Le insidie di Mosca

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La struttura di metallo era poco più di una gabbia e dava l'impressione di essere insospettabilmente fragile. Il cannone che era issato su di essa piccolo. Agli occhi di un uomo che mai aveva toccato da vicino la guerra come Francesco pareva assurdo che una cosa così insignificante in realtà spostasse gli equilibri del conflitto.

"Abbiamo guardato abbastanza, meglio rientrare." sussurrò Ardiante. Esistevano momenti in cui il fatto che un prete camminasse per Mosca poteva essere considerato lecito, ma il mercenario aveva tenuto conto di quanti sguardi gli avevano lanciato le guardie dello Zar e cominciavano a essere troppi. La gita a vedere l'esercito dei rettiliani fuori città era stata più rischiosa perché in quel caso sarebbe bastato inciampare in una singola pattuglia per essere catturati, ma quelle esplorazioni cittadine lo inquietavano maggiormente perché mettevano in campo più variabili.

Francesco Pupo Torvergata, invece, era tranquillo come sempre, abituato a mettere la testa fra le fauci del leone come continua riconferma della sua fede. Forse le sue capacità gli permettevano anche di conoscere in anticipo cosa le guardie di Rasputin pensassero di lui quando lo vedevano, ma se era così non dava mai indicazioni a riguardo. "Dobbiamo riferire anche questo. La città è costellata di postazioni anti-aeree. Stanno aspettando l'aeronave. Questo luogo è ancora più letale dei Tunguska."

"Per riferire dobbiamo essere ancora liberi! Torniamo verso la chiesa."

Non si erano potuto avvicinare molto, la postazione antiaerea si distingueva perfettamente perché era leggermente più alta delle case, ma loro si erano tenuti precauzionalmente a distanza. Francesco aveva cercato di fare un rudimentale conto, non potevano essere più di qualche decina di armi, ma loro erano un bersaglio solo, quindi sarebbero bastate. "Seguimi." ordinò.

"Ancora in giro! Stiamo rischiando troppo!"

La monarchia di Mosca era più arretrata delle monarchie europee presso cui Francesco Pupo si era trovato a operare e non era devota a Santa Madre Chiesa di Roma. Il popolo russo, lontano dalla piaga mutante, non aveva mai chiesto l'aiuto dell'inquisizione e aveva lasciato che la sua anima rimanesse rinchiusa in una tela fitta di bigottismo e superstizione, i cui fili venivano tirati dai Romanov con cinismo e senza il minimo timor di Dio. Poteva sentire l'odore della vacuità dei suoi simboli sacri. Per questo guardò dall'alto in basso la nuova chiesa dove portò Ardiante, attraversando con passo sicuro i quartieri poveri della città.

"Dove stiamo andando?" chiese lo spagnolo, nervoso.

"Il tuo lavoro è seguirmi, finché ti rendo il compito semplice non devo dirti altro."

"Il mio lavoro è impedire che ci facciano la pelle."

Prima che potessero arrivare all'ingresso della chiesa tre monaci spuntarono dai vicoli intorno, sai neri, cappucci calati, e andarono a circondare l'inquisitore e lo spadaccino. Non emanavano nessuna devozione, solo pericolo.

"Quale ridicola carnevalata." commentò Francesco.

I monaci li spinsero verso la chiesa. "Tutti i tuoi simboli lo sono. A noi vengono solo comodo."

"Se i soldati dello zar fossero meno stupidi, con questi stracci sareste già tutti morti."

Senza dire niente di più, i monaci li portarono davanti a un'icona in legno dorato della natività e lì li fecero inginocchiare. Loro erano in mezzo mentre gli uomini nel saio ai loro lati. Si capiva a stento da dove proveniva la voce, ma era sempre lo stesso a parlare. "Tutto quello che ci hai detto lo sappiamo già. Sappiamo che arriverà l'aeronave e le forze di Rasputin combatteranno in nome di uno zar che non c'è più. Quindi cosa puoi darci veramente."

"La vostra stupida rivoluzione eccita i contadini, ma sappiamo perfettamente che morirà se Mosca rimarrà intatta. Non avete la minima possibilità di sollevare le folle qui, i rettiliani vi eliminerebbero prima, l'unica vostra speranza è che Valerius vinca."

"Valerius non riconosce i valori della rivoluzione."

"A Valerius non importa chi siede sul trono. A permesso sia l'ascesa che la caduta di re Gregoire secondo la sua necessità. Quando tutto sarà finito farete di questa nazione quello che volete."

"Quindi tu parli a nome di Valerius?"

"Meglio." Francesco Pupo ghignò, con la sicurezza che gli conferiva la devozione assoluta in Dio e nei suoi poteri. "Io parlo a nome della sua coscienza."


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