Lo sbarco

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

"Fuoco d'artiglieria." annunciò Bagatto. Mosca era ancora un'ombra scura all'orizzonte, un profilo frastagliato di punte aguzze come denti. Sotto di loro, invece, ancora il suolo ormai indurito dai primi freddi della Russia, il velo in cui la città si era avvolta, cercando protezione.

"Virare a nord, tenersi fuori dalla portata." ordinò Valerius.

Sul ponte di comando Caleb e Arcadio, ai due lati della poltrona del capitano, lo osservavano. In quel momento delicato sapevano di non poter dire nulla per non intralciare le operazioni. Bismark invece era già nel ventre del vascello, a gestire le squadre di Myrmidon.

"Valutata una rotta per rimanere fuori dal raggio d'azione dell'artiglieria." obbedì Bagatto. La plancia si inclinò leggermente sulla virata.

"Il prete aveva detto che avrebbe fatto qualcosa." mormorò Caleb.

"Per quanto possa essere temuto Francesco Pupo Torvergata non credo possa disarmare un'intera città con la sua fede in Dio." rispose rapido Valerius.

"Non vedo squadre di Tunguska Atlas." notò invece Arcadio. Incapace di rimanere ad assistere impotente si era messo a una console, da cui osservava tutti i sensori che il vascello metteva a disposizione. Nelle curve nere e verdi che vedeva nei globi di vetro la sua mente riusciva rapidamente da intuire quello che si stendeva sul campo di battaglia intorno a loro.

Valerius però aveva una risposta anche per quello. Valerius, nonostante il momento critico, sembrava avere una risposta per tutto. "Non hanno più intenzione di darci la caccia e non ne hanno bisogno. Siamo noi che dobbiamo andare da loro."

Una voce diversa gracchiò dagli altoparlanti elettronici, il tono freddo di Bismark. "Pronti a intervenire."

Valerius si alzò in piedi. I suoi movimenti erano ancora freddi e misurati, ma un occhio attento avrebbe notato che tremava. Tutte le sue membra sembravano sul punto di cedere alla grande emozione che lo pervadeva. Nemmeno quando aveva deciso di affrontare l'esercito dei Tunguska aveva sentito quella intensa emozione. Mosca non era solo il nuovo obiettivo, Mosca era una città, era vita, era un popolo ed era anche il mostruoso colosso che rappresentava l'ultimo campione dei suoi nemici. Era come se vedesse degli occhi fiammeggianti nel profilo delle case all'orizzonte, degli occhi fissi su di lui.

"Bagatto, quali sono le condizioni dei punti in cui abbiamo previsto lo sbarco?"

"Nessun nemico in vista."

"Sono da qualche parte qui intorno. Probabilmente sottoterra." sussurrò Caleb, muovendo la testa a destra e a sinistra come se effettivamente i rettiliani potessero saltare fuori anche lì.

"Siamo pronti, Bismark?" chiese invece Valerius. Una domanda che voleva dire molto, una domanda che si chiedeva se ci fosse qualche certezza che lo scontro non finisse in tragedia come a San Pietroburgo, che chiedeva se il tedesco avesse sciolto l'enigma delle nuove macchine nemiche.

"Siamo pronti." rispose il conte. Ma non per dire quello che Valerius voleva sentire, ma per dire quello che doveva dire. Il conte Bismark non poteva dare certezze, se non del suo valore.

L'artiglieria russa era un rombo lontano. Avrebbero continuato a sparare anche sapendo di non poterli raggiungere. Era l'ultimo muro di fiamme che ergevano intorno alla loro città, il velo di furia che doveva fermarli. Valerius nella sua ingenuità a un certo punto si era illuso che con l'introduzione della macchina volante avrebbe evitato tutto il fango e il sudiciume della guerra così come l'avevano vissuta fino a quel momento. Era stato un illuso. Fortunatamente si era trattato di un momento breve.

"Prepararsi allo sbarco truppe." ordinò.

La Battaglia di Mosca era cominciata.


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro