27. Liam: il limite

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Mesi. Erano passati mesi. E Andrew non aveva ancora accennato nulla, né ai suoi amici né ai suoi genitori, riguardo a noi.

Avevo cercato di portare pazienza, di ignorare gli amici di Andrew che gli indicavano le ragazze più belle e lo incitavano ad andare da loro.

Avevo provato a comprenderlo, ad ignorare la rabbia e la delusione.

Avevo provato a non ascoltare Billy, ma ad ogni dubbio che si insinuava in me lei diveniva più forte.

Basta. Non ne potevo più. Non ce la facevo più. Avevo bisogno di dire la verità, basta menzogne, basta nascondersi.

Non sapevo come dirlo ad Andrew, ma ero arrivato al limite.

Volevo che tutti sapessero cos'eravamo, volevo che le ragazze gli girassero alla larga, volevo passeggiare con lui per strada o nei corridoi mano nella mano, volevo baciarlo in pubblico, volevo parlargli e sorridergli senza sentirmi in imbarazzo, senza dovermi preoccupare del giudizio altrui.

Sapevo che sarebbe stato difficile, perché molte persone non accettavano gli omosessuali, ma poco mi importava.

Basta menzogne.

«Ora basta».

Io e Andrew stavamo facendo i compiti a casa sua, quando all'improvviso alzai lo sguardo su di lui e pronunciai quelle parole. Esse aleggiarono attorno a noi per un momento, come un incantesimo.

«Liam, che significa?»

Andrew mollò la penna, con cui stava più scarabocchiando il libro che cercando di svolgere i compiti, e si alzò. Provò a prendermi la mano, ma io arretrai scacciandolo.

«Liam, che diavolo succede?»

«Sono stufo di nascondermi» ringhiai.

«Io... Io non sono pronto a dirlo a tutti» rispose Andrew cercando di mantenere la calma.

«No, tu non vuoi dirlo!» ero fuori di me. «Tu ti vergogni di me!»

Le lacrime mi pizzicavano gli occhi, Billy sussurrava crudeltà, e io faticavo a rimanere concentrato sul presente e non su di lei.

«No... Liam...» Andrew era terrorizzato, ma io ero stufo.

«Dillo. Oggi» gli imposi. «Se ti importa di me, fallo».

Avevo un groppo in gola, il volto mi bruciava di vergogna. Volevo dire la verità, volevo ammettere di stare con Andrew. Volevo ammettere di essere felice.

Andrew scosse la testa. «Non posso» mormoró con voce flebile. «Liam, non...»

Qualcosa si spezzò in me. Deglutii, trattenendo le lacrime. Non meritava il mio pianto.

Mi alzai, raccolsi le mie cose e, senza dire altro, me ne andai.

Appena chiusi la porta alle mie spalle scoppiai a piangere, mentre Billy distruggeva i confini della mia mente che avevo instaurato per fermarla.

Tu non lo meriti. Te l'avevo detto. Tu non meriti di essere felice. Andrew fa bene a vergognarsi di voi.

***

Mi gettai a terra, nella mia stanza, e piansi fino a consumare le lacrime, fino ad avere una terribile nausea. A quel punto mi misi seduto.

Ero solo. Completamente solo. Forse lo ero sempre stato.

Io non ero destinato ad essere felice, ad avere qualcuno accanto a me.

Ero sempre stato solo...

O no?

Pensandoci bene, ricordai che da bambino non c'era solo Billy con me.

C'erano tante voci, tanta compagnia. Erano crudeli, come Billy, meno che una. Ricordai Ollie; mi rassicurava, quando gli altri erano cattivi con me.

Mi trovavo spesso solo nella mia camera a parlare con loro. Era vedendomi così che i miei fratelli e i miei genitori si erano convinti che fossi un pazzo.

E forse non avevano tutti i torti. Ma che ci potevo fare io?

Ero solo, e quelle voci erano più reali che mai. Le affrontavo una per una, senza aiuti.

Sì, forse avevo qualche problema. Forse avrei avuto bisogno di una mano.

Ma non c'era nessuno disposto ad aiutarmi.

Avevo perso anche Andrew, l'unica persona di cui mi ero fidato in tutta la mia vita.

Chiusi gli occhi, concentrandomi su Ollie, ma lei non ricomparve, non tornò a parlare. Un giorno come tanti altri, quando avevo dieci anni, le voci avevano smesso di essere molte.

Mi ero svegliato, e l'unica a parlarmi fu Billy.

Avrei voluto salutare Ollie... lei mi faceva stare un po' meglio. Cosa non facile quando tutte le voci mi assalivano insieme, e io mi premevo inutilmente le mani sulle orecchie, mormorando di smettere, singhiozzando, a volte contorcendomi a terra.

***

«B-basta...» mormorai con le lacrime agli occhi.

«Lasciatelo stare!» lo rimproverò Ollie. «È solo un bambino, ha a malapena dieci anni».

«È comunque inutile e insulso!» rise Walter.

«Ha permesso ai bulli di picchiarlo. Non ha reagito. È un idiota!» ringhiò Billy.

«Non vale niente» convenne Grace.

«Proprio niente!» le fece il verso Beatrix.

«Niente di niente» ripetè John.

«Insulso. Ridicolo» non appena Billy cominciò a parlare tutti gli altri si misero a tacere. Era lei che comandava. «Tu non meriti nulla. Hai solo noi».

«S-sì, Billy» la mia voce era spezzata dal terrore.

«Che fai, moccioso? Parli da solo?» Hudson fu il primo dei miei fratelli ad entrare in camera mia.

Blake e Oscar lo seguirono poco dopo, con ghigni malefici dipinti in volto.

Blake mi prese per il cappuccio della felpa, mi sollevò in aria e mi buttò a terra. Rimasi immobile, mentre Billy continuava ad insultarmi, e quasi non sentii il primo calcio.

Il secondo mi spezzò il naso; ne fui sicuro a causa del brutto rumore che si propagò nell'aria dopo il colpo.

Non so quanti calci dovetti subire, né per quanto rimasi in quella situazione.

So solo che ad un certo punto il dolore e il rumore cessarono. Anche le voci si erano zittite. Tutte, meno che una.

«Andrà tutto bene, Liam» mi rassicurò Ollie.

***

Mi svegliai e il dolore al naso mi colpì immediatamente. Mi misi seduto, singhiozzando debolmente.

La sera prima era stata un vero Inferno. Ma ora stavo bene... più o meno.

«Ollie, tu sei qui con me giusto?»

Ma non ci fu risposta alla mia domanda.

«Ollie?» chiamai.

«Lei non tornerà» disse Billy.

«Cosa? Perché?»

Ma anche quelle domande rimasero senza risposta.

Angolo autrice

Un nuovo capitolo... decisamente non allegro, lo so, ma necessario.

Cosa ne pensate di Ollie?

La patologia di Liam è più chiara?

Cosa credete che accadrà ora tra Liam e Andrew? Andrew cambierà idea? SIstemerà le cose? Oppure nulla cambierà?

Se il capitolo vi è piaciuto lasciate commenti e stelline ❤️

Aggiorno lunedì!

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