La corte di Germania

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Era giusto che, in tanto caos, qualcosa tornasse all'antico ordine. La corte della regina Anna aveva cercato di ritrovare la sua identità: i protocolli erano stati ridisegnati, i lacché erano stati vestiti e addestrati, le minuzie dei rituali del potere erano tornate in auge. In un mondo che andava consumandosi, marcendo forse, la regina Anna aveva ripreso in pugno il potere in tutte le sue forme, indossando con orgoglio la corona sotto cui il suo defunto Kaiser aveva riunito la nazione.

Niente più cavalieri teutonici, niente più simboli discutibili e antichi culti. Guglielmo Quasinotte aveva sfilato l'anello col simbolo della congregazione a Wilhelm Haruden dopo averlo ucciso e aveva fatto sì che tornasse a Berlino, ma lì non era stato più dato a nessuno. Chiuso in uno scrigno giaceva tra i gioielli della corona, sigillato perché nessuno potesse più reclamarlo.

La grande aeronave di Valerius fluttuava a poche centinaia di metri dal palazzo reale, immobile. La tecnologia che le permetteva di stare sospesa era ancora qualcosa ben oltre la capacità degli uomini, misteriosa, ma pareva capace di mantenerla lì fino alla fine dei giorni. Molti notarono che, qualunque cosa si pensasse, quella specie di enorme nembo di ferro era una minaccia, anche quando veniva in pace. La sua forma spigolosa e affilata aveva lo stesso effetto del volto dei myrmidon, raccontava in ogni caso la guerra.

Non tutti i passeggeri erano scesi, non ce n'era bisogno. Valerius metteva quel giorno per la prima volta piede alla corte della regina, mentre Francine rinverdiva dei momenti terribili del suo recente passato. Paradossalmente invece sia Francesco Pupo Torvergata sia il conte Bismark erano di casa, i due opposti che avevano finito per combaciare per posizione e intenti. Ligi ai ricostituiti protocolli non entrarono nella sala del trono assieme agli altri due, ma si fecero trovare ai lati della regina, quali parte della sua corte.

"Avevo già avuto modo di vedere" disse la monarca, dopo che i rituali di accoglienza furono esauriti "ma avere dal vivo la vostra macchina, Valerius, mette addosso una forte inquietudine"

"E' l'inquietudine della guerra" rispose lui, lapidario.

La regina aveva toccato la mente di entrambi e sapeva quanto entrambi fossero infastiditi dai suoi poteri. Sorrise all'imbarazzo che leggeva nei loro corpi. "Non c'è bisogno che ci dilunghiamo in trattative, so che avete già pianificato tutto insieme al mio buon conte Bismark, che è stato i miei occhi e le mie orecchie negli ultimi giorni. Purtroppo avete chiesto myrmidon Konsole e piloti validi, ma ormai mi è rimasto poco di entrambi. Vi daremo il possibile."

"Non conosciamo l'entità delle forze rimaste a disposizione dello zar" intervenne Francine "per cui abbiamo bisogno di tutto l'aiuto che riuscirete a darci"

"In realtà" puntualizzò Francesco Pupo, cupo. "Non è nemmeno più possibile capire chi sia lo zar. Oleg è caduto oggi, ma ormai da settimane nessuno vede un Romanov a Mosca. Il potere russo si nasconde dietro maschere e giochi d'ombra"

"E' rimasto solo Rasputin" sentenziò Valerius.

"Come fate a esserne sicuro?"

"E' così che si comportano loro."

Non sembrava mai possibile aggiungere nulla quando Valerius parlava perché la sua voce mancava d'incertezza. E, in qualche modo, era sempre meno umana.

"Andrai con loro, prete?" la regina sembrava quasi divertita a punzecchiare Francesco Pupo.

"Lascerò la tua corte per imbarcarmi su quella macchina infernale, sì" rispose l'inquisitore, con voce roca "ma non andrò a Mosca. E' giunta l'ora di chiudere un'altra partita"

Nessuno si aspettava quella risposta. Valerius, per la prima volta, posò gli occhi sul religioso. "Quale partita?"

"Avignone. Canterbury... ricordi questi nomi, Valerius? Tu ti sei impegnato a dar loro la caccia"

Era stato un'altro uomo. In un'altra vita. In un altro mondo. Valerius annuì.

"Ne manca uno."

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