Prima di cena

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Mi sveglio accovacciato sulla poltrona mezzo intontito, fatico a realizzare dove sono, ma scorgo John e tutto mi torna in mente.

"Sherrinford è quasi ora di cena. Che dici, ti alzi?" Mi apostrofa sorridendo. "Avevi del sonno arretrato!" Sogghigna mentre affetta le verdure in cucina. Ricordo di aver letto per Rosie, finché non si è addormentata e di averla imitata subito dopo, solo che lei adesso è seduta sul tappeto che gioca, e mi sbircia come se mi aspettasse. Alza la manina e mi saluta.

Sistemo la coperta e riassetto la vecchia poltrona, cerco con gli occhi ancora assonnati Sherlock e mio padre, ma non ci sono, così rivolgo uno sguardo interrogativo all'indirizzo di John. Lui prontamente capisce.

"Sono usciti, ma rientreranno per cenare tutti insieme. Sei in grado di darmi una mano per preparare la cena?" Annuisco e lo raggiungo in cucina, posso fare affidamento solo sulla poca esperienza che ho accumulato all'istituto, quando mi mettevano ai fornelli per punizione, augurandomi che mi basti. 

Apparecchio la tavola con cura, stendo la tovaglia fiorata, assegno i posti e con piacere vedo che c'è anche il mio. Poi mi dedico a fare il cuoco. Rigiro le verdure nella padella, sto attento che si rosolino da tutti i lati, mentre tengo d'occhio la pasta e John tiene d'occhio me. Mi osserva soddisfatto, senza mettermi fretta, non mi dispiace aiutarlo, e alla fine mi sembra di cavarmela abbastanza bene.

È una brava persona, sento che si preoccupa per me, poi vede la figlia che freme mentre finge di giocare, è seduta sul tappeto circondata dai giocattoli e dai suoi amati libri ma mi fissa in continuazione.

"Come stai Sherrinford? È stata una giornata pesante." Non alza lo sguardo, sembra impegnato ad affettare il pane, aspetta la mia risposta, teme che lo stress mi diventi impossibile da gestire. Così lo rassicuro.

"Sto bene dottore, ed è anche grazie a Rosie." Scuote la testa e sembra contento, capisce che è importante per me sentirmi accettato. Poi aggiungo serio. 

"Mi sento un po' frastornato da tutto questo. A volte non reagisco bene quando mi sento pressato."

"Lo immagino Hayc, noi stiamo cercando di fare del nostro meglio. Fallo anche tu, se puoi." Si asciuga le mani nel canovaccio e me lo allunga.

"Guarda come ti aspetta impaziente." Aggiunge indicando la figlia, poi vedendo l'espressione del mio volto prosegue. "Vuoi un consiglio giovane Holmes? Cerca di non farti travolgere dalla piccola peste."

So bene che lei ha voglia di stare con me, non ha molte distrazioni in quella casa piena di uomini. Finisco di aiutarlo, poi la raggiungo. Come se ne accorge Rosie gongola soddisfatta.

Subito mi fissa, increspa le labbra, scuote la testolina ricciuta, perché dentro ha molte domande da farmi.

"Sherr... ford, papà ha detto che dovevo lasciarti dormire!" Se ne esce con la vocina triste.

Mi siedo per terra vicino a lei cercando le parole giuste per spiegarle perché sono tutti così preoccupati.

"Sono un po' malandato e devo guarire. Il tuo papà ha ragione, ma quando mi sentirò meglio starò con te. Promesso."

Si rassicura, mi abbraccia e solerte mi mette in mano i suoi giocattoli, gli occhi le luccicano mentre elabora questa nuova informazione, che gli risulta spiacevole da comprendere, quindi cerca qualcosa di familiare che glielo renda tollerabile, alla fine decreta convinta:

"Sei come il principe ammazza draghi che è rimasto ferito infondo al cuore? Ma la fata del bosco ti guarirà. È un'Elfa con i poteri magici."

Le sorrido scompigliandole i capelli. "Certo che sì, cugina perché tu le indicherai la strada per trovarmi. E lei con la sua magia mi guarirà."

È felice la piccola e si mette a cantare e a mimare con la bambola la fata e con una marionetta di stoffa il principe dal cuore fragile.

Stento a trattenere le lacrime, e mi vergogno di essere così instabile.

Ma il tempo con Rosie passa velocemente.

"Guarda Sherr..ford..sherr"

"Chiamami Hayc, quel nome è troppo lungo per te. Che ne dici?" Sorride. "Va bene Hac." Storpia anche quello mentre mi mostra un piccolo drago di plastica verde che lotta contro il principe marionetta, ma rimane ferito e arriva a salvarlo la fata del bosco.

Come si può non amare l'innocenza e la bellezza di una bambina così piccola, che mi riempie il cuore e la mente creando la stessa magia della fata.

