Anthea si dimostra un'amica.

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Il viaggio di ritorno è una agonia. Anthea accovacciata sul lato opposto dell'auto è muta e non mi rivolge la parola. Immagino abbia sentito che ho pianto ma non è intervenuta. 

Il mio comportamento con papà non le è piaciuto, ma vorrei capire perché non mi approva e spiegarle quello che sento. Mi asciugo le lacrime e tento un approccio gentile, mi mordo le labbra e cerco di parlarle.

"Anthea lo so che ho sbagliato con mio padre, ma tu non giudicarmi stupido e infantile, mi sento così confuso e non capisco dove sbaglio."

Abbandona il suo amato cellulare, alza la testa e mi trafigge con lo sguardo, anche la sua voce non è piacevole, ma bassa e secca.

"Ti comporti in maniera antipatica con lui." Le sue labbra sono strette, non ha il bel sorriso che spesso mi rassicura.

"Gli chiedi affetto sapendo benissimo che tipo di uomo hai come padre. I suoi limiti li conosci! Perché non contieni la tua rabbia? Sai benissimo che non avuto colpa nel tuo abbandono." Si sistema la gonna nera lisciandola con troppa foga. 

 "Quando ti fa capire che la sua vita è piena di pericoli, ti rifiuti di comprenderlo e lo ostacoli."

Si acciglia, ma diventa più morbida. "Vedi solo la tua sofferenza, non vedi la sua." È decisa e continua nel suo rimprovero.

"Non ha mai dimenticato tua madre, non si perdona di non averla cercata quando lei era sparita troncando il loro rapporto. La sua reazione è stata quella di chiudere a tutti gli affetti che la vita poteva dargli. Lo vedi anche tu che mantiene pochi contatti con Sherlock, con cui ha avuto un rapporto travagliato. Ha commesso alcuni errori con la famiglia che sta ancora pagando." Sospira e allenta la tensione.

 "Devi pazientare e ti spiegherà ogni cosa."

So che ha ragione, abbasso la testa annuendo consapevole del danno che ho fatto. Lei mi avvolge la mano sul polso e si addolcisce.

"Sei pieno di rancore e ti sfoghi con lui perché cerchi delle risposte che nemmeno Mycroft può darti. Se continui così Sherrinford, tuo padre incapace di gestire i sentimenti che prova per te, si chiuderà e si incolperà ancora di più e rischierai di perderlo per sempre."

Le do ragione per quello che ha detto ma c'è una domanda che non riesco a evitare. "Ma perché non vuole dire che sono ammalato? Perché non mi accetta per quello che sono? Ho vissuto la mia vita cercando di capire perché mi avessero abbandonato e anch'io ho sofferto, così non mi aiuta."

Si fa più vicina, e mi afferra le mani.

"Perché deve trovare il modo e il tempo per aggiustare le direttive alla Governance. E il caos del tuo arrivo, lo rende debole agli occhi della dirigenza. Ora ha un punto debole per essere ricattato e messo sotto pressione, e se fossero a conoscenza della tua malattia e bisognoso di cure, si ritroverebbe in difficoltà nei loro confronti. La sua fragilità come padre sarebbe evidente."

Annuisco lentamente e capisco tramite lei la difficoltà di papà.

"Perché non spiegarmi i suoi problemi come fai tu."

"Perché, quando ci ha provato, lo hai attaccato Sherrinford!" È tesa, il volto tradisce l'emozione del rimpianto di non potermi aiutare di più. Mi stringe più forte le mani. "Lo ricordi vero?"

Abbasso la testa, e annuisco perché le sue parole mi hanno fatto sentire stupido fino al midollo. È vero quello che ribadisce con tanta foga.

"Non è un semplice funzionario, Hayc, oggi hai visto in quale ambiente si muove, non puoi pretendere che ti sia sempre accanto, anche lui lo vorrebbe. Dagli tempo, ma non dubitare mai della sua fedeltà e del suo amore per te." Lascia le mie mani e mi accarezza la guancia.

"Non so cosa mi prende Anthea, non so cosa cerco da lui, ho un comportamento da fare schifo."

Lei è gentile e diventa morbida. "Hayc cerchi quell'amore che non hai avuto e hai fretta perché lo vuoi subito da lui, ed è logico che ti senta smarrito quando Mycroft è carente in questo."

Mi solleva il mento e mi sorride. "Recupererai tutto sta tranquillo, lui è orgoglioso di te, oggi sei stato all'altezza del nome che porti. E devo dire anche un bravo attore. "

Ride, i denti candidi, le labbra rosee. Finisco per ridere anch'io, mentre la osservo e mi prendo una libertà che non dovrei. Le prendo le mani e lei ha un lieve moto d'imbarazzo.

"Sherrinford..." Mi redarguisce, la sento tremare un po'.

"Se avessi avuto la tua età, se fossi stato più maturo, Anthea, mi avresti preso in considerazione? Cioè voglio dire..."

Lei ha capito, si scioglie dalle mie mani e scuote la testa ma un lieve rossore la tradisce.

