Albergo a ore

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Mercoledì 23 novembre 2022

Giovanni Crociani aveva passato i quarant'anni, anche se in realtà non li dimostrava, facendosi sempre trovare gioviale, pronto alla risata. Purtroppo la realtà dei fatti era un po' diversa: era estremamente stressato dalla sua vita quotidiana, dal lavoro mutato a causa del passaggio di proprietà della sua filiale di Cassa di Risparmio a un grosso gruppo bancario dedito al taglieggiamento dei clienti. Lui non era fatto per succhiare sangue a vecchiette e imbianchini, e la famiglia sempre più incasinata tra la moglie wannabe food blogger e il figlio proiettato in un futuro da pro gamer, gli creavano una serie di pressioni e di conflitti che sembravano non finire mai.

Per trovare un po' di sollievo, Giova aveva da sempre una via d'uscita piuttosto classica per il maschio medio: giocava a calcetto con gli amici. Molti li conosceva dall'infanzia: Pilotti, Franz, il Biscia, Berti. Ci giocava un paio di volte alla settimana al Cinque Pini, in serate morte come lunedì o giovedì.

O almeno, così sembrava.

In realtà, Giova, già da quasi un annetto, non si recava mai a giocare a calcetto. Invece, approfittava di quelle sere per rifugiarsi in un discreto albergo a ore. Quel luogo tranquillo, seppur un po' dozzinale era diventato il suo rifugio, il posto dove poteva finalmente staccare la spina dalla vita e scivolare in un mondo di sogni saporiti. La fatica e lo stress sembravano dissolversi lì, anche se solo per qualche ora.

Un giorno Giulia, la moglie di Giova, ebbe un momento di lucidità tra le nebbie delle sue ricette #foodporn e #instafood: com'era possibile che avessero giocato anche la sera prima con quell'inferno di fulmini che c'era stato? Giova, che aveva una preparazione scientifica accurata, era terrorizzato dai fulmini. Non si sarebbe mai sognato di giocare all'aperto in mezzo a quelle saette.

La donna iniziò a sospettare qualcosa e decise di investigare, annusando accuratamente i panni di lui che scoprì non essere per nulla puzzolenti di sudore. Scoprendo l'amara verità, o per lo meno la punta dell'iceberg della verità, si infuriò. Era convinta che Giova la tradisse, non ci potevano essere altre spiegazioni.

Fu ammirevole come riuscì a mantenere distacco e serietà, mentre dentro si sentiva morire: anni di convivenza e poi matrimonio, gettati al cesso. Un figlio che, sì, aveva qualche difetto, ma per lo meno non si sfondava di cannoni e non tornava con l'alito da distilleria clandestina durante il proibizionismo. A tal proposito si precipitò in camera del figlio e riesumò lo smartwatch che gli aveva regalato per il compleanno di due anni prima e che il ragazzo aveva smesso di usare perchè giornalmente gli ricordava quanto fosse pigro e sedentario. Lo infilò sotto al sedile della macchina del marito e attese.

La prima sera di calcetto, il giovedì successivo Giulia, senza esitazione, si precipitò a seguirlo grazie alla posizione dell'orologio segnalata dall'applicazione per smartphone.

Giunse all'albergo a ore in cui Giova solitamente si rifugiava. Si sentì forse ancora più amareggiata: una amante era una persona con cui trovare elementi comuni, ma un albergo a ore poteva significare solo prostitute!

Si presentò alla reception pronta a fare un casino terribile. Ma l'ometto che si ritrovò davanti, all'esibizione del suo documento di identità e una copia digitale del documento del marito, consegnò la chiave della stanza senza fare ulteriori storie.

Evidentemente era stata convincente, oppure l'albergo non voleva finire in mezzo a storie per favoreggiamento della prostituzione. Va a sapere.

Giulia salì le scale a tre a tre, carica di rabbia e delusione. Spalancò la porta pronta a vedere qualcosa di simile a certe scene da filmetti dozzinali, con la tipa in lingerie e la figura corpulenta del marito, magari con ancora su i calzini, che armeggiava cercando di far fruttare quella sessione di piacere a pagamento.

Ma ciò che trovò la sconvolse ancora di più: Giova non era con una donna, né stava facendo qualcosa di immorale, spendendo i soldi della famiglia. Era semplicemente sdraiato sul letto, addormentato profondamente a quattro di spade. Finalmente, stanco e esausto, aveva trovato il suo momento di pace.

Giulia passò rapidamente dallo sconvolgimento a una sorta di delusione, per poi incendiarsi improvvisamente di una rabbia ribollente. Nemmeno una cazzo di scopata era capace a farsi, in fondo a quel castello di bugie che diceva! Perse il controllo e lo picchiò furiosamente con tutto quello che trovò, persino un quadro di piccole dimensioni che raffigurava una donna discinta e ammiccante. Giova, svegliato in quella maniera così improvvisa, cercò di spiegarsi farfugliando, ma le parole non ebbero alcun effetto. Soprattutto dopo aver preso il suddetto quadro all'altezza dell'incisivo sinistro.

Quella notte, come mi pare chiaro, segnò una svolta nella loro relazione. Dopo l'esplosione di rabbia e la successiva fuga inviperita della moglie, entrambi furono costretti a confrontarsi con la verità, per quanto bizzarra. Giova ammise di frequentare l'albergo a ore solo ed esclusivamente per dormire, riposarsi, incapace di gestire in altro modo lo stress.

«E poi, mi hai rotto il cazzo col blog di cucina, che tanto la metà delle robe che fai fa cagare.»

«Ha ragione» aggiunse il figlio, con le cuffie ancora sulle orecchie, addentando una pastarina al cioccolato.

«Adesso quindi sarei io il problema?» urlò Giulia, «Allora torno da mia madre!»

Ovviamente, dalla madre, le foto dei piatti non venivano bene come nella cucina supermoderna piena di attrezzi KitchenAid che aveva improvvidamente abbandonato sotto al tetto coniugale. Quando tornò, trovò i suoi due uomini sul divano, che giocavano a FIFA23. Suo marito pareva ulteriormente ingrassato.

Il divano aveva macchie di unto.

Si mise a ridere.

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