Il banchetto

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La dimora del duca Harshel sembrava antica e nuova allo stesso tempo. Era un palazzo al centro della città, il che indicava che esisteva da molto tempo, ma era stato rinnovato di fresco recentemente, tutte le sue mura ridipinte, tutti i suoi mobili risistemati. Francesco Pupo aveva spesso avuto a che fare con famiglie dalla lunga storia e sapeva bene cosa voleva dire consumare una dimora di generazione in generazione. Nessuno di quei segni era presente nel palazzo Harshel sebbene i quadri alle pareti facessero risalire la sua gente a tre-quattro secoli prima.

"Questa città" disse l'inquisitore mentre attraversava i corridoi "è molto diversa dalle altre che abbiamo visitato." Era l'unico a parlare, sia Arcadio che Guglielmo si guardavano intorno circospetti, senza dire nulla.

"Questa città lotta contro la fame e la guerra come tutte le altre, solo che sta vincendo."

Erano arrivati a un salone con una tavola imbandita. Nell'Europa che subiva la carestia lì vi era da mangiare per un esercito.

"Prego, accomodatevi."

Si sedettero, ma si limitarono a guardare il cibo senza toccarlo. Tutti e tre, nelle loro diverse discipline, avevano appreso i segreti dei veleni. Il duca sorrise della loro ingenuità e batté le mani. Da una porta laterale della sala entrarono due dozzine di persone, uomini, donne e bambini, persone del popolo, affascinate dagli stucchi e dallo sfarzo del palazzo. Si accomodarono sui numerosi sedili intorno alla tavola e, esortati dal loro ospite, cominciarono a servirsi. I tre ospiti francesi continuavano a guardare.

"Diffidate ancora?" disse il duca.

"Abbiamo incontrato molte mostruosità in questi anni" ammise Guglielmo, fissando un bambino che si riempiva il piatto di pasticcio di carne.

Il Duca si sedette a sua volta e cominciò a servirsi. "Capisco che Praga vi spaventi, ma io non ho niente contro di voi. Siete così in tensione perché avete voi qualcosa contro di me?"

Cautamente, anche Francesco Pupo cominciò a prendere delle verdure. Pur essendo abituato al digiuno da lunga disciplina il suo stomaco aveva preso a tormentarlo, nel vedere la tavola. "Stiamo cercando un uomo. Ma non ne conosciamo il nome e non ne conosciamo il volto. Sappiamo solo che è stato capace di grandi prodigi e macchinazioni. Sarebbe capace" agitò la mano sulla tavola "di qualcosa del genere."

Il Duca continuava ad apparire divertito. "E come potete andare contro un uomo capace di tali cose? Come pensate che reagirà la gente di Praga se gli toglierete tutto questo?"

"Quell'uomo è il motivo per cui la gente di Praga e di tutta Europa sta soffrendo."

"Per quello, prete, ho una lunga lista di nomi e in cima c'è Valerius Demoire"

Guglielmo si alzò in piedi di scatto e indietreggiò, allontanandosi dal tavolo. Con il suo istinto di assassino si guardò intorno, cercando di capire da dove sarebbe arrivato l'attacco. In realtà incrociò solo lo sguardo stupito di cittadini intenti a mangiare.

"Qual è il vostro problema, Guglielmo Quasinotte?" chiese Harshel "Credevate non sapessi chi eravate? Certo che lo so eppure sedete alla mia tavola. Così funzionano le cose a Praga e di certo questo dà fastidio ai tuoi padroni ebbri di sangue e violenza. Potresti ammettere che è questo a spaventarti, un mondo in cui un assassino non è di nessuna utilità."

"Da dove viene la ricchezza di Praga, duca?" chiese Francesco Pupo alzandosi a sua volta, usando il tono dell'inquisitore, la domanda a cui si poteva rispondere solo con la confessione del peccato.

Vi era un bambino di non più di dodici anni seduto accanto a lui. Mangiava, come gli altri, ma con gli occhi fissi sulla sua tonaca, come se ne fosse magicamente attratto. Quando la domanda fu posta si sentì in dovere di rispondere. "Da sotto." disse, innocentemente.

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