Essere figlio di Mycroft Holmes

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Percorriamo buona parte della città e finalmente arriviamo nel grande palazzo in stile vittoriano dove si trova la mente occulta del Governo.

L'auto imbocca una via laterale, attraversiamo un portone di metallo scuro che si apre al nostro passaggio. Ci troviamo in un cortile interno curato e con delle siepi basse, un colonnato di pietra bianca che lo delimita.

Albert si ferma, Antea allontana il cellulare, mi sorride e mi spinge giù.

"Forza Sherrinford, tuo padre ci aspetta."

Mi guardo intorno affascinato, finalmente posso scoprire dove lavora Holmes. Mi aggiusto la giacca, sistemo il bavero, sono un po' teso, ci siamo lasciati malamente l'ultima volta.

Percorriamo un breve atrio, entriamo in un ascensore che scende parecchi metri sotto terra.

Un senso di oppressione mi fa mancare il respiro, ma Antea è rapida, mi afferra per un braccio, lo stringe forte.

"Fa a tutti questo effetto la prima volta che si scende. Stai tranquillo." Mi rassicura, gli faccio cenno che sto bene e lei riprende a digitare sul cellulare.

Usciamo e percorriamo un corridoio illuminato, ma comunque angoscioso. Come possa Mycroft trascorrere  tutta la giornata lì sotto mi sembra una tortura spropositata per un essere umano. Ma pensandoci bene lui è diverso da tutti.

Oltrepassiamo una porta blindata, incrociamo persone vestite elegantemente che escono da uffici tecnologici e altri con dei vestiti scuri e auricolari gracchianti che parlottano tra loro. Tutti salutano Anthea, io muovo appena la testa in un goffo accenno di buongiorno.

 Osservo stupito quel posto difficile da catalogare, non mi sembrano uffici governativi di rappresentanza, ma più l'Mi6.

"Servizi segreti?" Le mormoro all'orecchio titubante.

Lei ridacchia. "Anche Hayc, ma è più il fulcro del paese." Mi guarda bonariamente, vede il mio imbarazzo anche se ho capito dove mi trovo, certo mio padre non è un funzionario comune.

Alla fine una porta massiccia di legno intarsiato chiude il percorso. La mia affascinante guida scorre il pass magnetico ed entriamo in un ufficio spazioso.

Chiaramente non ci sono finestre, solo pochi mobili essenziali. Potrei riconoscere ovunque la mania dell'ordine di Mycroft. Una grande scrivania delimita il fondo della stanza, dietro c'è un quadro della regina in età giovanile, una libreria sulla destra. Delle comode poltrone sistemate sul davanti.

 Lui è seduto dietro, che si dondola sulla poltrona, rigira una penna costosa fra le mani.

"Ben arrivato Sherrinford." Alza appena la testa e non mi viene incontro. Ha il volto serio e sembra seccato. La cosa mi urta, evidentemente non ha dimenticato quello che gli ho gridato la sera prima, rimango fermo al centro della stanza.

"Purtroppo cause di forza maggiore mi hanno costretto a portarti qui." Lo afferma con una voce dura che stento a riconoscere, probabilmente sono un contrattempo che non si aspettava.

"E quindi?" Gli chiedo irritato da quel atteggiamento distaccato mentre osservo quel posto lugubre e insalubre, decisamente molto triste.

Lui come sempre avverte la mia ostilità, ma cerca un approccio delicato e stringe le labbra. "Lo so non piace a nessuno questo ufficio, ma è un posto sicuro come pochi altri."

"Ti piace rimanere chiuso sotto terra?" Gli rispondo in modo maleducato, mentre mi disegno un sorriso ironico in faccia, lui continua a rigirarsi la penna fra le dita, la schiena appoggiata alla poltrona. "Perché non stare in un ufficio più comodo, dove ci sia la luce del giorno?"

"È per la mia sicurezza, comunque non è il caso di parlarne adesso."

Cambia argomento, soffia con la bocca contratta, appoggia la penna e si alza, deve dirmi qualcosa e so già che non mi piacerà. Mi raggiunge, conosco bene quel passo garbato ma ostile. È elegante come sempre, un tre pezzi chiaro di ottima fattura e la cravatta con piccoli gigli fiorentini perfettamente annodata. È molto vicino, mi squadra mentre un'ombra scura gli passa sulla fronte aggrottata.

