Adagio: When you're gone

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Da quando era morto Mozart, la corte viennese aveva sofferto infinitamente per la sua mancanza, si respirava un'aria più pesante, non rallegrata dal fare fresco del compositore e dalle sue note libertine. Tutti stavano male per quella repentina scomparsa, tutti tranne una persona: Antonio Salieri.

L'italiano non aveva subito nessuno effetto da quella tragedia, se non il fatto che avesse ripreso i suoi modi di comportarsi freddi e distaccati, rendendolo una mera presenza fisica.

Aveva ricominciato a parlare poco, ma il suo rendimento lavorativo era migliorato nettamente, passava ormai intere giornate nel suo ufficio lavorando a enormi numeri di Opere, che sfortunatamente non riuscivano ad avere il successo sperato in quanto mancanti di originalità e slancio. L'intera corte dava la colpa degli scarsi successi del Hofkapellmeister all'età dell'uomo, che si faceva sempre più vicina ai 50 e che quindi iniziava a pesare sulle sue spalle.

Salieri non dava conto ai molti commenti che giungevano alle sue orecchie, lui continuava la sua vita tranquilla e monotona, disturbata solo dalle prove settimanali e da qualche chiacchiera vuota tra i corridoi del palazzo di Leopoldo II.

Da quegli scambi inutili di parole usciva però un Salieri che stava bene, che non soffriva per nulla, come dicevano certe voci, della mancanza della stimolante rivalità di Mozart e che continuava a vivere come se nulla fosse successo.


Ma nessuno si immaginava quello che succedeva tra le 4 mura della sua modesta casa.

Rientrato nella sua dimora, Antonio si levava la giacca, rimanendo in camicia e panciotto, e si sedeva davanti sulla sua poltrona di velluto rosso davanti all'ampio camino in mattone, diligentemente accesso da uno dei suoi domestici, con in mano un buon bicchiere di vino, rigorosamente italiano.

Affondava nel soffice tessuto con le labbra arrossate dal Chianti e il naso immerso nel bicchiere di cristallo, mentre i suoi occhi vagavano per la stanza e spesso, con la mente completamente svuotata, andavano a ricadere sul pugnale posato sul tavolino al suo fianco.

Sovente lo sollevava per osservarlo in controluce, illuminato dalle fiamme ballerine e poi lo poggiava sulla pelle nuda delle braccia, tastandone la solida consistenza e la gelida temperatura.

Alle volte esercitava una leggera pressione sulla cute pallida, facendo cadere a terra pesanti gocce di sangue che creavano dense pozzanghere sul pavimento marmoreo.

Con ancora i polsi feriti, si alzava e si dirigeva verso il suo trono: il lucido piano a coda attendeva il suo tocco esperto per rendere frettolosi segni a penna bellissime melodie, che lo rigeneravano come una doccia fredda e lo lasciavano dormire pacificamente per l'intera notte.

Ma quella sera no, quella sera era arrivato a casa e aveva cominciato a suonare l'Adagio in si minore, una delle opere più struggenti di quel genio che era stato Mozart, davanti alla finestra spalancata, la quale dava sulla strada che si era addormentata cullata dalla leggera brezza autunnale.

Ogni nota, suonata con una delicatezza tale, gli faceva vibrare l'anima e dava una leggera spinta alle lacrime che si stavano formando sulle sue ciglia, mentre la musica riecheggiava per la stanza semivuota e cupa, illuminata solo dalla timida luna che faceva capolino tra le fronde del melo selvatico.

Lentamente le lacrime avevano cominciato ad offuscargli la vista, ma Salieri non sbagliava nessuna nota, come se quella musica fosse stata incisa nella sua stessa anima e ora stesse rendendo visibile il lato più fragile di sé. Ma non era così, appena aveva iniziato a piangere aveva sentito sulle sue dita uno strano calore, come se un altro paio di mani si fosse posato sulle sue per guidarlo, per non fargli perdere nessuna nota di quella bellissima sonata.

Antonio sapeva perfettamente di chi fossero quelle piccole e affusolate mani, le aveva sfiorate troppe volte per sbaglio e non le aveva strette abbastanza forte quando il cuore di Wolfgang si era fermato, non aveva mai osato prenderle davvero con le sue, anche se la voglia era sempre stata molta e le aveva viste muoversi sapientemente sui tasti di un brillante pianoforte come se stessero accarezzando l'aria.

Non voleva smettere di suonare, non voleva che quella sensazione di calore scomparisse come era già scomparso lui, voleva a tutti i costi rimanere appigliato alla presa delle sue effimere mani, che in quel momento erano il perfetto incastro di cui aveva bisogno. Non riusciva più a sopportare l'attesa che li divideva, ma sapeva che affrettarla avrebbe fatto male a lui stesso, soprattutto all'anima fragile di Mozart, che ora lo stava osservando piangere, liberare tutte le parole che non aveva fatto in tempo a dirgli e che stavano creando dentro di lui un cratere enorme, un buco di dolore e rimorsi, incolmabile.

Antonio poteva farlo, mettere per sempre fine a quelle sofferenze gratuite e andarsene in un soffio, ma le labili braccia che sentiva intorno alle sue spalle gli stava dicendo il contrario, gli stavano indicando che doveva vivere ancora per lui, andare ancora un po' avanti e sopportare la solitudine.

Con quella sensazione attorno a sé e tre semplici parole sussurrate all'orecchio, Salieri si era addormentato sotto la finestra aperta, che ora sapeva un po' di più di una promessa: "On se reverra"

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