40. Andrew: un altro cuore spezzato

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

«Liam non è tornato?»

Alzai lo sguardo su mio padre, sembrava preoccupato, probabilmente per me. Ero silenzioso e, nonostante fossero quasi le undici di mattina, quel giorno non avevo ancora toccato cibo.

Non era colpa sua, non poteva sapere. Non gli avevo raccontato nulla, non ancora pronto ad affrontare ciò che era successo. 

Non vedevo Liam dalla sera precedente; avevo provato a chiamarlo e ad inviargli messaggi, ma non aveva risposto. Avrei solo voluto potergli dire la verità ma, fintanto che rimaneva lontano da me, non potevo.

***

«Andrew, scendi, per favore!» 

La voce di mia madre mi riscosse dal tepore; mi stavo per addormentare quando mi chiamò. Sbuffando, mi alzai, stropicciandomi gli occhi.

«Sì?» chiesi, osservando i miei genitori. Erano pallidi e preoccupati, perciò mi insospettii. 

«Tesoro... ci hanno chiamati dall'ospedale» iniziò esitante mio padre.

«Perchè? Che succede?» stavo cominciando a preoccuparmi.

«Liam...» disse mia madre.

Non la lasciai continuare, era bastato solo il suo nome a farmi andare fuori di testa. No, no, lui doveva stare bene. No, no, lui doveva essere con me. 

«Cos'ha?» sbottai, la mia voce era irriconoscibile, un ringhio basso, intriso di dolore. «Cosa gli è successo?»

«È stato investito ieri sera, ora è in coma» rivelò mia madre.

Quelle parole mi fecero crollare definitivamente. Il mio cuore si spezzò, le lacrime sgorgarono sul mio viso senza che me ne rendessi conto. Riuscivo solo a pensare a Liam, a quel ragazzo all'apparenza così timido, che aveva tanto da dimostrare. Quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio e i capelli come fili d'oro che avevo amato da quel giorno in infermeria, quando l'avevo scacciato solo per paura. Quel ragazzo che si era fatto strada nel mio cuore, che pur di accarezzare la rosa si era ferito con le spine. Quel ragazzo che aveva abbattuto ogni mia difesa, imparando ed insegnandomi ad amare. Quel ragazzo che non mi aveva lasciato, nonostante continuassi a ferirlo. Quel ragazzo che mi aveva amato e che amavo come nessun altro prima.

Quelle stesse spine che mi avevano protetto per anni, e con cui Liam si era ferito per raggiungermi, mi stavano ferendo il cuore. Mi stavano distruggendo, a poco a poco. 

Avevo bisogno di vederlo. Avevo bisogno di baciarlo. Avevo bisogno di amarlo. Avevo bisogno di stringerlo tra le mie braccia, proteggendolo dai pericoli del mondo, scacciando le sue sofferenze.

Uscii senza salutare, guidai senza guardare dove stessi andando. Arrivai quasi per miracolo in ospedale senza essermi fatto male a mia volta ed entrai. Bloccai la prima infermiera che trovai e le chiesi dove poter trovare Liam Anderson. Dopo un paio di ricerche, mi indico la camera 122.

Appena giunto dinanzi alla porta, sollevai la mano per aprirla, ma mi bloccai. Avevo paura di ciò che avrei potuto vedere. Avevo paura che il ragazzo che avrei trovato nella stanza non fosse più il Liam che conoscevo.

Dopo qualche attimo di esitazione, aprii la porta. Liam era sempre Liam, il ragazzo che amavo. E gli sarei rimasto accanto.

Mia madre mi aveva avvisato che Liam fosse in coma, ma vederlo immobile, nel letto, capace di respirare solo grazie ad un macchinario, una sacca di sangue attaccata al suo braccio destro, una flebo probabilmente di zuccheri a quello sinistro, mi spezzò.

Le lacrime tornarono a pizzicarmi gli occhi, ma mi costrinsi a farmi forza e a raggiungere il letto. Le gambe mi tremavano, guardandolo, ma riuscii nell'intento e mi abbandonai sulla poltrona accanto ad esso.

Non riuscivo a distogliere lo sguardo da Liam, il volto coperto di lividi, il corpo immobile, gli occhi chiusi. Avrei dato qualsiasi cosa per vederlo sorridere, con i suoi occhi colore del ghiaccio che sembravano illuminarsi, sciogliersi, quando era felice.

Tornai a singhiozzare, silenziosamente, il mio corpo veniva scosso da tremori incontrollabili. Desideravo solo poter abbracciare Liam, stringerlo a me. Invece lui era immobile, non poteva vedermi, non poteva sentirmi. Non potevo chiedergli scusa.

Se morisse, io rimarrei per sempre con un peso per non avergli chiesto scusa.

No. Non dovevo pensarci, lui sarebbe sopravvissuto.

Liam è forte... Starà bene...

***

Per due intere settimane, rimasi giorno e notte con Liam.

