9. Liam: Ulan Bator

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Ero proprio un idiota. Perché mi ero preoccupato per Andrew? Era uno stronzo, non meritava la mia considerazione.

Sì, proprio un idiota. Io te l'avevo detto di non farlo, intervenne Billy.

Sta' zitta!

Io so cos'è meglio per te. Questa ne è la dimostrazione: te l'avevo detto di rimanere zitto e andartene. Ma se vuoi fare il finto tonto, fingendo di non sapere perché hai ignorato i miei suggerimenti...

Dillo, visto che ci tieni tanto.

Tu provi qualcosa per lui.

Quella frase mi provocò una tale confusione che, per un momento, vidi tutto nero. Mi ripresi presto, in qualche secondo, e, mentre il mio cuore batteva ferocemente contro la cassa toracica, io ripensavo alle parole di Billy.

Tu provi qualcosa per lui.

Tu provi qualcosa per lui.

Tu provi qualcosa per lui.

Io... provo qualcosa per lui?

Era tutto così confuso, così strano. Tuttavia, me la sentivo davvero di escludere quell'ipotesi?

Sospirai pesantemente e abbassai lo sguardo sul libro di geografia, abbandonato sulle coperte accanto a me. Il giorno dopo avrei avuto un'interrogazione, e stavo cercando di prepararmi. Sapevo che sarebbe stato inutile, che Billy non mi avrebbe permesso di pronunciare una sola sillaba di tutte le province e capitali che stavo studiando a memoria, ma se non avessi studiato mi sarei sentito in colpa. Per di più, ripetere a memoria tutti quei nomi mi permetteva di svuotare la mente, di non pensare più a nulla. Billy rimase zitta, ma percepivo la sua presenza in me. Era come un'ombra che copriva la mia felicità, una forza incredibile che stringeva il mio cuore senza permettergli - permettermi - di essere libero.  Una presenza costante, un peso che gravava su di me fin da quando ne avevo memoria. A pensarci, non sapevo nemmeno come Billy fosse nata. Chissà se era sempre stata con me, fin dal primo momento, o se si era creata con il tempo, magari a seguito delle violenze della mia famiglia, e si era rafforzata poi mentre la rabbia dei miei genitori cresceva. Mi costrinsi a tornare concentrato; quelle domande erano assolutamente inutili.

«Anderson, non farti chiamare. Sai che tocca a te».

La professoressa Wyatt mi osservò con quegli occhietti severi dietro le spesse lenti degli occhiali rettangolari.

Puoi farcela, mi dissi, hai studiato tutto, puoi farcela.

No no, Liam. Zitto. Non dire nulla.

Arrivai alla cattedra senza quasi accorgermene. La Wyatt mi fissava da dietro le lenti, dubbiosa. Lei non mi odiava come il signor Davis, fino a quel momento non aveva mai chiamato i miei genitori per riferirgli qualche mio comportamento che non le era andato a genio, però non era neanche gentile con me. «Anderson, dimmi la capitale della Mongolia».

Ulan Bator.

La sapevo. Conoscevo la risposta.

No no, caro Liam...

Dal tono di voce, Billy stava sorridendo. E non venitemi a chiedere come una voce dentro la mia testa possa sorridere, perché è proprio ciò che mi chiedo anch'io da tutta la vita.

Tu lo fai per farmi del male...

No, lo faccio perché è la cosa giusta... lo faccio perché è ciò di cui hai bisogno...

«NO!» protestai. «Tu non mi vuoi bene! Tu non tieni a me! Tu non lo fai per il mio bene, ma solo per farmi soffrire!»

Mi resi conto troppo tardi di aver parlato ad alta voce. Mi irrigidii, chiusi gli occhi.

«Oh, Anderson, che succede? Il tuo amico immaginario - l'unico che hai e che avrai mai - ti ha fatto arrabbiare?»

A parlare era stato Mirko Lerdal, un vero stronzo che faceva parte della compagnia di Andrew. Si alzò una risatina dai banchi, e io arrossii. Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe, logore e consunte.

La professoressa rimase in silenzio per lunghi momenti, in seguito decise di ignorare la cosa. «Anderson, ti ripeto la domanda. Se non rispondi, puoi anche andare al posto e verrai valutato con una F. Qual è la capitale della Mongolia?»

Ulan Bator. Ulan Bator. Ulan Bator.

E, intanto, il mio cuore batteva ferocemente.

Bum. Bum. Bum.

Bum. Bum. Bum.

Ulan Bator.

Bum. Bum. Bum.

Ulan Bator.

Bum. Bum. Bum.

Ulan Bator. Ulan Bator. Ulan Bator...

La Wyatt scosse la testa. «Torni al posto, Anderson».

Non potei fare altro che obbedire, con le gambe che tremavano. Mi sedetti e osservai per lunghi minuti la superficie liscia e anonima del banco. Quando, finalmente, suonò la campanella, fui il primo ad uscire di corsa dalla classe.

Liam, io lo faccio davvero per il tuo bene...

Scossi la testa. Billy sapeva essere fin troppo convincente, tuttavia io quella volta non volevo ascoltarla. Non mi ingannerai di nuovo.

Dico la verità! Liam! Sono tutto ciò che hai...

Preferisco non avere niente.

Non lo pensi davvero. Su, avanti, fa il bravo...

No!

Liam... Io ci sono sempre stata per te. Non ti ho mai abbandonato...

Voglio smettere di ascoltarti!

Non puoi... Sono parte di te, caro. Avanti...

Billy...

L'ho fatto sempre e solo per il tuo bene.

P-per il mio bene.

Esatto.

***

«Dimmi che almeno oggi non ci hai fatto fare una figuraccia» chiese mia madre.

Stava cucinando la cena, io apparecchiavo, mentre i miei fratelli giocavano con i videogiochi. Sapevo che quell'interessamento non era verso di me, ma verso la loro reputazione.  Visto che non rispondevo, mia madre si allontanò dai fornelli e, minacciosa, mi puntò un dito contro. «Allora?»

Esitante, le raccontai quello che era accaduto. Come mi aspettavo, mi arrivò immediatamente uno schiaffo. «Non sei altro che uno psicopatico. Solo i malati di mente sentono voci dentro la testa!» mi guardò con disgusto. «Avrei dovuto abortire».

Mi tirai in piedi, trattenendo le lacrime, e corsi nella mia stanza.

Ci sono io con te, mi rassicurò Billy.

E, dato che non avevo nessun'altro, le fui grato.

Angolo autrice

Ecco qua un nuovo capitolo! Non molto allegro, come i precedenti del resto. Speriamo solo che migliori, prima o poi.
Nel prossimo capitolo, verrà raccontato nel dettaglio il motivo per cui... be'... per cui la madre di Liam non ha abortito, come invece avrebbe voluto.

Commenti e stelline sono sempre ben accetti ☺️

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