Capitolo Sei

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Ero troppo confusa per chiedere spiegazioni.
E non volevo di certo rovinare la serata alla mia famiglia, quindi sorvolai sulla cosa e tornai a parlare con Courtney senza mostrare il minimo disagio.
Continuai a guardare mio fratello per tutta la sera con la coda dell'occhio.
Mentre mangiavamo, mentre parlavamo e scherzavamo con Emy.
Mentre la prendevo a cavalluccio o mentre giocavamo io e lei con le bambole che aveva portato da casa.
Lion era rimasto impassibile, sempre lo stesso, senza nessun turbamento.

Non riuscivo a capire cosa stesse combinando, chi avesse chiamato.
Volevo parlargli, ma dentro di me sapevo che avremmo litigato e io non volevo andarmene così.
Volevo vivere il mio ultimo giorno qui, serena con loro, senza paure o sotterfugi, ma era difficile vivere con quel peso addosso e quelle domande sempre in testa.

Io e Courty finimmo di risistemare la cucina, mentre la mamma cercava invano di far addormentare Emy.
Ero stanca di chiedere, di essere tenuta all'oscuro, quindi una volta asciugato l'ultimo piatto decisi di andarmene in camera.

«Io vi saluto, ho bisogno di dormire. Domani mattina ho l'aereo presto quindi sicuramente non ci vedremo, ma quando volete siete i benvenuti a casa mia» dissi mentre abbracciavo mia madre, mio padre e mia cognata.
Depositai un bacio leggero sulla testa della mia polpetta e mi avvicinai a mio fratello.

«Ci sentiamo presto fratellone», dissi un pochino a disagio.

«Tranquilla, domani all'aeroporto ti accompagnerò io, quindi ci vediamo», disse guardandomi negli occhi.
Era un luccichio sinistro e tanto oscuro. Rabbia mista a desiderio di vendetta e sapevo di cosa stavo parlando perché nel mio cuore, provavo le stesse sensazioni.

«Ok, a domani», lo abbracciai impacciata e mi dileguai nella mia vecchia camera.
Era troppo per me fingere di non sapere, fingere di essere felice quando nella mia testa e nel mio cuore avevo il caos infernale.

Mi rannicchiai sul letto senza nemmeno mettermi il pigiama, riuscii solo a andare in bagno a lavarmi i denti.
Cosa potevo fare oltre ad attendere? Non aveva certo chiesto il mio aiuto per quello che stava organizzando.
E se stesse parlando con qualcuno di importante? Era Jamie? Magari mio fratello stava cercando di usarmi per farlo avvicinare a me e prenderlo in flagrante?
Oppure era dalla sua parte? Voleva vendicarsi di me per qualcosa che avevo fatto in passato?

Non riuscivo a capire nulla, non trovavo risposte o soluzioni, erano tutte ipotesi campate in aria.
E ora non potevo vivere di ipotesi, dovevo vivere di certezze, quella era l'unica verità.

Mi addormentai senza nemmeno rendermene conto e l'indomani mi svegliai con una coperta sul mio corpo.
Non ricordavo di averla presa dalla poltrona vicino al letto, ma scommettevo che sicuramente mia madre era passata a controllarmi.

Mi alzai stiracchiandomi e mi diressi in bagno, per sfortuna la prima cosa che vidi era il mio viso riflesso nello specchio.
I capelli erano un disastro, un nido di sterpaglia e nodi da districare, ma il viso, cazzo , il viso era uno schifo.
Occhiaie viola, carnagione grigia e labbra spente.
I miei occhi invece erano spenti, non emanavano luce, come se fossero stati privati di tutto lasciando solo un guscio vuoto a formarli.

Mi passai la mano sul viso come se potessi cancellare quella visione e farla tornare ad essere la vera Honey.

«Princess, sei sveglia? Lion è arrivato.»
Mia madre bussò e parlò contemporaneamente distogliendomi dal mio terribile riflesso.

«Sì, eccomi arrivo»

«Se vuoi fare colazione prima di andare, ha detto che ti aspetta.» disse varcando la porta.

«Tranquilla, non ho molta fame» dissi vedendola arretrare di un solo passo affranta, «ma prenderei un buon caffè»
Il sorriso le tornò sulle labbra immediatamente, non mi andava nulla, il mio stomaco era chiuso.
Non voleva acqua, tè o altro, ma avevo capito che aveva bisogno di tenersi occupata.

«ok, ti aspettiamo giù» disse tornando sui suoi passi e chiudendosi la porta alle spalle.
Feci un lungo sospiro e raccattai tutte le ultime cose in giro, mi cambiai mettendo panni puliti e valigia alla mano, aprii la porta e mi diressi in cucina.

