Fase 3

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L'ho visto, lettore mio.
(semicit, chi la riconosce merita un abbraccio)
Comunque niente, fatevi un bel regalo e andate tutti a guardare "i Segreti di Silente", se non lo avete fatto. Se invece lo avete fatto, sentitevi liberi di sclerare qui sotto (senza fare spoiler!) perché davvero, dobbiamo parlarne.
P.s. in realtà queste parole sono state scritte il 14 aprile ma sono riuscita a concludere il capitolo soltanto oggi.

Fu una catastrofe. L'intera Casa del Silenzio era un tripudio di colori così vividi che sembrava impossibile persino dare loro un nome. La voce autoritaria di Maeve si levava di tanto in tanto per dare ordini, ma nessuno riusciva a prestarle ascolto. I Taciti non conoscevano colore, i Taciti conoscevano solo la perfezione del bianco e il vuoto del nero. Rassicuranti, netti, senza possibili sfumature. Avevano dimenticato tutto il resto con una velocità disarmante, i colori avevano lasciato la loro mente esattamente come i ricordi delle loro vite passate e violentemente interrotte. Non è difficile immaginare quanto storditi fossero ora, intenti a fissare i colori che per magia si espandevano sempre di più, inghiottendo il triste edificio stanza dopo stanza, corridoio dopo corridoio.
Gli infiltrati sembravano essersi dileguati, inghiottiti dalla festa che avevano creato in appena un istante. Per quanto si sforzasse, Maeve non riusciva a riportare ordine tra i suoi sottoposti, né con le adulazioni né con le minacce. La sua sicurezza appariva inalterata, ma dentro di sé faceva i conti con la sgradevole e occulta sensazione di aver perso potere.
— Trovate gli intrusi e portateli da me! — tentò di nuovo di far sentire la propria voce, ma non ricevette che una manciata di risposte da parte dei Taciti che sapeva esserle più fedeli, coloro che credevano davvero nella loro missione e le avevano sempre obbedito senza riserve, aiutandola e appoggiandola. Almeno su di loro non si era sbagliata. Li vide allontanarsi, ma erano così pochi rispetto alla moltitudine dei presenti che il risultato fu una scena che ai suoi occhi apparve deprimente.

Queenie correva a perdifiato tra i corridoi che esplodevano in mille colori al suo passaggio. Era tremendamente stanca, correre e mantenere l'incantesimo contemporaneamente le prosciugava tutte le energie e sentiva che molto presto sarebbe crollata. Inciampò nel lungo strascico arcobaleno del suo vestito, si rialzò, riprese a correre. Era nei pressi dell'Albergo B; avrebbe dovuto girare alla larga da quell'area, ma non aveva saputo resistere. Delle fitte lancinanti le trafiggevano il fianco e iniziava a pentirsi di essersi proposta come diversivo. Quando pensava che non sarebbe potuta andare peggio, sentì dei passi dietro di lei. La inseguivano. Le faceva male respirare e i muscoli stavano iniziando a smettere di risponderle. Il suo inseguitore, al contrario, si avvicinava sempre di più.
E poi la prese.
La afferrò e la bloccò contro la parete, premendole una mano contro la bocca per evitare che potesse chiamare aiuto. Davanti a lei, Queenie non vide altro che il cremisi di un cappuccio abbassato, che non lasciava vedere che parte di un volto atteggiato in un ghigno compiaciuto.
— Ma che bel bocconcino che ho trovato — la figura incappucciata parlò in una vellutata voce femminile, poco più forte di un mormorio. — Maeve si divertirà tantissimo con te.
La Tacita passò sul volto di Queenie un'unghia lunga e appuntita, che lasciò sulla sua guancia un graffio. Queenie faceva sempre più fatica a respirare. Non aveva più la forza di lottare, riusciva solo a pensare al bambino. Forse Maeve avrebbe auto pietà almeno di lui.
— Ferma! Allontanati da lei!
Queenie riconobbe immediatamente la voce di Jacob e trattenne il respiro, divisa tra il timore che fosse catturato anche lui e un colpevole senso di sollievo. Ma Jacob non si era fatto cogliere impreparato: tra le mani stringeva la sua arma, la sua Sparacolpi, e la puntava contro la donna avvolta nel mantello cremisi. Un guizzo di paura attraversò gli occhi della Tacita mentre faceva un passo indietro. Queenie ne approfittò per svincolarsi dalla sua presa e puntare la bacchetta contro la donna, che ora si trovava in una posizione di netto svantaggio. All'improvviso fece uno scatto in avanti e tentò di aggredire Jacob a mani nude, ma lui sparò, colpendole il piede, e Queenie agì prontamente con un incantesimo che la immobilizzò. Mentre Queenie e Jacob fuggivano in direzioni opposte, i pensieri della Tacita furono invasi da una sofferenza insopportabile che si insinuò anche nella mente della Legilimens, provocandole un moto di pietà.
