Fase 2

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No, non vi ho abbandonati e non intendo farlo. Un esame particolarmente difficile ha monopolizzato la mia attenzione ma ora che è andato, sono lieta di essere tornata. Prima di partire, approfitto di questo spazio per inviare tutta la mia vicinanza e le mie preghiere agli innocenti devastati dalla guerra. Siate forti. Scrivere di battaglie e grandi imprese come mi accingo a fare è facile, ma ciò che si sta verificando in questi giorni è straziante e mi lascia sempre più sconvolta.

All'improvviso, il silenzio fu infranto. La voce di un uomo rimbombò in ogni anfratto, lungo i corridoi, in tutte le stanze e persino all'interno dei laboratori blindati. Invase ogni centimetro di quel luogo, turbandone l'innaturale quiete:

Mi chiamo Chase Puglio. Il mio nome vi farà ridere, a meno che questo luogo, e non stenterei a crederci, non vi abbia prosciugato fino all'ultima goccia di umorismo. Ridete finché potete, perché non durerà a lungo.

In tutta la struttura i Taciti smisero di prestare attenzione alle loro occupazioni, paralizzati prima per la sorpresa di sentire un suono così forte, insopportabile per le loro orecchie assuefatte al silenzio, poi per il panico. Essere un Tacito significava questo: essere in grado di uccidere senza battere ciglio ma sobbalzare per un rumore improvviso.

Mi chiamo Chase Puglio e sono qui perché non intendo tacere.

Il mantello cremisi di un Tacito fluttuava alle sue spalle mentre correva più veloce che mai. Le sue scarpe, disegnate per non produrre il minimo rumore, lo facevano apparire leggero, come se corresse sospeso a due dita da terra.
— Signorina Maeve! — spalancò la porta. — Intrusi nella Casa del Silenzio!
Maeve non si scompose. Era di spalle, i vestiti perfettamente stirati e i capelli raccolti in una severa acconciatura che non ammetteva neppure la ribellione di una singola ciocca.

So cosa fate qui, conosco le vostre atrocità, ma oggi tutto questo finirà.

— Signorina Maeve! — gli occhi del Tacito erano spalancati per il terrore.

Arrendetevi, liberate le Creature e gli ostaggi. Collaborate se volete aver salva la vita. Collaborate o farò saltare in aria questo posto.

SIGNORINA MAEVE! — gridò il Tacito.
Maeve si girò appena. Il suo viso era una maschera di pietra. Sulla sua espressione imperturbabile aleggiava l'ombra di un sorriso glaciale. Si portò un dito alle labbra.

Arrendetevi subito, altrimenti...

La voce si interruppe in un rantolo soffocato.
La casa ripiombò per qualche istante nel suo originario silenzio. Nessuno si mosse.
Improvvisamente, la voce di Chase Puglio, spezzata al punto da apparire irriconoscibile, pronunciò due sole parole: — Andate avanti!
Si udì un tonfo, poi di nuovo il silenzio.

