Capitolo 13

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Anastasia potrà tornare a casa. Nina e Anna in questo periodo mi hanno dato un grande aiuto: si alternavano nel portarmi vestiti o nello stare con mia figlia.
In questi giorni ha ridato i suoi primi passi: ci vorranno mesi di fisioterapia ed esercizio affinché torni a camminare come prima, ma la piccola è testarda e migliora di giorno in giorno.
«Mamma, mamma!»
Mi sveglio di scatto.
«Ti senti male? Cosa hai?»
Scuote la testa. «Voglio pa'!»
Sospiro, anche a me manca Marco. «Tesoro, cosa ti ho detto l'altro giorno? Dov'è papà?»
Le sue labbra si curvano all'ingiù. «In cielo.»
«Esatto!»
«Ma io lo voglio qui!» dice iniziando a piangere.
La prendo in braccio e la stringo a me. «Tesoro...»
Anastasia si stringe ancora di più a me e nasconde il viso nella mia spalla. Il suo corpo è scosso da singhiozzi e io non riesco a calmarla, vorrei che non soffrisse così.
Non mi può vedere e lascio che le lacrime righino anche le mie guance. Sono impotente, non posso riportarle suo padre e questo mi logora più dell'assenza di Marco.
Dopo quella che sembra un'eternità la sento rilassarsi e, sfiancata dal pianto, si addormenta tra le mie braccia.
Il piccolo Marco, come richiamato dal pianto della sorella, si mette anche lui a piangere.
La stendo sul lettino, poi prendo Marco e lo allatto.
In quel momento entra Federico. «Pronta per tornare a casa?»
Annuisco.
«Più passa il tempo, più sono sicuro che assomiglierà a lui» dice avvicinandosi senza staccare gli occhi dal piccolo.
Mi dà un bacio sulla guancia. «Cos'è successo?»
Sospiro e guardo Anastasia che ora dorme tranquillamente. «Le manca il padre. Inizia a capire.»
«È piccola, capisce, ma non è in grado di elaborare un lutto così grande.»
«Già e presto si dimenticherà di lui...»
«Questo non credo, perché sono sicuro che tu lo impedirai.»
Annuisco. «Voglio che si ricordi per sempre di lui.»
Appena finisco di allattare, metto Marco nell'ovetto e prendo la valigia, mentre Federico prende in braccio Anastasia che dorme ancora.
Il tragitto in macchina è silenzioso.
Poco dopo arriviamo a casa mia e quando Federico ferma la macchina, Anastasia si stropiccia gli occhi svegliandosi.
«Dove siamo?»
«A casa, tesoro.»
I suoi occhi si illuminano. Mio cugino scende dalla macchina e la prende in braccio mentre io mi occupo di Marco e della valigia.
Apro il portone e, appena entriamo, si guarda attorno meravigliata.
«Zio, mi porti in camera mia?»
Mio cugino annuisce.
Io mi fermo un attimo a guardare una fotografia appesa nel corridoio: Marco tiene fra le braccia Anastasia che ha poco più di un mese. La dolcezza con cui la osserva mi commuove. Metto una mano sulla fotografia come a volerlo strappare da quel momento e riportarlo vicino a me.
«Le manchi e manchi anche a me.»
Sospiro. Appoggio la valigia, prendo Marco dall'ovetto e raggiungo mia figlia.
Federico e Anastasia sono seduti sul tappeto intenti a giocare a memory.
Un sorriso si dipinge in maniera naturale sul mio volto e sono sicura che riuscirò ad affrontare tutto quanto perché ho delle persone su cui poter contare e che mi sostengono.

Anastasia ha ricominciato a camminare e ho deciso di portarla a pattinare.
Mi avvicino alla commessa. «Buon giorno, vorrei un 23 e un 37.»
Sistemo Marco nel marsupio, lo lego alla schiena e poi mi occupo di Anastasia che continua a saltellare entusiasta.
Appena siamo pronte ci avviamo verso la pista.
Anastasia si aggrappa alla ringhiera, ma poco dopo prende coraggio e si stacca e mi raggiunge.
«Ricordi come si fa?» dico allungando una mano.
Anastasia annuisce e prende una mano.
«Prova a lasciare la mia mano. Io sono qui.»
Annuisce.
Sembra che stia per cadere, ma non accade.
«Brava! Ora muovi i piedi così» dico mostrandole come deve fare.
Ci prova, perde l'equilibrio e si aggrappa a me.
«Facciamo così: tienimi la mano e muovi i piedi» e così pattiniamo lentamente tutte e due insieme.
Dopo un'ora Anastasia ha lasciato la mia mano e pattina da sola.
«Mamma, mi fai vedere come fai la piroetta?»
«Amore, non posso ho Marco.»
Lei mette il broncio.
«Dallo a me!»
Mi volto e vedo Anna con Grace. Le bambine si abbracciano, poi iniziano a parlare quasi sussurrando.
Sorrido, mi tolgo il marsupio e lo passo alla mia migliore amica.
Libera, comincio a volteggiare e a diventare un tutt'uno con i pattini.
Prima un piroetta, poi tiro su una gamba riproducendo un angelo. Riprendo la corsa e pattino da un lato all'altro della pista. Anni e anni di allenamento autodidatta erano rimasti indelebili. Ora quei giorni in cui sognavo di diventare una campionessa di pattinaggio sul ghiaccio mi sembrano così lontani. Senza un allenatore professionista non potevo gareggiare, così avevo abbandonato quel desiderio per non chiedere ulteriori sacrifici a mia madre.
«Mamma, ma sei bravissima!» dice Anastasia appena la raggiungo.
«Me lo insegni?»
Le bacio una guancia. «Certo, quando saprai andare sui pattini bene.»
Abbraccio la mia migliore amica. «Grazie!»

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