Ritorno a Baker Street

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Imbocco una via laterale

Sbircio alle mie spalle e avverto un nodo stringersi nello stomaco: nessuno mi sta seguendo, forse un po' ci avevo sperato, ma li capisco. 

L'adolescente problematico si è tolto di torno, devono esserne sollevati. Mi infilo nel primo autobus che passa e percorro la città senza meta. Così ho tempo per pensare. So di aver reagito male, ma non ho retto tutto lo stress accumulato in quelle ore. 

Mi sento stringere il cuore per aver lasciato Rosie da sola, senza darle una spiegazione, ma so che John è una brava persona e saprà giustificare la mia scomparsa.

I fratelli Holmes sono legati da un affetto profondo eppure continuano una inutile faida e Mycroft mio padre mi sembrava sincero quando mi ha consolato, ma non ho avuto il tempo per conoscerlo

Un dubbio atroce mi assale: se mi avesse abbandonato anche lui come mia madre? Guardo dal finestrino; sono confuso, una lacrima mi scende fino alle labbra, è salata come il prezzo che pago per una vita di abbandono. 

Arrivo a casa senza accorgermene. Salgo a fatica le scale, non mi era mai successo prima. Perché adesso diventa tutto così difficile?

La porta è rimasta aperta, non l'avevo chiusa a chiave quando me ne ero andato, non credevo di tornare e invece... la spingo ed entro. Crollo sul letto rimasto sfatto, sono talmente stanco che non mi spoglio. Non sento nemmeno la fame.

All'improvviso un dolore sordo mi stringe al centro del petto. Ansimo impaurito, ma poi consapevole del mio stupido gesto, accetto quello che deve venire, guardo il soffitto scrostato, pensando che non è un bel posto per andarsene. Mi arrendo, chiudo gli occhi e sussurro lentamente che va bene così. 

Piano piano sento il respiro farsi più calmo le fitte diventano sopportabili e il cuore riprende a battere in modo regolare. Il peggio è passato, ho superato la crisi, ma ho la testa in fiamme in balia di una marea di emozioni.

Non riesco a capacitarmi di essere scappato in quel modo, ma sapere che non mi hanno seguito mi blocca lo stomaco e mi dà la nausea, inizio a piangere, pochi sussulti dolorosi, non so che mi prenda non sono uno che si piange addosso.

Forse, la consapevolezza di essere ammalato mi ha reso fragile, non ho accettato di buon grado il responso del dottore. Un calore malato mi si diffonde dal petto, anche se sto tremando. Devo avere la febbre e mi sento stranamente svuotato, non ho più forze, fatico a formulare anche il più semplice pensiero. La stanchezza prende il sopravvento e mi addormento spossato al buio e al freddo.

È giorno quando intravedo una luce pallida che entra dalle imposte socchiuse, mi risveglio affaticato nel mio vecchio letto. Metto a fuoco la stanza cercando di ricordarmi quello che è successo.

Ho addosso una spessa coperta, un soffice pigiama e sono bagnato di sudore rappreso. Ma sento ugualmente caldo.

Mi strofino gli occhi, scosto la coperta e cerco lo spazio per vedere attorno.

Nella poltrona, c'è una figura abbandonata al sonno. È Mycroft e il cuore mi sobbalza nel petto: papà è lì vicino, ne avverto il respiro calmo. Il comodino è ingombro di medicine.

Non so se gioire o maledirmi, non mi ha lasciato solo nonostante la stupidaggine che ho fatto.

"Papà... Mycroft." Lo chiamo sussurrando. Lui si scuote, si tira su rapido. Mi guarda preoccupato e mi appoggia la mano fresca sulla fronte, un gesto istintivo che però mi scalda il cuore.

"Hai avuto la febbre. Sherrinford, mi concederai di dirti che hai compiuto un gesto sconsiderato."

Aggrotta la fronte, ma poi mi sorride, sembra rilassato, ha perso il suo English aplomb: il suo impeccabile completo tre pezzi sgualcito, il suo inseparabile ombrello appoggiato alla parete dimenticato.

Mi sento in colpa e mormoro poche parole di scusa. "Mi dispiace non sono così forte come vuoi credere."

Lui mi osserva, è in piedi dritto al fianco del letto e scuote la testa. Ho voglia di sentirlo vicino, di stringermi forte a lui, ma so dei suoi limiti eppure mi sento ugualmente come un bambino a Natale pieno di gioia perché mi ha cercato.

Com'è possibile, sentire il desiderio del suo affetto? Quando non l'ho mai avuto?

"Come mi hai trovato?" Lo guardo curioso, ma forse la risposta è scontata.

"Avanti Sherrinford, dove potevi venire se non qui?" Ha ragione, lui sa tutto di tutti, ha il controllo di Londra. Si siede nel letto, e mi rimbocca la coperta fino alle spalle.

