Capitolo 7

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Oggi è il compleanno di Anastasia e ho preparato la sua torta preferita: pan di spagna al cioccolato farcito con la ricotta.
Sospiro. Da quando sono in congedo per maternità convivere con il dolore è più complicato. In questa casa tutto mi ricorda ciò che la mia vita era prima e di conseguenza ciò che non potrà più essere. La villetta mi sembra così grande, ma nonostante questo, mi soffoca. Allontano quei pensieri e vado in sala.
La chitarra è appoggiata in un angolo e il pianoforte è ricoperto da uno strato di polvere che mi ricorda da quanto tempo le mie dita non sfiorano i suoi tasti. Prima erano il modo che avevo per fuggire dalla realtà permettendomi di percorrere strade di un mondo tutto mio in cui nessuno poteva raggiungermi, nemmeno Marco.

«Andrea, smetti di suonare, parlami.»
Lo ignoro e continuo a suonare, ma lui si avvicina, si siede accanto a me e inizia a scavare dentro la mia anima. Scava a due, quattro mani, fino ad arrivare in profondità e suona uno spartito in cui nemmeno io mi riconosco nonostante sappia che mi appartenga. Marco è così: arriva fino alle viscere e tira fuori la parte migliore di me.
Si scompiglia i capelli esasperato dal mio silenzio. «Cielo, Fiamma, parlami!»
Usava il soprannome solo quando diventavo distruttiva e mi chiudevo in me.
Sospiro e fermo le dita dalla loro corsa.
«Sono incinta, Marco e io ho una dannata paura» sputo fuori nascondendo il viso tra le mani, vergognandomi di come gli ho dato la notizia.

Scuoto la testa allontanando quel ricordo e solo in quel momento mi accorgo che mi sono seduta sullo sgabello vicino al pianoforte e ho alzato il coperchio. Faccio scrocchiare le dita e inizio a suonare Fotografie della tua assenza di Tiziano Ferro.
Le lacrime mi bagnano le guance, ma sono serena come non lo ero da tempo. Chiudo le palpebre.
«Finalmente ti sei decisa a tornare a suonare, mi mancava questo», la voce di Marco è nitida, limpida. Mi blocco e apro gli occhi pensando di trovarlo appoggiato al piano, ma lui non è lì. Faccio un profondo respiro e le mie dita ricominciano a percorrere la tastiera del pianoforte. Appena arrivo in fondo alla canzone, mi alzo e vado a prendere la torta che ho lasciato in cucina per poi uscire di casa.
Attraverso la corsia quasi di corsa, mi fermo un secondo sulla soglia della camera, poi entro. Con movimenti meccanici le schiocco una bacio sulla fronte. «Buon compleanno, tesoro», e appoggio la torta sul tavolino.
Metto quattro candeline sopra il dolce, le accendo.
«Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri Anastasia», canticchio sottovoce, poi soffio le candele al suo posto ed esprimo il desiderio che si svegli dal coma.
Sto mangiando un pezzetto di torta quando puntino - l'ho chiamato così perché sono quasi certa che sarà maschio - fa una capriola e scalcia.
Sorrido e mi accarezzo il ventre. «Ti piace il cioccolato, vero?»
Anna mi raggiunge, saluta prima Anastasia e poi me con un bacio sulla guancia.
«Come stai?»
Alzo le spalle. «Sopravvivo, Anna, non posso fare altro.»
Guarda Anastasia e le passa una mano tra i capelli. «Più passa il tempo, più ti assomiglia.»
«Sì, ma il carattere e le espressioni erano quelle di Marco.» Mi volto verso la finestra aperta alla ricerca dell'aria. «Vuoi un pezzo di torta?»
«Volentieri, grazie.»
«Come stanno, Grace e Federico?» dico per rompere quel silenzio assordante che mi urla quanto mi manchino la risata di Anastasia e Marco.
«Bene, grazie. Perché non passi a trovarci? Grace non fa altro che chiedere di te e Anastasia. Le manca la sua "zia" preferita.»
«Magari uno di questi giorni.»
Non so quanto avrei sopportato vedere Grace saltellare e ridere, mi avrebbe ricordato profondamente Anastasia. Avevano quasi la stessa età e la stessa energia; insieme erano una bomba a orologeria pronta a scoprire ogni angolo di mondo.