Credence e Saoirse osservavano da lontano la Casa del Silenzio, troppo distanti per essere avvistati ma non abbastanza per non percepire l'aura di morte che quel luogo irradiava. In attesa sull'immensa distesa di terra brulla, erano chiusi ciascuno nella propria inquietudine. Credence pregava. Non lo faceva da quando Mary Lou Barebone era morta, da quando lui l'aveva uccisa. A lungo non aveva saputo a cosa credere, tuttora non lo sapeva, ma sentiva di doverlo fare, di dover implorare qualcuno, chiunque fosse, nella speranza che fosse più gentile dell'essere vendicativo che la sua madre adottiva gli aveva insegnato a temere. Saoirse, con una scatola bianca tra le mani, canticchiava sommessamente con le labbra strette, come per tranquillizzare se stessa e proteggersi dal silenzio asfissiante. Ne aveva paura, notò Credence, e non poteva biasimarla. Evidentemente credeva di non poter essere udita, perché quando Credence le si avvicinò e le chiese se andasse tutto bene, lei tacque di colpo e abbassò gli occhi, imbarazzata.
Prima che potesse rispondere, la scatola bianca vibrò tra le sue mani e lei, già tesa come una corda di violino, trattenne il fiato. Lanciò un'occhiata al piccolo orologio che portava al polso e impallidì.
— Che succede? — chiese Credence.
— No, no, no, non va affatto bene — borbottò lei in risposta, aprendo la scatola ed estraendone un sottile fazzoletto di cotone con una "M" e una "S" ricamate nell'angolo.
— È di Martha, quello?
La ragazza si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro, sempre più veloce man mano che la sua preoccupazione cresceva.
— Qualcosa non va, — disse.
— Cosa?
— Stanno per iniziare la seconda parte della fase 2.
— Quella in cui fanno scoppiare un pandemonio? Mi sembra ottimo, sono a buon punto.
— No! Con tutto il rispetto, mi sembra tutto fuorché ottimo. Martha ha usato il Trapassatore per inviarmi questo. — Saoirse sventolò il fazzoletto, ma Credence continuava a non capire.
— Il Trapassatore?
— Un sistema di emergenza della Casa del Silenzio. i Taciti lo usano per inviare alla Casa il loro bottino quando si accorgono che... che non riusciranno a tornare vivi da una missione. Ho spiegato a Martha come farlo funzionare, avrebbe dovuto inviarmi un oggetto alla fine del monologo di Chase Puglio in modo che potessimo iniziare a preparare la fase 3.
— Sembra che l'abbia fatto, — osservò Credence.
— Sì, ma troppo presto! Guardi, sono passati appena dieci minuti da quando sono entrati tutti. Il discorso doveva durarne almeno trenta.
— Questo significa...
— Che Chase Puglio ha smesso di parlare e sono stati costretti ad andare avanti.
Credence capì immediatamente: — Sono in pericolo. Qualcosa è andato storto.
— Ce ne ha messo di tempo per arrivarci, ma sì, potrebbero aver preso Chase. Rischiano di essere scoperti.
— Io entro. — annunciò Credence, avviandosi con passo risoluto verso l'edificio bianco.
— No! — Saoirse gli si parò davanti, sbarrandogli la strada. — Non ancora.
— Qualcuno si farà male, forse è già successo! Sono in pericolo! — gli occhi di Credence diventarono bianchi e del fumo nero gli si addensò tra le mani.
— Per la cronaca, sono in pericolo dal momento in cui hanno varcato quelle porte, — gli fece notare la ragazzina. — ma se lei entra lì dentro adesso, chi li tirerà fuori dopo?
— Sempre che ci sia qualcuno da tirare fuori, — mormorò Credence in tono cupo, ma nonostante fosse poco convinto si calmò. I suoi occhi tornarono normali e il fumo nero se ne rientrò nei suoi palmi così come ne era uscito.
— Piuttosto, noi non siamo pronti, mi preoccuperei di questo. Dove sono gli sbirri? — Saoirse riprese a misurare la piana a grandi passi, borbottando tra sé. — Dovevano già essere qui! Non possiamo rischiare di mandare a monte la fase 3, altrimenti sarà stato tutto inutile. E dài, non si può contare nemmeno sulla polizia, ora? Dove diamine sono quei maledetti sbirri?
— Stare qui impalati mentre loro rischiano la vita e sapere di non poter fare niente è una tortura. Sono la mia famiglia, capisci? — osservò Credence.
Saoirse si girò di scatto: — dimentica che lì dentro c'è mia sorella!
La ragazzina si sorprese a urlare a pieni polmoni solo quando l'eco le restituì la sua voce. Credence ammutolì e la fissò senza rispondere.
— Mi scusi, signore. Sono davvero troppo agitata. — sospirò Saoirse. — Non posso fare a meno di pensare che se questo piano fallisce, sarà stata tutta colpa mia.
— Non fallirà, — la rassicurò Credence. — Non lo permetteremo.

