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«E lui che ha detto?» chiede mio fratello, dopo aver udito la boiata che al tempo mi fece diventar viola in viso. Lui però ha riso, sputacchiando il caffè sul tavolo della cucina; Gianlu fu più "corretto".

«Che ha detto? Un serenissimo "no", si è voltato e a passi lunghi e mani dietro la nuca se n'è tornato dai suoi amici» rispondo mimando l'atteggiamento del mio scanzonato mentore. «Nel mentre canticchiava: stringimi ancora, te lo spingo in fondo in gola, e stringilo bene questo gran bel pene*.»

«Lo voglio conoscere, giuro» afferma ammaliato. «Anche tu però, che cosa vai a chiedere una roba così?»

Ci sono ancora tracce di caffè cancellate col pollice. Annuisco. «Col senno di poi, avete ragione tutti e due. Ma ti ricordo che tu per primo sei venuto a chiedermi consigli su come baciare le ragazze. Quanto è passato? Un mese, due?»

«Ma per favore, come se fosse la stessa cosa» polemizza l'irriverente, che in realtà i consigli li volle più di due mesi or sono – un paio d'anni forse. «Io un bacio non l'avevo mai dato, te a diciassette sei andato dal maschio alfa del quartiere per farti insegnare come parlare alle donne. Cioè, avevi un'amica, facevi lo psicologo alle ragazze del campetto, 'sta cosa non ha senso!»

Esatto, non aveva alcun senso. Tuttavia: «Ti sfugge il punto» lo fermo prima che sproloqui, inquisendolo con il dito di rimprovero, «non devi guardare alla richiesta, bensì alla ragione dietro la richiesta. Ti accorgerai di quanto siamo stati simili, se innanzitutto terrai a mente che quando si chiede qualcosa di quel tipo ci stiamo aprendo a un confronto, ragazzo mio. Un confronto tra ciò che sappiamononsappiamo e ciò che qualcuno può chiarificarci. E non c'è niente di male in questo, anche se a spiegarcelo è un inaffidabile, spaccone, donnaiolo di un militare: l'idea dobbiamo farcela noi, è la nostra responsabilità. In quest'ottica, anche un esempio negativo può essere educativo perché ci mostra cosa non fare.»

Lui ascolta, non è convinto. Io sono memoria e con nostalgia guardo il fondo della tazzina, dove chicchi polverizzati sono la voglia mia di altro caffè e amarezza nel ricordare cosa quel bulletto rappresentò per me. «Gianlu era il dritto e il rovescio, le due facce della stessa medaglia.»

Mio fratello si accorge del cambio di tono. «Ne parli come se fosse morto.»

Guardo verso la finestra. Non c'è verso che esca un po' di sole. «Nah, ti posso assicurare che è vivo e vegeto, e te lo farò conoscere come conoscerai Virginia. Solo che rispetto ai bei vecchi tempi ha perso parecchio acume, che fu il talento con cui mi lesse dentro al momento di quella sciocca domanda. Per questo vi do ragione: il problema non era parlare con le ragazze, ne ero perfettamente in grado.»

«Allora qual era 'sto problema?»

Incrocia le braccia e mantiene l'attenzione. Forse la storia gli sta tutto sommato piacendo, o è la possibilità d'incontrare Gianlu che lo intriga. In ogni caso, la giornata sta procedendo come da programma. Mi gratto la tempia destra.

«Il problema era che né in Desi né nelle mie pazienti al campetto scorgevo il minimo oggetto del desiderio, ecco cosa. Dovresti saperlo, per Gianlu era ovvio.»

«Aah, guarda te che buliccio**. Quando ci piace qualcuna andiamo in crisi.»

«Niente di più semplice, mi fa piacere che a differenza mia sei già in grado di accorgertene da solo.»

