Capitolo 6

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Sono in giardino, Aeron, il mio shiba, è sdraiato accanto a me; di tanto in tanto mi osserva mentre accarezzo le corde della chitarra con il plettro e gli occhi scrutano avidamente lo schermo del tablet per leggere le note.
Da quando sono tornata dall'ospedale non faccio altro che canticchiare Shape of you di Ed Sheeran. Fin dal primo ascolto ho amato quella canzone e voglio imparare a suonarla, una cosa che concedo solo a quelle che mi hanno emozionato di più. La piccola villetta in cui abito mi permette di farlo senza essere rimproverata da nessun vicino.
Arrivo alla fine degli accordi, guardo l'orologio e mi accorgo che manca meno di un'ora all'appuntamento con Marco così mi alzo e mi vado a fare una doccia sperando che l'acqua fresca mi dia tregua dal caldo torrido che avvolge Bologna in questi mesi estivi.
Sto osservando l'armadio alla ricerca dei vestiti da indossare. Sbuffo frustata, poi scorgo una camicia di lino bianco e un paio di pantaloncini di jeans: li prendo e mi vesto completando il tutto con le mie superga bianche.

Guardo l'ora, sono le diciotto in punto e decido di farlo aspettare così faccio un giro dell'isolato con la moto. Voglio metterlo alla prova, vedere se mi aspetterà tenendoci davvero a conoscermi.
Da quando Luca mi ha tradito mettendo incinta un'altra, ho creato una corazza di freddezza e spavalderia per far in modo che le emozioni non prendano il sopravvento rendendomi vulnerabile e fragile. Nessun uomo mi avrebbe più ferito, ma l'istinto mi dice che Marco è diverso: quando l'ho visto per la prima volta ho avuto un dejavù e una sensazione di familiarità ha pervaso il mio corpo, come se tutto fosse già accaduto.
Immersa in quei pensieri ritorno al punto di incontro, mi ha aspettato per quindici minuti. È appoggiato alla moto intento a fumare una sigaretta mentre guarda il sole tramontare dietro San Luca.
Faccio un profondo respiro per regolare il battito che inevitabilmente accelera quando i suoi occhi si possano su di me. Siamo nero contro azzurro. Azzurro contro nero.
A grandi falcate mi raggiunge. «Certo che la puntualità non è il tuo forte.»
Sorrido. «Pronto a mangiare la polvere?»
Il suo sguardo è illuminato dall'entusiasmo e le labbra si incurvano in un sorriso beffardo. «Lo vedremo.»
Siamo uno di fianco all'altro, le moto rombano e Martina è pronta a darci il via.
Io e Marco ci guardiamo un'ultima volta, abbasso la visiera e ritorno a fissare l'asfalto.
«Via!»
Accelero e parto senza prestare attenzione al mio sfidante. Siamo solo io e la mia Honda, assaporo quella sensazione di libertà che ogni volta impregna ogni cellula quando corro, ma nonostante questo ha sempre un sapore nuovo.
Senza che me ne accorga, Marco mi supera e da quel momento ci alterniamo: un momento sono davanti e quello dopo dietro. Impreco, porto la moto alla massima velocità e faccio lo slalom tra le macchine ignorando il suono dei clacson e gli insulti dei guidatori.
Mi fermo a causa di un semaforo; ne approfitto di quel momento per voltarmi e noto che Marco sta svoltando a destra in una traversa. Sbuffo sapendo che ha preso una scorciatoia e mi maledico per non averci pensato. Scatta il verde, parto e penso a come ridurre la distanza che mi separa da lui. Percorro la strada principale per alcuni metri, poi svolto a destra pronta a raggiungerlo, ma spalanco la bocca appena lo scorgo appoggiato alla moto sotto le Due Torri che si stagliano contro il cielo azzurro.
Già immagino il sorrido beffardo che sarà dipinto sul suo volto. Percorro gli ultimi metri che mi separano da lui e quando gli sono vicina sterzo fermando la moto.
Mi tolgo il casco. «Vabbè mi tocca pagarti una cena. Comunque facile vincere con google maps che ti indica le scorciatoie.»
Fa una smorfia. «Vedi già mi ami e non è colpa mia se non ricordi le strade della tua città!»
Alzo gli occhi al cielo. «Il solito egocentrico.» Scendo dalla moto, metto il cavalletto e poi mi ci appoggio incrociando le braccia sotto il seno.
Si avvicina, «da quando ti conosco mi chiedo come due occhi così limpidi e belli possano nascondere un carattere come il tuo.»
Mi mordo il labbro per reprimere le parole o, forse, per cercare quelle giuste. Scuoto la testa e ritorno a indossare una maschera di sarcasmo e freddezza. «E io non so come si faccia a essere così stronzi!»
Ci fissiamo per qualche secondo, minuti forse. Vorrei andarmene, ma qualcosa mi trattiene immobile. Il mio sguardo cade sulle sue labbra. Mi avvicino al suo viso, i nostri nasi si sfiorano e i respiri si mischiano. Lui mi prende il viso tra le mani e fonde le sue labbra con le mie. Socchiudo le bocca e immediatamente le nostre lingue si intrecciano e rincorrono in una danza prima lenta e incerta, poi violenta e sfrontata.
Sento andare in frantumi tutto il ghiaccio che avvolge il mio cuore, poi lo sento battere freneticamente, come se volesse uscire dal petto e io non vorrei essere in nessun altro posto, se non con lui.
Nuova linfa vitale scorre nelle mie vene perché le emozioni quando si accendono fanno questo: rendono vivi.
Sta volta sono disposta a rischiare mettendomi un'altra volta in gioco perché la sensazione che ne valga la pena arriva fino alle viscere del mio animo e si attacca ovunque, perfino alle ossa.
Ci stacchiamo solo per riprendere fiato.
Mi sorride maliziosamente. «Forse, ho trovato un modo per farti stare zitta.»
Cerco di tirargli un buffetto contro il petto, ma lui prende il mio polso e mi blocca, poi senza lasciarmi mi attira a sé e mi avvolge in un abbraccio che profuma di bergamotto. Ogni muscolo si rilassa, ogni difesa cade e io non posso che sentirmi a casa e al sicuro.
Svogliatamente scosto il mio viso dal suo petto. «Allora, dove mi porti?»
«Dove vuoi andare?»
Alzo gli occhi al cielo. «Ovunque tu voglia, basta che ci muoviamo... ho fame!»
Ride. «Va bene, ma andiamo con la mia moto, la tua la verremo a prendere domani mattina.»
Scuoto la testa, prendo il casco e lo indosso. Poco dopo partiamo per una destinazione a me sconosciuta. Percorriamo prima le strade del centro storico passando vicino alla fontana di Nettuno chiamata così proprio perché rappresenta il dio del Mare con attorno varie sirene, poi le strade dei colli bolognesi da dove, nonostante la distanza, si possono vedere le Due Torri e riconoscere la chiesa di San Petronio.
Il sole tramonta alle nostre spalle tingendo il cielo di amaranto con sfumature di viola, mentre un leggero vento si alza rinfrescandoci dall'afa delle ore più calde.
Marco ferma la moto di fronte a un agriturismo rustico completamente immerso nel verde, non potevo aspettarmi diversamente da quella zona.
Penso sia proprio questa caratteristica che mi abbia impedito di andarmene quando Luca mi ha lasciato: nonostante Bologna sia una città metropolitana è totalmente immersa nel verde e questo rende sopportabile anche lo strato di nebbia dei mesi invernali.
Mi prende per mano e mi guida verso l'interno del locale. È tutto in pietra a vista, il pavimento in parchè e i tavoli in legno scuro apparecchiati con tovaglie di lino bianco e al centro una lanterna. Questo, insieme alla luce soffusa, dona al luogo un'atmosfera calda e accogliente.
Una cameriera ci conduce al nostro tavolo. È in un punto appartato lontano dal chiacchiericcio degli altri clienti.
Alzo un sopracciglio. «Eri proprio convinto di vincere, eh!»
Sul volto di Marco si dipinge quel sorriso beffardo che mi ha colpito fin da subito. «Certo! Ti ho detto che mi piacciono le sfide e che odio perdere.»
Gli tiro un buffetto e alzo gli occhi al cielo. Lui mi sorprende scostando la sedia e invitandomi a sedere per poi sistemarsi, non di fronte, ma accanto.
Senza smettere di scrutarmi incrocia le mani e ci appoggia sopra il mento. «Facciamo un patto: se stasera starai bene, organizzeremo un'altra uscita, diversamente smetterò di provarci.»
Annuisco e poco dopo arriva il cameriere a prendere le ordinazioni.
Durante la cena ci esaminiamo, parliamo e tutte le maschere cadono scoprendo le nostre fragilità e imperfezioni.

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