Andate avanti!

Par la queue de la Fée Mélusine! esclamò Marion. — Cosa gli è successo?
Newt non aveva la minima idea di cosa rispondere. L'avevano trovato, su questo non c'era dubbio. Non conosceva bene Chase Puglio, ma era terrorizzato all'idea di quello che avrebbero potuto fargli, soprattutto dopo aver visto cosa quei Taciti erano stati in grado di fare alle sue Creature. Cosa impediva loro di fare lo stesso con un essere umano?
I due si scambiarono uno sguardo.
— Ha detto di andare avanti... — sussurrò Marion, mordendosi il labbro in preda al dubbio.
— Lo so — rispose Newt.
— Non possiamo andare ad aiutarlo, metteremmo a rischio anche gli altri...
Marion moriva dalla voglia di essere contraddetta, di avere una buona ragione per aiutare Chase Puglio. Ma aveva ragione, non c'era niente che potessero fare. Solo andare avanti.
— Lo so — disse Newt.
Marion annuì e, con gli occhi lucidi, estrasse la bacchetta e fece un unico movimento fluido ed elegante. Il mantello Cremisi sparì e i suoi vestiti bianchi e neri lasciarono il posto a un lungo abito giallo, ricoperto da una cascata di pietre che emettevano un luccichio abbagliante.
— Questa è la parte del piano che preferisco. Devo dire che quella Sasha sa il fatto suo. — Marion trovò la forza di ricacciare indietro le lacrime e sorridere. Newt distolse lo sguardo in preda all'imbarazzo e, quando tornò a guardare nella sua direzione, Marion se n'era già andata.

Andate avanti!

L'uomo dal nome lungo e difficile avrebbe davvero voluto farlo, ma non sapeva come: Chase Puglio avrebbe dovuto essere il suo diversivo, eppure non accennava a tornare. Si interrogava su cosa fosse meglio fare: Continuare ad aspettarlo o fare comunque il compito che gli era stato assegnato? La verità era che aveva perso il suo diversivo, sì, ma ciò che più gli faceva paura era perdere il suo amico. Non ce l'avrebbe mai fatta ad andare avanti senza di lui. Tornò indietro a cercarlo.

Andate avanti!

Jacob e Queenie si scambiarono uno sguardo terrorizzato attraverso i cappucci dei mantelli.
— La ragazzina ha detto di non fare gli eroi, — ricordò Jacob, rispondendo alla silenziosa domanda in sospeso tra loro: "cosa facciamo?".
— Non mi piace l'idea di lasciarlo in balìa di questi sadici assassini...
— Nemmeno a me. Ma se c'è una cosa che ho imparato in guerra, è che in situazioni come questa non seguire i piani significa solo essere d'intralcio.
— Credi che se la caverà?
— È un ragazzo in gamba, troverà un modo per scappare. — Jacob sfiorò appena il tessuto del mantello di Queenie, all'altezza del ventre. — E voi? Ce la farete?
Queenie si guardò intorno e, quando fu sicura che non ci fosse nessun altro, si abbassò il cappuccio e abbassò anche quello di Jacob. Gli baciò teneramente le labbra e poi estrasse la bacchetta. Le bastò puntarla verso i suoi vestiti e in un battito di ciglia quelli si trasformarono. Ora indossava un abitino ricoperto da frange arcobaleno. I colori erano così accesi che sarebbero sembrati ridicoli indosso a chiunque, ma non c'era capo di abbigliamento che Queenie Goldstein non sapesse portare con immensa grazia.
— Ci vediamo per la fase 3, caro.

Andate avanti!

Merda! — esclamò Martha sentendo la voce di Chase Puglio spegnersi. — Come hanno fatto a trovarlo? Come?
— Credevo parlasse da un posto sicuro... — mormorò Ophélie, accigliata.
— Già, lo credevo anch'io... — Martha si fermò a riflettere sul da farsi. Cercò di affrettarsi a valutare i possibili scenari, vagliò i pro e i contro di qualsiasi possibile percorso. La cosa peggiore era che pro e contro sembravano perfettamente bilanciati in ogni caso. Almeno quelli che era in grado di prevedere. Pensò che loro erano le più vicine al luogo in cui Chase Puglio si trovava, sempre che non fosse già stato portato via, forse avrebbe potuto...
— Martha?
— Vado a controllare. Tu corri verso l'Area Mutanti, ti raggiungo lì tra cinque minuti esatti. So come aiutare Chase e farti comunque da diversivo, solo... fidati di me, d'accordo?
Ophélie non disse una parola. Si limitò ad annuire. In realtà, dentro di sé custodiva un inconfessato, terribile presentimento.
Martha attese che Ophélie andasse via, poi chiuse gli occhi e si concentrò con tutte le sue forze. In genere le costava un'enorme fatica evitare che accadesse esattamente quello che ora, con il doppio dello sforzo, stava tentando di fare. Si piantò le unghie nei palmi fin quasi a farli sanguinare e strinse i denti. Era come se dovesse abbattere una barriera: probabilmente tutto l'alloro di cui Owen l'aveva imbottita. Non si poteva dire che i suoi antidoti non funzionassero, anzi, a quanto pare funzionavano fin troppo bene, eppure, si chiese Martha, come aveva fatto Owen a non vedere che avrebbe avuto la necessità di trasformarsi? Lui sapeva sempre tutto, per lui il futuro non aveva mai avuto segreti... scacciò quel pensiero e fece un respiro profondo, poi prese un'ultima rincorsa e si avventò con tutte le forze contro la barriera dentro di lei. Finalmente, questo bastò: Martha Steward si trasformò.

I diversivi erano in posizione. Sfortunatamente, i diversivi rimasti erano soltanto due. Non esattamente le condizioni ideali per generare il caos, ma c'era da dire che la calma di quel luogo era così perfetta che non ci sarebbe voluto molto a incrinarla. Così Queenie e Marion, con i loro abiti appariscenti che stridevano contro il bianco delle pareti, in due punti opposti della Casa del Silenzio ma nello stesso istante, diedero inizio alla festa. Gridarono a squarciagola e cantarono, muovendosi lungo i corridoi e sfuggendo ai Taciti che tentavano di fermarle, inafferrabili come due colibrì. Con le bacchette evocavano coriandoli e altre diavolerie, portando suoni e colori ovunque andassero. Nei laboratori rovesciarono macchinari e provette di vetro, facendo il maggiore fracasso possibile. Le Creature Magiche, prigioniere nelle loro gabbie dietro pesanti porte, iniziarono a scalpitare, in una cacofonia di versi tutti diversi. I Taciti, ancora ebbri di silenzio e colti alla sprovvista, iniziarono a perdere il controllo.
Alla festa si unì anche un serpente, che seminò il panico più totale. Si dirigeva verso il Trapassatore.

Dopo un'attesa che le parve interminabile, Saoirse vide finalmente ciò che aspettava: un'intera squadra formata da Auror e poliziotti babbani si stava avvicinando. A guidarli c'era un uomo estremamente simile a Newt Scamander, ma in una versione più pettinata: suo fratello, senza dubbio.
La ragazza si concesse un sospiro di sollievo e un momento per esultare, poi corse incontro ai suoi tanto attesi sbirri.
— Grazie per essere venuto, signor Scamander — disse all'uomo che guidava la spedizione.
— È il mio lavoro. Dunque, è lì che fanno gli esperimenti sugli animali? — Theseus puntò il suo sguardo attento sulla Casa del Silenzio, che non era più tanto silenziosa.
— Sì, proprio così. Dovrebbero uscire a breve — lo informò Saoirse, mordendosi la lingua per non sottolineare quanto la sua squadra fosse in ritardo rispetto ai piani.
Theseus la prese da parte e le spiegò nel dettaglio cose che lei già sapeva bene: la questione era complicata perché, dal momento che i Taciti erano tutti Babbani, dovevano essere processati secondo la giustizia babbana, cosa impossibile dato che la polizia babbana non poteva sapere del mondo magico. In più, il fatto che molti di loro lavorassero sotto costrizione complicava ulteriormente le cose. In fondo, Grindelwald non era certo un idiota, sapeva bene che dal punto di vista legale sarebbe stato molto più difficile condannare dei criminali Babbani invischiati nel Mondo Magico, per questo non aveva voluto maghi tra i Taciti. Theseus aveva dovuto scomodare almeno metà delle sue conoscenze per mettersi in contatto con il Primo Ministro Babbano in persona e convincerlo a inviare una squadra di polizia. Ovviamente, i poliziotti che erano stati inviati non sapevano nulla di animali magici e maghi oscuri, erano convinti di essere lì per arrestare dei trafficanti di oppio.
Mentre l'Auror parlava, Saoirse realizzò per la prima volta fino in fondo che la fine dei Taciti era vicina.