Altro giro di caffè, soltanto per me. «Quando non si nutre alcun particolare interesse verso una ragazza» proseguo, «non riuscire a parlare a prescindere sarebbe mutismo selettivo, che non è affatto il mio caso. No no, Virginia l'avevo vista in faccia e riconoscevo che in primo luogo fosse caruccia, ma... cazzo, quella voce, direttore. Quella voce, il timbro, l'estensione, mi erano entrati in testa e non se ne andavano più. Nel rimanere in testa troppo a lungo qualsiasi cosa può essere idealizzata, ed è qui il guaio. Ero incantato per la sua oggettiva bravura e allo stesso tempo stavo sognando di duettare con lei. Datti qualche giorno per idealizzare e le fantasie prevalgono sulla lucidità... e quel che ti sembra caruccio diventa bellissimo.»

«Non ti dico che sei un potenziale psicopatico solo perché sei mio fratello e ti conosco» ora m'inquisisce lui. «Capisco, ci sono. Non riuscivi a farti avanti per dei banali complimenti perché ti sentivi in soggezione. Non tirarla per le lunghe, che è successo dopo?»

Che avvilito me ne andai a fare una passeggiata per dimenticare l'imbarazzante scenetta. Cinque minuti mi allontanai, abbastanza perché nella mia confusione si susseguissero diverse convinzioni pericolose: che dopo Alice mi sentissi spezzato, che l'essere incapace di porgere dei complimenti fosse l'inizio di una disastrosa vita da single, che non sapessi nulla dell'amore e che addirittura mi spaventasse; tutto a condensarsi mentre il mio ottimismo veniva misteriosamente meno e non sopportavo quei pensieri – mi avrebbero fatto cantare brani da tagliarsi le vene.

"Fanculo" pensai prima di tornare indietro, e fischiettando decisi che fregarmene sarebbe stata l'esatta risposta adolescenziale. Ma Hakuna matata è un mantra più pericoloso di idee che hanno solo bisogno di essere smentite in tempi più brevi di quelli che crediamo. Non una vita, non un'eterna afflizione per colpa di una cotta sbagliata: da un momento all'altro tutto può cambiare, e se per istinto sarei arrivato a comprendere che Virginia mi piacesse già anche senza averla mai conosciuta, al destino serviva un improbabile altro attore per concretarsi.

«Tenebroso, vieni qua» cantilenò Gianlu, di nuovo stravaccato sulla sella, appena ripassai vicino al campetto. Chissà cosa aveva rivelato ai suoi amici, che mi fissavano divertiti mentre io volevo sprofondare. «Forse ho esagerato prima, voglio farmi perdonare.»

Aveva capito tutto. «Perdonare? Non serve» dissi più per la tensione, ma lui aggiunse: «Stasera alle nove sotto casa tua. Andiamo a farci una bevuta e chiariamo.»

Aveva capito tutto, io non stavo capendo affatto. «Che... aspe, chiarire cosa?»

«Lo sai, ne stavamo parlando prima» mormorò coi suoi modi tipicamente sfrontati, come se mi stesse minacciando per non sfigurare davanti ai compari. Mi soffiò contro altro fumo, che odio. «Nove sotto casa sua, io e te. Tranquillo, sei minorenne, non mi sogno di passare dei guai per farti la festa. Puntuale, mi raccomando.»

Alle nove spaccate sterzò sotto la mia finestra. Io, da ore, avevo il cuore in gola perché era stato bravo a prendere in giro tutti. Certo, avrei potuto rifiutare per la mia sicurezza, ma il codice dei veri uomini m'imponeva di non mancare, a costo di ritrovarmi gambizzato sul marciapiede. "Almeno" mi dissi "è venuto da solo, in uno contro uno magari me la cavo", ma Gianlu sfoggiò un ghigno simpatico e mi porse il casco, mentre gli amici portapizze facevano su e giù per la via e ci ignoravano.

«Non è un appuntamento galante, ma sarebbe stato meglio mettersi una camicia» commentò il mio vestiario casuale - giacca leggera, jeans e maglietta – e fece rombare il Runner. «Monta, che facciamo tardi.»

«Scusa, dove stiamo andando?» chiesi perplesso, ancora teso.

«Ha importanza? Sali, che voglio farmi il colpo e andare a dormire.»

