendersi memorabile e assuefacente, il motivo lo si coglie nelle sue storiche preferenze, in quanto frequentava solo ragazzi dai venti anni in su. Persone, allora, con un'esperienza "di gran lunga superiore" alla mia, che fui l'eccezione tra i suoi standard soltanto perché non dimostravo sedici anni. Pensarci mi rese nervoso, inoltre vederla assieme a certe leggere* vanificò l'iniziale speranza di poter imbastire un dialogo tanto per, perché era inutile convincerla a considerarmi. E, non da meno, non era lei quella giusta e lo sapevo benissimo – come tutti quelli che tant'è persistono a sbagliare.

In ogni caso, dopo qualche trattativa col buttafuori riuscimmo a entrare nel locale, normalmente una discoteca per adulti adulti, almeno venticinquenni. Tralasciando l'affluenza inconsueta per l'evento, non si stava poi tanto male: spazio ce n'era, nessuno era ubriaco, in generale sembrava che la clientela volesse soltanto festeggiare la fine delle vacanze e trascorrere una serata piacevole. V'era poi qualcosa di mio interesse, cioè una sottospecie di musica dal vivo diretta da un tizio che, sempre in centro, gestiva un locale dove i pensionati si dilettavano col karaoke. Strano ma vero, la formula funzionò perché non furono pochi gli scalmanati un po' alticci che presero il microfono per cantare Tiziano Ferro.

«Andiamo a cantare?» mi fece Davide, aggiustandosi la maglietta Baci e abbracci e il ciuffetto con cui fare colpo su eventuali sfortunate.

Tentato lo fui, ma non mi piaceva l'acustica, e soprattutto la visione di Alice non mi rendeva dell'umore adatto, nonostante l'insistenza del mio amico. Forse, dopo un Negroni avrei accettato.

«Ti devo un colpo dall'ultima volta» gli dissi. «Facciamo che prima prendo da bere e se poi me la sento...»

«Vado a parlare col tipo!» non mi lasciò neanche finire e guizzò via, sparendo tra i festeggianti in un battito di ciglia.

Io, spiazzato per la fulmineità del suo scatto, sbuffai e gliela diedi vinta. Andai allora al bancone in fretta, dovevo essere pronto. Scelsi il momento più sbagliato, o il più giusto, perché ad aspettare che il bartender mi preparasse il salatissimo cocktail giunse proprio Alice. Mi si affiancò, le ci volle poco per accorgersi dei miei dettagli e voltare velocemente il capo. La guardai e un misto di emozioni mi scosse. Quant'era bella, nulla cambia questa sua fortuna. Per i lineamenti che aveva, avrebbe potuto benissimo darsi alla recitazione e chiunque le avrebbe assegnato una parte. Quel naso sottile e lineare, quella bocca che mi mancava, l'odore della pelle candida che avrei riconosciuto tra migliaia di profumi e capelli bruni di una lucentezza innaturale; vantava un seno abbondante per la sua età, morbido e caldo da perderci il senno, ma erano i suoi sapori ad avermi dato alla testa, tanto che non contava chi venisse a rivolgermi parola perché sempre e comunque la memoria mi avrebbe rimandato alle sue labbra e alla voglia ardente di averla mia ogni giorno. Tuttavia ero arrabbiato, umiliato, sminuito, e come spesso accade tra gli adolescenti, non ero capace a lasciare andare. In un certo senso, neppure oggi lo sono.

«Ciao» le dissi atono.

«Ciao» disse lei atona, conforme al disagio che entrambi provavamo.

https://www.youtube.com/watch?v=xPU8OAjjS4k

Restai qualche secondo in silenzio, poi lo sguardo mi cadde sulla prosperosità che il top non conteneva e la maturità collassò su sé stessa.

«Non hai risposto al mio ultimo messaggio» proseguii, e Alice non pronunciò alcunché, restò a guardare le bottiglie di liquori. Allora sospirai e annoiato – per non dire "incazzato" – aggiunsi: «Rispondere è cortesia. L'educazione non ti manca, da che ricordo.»

E lei anche si innervosì. «Non sono obbligata a risponderti.»

«Infatti ho detto che è cortesia» puntualizzai, peggiorando la situazione. Voltai io gli occhi verso la collezione di rhum e Alice mi fulminò con le sue sclere. «Si può sapere cosa vuoi da me? Ero stata chiara, non dovevi affezionarti a me.»

«Come se fossero cose che si controllano» mormorai. «Non è facile gestire le emozioni, te ne sai qualcosa

«Che hai detto, scusa?» sibilò acida, memore di come finimmo a consumarci, o come lei finì a rendermi uno straccio esanime.

Ma questo lo racconterò in futuro, perché ora come quella sera avevo altro da fare. Fatto sta che nella manciata di secondi più lunghi della mia vita fino a quel puerile scambio di battute finalmente il mio Negroni fu pronto, e mi congedai. «Niente, niente» dissi, «non ha importanza. Passa una bella serata, devo andare».

«Sarà meglio

Se non avesse scandito le ultime parole, replica equa alla mia banale frecciata, probabilmente avrei badato agli affari miei e mi sarei goduto l'evento con i miei fidati soci. Però parlò, accidenti, e il ricordo mi fa sorridere. Che bell'età per fare sciocchezze che poi, crescendo, ci si perdona con il cuore aperto.

Il Negroni, a seguito dello "scontro" con Alice, era superfluo per darmi la motivazione che altri pensieri avevano acceso. Davide, sul palchetto, prese il microfono e iniziò a esclamare il mio nome, invitandomi con entusiasmo a raggiungerlo. Andrea ne distinse la voce e si unì, così come Nello, ma non avevo intenzione di proporre un arrangiamento corale di una canzone alla portata di tutti: volevo farne una in solitaria, mirata a irretire Alice a dismisura. La sussurrai al tizio che cominciò a cercarla tra le varie basi MIDI, lui la individuò nell'elenco del suo impianto e lei, ancora al bancone del bar, riconobbe nell'immediato i primissimi accordi. Amava quella canzone, amava la band, non amava me. In compenso, le andava bene frignare per i suoi problemi tra le mie braccia.