"Sei debole figliolo, dobbiamo tornare a Baker Street. Devi stare con noi e hai bisogno di John." È risoluto ma mi guarda comprensivo. Ti aspettano, non pensare che abbiano rinunciato a te.

La stanchezza mi indebolisce e la febbre ha fatto il resto, mi si annebbia la vista e crollo con la testa di lato. La sua reazione è decisa mi scopre e mi solleva piano, sento la sua stretta sulle braccia, mi massaggia il torace, mi fa respirare con un ritmo normale.

Il British Government fa il padre preoccupato, ed è bravo a restituirmi sicurezza.

Non ho forze sufficienti per reagire. "Come faccio a tornare a casa? Non mi reggo."

Il suo volto tirato mostra la stanchezza accumulata in quelle ore.

"Basta colpi di testa. Lo so che eri sotto pressione e abbiamo sbagliato a forzarti. Cercheremo di rispettare i tuoi ritmi, figliolo, ma tu devi cercare di fidarti di noi." La sua voce è delicata, mi vuole al suo fianco.

Annuisco, e gli sorrido aggrappato alla coperta, mi lascio andare alle sue cure perché sono sfinito, rendendomi conto che non ho che loro.

"Bene allora si va a casa," mi batte la mano sottile sulla spalla, e distende le rughe sulla fronte, si aggiusta la giacca e chiama al cellulare.

"Ho chiamato dei miei collaboratori, sono paramedici e ti aiuteranno." Si assicura che abbia capito, io annuisco lentamente.

Arrivano poco dopo, sono gentili, mi aiutano a vestirmi, mi rassicurano con gesti misurati e mi aiutano a uscire sostenendo il mio peso.

Mycroft è sempre presente, indossa il suo cappotto scuro, afferra l'ombrello ed é subito dietro di noi.

Mentre mi sorreggono e usciamo all'aperto, vedo l'ambulanza parcheggiata in attesa, la mia testa si perde in paure immotivate, improvvisamente mi agito, il terrore di essere portato nuovamente in clinica mi travolge, inizio a sudare di nuovo. Temo che mio padre mi abbia mentito.

"Non voglio, lasciatemi, non voglio salire lì sopra." Grido, protesto, i due cercano di tranquillizzarmi.

"Dove mi portate? Papà non voglio andare in clinica!" Scalcio con la poca forza che mi è rimasta, cercando di liberarmi dalla loro stretta

"Sherrinford, andiamo a casa, a Baker Street non ti mentirei su questo." 

Ferma i due paramedici che mi sostengono, si mette davanti a me, mi fissa incredulo. L'ho deluso un'altra volta, non mi sono fidato di lui; dubito di tutto e di tutti, compreso lui.

Ma non mi tranquillizzo, la paura insana che mi chiudano da qualche parte mi fa gridare più forte.

"Stai mentendo! Loro chi sono? Hai parlato di collaboratori." Scuote la testa perplesso. Agita la mano in aria per scacciare ogni dubbio.

"Sono della clinica certo, ma non tornerai là." Lo afferma con forza, è davanti a me risoluto. Intravedo Albert e l'auto nera che lo aspettano poco lontano.

"Fammi venire con te!" lo imploro ormai allo sbando.

"Non stai bene. Hai bisogno di assistenza medica, vuoi rischiare di sentirti male durante il viaggio?" Sibila senza distogliere lo sguardo.

"Lì non ci salgo." Soffio risoluto indicando con lo sguardo l'ambulanza.

"E va bene, sei testardo come Sherlock." Brontola, fa segno ai paramedici che va tutto bene, chiama Albert che avvicina il BMW nero.

Mi aiutano a salire, mentre papà ordina all'ambulanza di seguirci.

Mi lascio cadere nei sedili, l'ho avuta vinta ma tremo di nuovo. Non sono più in grado di controllarmi, aspetto con ansia che papà salga, finisco per chiamarlo impaurito dalla debolezza che mi percorre il corpo.

mi tira vicino a lui, devo essere in condizioni pietose.

"Non fare scherzi Hayc. Sono qua, ora stai tranquillo."

Sento il suo calore che mi confonde, il suo profumo familiare mi offusca la mente.

Quel poco che riesco a riprendermi, lo sento sussurrare qualcosa, dolcemente, in modo lento e rassicurante.

"Ti voglio bene Sherrinford, non mollare adesso." Sospira come se un macigno pesante gli impedisse di respirare. "Non lasciarmi... non adesso che sto imparando a essere padre."

Non so se lo ha detto veramente o l'ho immaginato, ma il mio cuore rallenta forse un pò troppo. Mi aggrappo a lui impaurito.

"Papà, aiutami." ... Mi lascio andare alle sue cure. Chiudo gli occhi, con la testa appoggiata sulla sua spalla, il suo braccio che mi stringe a lui, il mio respiro si fa regolare e mi addormento, mentre una carezza inaspettata mi scalda la fronte.

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