Intrappolato nell'abitacolo

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Vanjan fu svegliato dal rumore di lamiere che venivano piegate e capì subito che non era un buon segno. Non era la prima volta che riprendeva conoscenza da quando il suo myrmidon era stato schiantato, ma finalmente aveva recuperato anche lucidità. Si guardò intorno: il portello dell'abitacolo era rientrato, probabilmente non per un colpo diretto, ma mentre il gigante cadeva, e così si era aperto uno spiraglio da cui entrava la luce. Questo gli permise di stabilire che era tutto intero, visto che non vedeva ferite vistose o sangue, e che si trovava praticamente a testa in giù, appeso per le cinghie che lo legavano al sedile.

Con cautela aprì le cinghie e così facendo scivolò col sedere direttamente sui comandi dell'ORL. Dovette stare attendo a non finire con la caviglia incastrata tra le leve. Sebbene non stesse male i muscoli gli facevano tutti male e ogni movimento era una sofferenza. Provò ad aggrapparsi al fianco dell'abitacolo per trovare una posizione più comoda, ma anche solo stringere le dita gli diede una fitta lancinante che lo costrinse a mollare la presa. Alla fine riuscì a rimettersi sul sedile, incastrandosi tra i braccioli.

La percentuale di piloti che sopravvive allo schianto del proprio gigante di ferro è sorprendentemente alta ed è cresciuta nel tempo, mano a mano che ingegneri come Valerius creavano abitacoli più resistenti. Abbattere un myrmidon voleva dire molte cose, spesso bastava spezzargli le gambe, altre volte aprirgli i serbatoi. L'ignitium e il vapore pesante, per loro stessa natura, esplodevano raramente, molto più facilmente si disperdevano appena si trovavano all'aria aperta trasformando la macchina in un pezzo di ferro su cui i nemici non avevano ragione di infierire. Certo, non si poteva stare tranquilli, Vanjan stesso aveva perso molti compagni che erano stati stritolati nel ventre del loro stesso mezzo da combattimento o dilaniari quando questi erano stati coinvolti in una qualche esplosione. Persino Francine Valery Santaroche, per arrivare dove era arrivata, era dovuta sopravvivere al rogo della sua macchina.

Avere salva la vita durante il combattimento, però, non era garanzia di sopravvivenza. Il fatto che il portellone del proprio myrmidon si aprisse ancora dopo la sconfitta era un'evenzienza rara e piuttosto fortunata, molto spesso i giganti di ferro diventavano delle vere e proprie prigioni. Era diventata però pratica comune, dopo la battaglia, attraversare il campo per liberare tutti i piloti incastrati. Come spesso succedeva in queste attività di soccorso, tra nemici, non ci si ostacolava mai in queste pratiche anzi, spesso ci si ritrovava a vagare assieme, fianco a fianco, ognuno preoccupato per i propri compagni.

Quello, ovviamente, non era il caso. Quando Vanjan era caduto era già chiaro che stavano perdendo la battaglia e che le macchine dei loro nemici stavano trionfando. Aveva chiamato lui stesso la ritirata e sperava che i suoi uomini, in gran parte, ce l'avessero fatta. Non si aspettava però che tornassero sul campo di battaglia a recuperarlo. Quella era un'attività per i vincitori.

Nuovamente lo stridere di una lamiera piegata. Vanjan si contorse fino a recuperare la pistola che aveva nella sua tuta. Questa volta il rumore era stato molto vicino. Era possibile che loro si occupassero solo di recuperare i loro compagni e lo lasciassero in pace? Potevano realmente salvare i soldati del loro esercito? Vanjan sapeva che i myrmidon nemici erano guidati da rettiliani e che i rettiliani non potevano vivere molto a lungo all'aria aperta. Per loro, quindi, la battaglia era un rischio duplice: venire uccisi alla distruzione del proprio myrmidon o morire più lentamente una volta che il suo supporto vitale smetteva di tenere lontano il veleno dell'atmosfera.

Qualcosa si infilò nella fessura dell'abitacolo, cacciando Vanjan nelle tenebre più complete. Ebbe un sobbalzo, ma con prontezza spianò la sua arma. Quando la lamiera cominciò a piegarsi notò che chiunque stava svellendo il suo portello lo stava facendo a mani nude: artigli callosi stringevano il metallo, braccia facevano leva per piegarlo. Quando il sole lo colpì direttamente si trovò davanti a due mostruose creature squamose grosse come bufali, vagamente umanoidi, che concluso il loro compito stavano in attesa, ebeti, con le lunghe braccia che toccavano il suolo. In mezzo a loro una figura più snella, dalle proporzioni più gentili, ma comunque aliena.

"Il comandante nemico." disse, in buon francese.

Vanjan gli puntò contro la pistola. "Pronto a prendermi l'ultima rivincita."

Una delle creature mostruose gli si mise davanti. Gli occhi erano quasi vitrei, non sembrava aver paura dell'arma. Vanjan stesso non credeva che i suoi proiettili potessero trapassare la sua pelle squamosa.

"Accettate di essere mio prigioniero." disse la figura snella "C'è ancora molto, in questa guerra, da vedere."

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