𝕮𝖆𝖑𝖉𝖔 𝖊 𝖈𝖔𝖓𝖋𝖊𝖘𝖘𝖎𝖔𝖓𝖎

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Quel giorno la gita organizzata dalla scuola mi era sembrata un'ottima scusa per svagarsi un po'.
Una via di fuga dall'oscuro alone di morte che ci circondava, stringendoci con troppa forza nel suo gelido e silenzioso abbraccio.

Bramavo una pausa.
Uno spazio bianco fra le pagine di quella vita che non sembrava appartenermi più. Che era divenuta, ormai, frenetica e colma di situazioni ignote, sospese nell'aria.

Volevo avvertire, solo per un attimo, la cessazione della frenesia stancante di un cuore spaventato, dell'infelicità e del dolore.
Chiudere gli occhi fra la natura rigogliosa di quel bosco profumato e percepire soltanto il sole, affacciandosi fra le fronde degli alberi, baciarmi la pelle bianca. Non il timore che l'oscurità giungesse a strapparmi la giugulare calda e pulsante.

Sebastian non era stato del mio stesso parere. Desiderava soltanto raggiungere le ombre prima che loro raggiungessero lui. Saltare il baratro colmo di lance spezzate, appartenute a combattenti, caduti prima di lui, cieco e incurante.

Ero riuscita, però, a costringerlo ad accompagnarmi.
Una decisione che si era rivelata fortunata, dato che i miei piedi continuavano a inciampare goffamente fra le spesse radici degli alberi. A evitarmi delle rovinose cadute era proprio lui.

Rendevo i nostri spostamenti talmente lenti da averci fatto ottenere l'ultimo posto nella fila, guidata dalla professoressa Kane. Non riuscivamo a sentire neanche una piccola parte delle nozioni sull'orientamento che la donna stava fornendo.

Sebastian, al mio fianco, mi trattenne per un braccio, l'ennesimo salvataggio. Feci per ringraziarlo, ma non ne ebbi l'occasione.

Mi ritrovai la mano di Erika a bloccarmi, quasi nel terrore di una fuga. Mi tratteneva per una manica della mia bianca maglia di cotone.
Sebastian la osservava attentamente, vigilando le sue azioni con occhi grigi e attenti. Le iridi puntate sulle dita che erano affondate nel tessuto.

«Rose» borbottò lei, il volto rivolto verso di me. Le piscine verdi fra le sue ciglia rifuggevano al mio sguardo. «C'è una cosa che devo dirti» la sua voce tremò leggermente, colta dall'incertezza.

In tacito accordo, ci allontanammmo dal gruppo silenziosamente, nascosti alla vista degli altri dalle chiome verdi di quelle querce che tanti avvenimenti avevano testimoniato, e affrontato.
Le voci, prima chiare, in quel momento ridotte a un brusio di sottofondo.

«Cos'è successo?» Mi azzardai a domandare solo in quel momento, preoccupata. «Hai visto qualcosa di strano? Ti senti male?» Il mio istinto combatteva contro ciò che esprimevano le mie parole.

Mi lanciò un breve sguardo contrito.
«No» scosse la testa, passando una mano pallida fra i corti ciuffi biondi, come faceva sempre quando era nervosa.
«Niente del genere, ho solo qualcosa da dirti» ripeté con veemenza.

Attesi pazientemente che raccimolasse un po' di coraggio, tuttavia ansiosa di sapere cosa la tormentava.
«Io...» la sua voce era poco più di un sussurro. Prese un respiro profondo. Si decise a piantare gli occhi verdi nei miei.
«Vi ho traditi» riuscì a dire, secca, quasi stesse vomitando le parole «Voglio dire... Prima ancora di conoscervi».

Una criminale redenta che accetta con dignità la sua crudele condanna, percorrendo le strade della giustizia a testa alta.
Mi rifiutai di riconoscere quell'affermazione. Inarcai un sopracciglio ramato.
Il mio cervello era arrovellato nella confusione di un labirinto «Non capisco». Incrociai le braccia sotto il seno, testarda.

Fu Sebastian a intervenire, gettandomi in viso la brutale realtà. «È sempre stata d'accordo con i vampiri» chiarì con sincerità. Alzai lo sguardo su di lui, boccheggiando. Anche la testa di Erika scattò verso il ragazzo con la velocità di una frusta.

«Cosa?».
Non riuscii ad accettare ciò che mi era stato detto, neanche in quel momento, «No- Non-» biascicai, portando incredula una mano pallida alla bocca. «E tu lo sapevi?» Mi rivolsi a lui, infine.

«È stato abbastanza semplice capirlo» rispose con una scrollata di spalle, apparendo comunque dispiaciuto per la mia tristezza.
«Ho fiutato le sue bugie da un miglio di distanza» normalmente perdeva la pazienza facilmente, ma questo tradimento non sembrava turbarlo.

Ogni essere umano ha una storia. Quella di Erika era una storia di poche gioie e tanti voltafaccia. Il suo racconto fu triste, ma necessario.