Sento dei passi dalle scale e appare mio padre e Sherlock, che non smettono di infastidirsi. Parlano di lavoro, papà mi lancia un'occhiata sorpresa.

"Figliolo ma giochi con le bambole? Non ti sembra di essere cresciuto?" Lo dice bonariamente ma un po' mi secca, gli rispondo piccato.

"Dovresti sentire quanto sono interessanti le storie di Rosie. Lei sa essere amorevole, sto recuperando un po' di tempo perduto." Lo canzono e lui sembra restarci male, anche se non volevo criticarlo.

Ancora non realizza che adesso ha un figlio, un ragazzino cresciuto in fretta che gioca con una bambina. Aggrotta la fronte e appoggia il suo ombrello, da cui non si separa mai.

"Muoviti Myc, non abbiamo tutto il giorno!"

Lo zio lo spinge da dietro verso di noi. Siamo una famiglia molto strampalata. Sherlock si avvicina e cerca di prendere in braccio la piccola per salutarla.

"Ormai ti ha adottato, Sherrinford." Sentenzia orgoglioso.

"Oh, zio mettimi giù, devo chiedere una cosa." Lei sgambetta, vuole scendere, corre da suo padre e poi da Mycroft. Li afferra per le maniche e li porta vicino a me.

"Papà, zio Myc, quando sarò grande posso sposare Hac?" Ha il faccino serio e gli occhi grandi.

Tossisco, trattengo a stento il libro delle fate. Sherlock si gira per nascondere una risata sincera, Mycroft e John sono muti.

"Sarò troppo vecchio per te." Balbetto cercando di darle una spiegazione, mi chino alla sua altezza, la faccio ruotare. "Piccola, comunque ci sarò sempre. Sarò il tuo cugino prediletto." Lei mi abbraccia così forte che mi sbilancia e devo reggermi allargando i piedi.

Improvvisamente si stacca e diventa seria, sembra quasi triste. La vocina si fa malinconica.

"Non morirai come la mamma, vero? Me lo prometti?" Mi spiazza così tanto che trattengo il respiro e subito comincio a sudare. Ma riesco a risponderle con un'aria fiduciosa.

"Farò di tutto Rosie per stare con te. Tu però non mi lasciare." Ma le ultime due parole mi escono flebili, perché mi manca proprio l'aria. Papà, che ha già imparato a capire le mie crisi, fa un cenno verso John e interviene.

Il dottore distrae la figlia dicendole come mi curerà, e Mycroft mi spinge nella camera che mi hanno assegnato vicino al soggiorno, dove cerco in affanno aria che sembra non volermi entrare nei polmoni, è l'ennesima crisi di panico: Dio, sono un vero disastro!

Mi siedo sul letto ansimando.

Mycroft è al mio fianco, mi massaggia la schiena, cerca di calmarmi stringendomi la nuca come per passarmi la sua forza. Mi fa respirare lentamente, come quella mattina in clinica.

"Forza figliolo, superiamo anche questa, d'accordo?" Ma non riesce a nascondere, nella serietà del suo sguardo, la preoccupazione che le parole della nipote possano avverarsi, che potrei non farcela.

La mia testa si fa pesante, mi stringo forte le tempie. Ho voglia di piangere, di scappare, mi sento un peso, un gravoso problema anche per una bambina di pochi anni a cui non posso promettere nulla. Mi sento naufragare nel dolore di aver trovato una famiglia un affetto e di non poter godere per molto tempo di questo dono.

La mia mente si chiude, il panico mi assale, reagisco malamente. Non voglio più restare, tutto mi sembra precipitare in un abisso senza speranza. Mi alzo di scatto, evito Sherlock che è appoggiato allo stipite della porta. Rosie è con il padre, e per fortuna non mi vede.

Mycroft urla di fermarmi, ma non mi importa.

Afferro velocemente la giacca. La mano dello zio mi sfiora cercando di prendermi, ma lo spingo via con rabbia e volo giù dalle scale due gradini per volta.

"Lascialo!" 

Grida mio padre e mi fa male sentirglielo dire. Ho gli occhi appannati  non vedo la strada, è buio e c'è traffico, la reazione al freddo mi fa sussultare, barcollo.

Voglio andarmene, non voglio diventare un fastidioso problema per nessuno.

Non sono il bravo ragazzo che credono, quello che si rassegna alla malattia e diventa gentile e ubbidiente. Voglio tornare alla mia vita sregolata di prima, nella mia camera fredda dall'altra parte di Londra, quando non avevo nulla per cui vivere.

Accelero il passo, non mi importa di cosa mi aspetta, di quanto dolore dovrò sopportare. 

Sono risoluto, visto che è una mia scelta: voglio rimanere da solo. 

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