Le mura di Praga

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Francesco Pupo Torvergata troneggiava davanti alle due guardie sventolando i documenti che certificavano chi fosse e da chi venisse l'autorità di cui era ammantato. Erano tutte carte con il sigillo di Alfredo Colonna, un cardinale morto, ma finché nessuno gliele avesse strappate via avrebbero avuto il valore di chiamare Santa Romana Chiesa alle sue spalle, con tutto quello che comportava. Le guardie, per la terza volta, tornarono verso le loro guardiole.

"Praga non è una fortezza, ci sono mille modi di entrare" si lamentava Guglielmo Quasinotte alle sue spalle. Sia lui che Arcadio si mantenevano alcuni passi indietro e rispetto all'autorità ostentata dal prete sembravano due straccioni. Beh, considerando che nessuno aveva mai firmato fogli per loro erano due straccioni.

"Praga non è una fortezza, ma i suoi cancelli sono chiusi" spiegò Francesco Pupo "e il modo migliore per scoprire perché è farseli aprire"

"Questo è ancora un mondo in guerra, prete" notò tranquillamente Arcadio.

L'inquisitore aveva certamente qualche altra battuta acida, ma in quel momento le guardie tornarono, si scusarono con lui e lo fecero passare assieme ai suoi due "segretari particolari". L'inquisizione mise quindi ufficialmente piede a Praga, come estensione del potere del Vaticano e di Roma. Niente male per una missione che doveva essere segreta.

Superare le porte della città fu come entrare in un altro mondo. Nel loro viaggio verso est avevano affrontato le più cupe ombre che la guerra aveva gettato sull'Europa. Avevano superato villaggi completamente annientati, città vuote, sparuti gruppi di persone che vagavano senza sapere cosa fare. Contadini paralizzati a fissare campi che non avrebbero dato più frutto, lavoratori senza più un posto dove andare a lavorare.

Praga, invece, sembrava fuori dal tempo, la città era completamente intatta, le persone felici. I negozi traboccavano di prodotti come nella migliore stagione e tutte le botteghe erano in pieno fermento.

"Questo spiega perché le porte sono chiuse" sentenziò Francesco Pupo.

"Hanno difeso Praga dalla guerra?" chiese Arcadio.

"No, la difendono ora dalla povertà"

Anche Guglielmo sentiva che c'era qualcosa che non andava. Le guardie della città, onnipresenti, non sembravano portare le insegne di nessun regno, l'autorità non sembrava battere nessuna bandiera. Tuttavia l'ordine era tale che qualcuno doveva essere al comando.

"Non ci sono mutanti" continuò la sua fredda analisi l'inquisitore "il che è piuttosto strano, considerando che quest'area ne aveva una certa popolazione"

A un certo punto i tre agenti di Valerius dovettero fermarsi. In modo quasi casuale le guardie avevano formato un muro davanti a loro, impedendogli di avanzare. Anche la popolazione, che fino a quel momento li aveva ignorati, cominciò a volgere lo sguardo su di loro così che d'improvviso sembrò che tutta la città gli stesse dando attenzione. Si irrigidirono, ma rimasero immobili, sentendo nell'aria che stava per accadere qualcosa. Poi le guardie si aprirono e venne verso di loro un uomo dalla faccia affilata, barba a punta, sorriso gentile. Aveva i capelli grigi, ma non sembrava molto vecchio. Indossava anche lui insegne ignote.  "Temevo che l'uomo di Santa Romana Chiesa non sapesse dove andare dopo essere entrato in città" si scusò.

Francesco Pupo tenne la guardia ben alta "Di norma, gli uomini di Santa Romana Chiesa si rifugiano nelle chiese"

Quello ridacchiò. "Ma un emissario Vaticano vorrà che siano rispettati certi protocolli."

"Benissimo, posso sapere chi li sta rispettando?"

L'uomo si inchinò profondamente, con grande scena, come se l'intera città fosse una sorta di teatro. "Sono il Duca Harshel e temo di essere la massima autorità che possa concedersi Praga oggi. Permettetemi di guidarvi al mio palazzo."

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