"Tu, giovane Holmes, non mi avresti nemmeno calcolata. Ora sei convinto di provare qualcosa per me perché ti sostengo e ti aiuto, ma sei confuso e inesperto. Non capisci ancora quello che vuoi. Perché devi maturare." Le ultime due frasi sono definitive.

Mi irrigidisco, le spalle tese, mi appoggio sul sedile fissando al di là del finestrino.

Continuo il discorso senza girarmi perché sento il bisogno, nonostante tutto, di averla vicina.

"Rimarrai mia amica, se avrò bisogno di te?" Non risponde subito, quasi temo che non risponda affatto.

"Sì, Sherrinford, sarò tua amica sempre e comunque, perché ti voglio bene, stupido testardo. Anche oltre le rimostranze di tuo padre."

Appoggio la fronte al vetro e mi tranquillizzo perché va bene così piuttosto che non averla per niente.

Quando arriviamo a casa, mi accompagna fino alla porta per essere sicura che salga illeso. "Ci vediamo domani Hayc, riposa." Mi da un bacio leggero sulla guancia. "Sta tranquillo e pensa a quello che ti ho detto."

Annuisco e salgo i gradini con il cuore leggero.

John quando mi vede, non sente ragioni, mi studia e mi soppesa con attenzione.

"Hai mangiato? Lo sai che sono quasi le due?"

"No, ma non ho fame, mi basta del latte. È stata una mattinata pesante." Watson sbuffa irritato.

Mi porge una tazza colma e pochi biscotti e mi manda in camera a riposare.

"Non uscire da lì se non ti chiamo io e prendi le medicine." Annuisco con la tazza che traballa nelle mani, vede il mio disagio e mi intima con dolcezza. "Sherrinford, non so cosa sia successo, ma riprendi fiato."

Trascorro tutto il pomeriggio, assopito e annoiato, disteso sul letto. Solo più tardi, John mi chiama e mi concede di uscire per recuperare Rosie da una amichetta. Ed è un sollievo rimanere con la piccola cugina senza pensare più a nulla.

La sera, la passo con lei, steso sul tappeto a leggerle le favole, inaspettatamente arriva Mycroft con un'aria abbattuta, mi butta uno sguardo e saluta velocemente tutti.

Aveva detto che sarebbe rimasto distante da me per un po', invece è lì.

Si rivolge a John. "Mi dispiace di non aver avvertito, ma se c'è un posto a tavola, mi fermerei. Do una mano naturalmente."

Watson ci sbircia entrambi, capisce che qualcosa non è andato tra noi e annuisce.

"Bene Mycroft ti metto ai fornelli." Papà si toglie la giacca e si mette a fare il cuoco. Lo osservo cercando di capire perché ha cambiato idea, ha l'aria di chi ha lavorato senza mai fermarsi, nemmeno per fare una pausa

Parlotta con John, e di tanto in tanto mi fissa dalla cucina mentre sono in compagnia di Rosie, probabilmente si assicura che stia bene e che abbia seguito le cure.

Non so per quale motivo ma mi convinco che Anthea lo abbia redarguito e sorrido abbassando la testa, lei vuole bene a tutti e due più di quanto possa immaginare.

Ceniamo insieme, ma per una sorta di stupido orgoglio non riusciamo ad avviare una conversazione, è Rosie che intrattiene tutti e ci rende leggera la serata.

Quando arriva lo zio Sherlock, ci guarda scuotendo la testa.

Brontola mentre la tensione tra i due fratelli si fa evidente, è seccato dalla nostra situazione di stallo. Così sbotta improvvisamente. "Vedete di chiarirvi voi due, non sprecate tempo prezioso." Si siede a tavola e inizia a cenare. Commenta ironico. "Vi comportate da stupidi, siete imperdonabili."

Noi ci guardiamo sorpresi, papà stringe le labbra.

"Non preoccupatevi è un po' sopra le righe per un'indagine difficile, ma se volete parlarvi, qui ci penso io." John sa che abbiamo bisogno di chiarirci, lo ha percepito da quando papà è arrivato con un'aria bastonata.

Mycroft beve poca acqua e si asciuga la bocca, fa per alzarsi.

"Possiamo parlare figliolo?'" Chiede con fare gentile.

Mi alzo e lo seguo, ci accomodiamo al solito posto. Tentenna, cercando di iniziare la conversazione, ha paura che perda il controllo nuovamente. I suoi occhi tradiscono apprensione, le sue mani magre stringono con forza le ginocchia.

Lo anticipo e gli parlo con tutta la sincerità che dispongo . "Senti papà, mi dispiace. Sono stato offensivo e me ne rammarico." Incespico nelle parole. "Sono frastornato, tutto è cambiato così in fretta." Respiro cercando di leggere nel suo sguardo, ma come sempre è impenetrabile.

"Non voglio pesare nel tuo lavoro, ma non è solo quello che mi disturba, in realtà provo una rabbia che non riesco a gestire e la sfogo su di te."

