14. Andrew: finitela!

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Stavo tranquillamente camminando sul marciapiede, appena fuori dal piccolo edificio della palestra e degli spogliatoi. Ero rilassato, con la testa tra le nuvole. Scambiai un sorriso forzato con Andie, che mi attendeva a pochi metri di distanza. All'improvviso, sentii un gemito strozzato provenire dallo spogliatoio dei ragazzi. Tornai indietro di un paio di passi e vidi, dalla finestra, Mirko, Lionel, Kevin e Oliver che stavano picchiando qualcuno. Avrei riconosciuto quei capelli biondi ovunque... Anche se mi vergognavo ad ammetterlo. Non riuscii a ragionare, non capii più nulla, gettai a terra lo zaino e corsi dentro. Attraversai i corridoi con il cuore che batteva all'impazzata e i pugni serrati. Volevo farla pagare a quei tre stronzi, e l'avrei fatto. Entrai nello spogliatoio aprendo la porta con una tale forza che, andando a sbattere contro il muro, creò un tonfo. Le voci si zittirono all'improvviso.

«Finitela!» ringhiai.

«Chi sei?» chiese Mirko aggressivo.

Attraversai anche l'altra porta e li raggiunsi. Mirko, Lionel, Kevin e Oliver sembrarono terrorizzati quando mi videro. Mi si strinse il cuore nel vedere Liam accasciato a terra, tuttavia obbligai me stesso a rimanere concentrato. La mia era solo pietà, nient'altro.

«La pagherete» gli promisi.

«Perchè ti importa di questo sfigato?» mi aggredì Mirko.

Gli tirai immediatamente un pugno. Lui tentò di fermarmi, ma non ci riuscì e cadde a terra. Guardai gli altri tre con odio. «Siete finiti, questa volta. La pagherete cara».

Ed ero intenzionato a mantenere la promessa.

In quel momento, il coach e il preside entrarono nella stanza, osservarono la scena e pretesero spiegazioni. Io dissi com'era andata, e la mia versione venne confermata da tutti coloro della squadra che non avevano fatto nulla. Non erano innocenti, a parer mio, poiché erano rimasti a guardare senza fare nulla, tuttavia non potevo essere solo contro l'intera squadra e perciò non dissi una parola contro di loro.

«Nel mio ufficio» pretese il preside. Mirko, Lionel, Oliver e Kevin si affrettarono a obbedire, ma il signor Thompson guardò verso di me. «Anche lei, signor Parker».

«M-ma! È assurdo, io ho salvato un ragazzo innocente!» protestai.

«Usando la violenza» specificò il preside.

Il coach puntò il dito contro di me. Credevo avrebbe dato ragione al signor Thompson, invece mi stupì. «Non può essere sospeso per più di due giorni; abbiamo bisogno di lui per la partita di venerdì».

Il preside acconsentì con un veloce cenno della testa, poi tornò a guardarmi. Dovevo andare. Lanciai un ultimo sguardo a Liam; avrei voluto aiutarlo, ma non potevo.

Ero seduto fuori dall'ufficio del preside. I genitori di Mirko, Lionel, Kevin e Oliver erano già arrivati, ed erano dentro insieme al signor Thompson. In quel momento, arrivarono anche mamma e papà. Erano furiosi a dir poco. Mi guardarono con disapprovazione, scuotendo la testa.

«Vedrai, quando arriviamo a casa» mi avvisò mia madre.

Abbassai la testa, sinceramente dispiaciuto. Prima che potessi dire qualsiasi cosa, tuttavia, alcune persone uscirono dall'ufficio del preside. Erano Liam e i suoi genitori! Saltai in piedi e, ignorando le occhiatacce di tutti gli adulti presenti e l'espressione dubbiosa di Liam, mi avvicinai a lui.

«Come stai?» domandai a bassa voce.

Notai solo in quel momento che il suo viso era coperto da lividi e piccoli tagli. Il suo naso sanguinava, e sembrava essersi slogato una caviglia. Non rispose, si limitò ad osservarmi. Feci un sospiro. «Be'... guarda il lato positivo, almeno potrai saltare la lezione di ginnastica».

Riuscii a strappargli un sorriso, e ne fui molto felice. Non avevo creduto di esserne capace. Purtroppo, però, non potei rimanere a chiacchierare; fu il mio turno di andare nell'ufficio del preside.

«Dunque» cominciò il signor Thompson. «Gli altri ragazzi sono stati sospesi per due settimane, oltre che cacciati dalla squadra di basket. Il coach ha espressamente detto che non accetta cose di questo tipo da parte dei suoi atleti. Riguardo a lei, signor Parker...» sospirò pesantemente. «Nonostante ciò che ha fatto non sia grave quanto ciò che hanno commesso i suoi compagni, mi ritrovo costretto a sospenderla per due giorni».

Annuii, mi poteva andare molto peggio. Per di più, sarei tornato in tempo per la partita di venerdì contro la Uhiol High School. Quando uscii, Liam e i suoi genitori se n'erano già andati. Chissà quando l'avrei rivisto... avrebbe sicuramente saltato qualche giorno di scuola, date le condizioni in cui si trovava, e io non sarei potuto uscire per un bel po'. Il viaggio in macchina fu silenzioso. Mio padre guidò tranquillamente, ma aveva la fronte aggrottata in quell'espressione che assumeva sempre prima di sgridarmi. Mia madre, invece, rimase a braccia incrociate per tutto il tempo, guardando fuori dal finestrino e scuotendo la testa a ritmi irregolari. Quando arrivammo a casa cominciò la ramanzina, composta più che altro da: "ci hai molto delusi" "non ci aspettavamo un simile comportamento da te" "come hai potuto combinare un altro casino del genere?". Per un po' rimasi ad ascoltare, anche perché sapevo di essere nel torto, successivamente però mi alzai. «L'ho fatto per salvare un ragazzo innocente!» urlai, per sovrastare le voci dei miei genitori con la mia.

Loro si fermarono e mi guardarono sconvolti.

«Davvero?» riuscì a chiedere mia mamma, nonostante la sorpresa.

«Lo stavano picchiando nello spogliatoio» spiegai.

Mia madre annuì. «Hai comunque sbagliato ad usare la violenza».

«Lo so, non mi aspetto che mi risparmiate la punizione. Volevo... volevo solo che sapeste che stavolta aveva un senso» risposi.

Volevo fargli capire che non ero solo il ragazzo irresponsabile ed egoista che loro credevano che fossi.

Come mi aspettavo, venni punito. Tre settimane segregato in casa e senza tecnologia. Almeno, quella volta riuscii ad ammettere a me stesso che me lo meritavo. Quella notte ebbi un unico pensiero fisso: Liam. Chissà come stava. Chissà se i lividi gli facevano male. La mia era solo pietà... o c'era qualcos'altro? Fu proprio l'ultima domanda a non permettermi di dormire se non per un paio d'ore.

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