Mundus est unus

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'Sotto' non era una parola che potesse essere usata con leggerezza in presenza di persone come Arcadio Martellone, Guglielmo Quasinotte e Francesco Pupo Torvergata. Tutti e tre dedicarono uno sguardo al bambino che l'aveva pronunciata e poi lo rivolsero nuovamente al Duca Harshel, che osservava impassibile.

"Sappiamo tutti cosa viene dal sottosuolo, Duca" lo accusò il prete.

"Così dite" rispose lui "tuttavia non ci siete mai stati."

Guglielmo si alzò in piedi così di scatto che l'intera sala si mise a tacere. "Avete dunque intenzione di mostrarcelo?"

Niente sembrava turbare la serenità del loro ospite. "Avete finito di rifocillarvi?"

Anche Arcadio e Francesco si alzarono.

"Venite con me."

Qualunque cosa fosse, il palazzo del Duca Harshel gli era stato costruito sopra. Non uscirono all'aperto nella città di Praga, si limitarono a prendere una scala stretta che rimaneva nel palazzo e scendeva fin dove, nonostante fosse giorno, cominciarono ad aver bisogno di torce. Se lo scopo del Duca era ucciderli, ancor meglio del veleno avrebbe fatto trascinarli in un posto del genere e tendergli un'imboscata, ma nonostante questo i tre uomini non sentivano di dover temere per la loro vita. Quello a cui stavano assistendo sembrava servire altri scopi.

"Comincia da qui." annunciò il Duca. Si trovavano nelle cantine del palazzo, davanti a una parete di solida roccia. Nella parete era aperto un tunnel i cui bordi erano così netti e rifilati che dovevano essere stati per forza scavati da una qualche mano. L'imbocco del tunnel era scolpito come una porta, sui due lati si alzavano due figure, una innegabilmente umana, l'altra diversa, dai tratti più affilati, la cui pelle era stata resa dallo scalpello come un intrico di rame. Sopra la porta un cartiglio: 'mundus est unus'.

"Il mondo è uno" lesse Francesco. Come tutti i preti provava un certo fascino per la parola scritta.

"Se scendete" annunciò il duca "vi prometto che non vi verrà fatto alcun male, ma non posso darvi altra garanzia che la mia parola."

"Non vi è più parola che valga a questo mondo." disse Guglielmo.

Arcadio venne avanti, sentendosi per la prima volta chiamato in causa. Non il crocifisso e non il pugnale contavano a quel punto, ma il compasso, perché quella che annunciava il Duca Harshel era un'avventura scientifica, un balzo verso l'ignoto, campo in cui lui era responsabile. "Al diavolo" annunciò "se volete voi signori potete anche andare via. Se qui hanno deciso di ammazzarci perderete solo me, che ormai mi considero ampiamente sostituibile nei nostri intenti. Fatto sta però che io ho intenzione di scendere."

"Quanto sei melodrammatico" disse Francesco Pupo, andando al suo fianco "ma non hai capito una cosa importante: siamo tutti sostituibili ormai, tant'è che Valerius non esiterà a partire senza di noi. Quindi è questo il posto dove dobbiamo andare."

Guglielmo non disse nulla, fece solo si che Harshel vedesse bene il coltello che aveva alla cintura, solo una delle numerose armi che aveva addosso e che nessuna perquisizione avrebbe trovato.

Poco dentro il tunnel cominciava una nuova scala, ancora più stretta della precedente, antica, scavata direttamente nella roccia. Centimetro per centimetro lo scalpellino era sceso nelle viscere della terra. O ne era risalito?

"Seguitemi." disse il Duca facendosi strada con la torcia "Non ho intenzione di dirvi che ciò che vedrete ha dell'incredibile perché so che avete già avuto modo di vedere molte cose, ma vi chiedo di avere cautela nell'avvicinarvi a questi prodigi."

"Cautela certo!" Sbottò Arcadio, impaziente, mettendosi subito in coda al Duca. Dei tre era il meno agile e il meno adatto a sforzi e il suo equilibrio, gradino dopo gradino era incerto. Doveva sovente appoggiare le mani alla nuda roccia per non cadere. "Per chi ci ha preso?"

Harshel sorrise amaramente, illuminato dal fuoco. "Per gente che negli ultimi anni non ha fatto altro che uccidere."

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