Fu in quell'esatto istante che tutto si fece buio.

Il dubbio si insinuò in Maeve, solo per un istante, ma lei si sforzò di scacciare ogni pensiero negativo. Si diresse verso il Centro di Controllo della Casa, celato in un luogo segreto che nemmeno i suoi collaboratori più stretti conoscevano. Le bastò armeggiare con una minuscola levetta e tutte le luci si spensero.
Vi piacciono i colori? Mi auguro che il nero sia il vostro preferito perché tocca a me fare la prossima mossa. Immaginò di dire, crogiolandosi nel pensiero delle espressioni spaventate degli intrusi, colti di sorpresa. Vediamo come ve la cavate a orientarvi al buio. Accendete pure le vostre bacchette magiche, se vi va, non farete che agevolare noi nel trovarvi e farvi pentire di essere entrati.
E la Casa del Silenzio, ormai totalmente buia, ripiombò nel silenzio che le era sempre appartenuto.

Newt era solo, circondato da un buio così fitto che se chiudeva gli occhi, non notava alcuna differenza. Il suo primo istinto fu quello di usare la sua bacchetta per fare luce, ma la sua mano restò immobile sull'impugnatura mentre faceva i conti con inquietanti pensieri riguardanti Taciti nascosti nel buio, in agguato, magari a pochi centimetri da lui, che attendevano solo che lui rivelasse la sua posizione per poterlo uccidere. Senza abbandonare del tutto la presa sulla sua bacchetta, cercò a tentoni la parete e continuò a camminare alla cieca, seguendo l'andamento del corridoio. Una soluzione provvisoria, ma per il momento poteva andare. Ben presto giunse alla fine del corridoio. Adesso sì che era incerto su dove andare, e il buio gli impediva di controllare la mappa della struttura. Pensò ai gufi, perfettamente in grado di vedere anche nella notte più oscura, e desiderò allora come non mai di avere quello stesso potere. Si fermò, folgorato da un'idea che sarebbe dovuta venirgli in mente molto prima: non poteva fare luce, ma chi gli impediva di acuire un po' la sua vista? Si portò la bacchetta agli occhi fin quasi a sfiorarli.
— Visibula noctambulus.
Gli occhi iniziarono a bruciargli e in un primo, terribile istante temette di aver sbagliato qualcosa, magari di aver perso definitivamente la vista, ma dopo qualche secondo l'incantesimo fece effetto. Sbatté le palpebre più volte per abituarsi a quella nuova, strana luce sotto la quale vedeva il mondo circostante: il buio era ancora fitto, ma i suoi occhi riuscivano a riconoscere distintamente ogni parte dell'ambiente in cui si trovava. Guardò la piantina del luogo, sulla quale era indicato il percorso che doveva seguire, e si accorse con un certo sollievo che riusciva persino a leggere. Indubbiamente, adesso era lui ad avere un vantaggio sui Taciti, costretti invece a brancolare al buio. Se avevano tentato di tendere una trappola a lui e agli altri, avevano finito piuttosto per intrappolarsi da soli.
Ma non voleva cantare vittoria troppo in fretta.
Quando giunse davanti alla porta della stanza che gli era stata assegnata era passato davvero troppo poco tempo. Si rese conto di non essere pronto. Lo sarebbe mai stato? Pensò di aspettare che l'effetto dell'incantesimo che permetteva ai suoi occhi di vedere si affievolisse, così forse si sarebbe risparmiato quella che di certo sarebbe stata l'immagine più spaventosa della sua vita. Ma non sarebbe stato giusto. Essere Magizoologo era la sua vocazione, salvare Creature Magiche in pericolo lo scopo della sua vita, un voto al quale non intendeva sottrarsi. Non voleva che fosse semplice, non voleva che lo lasciasse indifferente, voleva metterci tutta l'anima; non poteva rischiare di fare errori soltanto per la sua codardia. Lì dentro c'erano degli animali indifesi che avevano sofferto, e Newt cercò di vedere il fatto di soffrire insieme a loro come un dono. Le sue gambe tremanti non sembravano troppo d'accordo, ma d'altronde non sarebbe stato mai davvero pronto, realizzò, la sua ansia sarebbe solo aumentata, quindi a che pro aspettare?
Preoccupati e soffri due volte, pensò un attimo prima di aprire la porta.
Newt era in grado di riconoscere senza difficoltà qualsiasi Creatura semplicemente ascoltandone il verso; i suoni che lo investirono al suo ingresso nell'Albergo A - quello era il disgustoso nome di quel luogo infernale - gli parlavano di sofferenze indicibili e mutilazioni. Sentiva i lamenti dei Folletti della Cornovaglia, il ronzare frenetico dei Billywig, persino il lento trascinarsi di uno Streeler e uno zampettare convulso che era certo appartenesse a non meno di una decina di Chizpurfles. C'erano degli Asticelli, su questo non aveva alcun dubbio, e gli sembrò di sentire anche il verso di un Fiammagranchio.
Quando trovò il coraggio di posare lo sguardo sulle gabbie in fila davanti a lui vide esattamente le specie che aveva individuato attraverso l'udito, ma lo stato in cui versavano era ben oltre la sua immaginazione. Aveva visto tanti animali feriti e non aveva mai lasciato che questo gli impedisse di fare il suo lavoro, ma in quel momento si sentì come quel giorno in cui aveva trovato morti i suoi Asticelli. O il povero Bob.
Ad alcune Creature mancavano le zampe, ad altre era stato conficcato un ago nel petto, ancora vive ma sempre meno in grado di respirare. Alcune sostavano da qualche parte tra la vita e la morte, altre non ce l'avevano fatta. Ai Billywig erano state asportate le ali, che erano poi state conservate in dei vasetti esposti su una mensola; il Fiammagranchio era stato reso impotente e derubato di tutte le sue pietre; i Folletti della Cornovaglia non avevano più le orecchie; gli Steeler erano ridotti a una poltiglia schiacciata che riusciva a stento a tenersi insieme, i loro gusci ridotti in frantumi; gli Asticelli, chiusi in una teca di vetro temperato in modo che non ci fossero lucchetti da forzare, erano rinsecchiti e avevano perso quasi tutte le foglie. A tutti mancava almeno un occhio. Come poteva una persona essere capace anche solo di concepire simili crudeltà? Davvero Grindelwald era disposto a tanto pur di ottenere il potere?
Pickett, accoccolato nel taschino della sua camicia, emise uno strillo acuto e Newt seppe che stava piangendo. Si sedette in un angolo e prese delicatamente il suo Asticello tra le mani, facendo del suo meglio per consolarlo, sebbene lui stesso non fosse meno scosso.
— Lo so, lo so. Tutto ciò è terribile... ma noi siamo l'unica speranza che hanno. Possiamo fare la differenza, Pickett.
Pickett lo guardò e indugiò per un po' sul suo dito, poi smise di piangere e si avvicinò di nuovo alle gabbie, sforzandosi di osservarle senza cedere al dolore. Newt si alzò in piedi e lo affiancò.
— Sei pronto?
Pickett si arrampicò sulla prima gabbia e scambiò uno sguardo con Newt, poi iniziò ad aprire, uno dopo l'altro, tutti i lucchetti. Newt puntò la bacchetta contro la teca in cui erano intrappolati gli Asticelli e con un incantesimo la mandò in frantumi, poi prese a spalancare le porte di tutte le gabbie man mano che Pickett ne disinnescava i meccanismi di chiusura. Gli animali che riuscivano ancora a muoversi fuggirono al di fuori della stanza, alla ricerca disperata della loro libertà. Il Magizoologo cercò di aiutare quelle che versavano in condizioni più gravi, chiudendoli nella valigia sostitutiva che aveva portato con sé. Non era nemmeno lontanamente confortevole quanto quella che usava di solito e che era stato costretto a lasciare al circo, ma almeno aveva avuto il tempo di applicare un incantesimo di estensione irriconoscibile. Si assicurò più volte di non aver lasciato indietro nessuno e solo a quel punto, con immenso sollievo, uscì dall'Albergo A chiudendosi la porta alle spalle.

La Casa del Silenzio non era più tanto silenziosa quando le Creature furono liberate. Jacob si era introdotto nell'Albergo B e aveva liberato un chiassoso branco di Snasi, Mooncalf e Porlock; l'uomo dal nome lungo e difficile era riuscito ad aprire le gabbie dell'Albergo C, nel quale erano intrappolati i cavalli alati e gli Ippogrifi. Ora decine e decine di Creature magiche di tutte le razze correvano, volavano e strisciavano, secondo le possibilità che le loro membra martoriate e non più abituate al movimento consentivano, in tutta la struttura. Cercavano le uscite, desideravano la luce e non si preoccupavano di travolgere e aggredire qualsiasi Tacito incontrassero sul loro cammino, prendendosi finalmente la loro rivincita dopo mesi di sofferenze.
I diversivi erano stati veloci ad adattarsi alle nuove condizioni imposte dal buio pesto: accendevano e spegnevano a intermittenza le loro bacchette per attirare verso di loro l'attenzione dei Taciti, nella speranza di confonderli e guadagnare tempo per i loro compagni.
Solo Ophélie mancava all'appello, e questo a Martha non sfuggì. A Martha non sfuggiva mai niente.

Quando Opélie varcò la porta, tutto quello che riuscì a vedere fu un buio estremamente fitto. Non che fuori fosse tanto diverso.
— Colloportus — bloccò la porta in modo che nessuno potesse entrare, poi si tolse il mantello cremisi e, arrotolatolo, lo usò per coprire la fessura alla base della porta, così da bloccare il passaggio anche alla più sottile lama di luce traditrice. Solo a quel punto si concesse il lusso di lanciare un incantesimo per rischiarare l'ambiente e riuscire finalmente a guardarsi intorno. L'Albergo D era un enorme laboratorio dalle pareti bianche, costruito intorno a un'enorme vasca circolare. Addossati alle pareti troneggiavano imponenti cilindri trasparenti, all'interno dei quali galleggiavano degli esseri pallidi e immobili, non più umani e non ancora animali, come congelati a metà di una trasformazione. Davanti a ogni cilindro era posta una targa nera e lucida, gli eleganti caratteri d'argento recitavano: "Animagus", "Maledictus", "Lupi Mannari". C'erano persino semplici esseri umani nei quali erano state innestate parti di animali.
Senza esitare, la strega sollevò la bacchetta, visualizzando nella sua mente miliardi di particelle che si agitavano sempre più forte, e il liquido all'interno dei cilindri rispose immediatamente: iniziò a ribollire e ad espandersi, al punto che sentì il vetro dei cilindri scricchiolare. Proprio quando stava per andare in frantumi, Ophélie ruotò la bacchetta e il vetro si trasformò in acqua, e così fece anche il liquido contenuto nei cilindri, nel quale erano state bloccate le cavie di chissà quali terribili esperimenti. Raccolse l'acqua in una limpidissima sfera che portò verso l'alto, poi ne fece un sottile velo che coprì le pareti e il soffitto. 
Liberati dal liquido che li cristallizzava, gli Esseri intorno a lei furono come risvegliati da un lungo sonno e si precipitarono verso la porta, cercando di aprirla per uscire. Quelli che erano rimasti a metà tra la forma umana e quella animale completarono la loro trasformazione, gli altri, terrorizzati, cercavano senza successo di staccare corna, code e branchie che erano state malvagiamente innestate nei loro corpi. Delle Creature a metà tra umani e pesci si trascinarono fuori dalla vasca al centro della stanza, ormai quasi del tutto prosciugata.
Ophélie aveva completato la sua parte del piano, ora non doveva fare altro che aprire la porta e fuggire.
 Non fu la luce a tradirla.
Era in trappola dal momento stesso in cui era entrata in quella stanza.
Improvvisamente, sentì qualcuno parlare alle sue spalle: — Furba... ma non abbastanza.
Indietreggiò e si girò di scatto, trovandosi davanti a un Tacito particolarmente giovane e con una luce strana negli occhi verdi. Era lo sguardo del gatto che trova il topo che è appena caduto nella sua trappola e ancora si dimena, nella vana illusione di potersi liberare. Da quanto tempo quell'uomo era nella stanza? Doveva essere già lì al suo arrivo.
— Maeve mi ha chiesto di portarli in un luogo sicuro — si affrettò a dire Ophélie. Un tentativo tanto disperato quanto inutile, dato che stringeva ancora la sua bacchetta tra le mani: una strega non avrebbe mai potuto far parte dei Taciti, Saoirse era stata chiara su questo.
— Si dà il caso che abbia chiesto a me la stessa cosa — il Tacito la guardò con un sorriso divertito.
Istintivamente la strega lanciò un potente getto d'acqua contro l'uomo, ma lui non ne fu neppure sfiorato, come se si trovasse dietro a un muro invisibile: era protetto da una barriera magica, e una particolarmente potente, anche. La ragazza provò a fuggire verso la porta, ma il Tacito la afferrò, le strappò di mano la bacchetta e la spezzò, togliendole la possibilità di riaprire la porta e permettere agli Esseri che aveva liberato di lasciare la stanza. In quel momento il suo incantesimo si spezzò, e il velo d'acqua che scorreva sul soffitto e sulle pareti iniziò a venire giù in fitte gocce, come se stesse piovendo. La vasca si riempì di nuovo. Un Animagus in forma di corvo si tuffò in picchiata contro il Tacito e tentò di strappargli gli occhi, ma lui lo uccise con una facilità disarmante, il che scoraggiò qualsiasi tentativo di ribellione da parte di tutti gli altri.  Il Tacito tentò di attaccarla con un calcio, ma lei era veloce e riuscì a scansarlo, così come riuscì a difendersi dai colpi successivi. Sapeva però che non sarebbe durata a lungo: l'uomo sembrava instancabile ed era troppo veloce perché lei potesse anche solo pensare di contrattaccare; era agile, ma era allenata per la danza, non per la lotta.