Queenie e Marion percorsero l'intero perimetro della Casa volteggiando e intonando melodie. Molti dei Taciti le inseguivano, ma loro sembravano non curarsene affatto. In realtà, la stanchezza iniziava a farsi sentire e sfuggire a così tanti inseguitori diventava sempre più difficile, soprattutto per la povera Queenie che si sentiva sempre più spossata. Ci furono anche, tuttavia, Taciti in cui si insinuarono germi di ribellione e che si schierarono silenziosamente dalla loro parte, aiutandole con piccoli gesti. Un uomo rovesciò accidentalmente sul pavimento un liquido disgustoso, sulla natura del quale è forse meglio non indagare, facendo scivolare uno dei compagni incappucciati appena prima che afferrasse l'orlo del vestito di Marion; un'anziana signora finse un malore improvviso e invocò aiuto, facendo così guadagnare tempo alle due ragazze; un gruppo di giovani si unì ai canti.
Marion e Queenie arrivarono al centro della Casa del Silenzio, in un immacolato salone circolare che lasciava intravedere il cielo plumbeo da un altissimo soffitto di vetro. Le due ragazze si guardarono e per un istante le loro espressioni tradirono la loro sorpresa: a quell'ora avrebbero dovuto incontrarsi quattro diversivi. Invece c'erano solo loro. I Taciti erano stati attirati, secondo i piani, nella sala centrale. Per le due ragazze era impossibile stabilire se fossero proprio tutti, potevano solo sperare. Corsero verso il centro della sala, seguite da un oceano di persone vestite interamente in bianco e nero con qualche nota cremisi, e fu lì che, schiena contro schiena, Queenie e Marion puntarono le loro bacchette contro i Taciti. Tutti indietreggiarono, compresi i loro inseguitori più spavaldi.
Guadagnare tempo, non dovevano fare altro che guadagnare tempo. Speravano solo che gli altri facessero in fretta...

