Il dottore di paese

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Dalle facce confuse degli altri si capiva che quello che stava parlando era l'unico  a sapere francese. Un buon francese, scolastico, ma fluente, di chi è abituato a usarlo. Francine aveva sentito che era una lingua che i russi imparavano per diletto, per usarla nell'alta società.

"Sappiamo tutto quello che accade nei nostri boschi."

Era un uomo spaventato. Nonostante l'ampio vantaggio che aveva su di loro aveva paura, probabilmente non era abituato a maneggiare armi. Era, in effetti, l'unico  a non portarne. Francine provò a bluffare. "Se ci avete visti" disse "sapete anche cosa abbiamo."

"Anche i vostri uomini nella foresta hanno fucili puntati alla testa in questo momento."

Spaventato. Inesperto. Ma intelligente. Francine stentava a realizzare che la sua fuga fosse finita così in fretta, nella sua mente il finale era sempre una battaglia gloriosa in cui morire trafitta da una spada. Doveva essere stato quello a fregarla, essere incapace di immaginare un futuro senza spargimento di sangue. "Posso sapere il vostro nome?" chiese.

"Naturalmente. Dopo che avrete dichiarato il vostro."

Sarebbe stata prudenza negare la propria identità, ma lì lei contava quanto chiunque altro avessero potuto catturare. Tanto valeva rimanere a testa alta. "Sono il generale Francine Valery Santaroche."

"Generale." aprì leggermente più gli occhi il loro interlocutore. Figura raffinata, tratti sottili, naso a punta, baffi fini. Sangue blu? Forse. Ma l'atteggiamento di chi sa come muoversi per i salotti. "Sono il dottor Anton Pasternak."

"Dottore?"

"La cosa la stupisce?"

"Avete catturato una squadra di un esercito invasore, ma io vedo intorno a me una massa di contadini e ora lei si dichiara dottore. Dov'è l'esercito russo?"

"Il più lontano possibile da qui."

La rabbia con cui il dottor Pasternak pronunciò quella frase, facendola seguire a una serie di imprecazioni nella sua lingua d'origine, convinse Francine che forse c'era ancora una via d'uscita.  "L'esercito russo di Rasputin è il mio unico nemico. Non ho nulla contro la vostra gente. Per quello che mi riguarda la Russia è in mano a un monaco pazzo usurpatore."

"Lo zar ci dicono sia in ottima salute" rispose Pasternak, ma i suoi baffetti erano incurvati di ironia "e di certo non accetto lezioni di politica da chi si presenta a casa mia armato per rubare."

"Dovete scusarmi. Come militare ho dimestichezza a parlare solo con i militari."

Il dottore diede ordini ai suoi, ordini che Francine non capì. I contadini si strinsero intorno a lei e all'altro soldato e gli legarono i polsi dietro la schiena, dando idea di volerli guidare da qualche parte. "Stai tranquillo." si limitò a dire lei, rivolta al suo compagno di sventura. "Qualunque cosa succeda non ti opporre a questa gente." L'altro non rispose, terrorizzato. Nuovamente si sentì in colpa di averlo dovuto trascinare in quella disavventura.

Li portarono alla chiesa del paese, forse solo perché era uno degli edifici più grandi a disposizione. Quando li trascinarono dentro un grasso pope venne a lamentarsi, ma il dottore lo ricacciò subito indietro. Il battistero della chiesa era un'ampia alcova chiusa da un cancello di ferro. Nella vasca non c'era acqua così ve li appoggiarono dentro.

"Vi raggiungeranno i vostri amici, molto presto." annunciò Pasternak. Teneva ancora il tono di voce sostenuto, nonostante fosse in chiesa. La religione non doveva incutergli alcun timore.

"E dopo?" chiese Francine. Nemmeno lei aveva paura delle chiese, non dopo tutto quello che aveva affrontato.

"Dopo cercheremo di parlare come persone civili."


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