All'improvviso, proprio quando la strega stava per ricevere un pugno in pieno viso che sentiva che non sarebbe riuscita a schivare, qualcuno bussò alla porta.
— Ophélie, apri la porta, sono io! — Martha. Era tornata a cercarla. Probabilmente tutti gli altri avevano già portato a termine la loro parte del piano.
Ophélie tentò di rispondere, ma questo fece soltanto infuriare ancora di più il Tacito che la scagliò contro la parete, accanto a uno scaffale sul quale erano esposti barattoli pieni di occhi, dita e chissà quali altri ingredienti ripugnanti. Prese un barattolo e lo lanciò contro il Tacito, riuscendo a colpirlo. Questo le diede il tempo di fare un ultimo tentativo, sebbene non nutrisse troppe speranze. Concentrò il suo sguardo e tutte le sue energie sulla porta e tentò di aprirla senza usare la bacchetta.
— Alohomora! — gridò.
Forse fu un miracolo, forse fu la forza della disperazione, ma la porta si sbloccò dall'interno quel poco che consentì a Martha di spalancarla ed entrare. Ophélie non perse tempo: corse verso Martha e la aiutò a far uscire ordinatamente tutti gli Esseri. Quelli in forma umana tentarono di ringraziarle, ma loro non ascoltarono neppure: non c'era tempo per la conversazione, dovevano andare via da lì. Nel frattempo, il Tacito si era rialzato e si stava lanciando contro le due ragazze. Martha gli puntò contro la bacchetta, non sapendo che non sarebbe servito a nulla. Il suo incantesimo andò a vuoto e il Tacito, inviolato, rispose con un sorriso e trascinò Ophélie, ormai troppo stanca per reagire, verso la vasca al centro della stanza. Martha cercò di aiutarla, ma appena provò ad avvicinarsi il Tacito la scaraventò con un solo braccio dall'altro lato dell'Albergo. Fu a quel punto che perse il controllo: qualcosa dentro di lei si ruppe e sentì il suo corpo restringersi sempre di più. Vide le sue braccia ritirarsi all'interno del torace e le sue gambe legarsi tra loro, mentre la sua pelle cambiava colore e diventava squamosa. Sentì un suono sibilante e capì che era lei a produrlo solo quando tentò, senza successo, di urlare. Le faceva male tutto, come se qualcuno stesse tentando di strapparle via la pelle.
Ophélie.
Il pensiero si fece strada nella sua mente annebbiata. Strisciò verso il Tacito e si avvolse intorno alle sue gambe, tentando di farlo cadere. Funzionò: l'uomo perse l'equilibrio e cadde nell'enorme vasca al centro della stanza.
Se avesse potuto, Martha avrebbe tirato un sospiro di sollievo. Ce l'abbiamo fatta, Ophélie! Forza, andiamo a casa. Sei stata bravissima, avrebbe detto.
Ma Ophélie non le avrebbe risposto: le mani del Tacito emersero all'improvviso dall'acqua e la afferrarono, trascinandola dentro prima che Martha potesse afferrarla.
Annegarono entrambi, l'Incantatrice delle Acque e l'assassino dagli occhi verdi.
La consapevolezza che ormai più nulla poteva cambiare il corso delle cose si fece strada in Martha, ma i suoi pensieri si rifiutavano di fronteggiare questa realtà. Non era nemmeno più sicura di averli, dei pensieri. Aveva la vista sfocata e si sentiva confusa, nulla le sembrava reale fino in fondo.
A Martha non era mai sfuggito niente prima. Ma c'è sempre una prima volta. E tra le tante cose che avrebbe potuto perdere, si era lasciata sfuggire proprio la sua amica.
Tentò di essere forte, di resistere, ma il mondo intorno a lei era come coperto da un velo scuro che si faceva sempre più spesso, finché non vide altro che un nero infinito. Fu allora che la sua mente, quella piccola parte della sua mente che era riuscita a tenere sotto controllo anche in forma di serpente, smise di risponderle.


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