"Volevo tenerti fuori da tutto questo, farti stare tranquillo per un pò di tempo, invece hanno scoperto la mia paternità e si sono allarmati. Temono che la tua presenza sia una distrazione per il mio lavoro." Prende tempo, respira profondamente. "Sospettano che tu possa diventare un "pressure point" da cui non riuscirei a svincolarmi."

Alzo la mano scuotendola. "Svincolarti? Ma da me che sono tuo figlio? Pensi veramente che potrei essere una tua debolezza?"

Ha il viso contratto, ma non raccoglie la critica, socchiude di più gli occhi e parla con quella voce fastidiosa che usa quando decide per gli altri.

"La signora che hai incontrato stamattina, Alicia, ha una curiosità spietata, quindi ho deciso prima di altri incontri a sorpresa, di rendere ufficiale la tua presenza."

Abbassa il tono, si scosta da me, aspetta la mia reazione, che non arriva perché capisco che c'è dell'altro.

"Voglio presentarti oggi stesso se te la senti di accompagnarmi." Ha una leggera indecisione, ma gli occhi sono acuti e freddi. "Ma eviterei di parlare della tua salute cagionevole." Sprofonda le mani nelle tasche, mentre ci studiamo a vicenda, sa che quello che ha detto mi farà soffrire.

Anthea, appoggiata al muro sul fondo della stanza, dà un colpo di tosse. Lei sa quali sono i miei dubbi sull'opinione di papà per la mia malattia, e questo rafforza la mia convinzione che si vergogni di avere un figlio imperfetto che si è rovinato usando droga e alcolici.

Gli rispondo acido e pieno di quel rancore che lui è così bravo a tirarmi fuori.

"Ti vergogni di me? Perché posso sparire, basta che tu lo dica." Lui freme e cerca di contenersi.

"Non mettermi in bocca cose che non penso e che non ho detto. lo faccio per proteggerti da inutili ed eccessive curiosità." Sbotta, ma stavolta perde la calma e non è da lui lasciarsi andare in quel modo.

Lo sguardo tradisce la sua delusione perché non lo appoggio. "Sto facendo il possibile per proteggerti, ma dovrai sottostare alle regole. Credi sia facile gestire l'incarico che ricopro senza coinvolgerti?"

Gli sibilo addosso tutta la mia impotenza di essere comprensivo e calmo, perché sento solo la rabbia che mi offusca la mente. "E va bene se ti fa piacere sarò il figlio perfetto che vuoi. Non sarò una distrazione e non ti sottrarrò alla Governance. Ma sono tuo figlio che tu lo voglia o no. Ti rammento che sono stato abbandonato per la tua inettitudine a cercare mia madre." 

Accusa il colpo e rimane senza parole, abbassa la testa, le mani tese e abbandonate sui fianchi. Siamo come due pugili al centro del ring, lui cede, si volta e torna dietro la scrivania.

Mi si spezza il cuore per quelle parole velenose, ma non riesco a calmarmi, la collera è incontrollabile e distrugge il nostro debole rapporto.

Si abbandona scomposto nella poltrona, cerca di assorbire l'offesa e il rimpianto di aver sbagliato con mia madre. Mormora una mezza scusa che non mi aspetto. "Ho fatto tutto quello che potevo per lei, non voglio sentirmi accusare inutilmente. Ora farai quello che devi e ti adeguerai ad essere protetto."

Scosta delle carte sulla scrivania, senza sollevare la testa.

Anthea interviene, ha la voce preoccupata perchè ci stiamo torturando a vicenda. "Non sarebbe meglio andare Mycroft?"

Ma è come buttare benzina sul fuoco, non cedo e lo incalzo ancora. "Hai un sacco di nemici vero? Visto che anch'io dovrò convivere con la scorta! Ma a chi hai pestato i piedi con le tue lucide scarpe?" Si irrigidisce ancora di più alla mia cocciutaggine.

"È il mio lavoro, non credere di metterci becco, insolente ragazzino." Esplode allontanando le carte che ingombrano il tavolo. Cerco di riprendere tempo e fiato, ma incautamente mi avvicino troppo al computer aperto in un lato della sua scrivania. Mycroft si allunga e lo chiude sgarbato.