Sono accasciata a terra di fronte alla parte di armadio di Marco, ho appena avuto un attacco di panico: il cuore è stretto in una morsa e i polmoni infilzati da miliardi di spilli.
Boccheggio alla ricerca di aria, ma non arriva, anzi è tagliente e quasi mi squarta in due e io mi maledico per aver aperto quell'anta e aver cercato di sbarazzarmi della sua roba. Pensavo di essere pronta a questo, mi sbagliavo.
Dicono che ci vorrà del tempo affinché questa ferita così profonda si rimargini, io la penso diversamente perché quando una persona entra sottopelle e si attacca fino alle ossa diventando il tuo baricentro, è impossibile dimenticarla.
Certo, in questi mesi, l'assenza è diventata meno pungente, meno soffocante, ma Marco è lì indelebile nei miei ricordi e ogni tanto la sua mancanza mi lacera causandomi attacchi di panico.
Per me la felicità aveva un solo profumo: bergamotto mischiato all'acqua di rose; il primo era quello di Marco, il secondo quello di Anastasia.
Prendo una felpa di mio marito, ci affondo il viso, chiudo gli occhi e respiro profondamente; solo a quel punto il battito torna regolare e l'aria entra nei polmoni.
Il suono del campanello mi obbliga a cercare le forze per alzarmi. Lentamente attraverso il corridoio tappezzato da foto fatte da Marco e da quadri in arte astratta, come se fosse una galleria d'arte.
Apro la porta e Grace mi salta addosso. «Ziaaaa!»
«Fa' piano, Grace!» la ammonì Federico.
«Principessa.» La bacio sulla fronte. «Come stai?»
«Bene.»
Sorride e si dimena per scendere, poi corre verso la camera di Anastasia.
Chiudo la porta e schiocco un bacio sulla guancia a Federico. «Come stai?»
«Bene, oggi sono andato da Marco, e tu come stai?»
«Vado avanti, devo farlo per lui.» Sospiro trattenendo a stento le lacrime. «Io ancora non ci riesco.»
Mi stringe in un abbraccio e io nascondo il viso nel suo petto. «Datti tempo, vedrai che supererai tutto, anche perché ora hai una ragione in più per farlo.»
Mi accarezzo il ventre che ormai non posso più nascondere. «Già.»
«Quando ti deciderai a dare la notizia? Ormai sono passati due mesi da quando lo hai scoperto.»
«Quando scoprirò il sesso, cioè la prossima settimana che entro nel quinto mese.»
Andiamo in sala dove mi lascio cadere sul divano imitata da lui.
«Se non fosse per questo piccolino correrei di nuovo» dico rompendo il silenzio.
«Non credo. Dopo l'ultima volta non te lo avrei permesso.»
Alzo gli occhi al cielo. «Da quando sei diventato così protettivo? Poi sei tu che mi hai spinto in quel mondo.»
Ride e noto che quasi trattiene una linguaccia. «Hai ragione, ma solo perché hai talento.»
«Eravamo un bel trio.»
Eravamo quella parola mi colpisce in pieno, un nodo si forma alla gola e le lacrime iniziano a pizzicare gli occhi cercando di uscire.
Federico mi stringe a sé e il suo profumo familiare mi dà conforto. È sempre stato così: basta un suo abbraccio, una sua parola che i miei muscoli si rilassano. Qualunque battaglia stessi affrontando è sempre stato al mio fianco e con il tempo più che un cugino è diventato il fratello che non ho mai avuto.
Grace arriva con una scatola piena di costruzioni che lascia cadere sul tappeto, poi inizia a fare una torre.
«Zia, quando si sveglia Anastasia?» dice senza distogliere lo sguardo da quello che sta facendo.
«Presto, tesoro, presto» affermo più per convincere me che lei.
Annuisce.
Mi alzo e vado nel balcone a prendere una bocca d'aria; Federico mi raggiunge e appoggia la schiena alla ringhiera senza smettere di scrutarmi.
«Dovresti prendere in considerazione l'idea di staccare la spina... sono passati quattro mesi André e i medici non ti hanno dato buone notizie.»
Stringo le mani a pugno. «Come puoi dire questo...»
«Devi andare avanti e superare tutto. Non puoi continuare a vivere così.»
«Lo so, ci sto provando, giorno per giorno, credimi, ma non sarò io a fare morire mia figlia.»
Sospira e si guarda le scarpe. «Ma renderebbe più semplice lasciarla andare.»
Assottiglio lo sguardo, quasi a fulminarlo. «Non chiedermi di lasciare andare una parte di me.»
«Lo devi accettare, Fiamma, devi accettare e lasciare andare Annie.»
Spalanco gli occhi, solo Marco chiamava così Anastasia e lei lo concedeva solo a lui, neppure io potevo utilizzare quel nomignolo.
Serro i denti fino a farmi male. «Non chiamarla così.»
«È un cavolo di soprannome!»
Mi avvicino a lui e inizio a tirargli dei leggeri pugni sul petto. «Era il suo modo di chiamarla.» Le lacrime bagnano le guance. «Perché non lo capisci.»
Mi stringe a sé. «Lo so, e nessuno la chiamerà più così, ma, ti prego, pensa a quello che ho detto.»
Lascio cadere le braccia lungo il busto. «Non posso, non posso smettere di sperare.»
«Ti stai illudendo e questo ti distruggerà.»
Lo guardo negli occhi, poi scosto lo sguardo e osservo l'orizzonte. «Fede, sono già distrutta, sono una spezzata, una sopravvissuta.» Mi accarezzo il ventre, mi aggrappo a lui. «Se non fosse per questo bambino, avrei già staccato la spina e l'avrei...»
Mi attira a sé. «Non pensarci per nessuna ragione al mondo» dice interrompendomi.

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