Aveva capito tutto e per me era un altro grandioso mistero. Non immaginavo di cosa volesse parlarmi, se della Chicca e della mia infamata, o se voleva concedermi un'occasione per spiegarmi meglio; brancolavo nel buio e non mi restava che fidarmi, altrimenti sarebbe stato peggio. Salii sullo scooter ed entrambi tacemmo per l'intera durata del viaggio, salvo l'eccezione in cui mi disse: «Ti porto in un bel posto» ed io mi limitai ad assentire.

Il posto era un cesso, un locale di nuova apertura in pieno centro a cospetto delle titaniche architetture di Corte Lambruschini: da un lato il design moderno dei palazzi fatti praticamente di vetro, alle spalle il parco pubblico dei tossici della vicina stazione ferroviaria e dell'altro lato la solidità di edifici eretti in epoca fascista, dove di giorno operavano i medici e di notte dormivano i barboni. Strade a sei corsie in entrambe le direzioni, io piccolo e nervoso in compagnia di un soggetto che aveva tutte le ragioni per spaccarmi la faccia e che invece mi aveva portato in un bar dove cantavano gli ubriaconi di periferia.

Quale fosse lo scopo di Gianlu non fu enunciato dal medesimo, che trascorse un paio d'ore perfettamente a suo agio chiacchierando del più e del meno, ma senza citare Chicca o la mia richiesta pomeridiana. E giacché non mi era passato l'imbarazzo, evitai appositamente di tirare fuori il discorso, accettando con riguardo l'offerta di un secondo giro di alcol mentre a cantare ci andavano i peggiori stonati di questo mondo. Zitto, riverente, solo. Così mi sentii in quella che mi parve una trappola priva di significato, con la voglia di scappare e attendendo che Gianlu facesse la sua mossa. Ma in realtà era lui che stava aspettando qualcosa, e dovevo supporlo dal contesto.

«Vai a cantare» mi disse non troppo amichevole, non dovendosi ripetere perché io obbedissi. Visto il luogo, qualsiasi canzone sarebbe andata bene, perciò sfogliai velocemente il catalogo delle basi una volta salito sul palchetto e mi lanciai, come avrei dovuto fare più spesso.

https://www.youtube.com/watch?v=hWtW0yTNps4

883, Tieni il tempo. Ai periferici e agli alcolizzati un po' di festa più non avrebbe guastato, e certo il gusto per gli anni novanta di Gianlu sarebbe stato soddisfatto. Tuttavia, mentre cantavo, il militare si dileguò per andare fuori a fumare. Siccome il bar non aveva muri ma ampie vetrate, lo intravidi parlare con un gruppetto di ragazze. Dunque, quando smisi, pensai fosse più saggio raggiungerlo che non tornare al mio posto. E appena varcai la soglia dell'uscita, lui mi stava guardando sogghignante, pronto ad acchiapparmi per la giacca e quasi a lanciarmi contro una delle ragazze intrattenute.

Virginia. A un palmo dalla mia faccia. Con una giacchetta sulle spalle e la chioma raccolta in una coda alta. Viso sgombro da ciocche o da ornamenti inutili, pura limpidezza non deturpata da trucchi pesanti che tanto andavano di moda. Le macchine in coda al semaforo, lo sghignazzare ebbro dei clienti, la mia stupita paresi; ecco un quadro che scorderò mai.

«Davvero un'interpretazione ottima, sei il re del Celebrità***» commentò Gianlu, il cui intento adesso mi fu drammaticamente chiaro. «Eh Virgi, che ne pensi?»

E lei affermò: «Bravo bravo, non c'è che dire» facendomi sentire parte dell'oblio. «Allora tu sei un cantante, mi è già capitato di ascoltarti alla festa delle scuole.»

Ero io quello che doveva fare i complimenti. La situazione si era all'improvviso rovesciata, senza annunciarsi prima. Perciò fui colto alla sprovvista, e come della sorpresa fui vittima del teenage wasteland effect.

«Eh, sì...» mi uscì contratto. «Avevo cantato i 3 Doors Down.»

Virginia era più brava. «Ti piace il rock?»

«Sì, molto» tentennai. «A... a te piace?»

«Non è il mio genere, ma ascolto volentieri» sorrise. «Anche io canto, sai?»

