La livrea rovinata

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Bismark mancò un gradino della scaletta e per poco non caddé giù. Solo all'ultimo trovò la forza di afferrarsi per mantenere l'equilibrio. Era un modo stupido di farsi del male, dopo aver affrontato la battaglia, ma ci era andato vicino. Cominciava a essere troppo stanco.

Il blasone che in un momento di arroganza aveva disegnato sul suo gigante di ferro non si vedeva quasi più. I colpi dei nemici e le riparazioni degli ingegneri avevano quasi cancellato la vernice originale e ovviamente nessuno si era preso il disturbo di ritoccarla. Il suo mezzo, quindi, anche più degli altri, sembrava una bestia ferita coperta di cicatrici, stanco quasi quanto lui. I mutanti, sapeva, tendevano meno degli altri piloti a dare una personalità alle proprie macchine, non potevano provare empatia per loro perché erano troppe le sensazioni che mancavano per riuscirci. Loro sapevano di avere davanti un pezzo di ferro in molti più modi di quanto poteva saperlo una persona normale e questo li rendeva spietati. Nonostante questo lui sentiva di dover tributare rispetto a quel pezzo di ferro, come lo aveva tributato a fortezze e città. Quel myrmidon era un simbolo di quello che stavano facendo, una reliquia, come Gramr, la spada sacra di Sigfrido della mitologia. Non era solo metallo. Vederlo ridotto in quelle condizioni gli metteva addosso una lieve angoscia.

Concentrato com'era nel discendere gli ultimi gradini della scaletta senza sfracellarsi non si accorse della figura che si era avvicinata. Non si accorse con nessuno dei suoi poteri. Stanco. Troppo stanco.

"Quindi avete deciso di non andarla a prendere."

Nessuno in tutto l'esercito tedesco si rivolgeva così al Conte Bismark, ormai il suo mito aveva reso i soldati devoti in un modo quasi morboso, inquietante, come se cercassero di sostituire la demoniaca presenza di Wilhelm Haruden. I soldati degli altri eserciti, invece, non si rivolgevano al Conte Bismark e basta, troppo spaventati per farlo.  Purtroppo c'era una persona che, per il suo ruolo, aveva accesso costante agli hangar dell'aeronave senza appartenere agli ordinamenti militari.

"Non è mai stato in discussione." rispose.

Arcadio Martellone non aveva più la forza di mantenere costantemente la sua maschera gioviale. Sempre più lungamente il suo volto appariva contrito. Manteneva con Valerius una distanza che si sarebbe detta fin troppo cauta, ma era quando parlava di Francine che perdeva completamente razionalità.

"Mai stato in discussione?" chiese, con rabbia.

"L'esercito russo è sparso intorno a noi. Ci tendono costantemente agguati. L'aeronave è già stata vittima di due bombardamenti in cui ha riportato danni. Ci prendiamo la terra metro su metro. Credete che possiamo veramente operare una deviazione per andarla a recuperare?"

"Voi avete bisogno di lei."

"Non fate finta che la vostra sia una considerazione strategica, ingegnere, non con me."

Bismark per primo avrebbe voluto Francine al suo fianco. Il comandante che la stava sostituendo in quel momento era bravo, ma non era un suo pari, gli aveva lasciato completamente il comando. E, come tutti gli altri, aveva paura di lui. C'erano infinite possibilità che non poteva sfruttare in quelle condizioni. Quello che aveva detto però era vero, la rotta era stata tracciata verso il loro obiettivo, verso Mosca. Se la vittoria sull'esercito russo fosse stata definitiva avrebbero potuto anche deviare, la terra sarebbe stata loro, ma così non era stato. I russi avevano semplicemente cambiato strategia, decidendo di logorarli nel loro percorso. Ogni passo lontano dalla loro meta era un ulteriore tributo di sangue. Un giorno in meno prima dell'inverno.

"Quindi cosa..."

"Il generale Santaroche è vivo." C'era stato un orribile momento in cui non erano riusciti a stabilire nemmeno quello, in cui Krun non era riuscito a comunicare con lui. Allora sì che lo smarrimento li aveva quasi distrutti. "Sappiamo tutti e due che si muoverà verso Mosca esattamente come stiamo facendo noi. Continuerà a combattere la sua guerra."

"Voi avete bisogno di lei."

Fragile. Martellone era divenuto troppo fragile. E ora non aveva nemmeno quel maledetto prete con cui sfogarsi. Bismark gettò uno sguardo alla corazza martoriata del suo myrmidon. "Abbiamo bisogno di molte cose."

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