Il suo volto si distende, gli compare un breve sorriso, si sforza di capire i miei sentimenti che sono in pieno marasma ma si sente frustrato in questo rapporto così difficile.

Allora decido di aprirmi perché è il momento giusto, stropiccio la stoffa della camicia che esce dalle maniche del maglione, mentre cerco le parole adatte.

"Papà ci sarà sempre un piccolo posto dentro al cuore con una ferita che non si rimarginerà ed è tutta in quell'abbandono che mi ha reso fragile."

Sospiro rassegnato e lui mi osserva senza dire nulla, sa perfettamente che sarebbe inutile giustificarsi.

Cerco la forza per continuare ma abbasso la testa vergognoso.

"Quando all'istituto mi svegliavo nella camerata, ogni giorno mi facevo la stessa domanda: perché ero lì? E non avevo risposte, mi torturavo pensando cosa avessi fatto di così brutto per essere senza una madre e un padre."

Il respiro di Mycroft si fa pesante e rapido. Lo sto mettendo in croce anche se non ne ha colpa.

"Mi dispiace, figlio mio, se solo avessi saputo." Non ha voce quando mi risponde e non è a suo agio.

Tenta di allungare la mano, magra e pallida e si ferma per un attimo, non conosce le emozioni né i sentimenti, li ha sempre giudicati inutili perché il dolore per quell'amore giovanile che ha perso, non l'ha mai superato. Ma si rende conto che non è come aveva sempre creduto, appoggia la mano sopra la mia consapevole che potrei ritrarmi.

Ma il suo calore è la forza che voglio sentire, il riconoscimento del suo amore.

La giro e tengo stretta la sua, sussulta a quel contatto così forte e intimo.

"Papà, anche se quella ferita rimarrà tale, da oggi in poi non voglio perdermi nemmeno un secondo con te."

Lo vedo tremare, le spalle curve che portano il peso di tutti quegli anni persi senza sapere di avere un figlio sono difficili da alleggerire.

"Sherrinford, ti sarò sempre accanto. Non sarà facile per me diventare un padre amorevole, ma mi impegnerò per restituirti parte di quegli anni di dolore che hai vissuto." Mi sorride senza forza eccessiva.

"Dovremo camminare insieme papà e molte volte cadremo lo stesso, ma io ci sarò."

Lui respira e stringe forte la mia mano. "Ci sarò sempre anch'io per te, Sherrinford."

Mi guarda attento. "Lo sai che non sarò mai il genitore che hai immaginato. Non ti ho cresciuto e ho molte lacune in questo, ma non dubitare di me, mai ti avrei abbandonato." Arranca senza fiato e abbassa la testa. "Non me lo merito Sherrinford, tu non sai quello che ho passato. Amavo tua madre."

Non riesco a rispondergli subito, perché è disarmante vederlo arrendersi al dolore che sente, che ha soffocato per anni. E rimpiango e mi dolgo per non essere cresciuto con lui e di non averlo potuto aiutare.

Mi esce quasi un lamento. "Papà mi dispiace, io non...cerca di capire ...mi sento perso."

Mi nascondo il volto fra le mani. "Sono così confuso papà."

Mi prende le mani e le toglie dal mio volto. "Cercherò di starti vicino, ma purtroppo su di una cosa hai ragione, ho molti nemici e alcuni li hai visti oggi. Temo di averti messo in pericolo." Finisce la frase sconfortato, mentre si stacca da me e si abbandona sulla poltrona. Sembra quasi vinto dalla piega che hanno preso gli eventi.

"Ma ora va a riposare, domani Anthea ti porterà da Greg per aggiustare la terapia e farti un piccolo controllo, visto lo stress a cui ti ho sottoposto oggi. Ti prego non dispiacertene." Sembra implorarmi di sollevarlo dal rimpianto che prova per non riuscire ad essere premuroso e amorevole, negli occhi tutta la stanchezza accumulata.

"Va bene lo farò, so che lo fai per me." Mi sorride disteso, si passa la mano sulla tempia massaggiandola con vigore.

"Sherrinford, appena le cose si calmano, ti prometto di dedicarti più tempo. Vorrei vivere con te e portarti a Pall Mall quando non avrai più bisogno di Watson." Si è calmato e trova le parole per continuare.

"Bene, Hayc, ora vado. Mi dispiace per oggi, presto ti racconterò di tua madre e del perché sei rimasto solo." Si ferma e prende tempo. "Fatico ancora a parlare di lei e del nostro passato, ma non c'è nessun altro motivo. Pazienta un altro po'. " Mi allunga una carezza sulla guancia che è un evento da ricordare.

Annuisco e lo rassicuro. "Lo so, ho visto che non eri pronto a parlare di lei." Sorride stancamente e fa per alzarsi.

"Buonanotte papà e riposa. Sembri stanco. Ci sentiamo domani. E fa ... Attenzione."

Ridacchia alle mie parole di figlio ansioso, indossa il cappotto e si gira, gli allungo il suo ombrello.

"Sarà fatto, figliolo."

Mi sento in pace con me stesso, perché finalmente ci siamo lasciati sereni per la prima volta.

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