Oh, sì che sapevo. Peccato che non lo ricordasse, dato che già mi aveva visto in quell'impacciata rincorsa settimane prima. Doveva avermi cancellato, oppure non mi aveva scorto tra il pubblico – fatto più probabile, perciò non lo presi neppure in considerazione.

«Ah, sì?» non so che diavolo stessi facendo. «E che cosa canti?»

Gianlu, accanto a me, emanava tutto il suo biasimo e mi mise in maggiore difficoltà. Alla cantante, invece, tale manifestazione di pubertà sembrò divertente. «Un po' di tutto, vado a momenti. Principalmente canto canzoni interpretate da donne, sono per la musica leggera italiana.»

Assist perfetto perché io potessi fare un danno che i clacson delle automobili non mitigarono. «Ah, capito. Io non sono tanto per la musica italiana.»

Sebbene non lo guardassi, fui sicuro che Gianlu fosse schifato dalla mia prova. Virginia fu però comprensiva, nonostante i tempi della mia affermazione fossero i più sbagliati di sempre. «Ti capisco, non sei l'unico. Ma anche se abbiamo gusti diversi, abbiamo lo stesso interesse: è bello potere parlare di una passione in comune.»

Lì fui totalmente annichilito. Che dirle? Come esprimermi? Ragionando sulle ultime parole, dovevo figurarmi che anche per lei il canto fosse stata, almeno una volta, una ragione per sentirsi sola, incompresa da masse ignoranti per cui la musica fosse commercio, intrattenimento e nulla più. C'era molto più in comune di una passione. Eppure: «Vero, molto bello, ma temo di non esserne così esperto» quando lo ero eccome.

Lei scosse la testa. «Non credo, ho la sensazione che tu ne sappia molto, a giudicare da come canti. Non voglio essere impertinente, ma forse dici così perché non hai fiducia in te stesso.»

Diamine se questo era giusto. Mi stese. «Può essere, sì...»

«Non preoccuparti, alle volte capita anche a me di perdere la fiducia nei miei mezzi» mi consolò. Mi con-so-lò. «Se posso darti un suggerimento, dovresti trovare altre strade per poterti esprimere, così da scoprire nuovi lati di te. Che so, qualche genere che non hai mai esplorato...»

«Eh, hai ragione» mormorai, «ci stavo pensando, dovrei uscire dalla mia zona di comfort e... abbracciare... nuove opportunità.»

Soltanto anni dopo mi sarei capacitato che Virginia percepisse una connessione con me notando la mia vulnerabilità. Allora, vidi unicamente il suo sincero sorridere. «Assolutamente sì, è il meglio che puoi fare. Credi in te stesso e otterrai grandi cose.»

«Lo-lo farò» sbiancai. «Ti ringrazio per le belle parole.»

«Non c'è di che» disse infine, poi le amiche la chiamarono a sé perché si era fatto tardi. «Ci vediamo.»

Mi fece l'occhiolino e andò via. «Sì, sì, va bene» esitai per l'ultima volta. «Ci si vede a scuola.»

Virginia disse di sì, ma si mostrò stranita, segno che a scuola non mi avesse mai notato.

Mi ammutolii da tanto la scena, ai limiti del ridicolo, la intesi nella sua surrealtà: dovevo essere io a fare i complimenti, fu lei a farli; dovevo essere io a incoraggiarla a cantare ancora, lo fece lei; dovevo dirle che in realtà i generi musicali li conoscevo e li avevo provati tutti, lei mi diede una lezione di vita.

Gianlu, con la mano a coprirsi gli occhi, sospirò. «Mai vista una schifezza simile. Fatti trovare al campetto domani pomeriggio, è bene che ti dia due dritte.»

*Riferimento alla canzone Tra nuvole e lenzuola dei Negramaro.

**In genovese, "omosessuale".

***Riferimento sarcastico al brano La regina del Celebrità degli 883.

Spazio autore

Nel complesso mi sto divertendo.

Sì, adesso i due cominceranno a interagire, ma non immaginate neanche lontanamente come.

Non ti lasciare andare se non ti vuole più. Adesso se la tira, ma non sa che tu stai quasi per decollare, e quando volerai faranno a gara se fare un giro gli farai.

Tieni il tempo, tieni il tempo.

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