— Chi sei? — disse il Tacito con il volto coperdo dal cappuccio cremisi.
— Mi chiamo Chase Puglio — l'artista cercò di non dare a vedere quanta fatica gli costasse pronunciare ogni parola. Gli avevano stretto le mani intorno alla gola così a lungo che aveva creduto davvero che fosse arrivata la sua ora, e adesso ogni suono che usciva dalla sua bocca era un'atroce tortura. Ma lui era un uomo di spettacolo, non sarebbe di certo bastato quello a fermarlo: l'arte è molto più importante dell'artista, per questo lo spettacolo deve continuare in ogni caso, anche a costo di immensi sacrifici.
— Qual è il tuo vero nome?
— Non ho un vero nome.
Uno spostamento d'aria e un dolore lancinante. Chase Puglio avrebbe voluto premere il palmo sul volto, dove aveva ricevuto un poderoso schiaffo che, pensò, avrebbe potuto fare concorrenza a quelli dell'uomo dal nome lungo e difficile. Peccato che avesse le mani legate. E non solo in senso metaforico.
— Una volta un signore di nome William disse: "Che cos'è un nome? Quella che chiamiamo 'rosa' anche con un altro nome avrebbe..." — contro la sua volontà, la sua voce si spense prima che potesse pronunciare un'altra parola.
— Quanti siete? Hai dei complici, vero?
Chase Puglio non rispose. Non avrebbe potuto farlo nemmeno se avesse voluto: la sua voce era andata del tutto.
— Rispondi!
Il Tacito gli puntò la piccola e affilata lama di un bisturi al collo e lui avrebbe voluto urlare con tutte le sue forze, magari svenire e raccontare a se stesso che non stava avvenendo davvero, che era tutta una finzione...
— Ah, ora non parli più?
Chase Puglio sentì un rivolo di sangue, del suo sangue, scivolargli lungo il collo arrestandosi sulla clavicola.
— Qual è il vostro piano? — il volto del Tacito era vicinissimo. Chase Puglio tacque.
L'uomo incappucciato ritrasse di scatto il bisturi, gli strappò via il mantello simile in tutto e per tutto al vero mantello dei Taciti e ne estrasse la sua bacchetta.
— Dimmelo o non la rivedrai mai più — sussurrò, tenendo la bacchetta alle due estremità.
Chase Puglio trattenne il fiato e l'uomo dovette notarlo, perché con un ghigno soddisfatto piegò la bacchetta fin quasi a spezzarla. Ma non ci riuscì: la bacchetta si ricompose immediatamente e sprizzò delle scintille negli occhi del Tacito. A quel punto fu il circense a ridacchiare, sebbene anche a questo semplice gesto gli dolessero terribilmente le corde vocali. La bacchetta cadde a terra e il Babbano rimase accecato per qualche istante. Cosa pensava, che fosse un semplice bastoncino di legno?
In quel momento, l'uomo dal nome lungo e difficile fece il suo ingresso, armato di coltelli e pugnali. Chase Puglio si rese conto di non essere mai stato tanto felice in vita sua di vedere una persona arrivare. L'uomo dal nome lungo e difficile sorrise, cosa che non faceva quasi mai, e corse a tagliare le corde che legavano l'amico alla sedia. Chase Puglio, non potendo ringraziarlo a parole, gli strinse una mano, dato che era troppo basso per abbracciarlo o, più verosimilmente, era l'uomo dal nome lungo e difficile ad essere troppo alto.

Il serpente strisciò fino alla stanza dove Chase Puglio avrebbe dovuto essere nascosto. Per un attimo non sentì alcun rumore, nemmeno una voce, e temette che lui non fosse lì, che lo avessero portato in un altro punto della Casa, il che avrebbe reso impossibile trovarlo in tempo. Il serpente decise comunque di entrare nella stanza. All'interno, Chase Puglio era di spalle insieme all'uomo dal nome lungo e difficile, gli stava stringendo la mano. Alle loro spalle un uomo incappucciato, senza dubbio uno dei Taciti, stringeva tra le mani un lungo coltello e sembrava pronto a uccidere entrambi prima che potessero accorgersene. Il serpente non perse nemmeno un secondo: fece uno scatto in avanti e affondò i denti affilati nel tallone dell'uomo. Il Tacito urlò, e fu a quel punto che Chase Puglio e l'uomo dal nome lungo e difficile si accorsero di lui. Il coltello del Tacito fece un affondo, assetato di sangue, ma l'uomo dal nome lungo e difficile lo intercettò con uno dei suoi pugnali. Si scontrarono con una violenza tale che le lame urtandosi producevano piccole scintille. Il clangore dell'acciaio rimbombava fortissimo. Alla fine l'uomo dal nome lungo e difficile ebbe la meglio e inchiodò il Tacito al pavimento, bloccandolo con un coltello che gli trapassava la camicia prima di conficcarsi nel pavimento. Prima che potesse liberarsi, il serpente fu veloce a fare quello che doveva fare: puntò al collo dell'uomo. Più volte.
Poi Martha Steward, con in bocca ancora il disgustoso sapore del sangue, abbandonò le sue sembianze da serpente e tornò umana. Proprio come si sarebbe aspettata, Chase Puglio e l'uomo dal nome lungo e difficile indietreggiarono, ma non era pronta a vedere il lampo di terrore nei loro occhi. I suoi artisti, i suoi amici, la sua famiglia. Erano spaventati da lei. Ecco il vero motivo per cui aveva cercato con tutte le sue forze di fare in modo che non scoprissero la sua vera natura: non si è mai pronti per una cosa del genere.
Nonostante dentro di sé fosse a pezzi, indossò la maschera da comandante che tanto le stava bene: — Vi spiegherò tutto appena usciti da qui, ma ora non c'è tempo. Dobbiamo procedere con il piano.
Si rivolse poi all'uomo dal nome lungo e difficile: — presto, va' a liberare gli Ippogrifi, siamo ancora in tempo. Chase, ce la fai ad arrivare alla sala centrale?
Un po' barcollante ma miracolosamente vivo, Chase Puglio raccolse la sua bacchetta e fece segno di sì.
— Bene. Sbrighiamoci, allora. Ci vediamo per la fase 3.