È questione di giorni. Tornerai da me.

Kryptonite, 3 Doors Down. Ogni strofa narrava il breve tempo che, pur non essendo stati amanti né tantomeno fidanzati, trascorremmo insieme. Chissà come andava la sua vita, conoscevo unicamente le mie giornate. Passeggiavo per il mondo, in silenzio soffrivo per un amore non ricambiato reggendomi sulla mia reattività. Tutto mentre la mia mente in tempesta mi risucchiava le energie e il mio corpo giaceva sul cemento del campetto, o sul divano, o nelle lande disperse di un tempo immobile, dove un insulso malessere mi faceva sprofondare in quella che ritenevo essere oscurità. Colpa mia o colpa sua, non v'era dubbio che Alice c'entrasse e che staccarmi avrebbe avuto un prezzo amaro da pagare.

I really don't mind what happens now and then
As long as you'll be my friend at the end.

Quasi lo ringhiai, sentii la voce grattarmi l'interno della gola. Volevo infastidirla, volevo farle capire che era importante, tutto e niente.

If I go crazy then will you still call me Superman?
If I'm alive and well, will you be there and holding my hand?
I'll keep you by my side with my superhuman might.
Kryptonite.

Mi aveva chiamato forte e debole, e se non fosse stato per me, sarebbe morta. Poiché ne era consapevole, udire la lirica la rispedì indietro di settimane, nel pieno di una debolezza vasta come un oceano. Persino un ragazzino inesperto come me, allora, avrebbe potuto essere un'ancora di salvezza. Inaccettabile per un carattere così orgoglioso.

Se impazzirò, continuerai a cercarmi quando ne avrai bisogno?
E se invece starò bene e sarà vivo, ne sarai felice?
Sarò dalla tua parte e ti darò la mia umanità.
Cianuro.

Gli amici suoi non faticarono ad accorgersi del suo turbamento. Temo che spifferò qualcosa di noi, magari inventando particolarità non proprio verosimili sul nostro rapporto sessuale. Quando finii il mio "omaggio", quelli mi vennero incontro e giusto per un pelo evitai la rissa – con la diplomazia ero un asso. Però la prepotenza era ardua da reprimere, Davide le botte le voleva e Nello si era allenato a posta: la risolvemmo andandocene dalla festa, con gran soddisfazione di Alice e mio alleggerimento.

«Mi stavo divertendo» si lamentò Andre, «è mai possibile che non ce la facciate a stare bravi?»

«Se la sono venuta a cercare loro» semplificai la faccenda, perché un po' sotto ammetto di essermela fatta.

«Bene, adesso dove andiamo?» si sconsolò Nello. «Non ditemi campetto, siamo in centro.»

«Campetto eccome!» esultò Davide, il cui sempreverde progetto di andare a recuperare delle birre al circolo sportivo e trascorrere la serata in quattro deficienti a fare cazzate come sempre succedeva era la soluzione più democratica. «Andiamo!»

https://www.youtube.com/watch?v=tPwqOWK6EFw

Quando mossi il passo appesantito verso il destino del prigioniero, dal locale udii un canto sconosciuto interpretare Luce, di Elisa. Un canto leggiadro, cristallino; voce che contraddistingueva certamente una ragazza, una giovane donna ancora bambina che dominava un timbro dolce e delicato con la padronanza tecnica di una professionista. Lo udii e mi fermai per meglio ascoltarlo.

Siamo nella stessa lacrima, come un sole e una stella.
Luce che cade dagli occhi
sui tramonti della mia terra, su nuovi giorni.

Ascoltami.

Ascoltami.

I miei pensieri s'interruppero e la mia fantasia non osò immaginare quale volto avesse colei che cantava. Ascoltai la voce e fu tutto ciò che volli vedere fluttuare sino a me, ipnotizzato.

Ascoltami.

«Ascolto...»

Non avevo mai sentito voce più bella.

Non entrai nuovamente nel locale perché i ragazzi erano già in marcia e mi chiamavano. E perché se fossi rientrato le avrei buscate. Ma, mio Dio, non ho memoria di qualcosa che, come quella voce, mi attirò con tanta intensità e al contempo gentilezza verso un fato la cui soglia avevo superato fermandomi assieme al tempo.

"Chi sei?" pensai.

Luce.

Ascoltami.

Ascoltami.

Ascoltami.

L'avrei ascoltata presto, dove non immaginavo che sarebbe discesa.

*Leggera: essere una persona inaffidabile o una testa calda.

Spazio autore


Tempo fa ho letto il commento di un tipo sostenente che, finora, ciò che più si avvicina a essere una macchina del tempo sia Youtube. C'è da chiedersi cosa sia il tempo, per me è una domanda inutile. Credo bisogna chiedersi cosa sia la gravità, che non è una forza come scrivono sui libri di testo: è una distorsione dello spazio-tempo, cioè un tessuto quadridimensionale dove esiste tutto quel che conosciamo.

Parlando di macchine del tempo, dunque, ci si chiede cosa possa muoversi attraverso il tempo. La gravità, proprio come detto in Interstellar. L'attrazione, il fenomeno cosmico che unisce. Questo non vi fa venire in mente che ci sia qualcos'altro a trascendere spazio e tempo? Qualcosa di umano?

Non mi stanco mai di ripeterlo e adesso ci scrivo questo piccolo romanzetto. Si va avanti.

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