Quel gesto mi destabilizza ancora di più. "Che c'è, non ti fidi di me?" Lui stringe le labbra, aggrotta la fronte.

"Sherrinford sta lontano dal portatile, non fare il maleducato. Sei irritante oggi."

Adesso siamo esattamente due estranei, non assomiglia più all'uomo a cui ho fatto una carezza e che mi ha detto che mi voleva bene. Mi sento svuotato, mi passo la mano sulla fronte non sapendo che fare. Intuisce qualcosa e modula la voce con calma.

"Racchiude resoconti privati di lavoro, che è meglio tu non conosca." Infila il laptop dentro la valigetta di pelle nera, senza guardarmi. La sua mancanza di fiducia, il fatto che mi voglia docile e sottomesso mi rende irragionevole e gli rispondo affilato come un coltello.

"Bene allora, se dobbiamo fare questa pagliacciata, facciamola. Presentami come fossi un animale da circo, ubbidiente e ammaestrato." Stringe la mascella, i suoi occhi diventano fango scuro, sistema cose già in ordine, la voce si fa dura e priva di qualsiasi emozione.

"Certo se non fossi sicuro che tu sia mio figlio, penserei che hai il DNA di Sherlock! Siete polemici entrambi, sapendo anche di ferire chi avete di fronte."

Rido ironico, visto che mi tratta come piace a lui.

"Da che pulpito... viene la predica!" Sbottò avvilito e torturo i bottoni della giacca, non c'è nulla che ci leghi in questo momento, mi sento sprofondare nella melma del sentimento, perché gli voglio bene, ma non riesco a gestire il rancore.  L'abbandono che ho subìto mi costa molto e crea un barriera di incomprensioni tra noi,  mi accorgo che basta così poco per perdere il contatto con lui.

Anthea capisce che ormai non abbiamo altro da dirci, mette fine al battibecco e ci sollecita ad andare.

Il British Government infastidito prende la porta per primo, io subito dopo. Anthea dietro di me mi dà un pizzico sul braccio, mi sussurra all'orecchio. "Hayc, ma cosa combini? Ti vuole bene, sii tollerante."

Non approvo le sue interferenze e mi giro scocciato, ma lei non raccoglie e mi spinge in avanti.

"Smettila, Hayc." Mi sibila esasperata e mi tiene per il braccio cercando di calmarmi.

Forse ha ragione, sono solo un ragazzino immaturo rimasto solo per troppo tempo.

Percorriamo il corridoio ed entriamo nell'ufficio spazioso ed elegante di Alicia Smallwood, la riconosco nella signora che quella mattina si era fermata con l'auto.

Cerco di essere quel bravo ed educato figliolo che vuole mio padre.

Lui mi presenta con fare affettato, io mi scuso per la situazione imbarazzante in cui ci siamo trovati. Le stringo la mano calorosamente, lei è cordiale, si scusa per avermi fermato in quel modo.

 "Sherrinford, vedo che ti stai ancora ambientando, avere un padre come Mycroft non è così facile da gestire."

Lo afferma leggera, rivolgendogli uno sguardo vacuo, lui non fiata ma sento che vorrebbe incenerirla.

"Credo di sì, non ci conosciamo ancora bene, so che ha un lavoro complicato, me lo ripete sempre, e quindi eccomi qui." 

Allargo gli occhi e le regalo una smorfia di circostanza da bravo ragazzo responsabile. Il British Government mi osserva di sottecchi torvo, ho la faccia di bronzo e faccio il galante. 

"Spero mi perdonerà lady Smallwood, sono stato un vero incivile."

 Le ammollo un sorriso pieno, a trentadue denti. Anthea sorride con la testa china sul cellulare, soffocando una risata.

 Mentre mio padre imbarazzato, ondeggia interessandosi alle sue scarpe firmate, sconcertato dalla mia recita.

 La sua collega rimane impressionata, mi prende sottobraccio e mi porta a conoscere gli altri collaboratori. Lo intravedo roteare gli occhi, sbuffare, gli rimando un sorriso ironico, mentre stringo affettuosamente il braccio ad Alicia.        

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