Non sapevo come stesse, in base alle regole dell'ospedale solo i familiari potevano avere queste informazioni ma, ovviamente, gli Anderson non si erano neanche degnati di presentarsi.

Ero rimasto per quattordici lunghi giorni a fissare il suo corpo inerme, pregando di rivederlo sveglio, in quella stanza cupa il cui silenzio era spezzato solo dai bip dei macchinari che lo tenevano in vita.

Avevo spento il telefono, un po' perché non sapevo che rispondere alle ormai troppe domande su cosa fosse accaduto a Liam, un po' perché gli stupidi messaggi allegri che venivano mandati sui gruppi di cui facevo parte mi creavano rabbia. Come potevano tutti gli altri continuare la propria vita in tranquillità, quando la mia era incatenata in quella stanza, in quel letto su cui giaceva l'amore della mia vita?

I miei genitori si presentavano una volta al giorno, si assicuravano che mangiassi qualcosa e rimanevano a prendersi cura di Liam per qualche ora, concedendomi il sonno che io stesso mi vietavo di notte, perché avevo bisogno di non perderlo di vista.

Avevo paura che, se l'avessi fatto, se ne sarebbe andato. Silenziosamente, senza che nessuno potesse fermarlo.

Verso pomeriggio tardo del quattordicesimo giorno di coma, il solito medico di cui non conoscevo il nome - l'avrebbe reso troppo reale, e io non volevo, volevo che rimanesse tutto avvolto nel mistero, come fosse un incubo - entrò nella stanza. Visitò Liam senza una parola, come in rispetto del silenzio che opprimeva chiunque nella stanza.

«Come sta?» chiesi, sapendo bene che non mi avrebbe detto molto.

«Sempre uguale» sospirò il medico, compilando alcuni moduli. Fece per andarsene, ma sembrò ripensarci e si voltò verso di me. «Se tra una settimana non si sarà svegliato, ragazzo, non credo ci sia ancora speranza che lo faccia».

Le spine della rosa appassita che ero diventato strinsero il mio cuore in una morsa. Mi mancò il respiro.

«C-che dovrei fare?» sussurrai, senza voce.

«Se tra una settimana non si sarà svegliato, il mio consiglio sarebbe quello di trovare i genitori del ragazzo perché firmino il permesso di staccare la spina» lo sguardo del medico si addolcì. «A volte, è necessario lasciare andare qualcuno».

Annuii, ma non ero d'accordo. Non l'avrei mai lasciato andare. Per nulla al mondo.

***

Era quasi passata un'altra settimana. Liam non accennava miglioramenti, non si era mosso di un millimetro, i suoi parametri rimanevano uguali.

Era mattina presto, avevo sonno, ma non potevo addormentarmi. Mi decisi ad abbandonare per pochi minuti la camera per prendere un caffè. Quando tornai, la situazione era la solita.

Dopo aver bevuto il caffè, sentii uno strano bisogno. Quello di dire tutto ciò che avevo trascurato per troppo tempo, perché se fosse morto non ne avrei avuto l'occasione.

«Non ho mai creduto nell'amore. Quello che lega i miei genitori mi sembrava rotto, pieno di falle, a causa della malattia di mia madre. Per anni, loro non hanno dimostrato l'amore che provano per me. È per questo, ora lo so, che ho cominciato ad usare le ragazze. Per illudermi di essere legato a qualcuno. E mi piaceva, mettere le cose in chiaro, dire che non volevo nulla di serio, ma vederle illudersi, vedere come credevano di potermi cambiare. Mi piaceva ferirle, perché non ero più io quello a soffrire».

Feci una pausa, continuando ad osservare il suo volto immobile. Trovai il coraggio di continuare nel suo viso, nei suoi occhi che mi mancavano terribilmente.

«Ho creduto, mi sono illuso, per tantissimo tempo di essere etero. Poi, quando ho scoperto cosa provavo per te, ho creduto di essere bisessuale. Ma quando Willow mi ha baciato... non ho provato nulla. Nonostante avessi sempre pensato quanto fosse bella, che tra tutte le ragazze con cui ero stato lei era una delle migliori. Io... credo di aver capito di essere gay».

Mi interruppi nuovamente. Osservai la stanza, poi chiusi gli occhi, perdendomi nel silenzio.

«Liam, io non posso vivere senza di te» sussurrai. «Te lo giuro, Willow per me non conta nulla. Non ho voluto baciarla, è stata lei, io mi sono sottratto subito. Io amo solo te! Voglio solo te!»

Aprii gli occhi, ma lui era ancora inerme. Ancora addormentato, immobile. I suoi occhi colore del ghiaccio ancora chiusi.

Angolino autrice

Che ne dite di questo capitolo? Triste, sì... Ma dolcissimo!

Liam si risveglierà, oppure no? C'è ancora speranza per lui?

Andrew, intanto, perso nel silenzio della stanza, ha cominciato a riflettere, a comprendere.

Chissà cosa accadrà nel prossimo capitolo... Qualche speranza? Previsione? 😉

A lunedì! ❤️

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro