Capitolo 7 ( Natalie )

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Di quei giorni ricordo molto bene le nostre sedute di registrazione e i concerti che facemmo, il primo fra tutti, il 25 settembre 1954, in quello che era considerato il tempio del nostro genere musicale: il Grand Ole Opry di Nashville. Era la prima volta che mi esibivo per un pubblico molto vasto e avevo paura. Paura di essere giudicata. In camerino non facevo altro che camminare avanti e indietro scavando quasi una buca nel pavimento. La musica era tutta la mia vita e se non fossi piaciuta? Se avessero iniziato a fischiare? Elvis stranamente era calmo e volevo possedere quel suo potere così speciale. Ma c'era, oltre all'ansia da palcoscenico, anche un piccolo tarlo che mi martellava il cervello. Avevo visto come in studio di registrazione ancheggiasse e quei movimenti creavano in me strane sensazioni che non riuscivo a comprendere e sapevo che tra il pubblico ci sarebbero state anche delle ragazze. Lui era il mio angelo salvatore e nessuno doveva toccarlo o pensare minimamente una cosa simile.

Quando ci chiamarono per salire sul palco ero pronta a tutto. Ero riuscita a combattere mio padre quindi potevo anche sconfiggere l'ansia da palcoscenico. Cantammo alcune canzoni che avevamo scritto ma l'accoglienza fu piuttosto fredda ma non ci demmo per vinti. La settimana seguente ci esibimmo ad una manifestazione chiamata " Louisiana Hayride " di Shreveport. Io avevo il timore che anche a questa esibizione avremmo avuto un' accoglienza fredda ed ero in ansia. Il cuore rischiava di uscirmi dal petto ed ero bianca come un lenzuolo, lo sentivo chiaramente perché avvertivo quella sensazione di svenimento. Elvis, quella volta, era anche lui nervoso e lo comprendevo. Come al suo precedente concerto si era messo la gelatina tra i capelli, portava un ciuffo nero e i suoi occhi erano truccati tanto da rendere più evidente il suo bellissimo colore azzurro cielo; inoltre indossava un abito rosa che aveva notato nel quartiere nero che era solito frequentare. Un aneddoto che, raccontandolo adesso fa quasi paura, mi lasciò con una brutta sensazione a livello dello stomaco successe proprio in quel quartiere. C'era un festival di musica nera e Elvis, che non riusciva a farne a meno, decise di portarmi con sé. Ci divertimmo veramente moltissimo tra tutte le attrazioni presenti e andai anche da una chiromante. Sapevo che erano solo imbonitori capaci di creare qualsiasi bugia per fare qualche soldo ( più avanti conobbi una persona, un imbonitore, che ci rovinò letteralmente la vita e di cui avrò modo di parlare ) ma quando mi prese le mani rimasi scioccata. Leggendo la mano destra vide un bellissimo e fiorente futuro in cui io e Elvis eravamo sposati e avevamo una bambina chiamata Lisa-Marie mentre leggendo la sinistra si incupì: un periodo oscuro mi aspettava in cui Elvis era il protagonista assoluto con le sue dipendenze dai farmaci che gli venivano prescritti per stare in forma e partecipare ai concerti dei suoi vari tour richiesti da un certo colonnello Tom Parker. Ma la cosa più spaventosa fu che predisse la sua morte in maniera esatta: il 16 agosto 1977 alle ore 15:00, a Graceland, alla sola età di quarantadue anni. Quando uscii dalla sua tenda stavo tremando e avevo mille domande per la testa. Sarebbe veramente successo così? Oppure era una bugia inventata di sana pianta per avere più soldi? Se fosse stato veramente in quel modo dovevo evitare a tutti i costi che Elvis incontrasse Parker. Quando il mio amico mi vide in tale stato mi rassicurò che tutto ciò che dicevano loro erano delle cazzate inventate e che non dovevo dargli ascolto. Per giorni e notti intere gli incubi si erano arricchiti, non solo con mio padre che cercava di stuprarmi, ma anche dalla visione orribile di Elvis che ingoiava le pillole morendo nella nostra casa. Non potevo di certo vivere in quella maniera così optai per prendere qualche sonnifero per allontanare tutto ciò dalla mia mente scioccata. Ritornando a noi e alla nostra esibizione quando ci chiamarono sul palco feci un grosso respiro profondo. Rispetto al precedente concerto ci venne tributata un'accoglienza entusiastica, soprattutto dalle giovani teenager. Sapevo cosa provavano quando lo vedevano ballare e cantare e quella sensazione, che più tardi capii essere gelosia, ritornò prepotente.

Grazie a questo successo ottenemmo una scrittura tanto che, per tutto il corso del 1955, continuammo a esibirci presso la stessa, ottenendo sempre riscontri ampiamente positivi. Scotty Moore, il nostro chitarrista e manager, si defilò e venne sostituito da Bob Neal che, maggiormente introdotto negli ambienti musicali rispetto al precedente, riuscì a procurarci una serie di concerti anche in altre località. Grazie a lui noi ci producemmo nel primo tour ufficiale e attraversammo in tre settimane circa tutto il Sud degli Stati Uniti dopo che eravamo partiti dalla città di New Orleans fino ad arrivare alla città di Chattaoonga nel Tennessee. Durante lo svolgimento del tour ebbi modo di visitare qualche negozio e comprare dei suovenir. Grazie al sonnifero che stavo prendendo la situazione notturna migliorò notevolmente e avevo molta energia sul palcoscenico. Mi sentivo rinata. Per quanto riguarda il nostro rapporto si era fatto molto più stretto tanto che non potevamo stare lontani l'uno dall'altra per molto tempo. Ero follemente innamorata di lui ormai lo avevo capito. Elvis non mi costrinse mai a fare l'amore prima del tempo sapendo quello che avevo passato. Voleva che fossi io a prendere l'iniziativa. Però il giorno che tornammo dal tour ricevetti una bruttissima notizia che mi fece cadere in una profonda tristezza che non passò per i giorni a venire. Andai nell'ospedale dove mia madre era ricoverata per salutarla, visto che non la vedevo da giorni, e vidi che la sua stanza era vuota. Lei non c'era. Un brutto presentimento si fece spazio nel mio petto. Non poteva essere morta, giusto? Chiesi ad un'infermiera dove si trovasse e lei mi disse che era spirata qualche giorno fa. Non riuscii a crederci. Non poteva essere vero. Un masso enorme era caduto su di me schiacciandomi. Mia madre che aveva combattuto il demone in persona non c'era più. Uscii dalla clinica andando a casa di Elvis per dargli la notizia. Lui, vedendo il mio stato d'animo, comprese. Iniziai a piangere tra le sue braccia sfogando tutto il dolore che avevo dentro. Le lacrime sgorgavano a fiumi e il respiro si fece sempre più affannato. Ero devastata. Non l'avevo neanche salutata per l'ultima volta. Lui mi restò accanto tutto il pomeriggio vegliando su di me come l'angelo quale era.

Parlando dei concerti stavamo avendo molto successo ma Elvis, visto che a quel tempo la comunità americana era piuttosto chiusa verso i neri, venne accusato di razzismo proprio per il motivo che i suoi movimenti li ricalcavano perfettamente oltre a essere depravati. Durante i suoi spettacoli le ragazze cercavano in ogni modo di accaparrarsi qualcosa di suo o di avere un'approccio sessuale. Lui amava i suoi fan, le ragazze e le donne in modo particolare, ma questo era da sempre stato troppo.

Il 22 novembre 1955 il contratto che ci legava con Sam Phillips, a causa delle modeste dimensioni e dei conseguenti limiti logistici e organizzativi che la sua piccola etichetta manifestava sempre maggiori difficoltà a gestire la nostra fulminea ascesa, venne ceduto da quest'ultimo al colosso radiofonico della RCA. Proprio qualche mese prima avevamo incontrato il nostro peggiore incubo: il colonnello Tom Parker. Lui, nel febbraio di quello stesso anno, era venuto a casa nostra dopo che aveva incontrato Elvis ad una fiera. Era un uomo con uno sguardo che faceva paura e che non prometteva niente di buono. Quel giorno, quando lo vidi, mi ricordai della stranissima profezia fatta dalla chiromante e presi da parte Elvis:

«Elvis, posso parlarti un attimo in privato?»

Lui mi seguii in soggiorno e gli parlai dei miei dubbi e preoccupazioni a riguardo:

«Ti ricordi della profezia fatta dalla chiromante? Mi aveva parlato di lui e non voglio lavorare sotto una persona di cui non si sa niente. E' comparso improvvisamente. Chissà cosa era prima che venisse qui in America. Magari prostituiva le donne. Io non mi fido, EP. Se morissi...per favore cerchiamo un'altra persona.»

«Nat, lui mi ha parlato delle grandi possibilità che potrò, che potremo avere, se fosse il nostro manager. Poi vorrei dare un tetto più grande a nostra madre e la vorrei rendere felice. Lo sai quanto le voglio bene. Poi smettila di credere a quello che aveva detto quella chiromante. Io non morirò di certo così giovane. Quarantadue anni, figuriamoci.» Disse facendo scontrare i miei occhi con suoi azzurro-cielo di cui mi ero tanto innamorata. Avevo paura. Una paura terrificante. Non volevo che Elvis morisse a causa della sua testardaggine e bontà d'animo. Sapendo che non potevo fargli cambiare idea lui firmò l'accordo con Parker. Da quel momento seppi con certezza che aveva venduto l'anima al diavolo e che la profezia aveva avuto inizio.

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