«Mamma, ti ho detto di smetterla, se voleva aiuto lo avrebbe chiesto, ma se non lo vuole cosa puoi farci? È testarda!»

Sentii il confronto che stava avvenendo tra mia madre e mio fratello, già dal pianerottolo delle scale.

«Lion, non voglio il tuo aiuto o quello della mamma per un solo motivo! Non voglio mettervi in mezzo, voglio vedervi sereni e tranquilli... me la sbrigo io»

«Ahahahahah, bella questa sorellona. Ma se non sei riuscita a proteggerti fino a ora! E poi, ma cosa ti dice la testa? Pensi veramente che sentendoti e vedendoti così io sia sereno? Tu sei folle!» disse imprecando alla fine.

Non aveva tutti i torti, ma cosa poteva fare lui da qui? Non poteva lasciare la sua famiglia per me.

«Si ok va bene, non ho voglia di litigare, portami all'aeroporto»

Sorvolai sul discorso, bevvi velocemente il caffè bruciandomi la lingua e il palato, abbracciai la mamma e uscii di casa.

«Adesso come la risolvi? Ma perché sei come tuo padre, Lion? Ah uomini! Zero tatto in queste situazioni.» sentii dire da mia madre.

Sorrisi scuotendo la testa perché aveva ragione. Lion era sempre stato diretto nelle cose, ma poche volte era riuscito ad ammorbidire le sue verità o parole. Era sempre crudo, ma schietto.

Mi incamminai verso l'auto e Lion mi raggiunse dopo poco, caricò la mia valigia sovrappensiero, si sedette al lato del guidatore, mentre io mi sedetti al lato passeggero e partimmo.

Per diversi minuti ci fu un silenzio imbarazzante, cosa che non c'era mai stato tra di noi. Avevamo sempre scherzato in macchina insieme, cantato indovinando titoli di canzoni o cantanti. In quel momento invece, neanche la radio era accesa. Sospirai e guardai il paesaggio scorrere velocemente.
Una volta arrivati, scesi senza degnarlo di una parola o un piccolo gesto. Mi posizionai di fronte a lui, con la valigia in una mano. Lo guardai negli occhi e vidi ancora lo stesso sguardo di ieri sera, ma in fondo in angolo mio fratello ancora nascosto. Abbassò lo sguardo frugando dentro la tasca interna del suo cappotto.

«Senti Honey...»

«Cosa vuoi ancora?» dissi mentre guardavo gente dirigersi all'entrata dell'aeroporto.

«Devo dirti una cosa, ma non so da dove cominciare... »

Non ero stupida, sapevo che volesse raccontarmi della telefonata di ieri sera. Ma non era il momento, non volevo, dovevo partire, cazzo, non volevo sentirmi uno schifo per tutto il viaggio. Ammirai in tutta la sua bellezza il suo viso, e nel momento in cui stavo per rispondere, mi lasciò di sasso.

«Tieni, questa è per te, ma devi leggerla solo sull'aereo.» disse, posando una lettera tra le mie mani.

«Ti voglio bene, Honey.» mi diede un bacio sulla guancia, fece il giro della macchina e, dopo avermi guardato ancora, salì e ripartì lasciandomi sola.

Guardai la lettera e poi la strada dove la macchina di Lion era appena sparita. Non riuscivo ad aspettare, con un gesto violento lasciai la valigia a terra e aprii immediatamente la lettera.

Cara Swiffy,
era così che ti chiamavo, no? Era tanto che non usavo questo nomignolo. (Sorrisone)
Non avevo il coraggio di dirti tutto questo in faccia, sono troppo codardo, lo so.
So anche che sei forte e fragile allo stesso tempo, so che mi ami come io amo te, so che non mi chiederesti mai nulla per non mettere in discussione e in pericolo tutta la nostra famiglia.
So che pensi di aver perso in partenza, che sei stanca, affranta e che credi di essere pazza.
Ma non lo sei... o almeno non tu!
Ho una rabbia cieca dentro, vorrei distruggerlo come lui sta facendo con te, ma non ho le competenze per farlo.
Quindi, per questi "so" che ho elencato sopra, per la disperazione letta nei tuoi occhi in questi giorni, ho deciso di affidare il tuo "problema" a chi può fare qualcosa.
Ti ricordi del mio amico del college?
Eravamo in tre... io, Clark e vabbè lo scoprirai a New York.
(Risata diabolica)
Non avercela con me, lo faccio per te.

I W A F F Y, Honey, sempre.

Ti voglio bene,
Tuo Champy

«No Lion! No, no, no!»

Era un incubo. Avrei dovuto solo ringraziarlo, avrei dovuto essere felice per l'aiuto che mi stava dando, ma la paura era troppo grande.

Altre persone di mezzo era sinonimo di altri guai.

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