Capitolo 1

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Pov: Alya
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Non voglio aprire gli occhi. Non voglio affrontare una nuova giornata... non voglio. Com'è possibile che anche oggi mi sono svegliata?

Questi sono i primi pensieri che mi inondano la mente di prima mattina, non appena prendo coscienza di essere sveglia.

Apro gli occhi, quasi in modo inerme, con sguardo smorto al soffitto pallido.

La luce della lampada al centro della stanza mi acceca e le urla di mia madre mi fanno sentire un gran mal di testa.

«Avanti, svegliati! Devi andare a scuola» grida davanti alla porta della mia stanza, come se non avessi sentito gli altri suoi dieci avvisi di qualche minuto fa.

La sua voce soave accompagna tutte le mie giornate da quando ha deciso di mettermi al mondo.

Sospiro, già stanca di dover iniziare un'altra monotona giornata, e mi alzo.

Trascino il mio corpo stanco fino al bagno e osservo allo specchio la mia figura informe.

Perché vivo questa vita?

Un alone scuro di tristezza mi avvolge completamente, dai capelli scompigliati agli occhi stanchi e cupi, fino al corpo che odio così tanto, con i rotolini sulla pancia e le cosce enormi.

La depressione ti annulla totalmente, non hai più voglia di fare niente. Vai avanti per inerzia, perché se ti abbandonassi al suolo sarebbe più complicato spiegare perché stai affondando. Quindi fai del tuo meglio per tirare avanti, sorriso o no non importa, tanto nessuno mai ti ascolta quando ti chiede "Come stai?". È così semplice che nemmeno c'è bisogno di sforzarsi, perché tanto mai nessuno guarda oltre.

Non lo fanno i familiari, figurati se lo fanno gli estranei che ti stanno accanto.

La cosa peggiore per me è stare a casa, sotto le dolorose parole di mia madre e il suo sguardo giudicante, l'atmosfera asfissiante, ma allo stesso tempo la cosa peggiore è uscire di casa, stare a contatto con degli sconosciuti, stare in mezzo alla gente... la folla mi mette agitazione, mi mette ansia. Non mi piace la gente.

E adesso sono qui, davanti a mia madre per trovare la tua approvazione... perché ormai sono abituata così.

«Come sto?» le chiedo palesandomi davanti a lei mentre beve il suo solito caffè amaro... amaro come lei.

E vorrei tanto non sollevare lo sguardo sui suoi occhi, ma non ci riesco. Le sue occhiate disgustate mi avvolgono il corpo come se fossero filo spinato. Ed io inizio a sanguinare.

«Lo sai che ti stanno meglio i jeans neri, ti fanno sembrare più magra» già sapevo la sua risposta.

Sorrido amaramente e torno in stanza per cambiare i jeans chiari che avevo scelto, con i soliti neri che indosso sempre. Sopra una felpa dello stesso colore, per passare il più inosservata possibile.

Dopo il breve tragitto in macchina, mi trovo davanti al cancello della scuola.
L'ultimo anno di scuola... l'ultimo e poi sarò finalmente libera.

Dinanzi a me una calca di studenti di tutte le età si raggruppa sghignazzanndo, fumando, trepidando per iniziare le lezioni. Io vorrei solo non trovarmi in mezzo a loro. Amo la solitudine. Non ho mai avuto un gruppo di amici, piuttosto preferisco parlare ogni tanto con qualcuno ma senza mai approfondire un'amicizia da coltivare nel tempo. Sono una persona che sta nei margini, che non viene notata troppo, che osserva tanto e parla poco.

Nel frattempo che aspetto l'inizio delle lezioni, mi siedo sul prato con la schiena poggiata su un grande albero, accerchiato anch'esso di persone, ma cerco di trovarmi un angolino per me.

Prendo le airpods dallo zaino e le indosso, mettendo in riproduzione "Teacher's Pet - Melanie Martinez".
Mentre la musica trasmette nelle mie orecchie osservo i ragazzi davanti a me.

Perché non posso semplicemente essere come loro? Non ho mai capito perché fossi cresciuta così precocemente rispetto ai miei coetanei, ad essere sempre così seria e pensierosa sin da bambina, quando gli altri della mia età adesso vanno in discoteca, ai pub, e si divertono con gli amici, fumano. Ed io invece sto sempre chiusa in casa a leggere, scrivere, studiare o ascoltare musica. Questa è la mia noiosa routine.

Mi distolgo dai miei pensieri soltanto quando la campanella suona per annunciare l'inizio della prima ora.
Così mi alzo, ma cammino piano perché non voglio mischiarmi alla folla. Lascio che fluisca, così entro per ultima con una manciata di altri ragazzi.

Ho appena varcato la porta d'ingresso quando mi arriva una spallata.

«Oh scusa» una voce maschile si rivolge a me, probabilmente appartenente a chi mi è appena venuto contro.

Così alzo lo sguardo, e resto folgorata da un paio di occhi verdi che mi osservano premurosi dall'alto.

«Non è niente» rispondo non dandogli troppa confidenza.

Mi fa un cenno, per poi continuare a camminare insieme ai suoi amici davanti a me.

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