La situazione stava per degenerare e i Taciti assiepati nella sala stavano iniziando a disperdersi o a cercare un modo per attaccarle, quando Queenie e Marion videro, con loro immenso sollievo, Martha e Chase Puglio fare irruzione nella sala. Entrambi erano interamente coperti di piume e pailletes. Martha si scusò per il ritardo e Chase Puglio fece un profondo inchino mentre, sotto gli sguardi attoniti dei Taciti, prendevano posto al centro della sala. A quel punto, i quattro diversivi finalmente riuniti puntarono le bacchette in alto ed evocarono fasci di luce colorata, che schizzarono a grande velocità dalle bacchette emettendo un forte boato. Quando le luci scemarono, non c'era più neppure la più piccola nota di bianco: era come se tutto il mondo fosse un disegno su un libro da colorare e che un bambino con aspirazioni artistiche si fosse divertito a imbrattare la scena. Le pareti avevano assunto le più disparate tinte pastello, il vetro sopra di loro alternava frammenti blu, rossi e viola, che lo rendevano simile al mosaico di una vetrata gotica. Persino i vestiti dei Taciti non erano rimasti immuni all'incantesimo, ora ciascuno di loro indossava almeno tre sfumature di colore diverse, che qualcuno tentò di coprire indossando il proprio mantello cremisi. Era stato Owen a mettere a punto quell'incantesimo: semplice Trasfigurazione, ma era incredibile quanto potente potesse diventare un incantesimo ben assestato.
Fu a quel punto che Maeve fece la sua apparizione all'interno della sala.
— Molto bene, bello spettacolo. Spero che siate fieri di voi. — Si fece strada tra i Taciti e avanzò verso i quattro diversivi, avvicinandosi a ciascuno di loro senza mai perdere il suo portamento impeccabile e il suo sguardo altero. La somiglianza con Saoirse era terrificante. A differenza di tutti gli altri, sembrava non temere affatto le bacchette puntate contro di lei, probabilmente Grindelwald aveva provveduto a fornirle qualche tipo di scudo magico. — Ora basta, però. Il vostro piccolo numero è durato anche troppo.
Queenie intercettò il pensiero nella sua mente un istante prima che parlasse: lei sapeva. Aveva capito che stavano liberando gli animali.
— Serrate tutti gli ingressi. Che nessuno esca da qui! Se anche un solo essere vivente lascerà la Casa del Silenzio, sarete voi a pagarne le conseguenze. — ordinò ai suoi Taciti, che la guardarono poco convinti. Queenie, Marion, Chase Puglio e Martha approfittarono della confusione per darsela a gambe, ma Maeve sussurrò qualcosa all'orecchio di uno dei suoi collaboratori.

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