«Nessun altro se n'è accorto, però, ne sono certa!» Fece notare. Non distolse lo sguardo dai lineamenti definiti di Sebastian.
«Perché non lo hai detto agli altri?» domandò poi nervosamente.

«Perché so cosa significa provare quel genere di dolore» replicò lui.
L'affermazione parve poco sentita, quasi buttata lì con il disinteresse di uno spettatore. Io conoscevo le reali emozioni ermeticamente sigillate in quelle poche parole.

Gli occhi di Erika si spalancarono, pungenti di lacrime plumbee. Verdi come le foglie brillanti che oscillavano nel vento fresco, la cui caduta era impedita dai forti rami che le tenevano ancorate come vesti protettrici.

Mosse delicatamente il capo su e giù, un delicato gesto esitante. I ciuffi biondo miele andarono a sfiorarle il viso, dispettosi.
Decisi di intervenire, le posai una mano sulla spalla. Un mero conforto, ma a volte il contatto umano era ciò che riusciva a ricordarci che eravamo vivi.

«Se Seb non è preoccupato non lo sono neanche io» Le sorrisi, rassicurante.
Lei portò nuovamente gli occhi nei miei, scattando in avanti e chiudendomi in un soffocante abbraccio, malferma sulle gambe.
Le diedi una goffa pacca sulla schiena, avvertendo il tessuto della sua sola canottiera scura. La felpa la teneva legata in vita.

Una volta terminata quell'improvvisa dimostrazione d'affetto mi mossi leggermente, ritrovando l'equilibrio. Scostandomi una ciocca ramata, sfuggita alla coda, portai una mano alla bretella dello zaino, il cui peso cominciava a farsi sentire.

Come se avesse percepito i miei pensieri, Sebastian me lo prese, caricandosi di quel peso al mio posto, come faceva con tutti i miei fardelli.
Borbottai un ringraziamento. Si limitò ad annuire in segno di riconoscimento e a farmi un mezzo sorriso.

Scossi la testa, sbuffando «Non pensate dovremmo dirlo a qualcuno?» Chiesi, incerta su quali fossero i loro pensieri sulla questione.
Celare un tradimento in tre, probabilmente, era solo un ampliamento dello stesso.
«Potremmo organizzare una riunione con il Branco, parlarne anche a Jason» interruppi il mio sproloquio, notando che entrambi stavano scuotendo la testa fermamente.

Fu Erika a spiegarsi, ovviamente. «Rose» i suoi occhi si riempirono di malinconia, passò le mani sulle pieghe della canottiera «Non posso dirlo a Nate. Non credo la prenderebbe altrettanto bene, sai?».

Annuii turbata, ma conscia che avesse ragione. «D'accordo...» sospirai, già stremata e incapace di superare questa nuova diga «Era per dire».
Sebastian non disse nulla, ero certa che il suo problema non fosse Nate, ma non mi aspettavo che lui esprimesse ad alta voce i suoi pensieri. Sarebbe stata una vana speranza.

«Come si muovono al sole?» Domandò secco, cambiando completamente la direzione del nostro discorso.
Gli pestai un piede con la mia scarpa da ginnastica, lui non sembrò neanche notarlo. Incrociò le braccia al petto.

«Quello che intendeva dire era:» spiegai con lentezza, più cortese «potresti dirci qualcosa su di loro? Più di ciò che già sappiamo». Accompagnai a quelle parole un'occhiata bieca verso il diretto interessato.

Erika sorrise, stranamente commossa.
«Non molto, non ero in una cerchia ristretta, più alla base della piramide. So solo che i più anziani...» rivelò pazientemente «Bruciano alla luce del sole. I vampiri appena trasformati possono muoversi liberamente».

La sollecitai a continuare e lei lo fece. Rizzò la schiena, felice di poterci dare delle informazioni utili. «Sono degli eccellenti manipolatori» il suo sguardo vagò per un attimo sul terreno «E poi, come sapete, l'unico modo di ucciderli è tagliar loro la testa».

Lanciai un'occhiata interrogativa a Sebastian. «Non lo sapevo» Rispose lui alla mia domanda inespressa «Ero solo arrabbiato». Le sue iridi si mossero verso il bosco, la foschia dei pensieri ne aveva preso possesso. Decisi di non disturbare le sue riflessioni.

Mi rivolsi, quindi, alla ragazza di fronte a me. «Grazie» ribattei, imprimendo nella mia mente quelle informazioni a fuoco.

«Wilson». Giunse alle nostre orecchie, improvviso, il richiamo della professoressa.
«I tuoi capelli non aiutano la mimetizzazione, venite qui, immediatamente» sbraitò la donna.

Sussultando all'improvvisa attenzione, feci come mi era stato detto, Erika e Sebastian al seguito. Ci riunimmo al gruppo.
Durante il resto della camminata Erika proseguì il racconto, arricchendolo di dettagli.

Il sole premeva prepotente sulla mia pelle. Il sudore si era fatto strada sulla mia fronte e anche sulla schiena. Mi augurai di non puzzare, pentendomi di aver indossato una maglia a maniche lunghe, bianca, a Settembre.
Il caldo torbido dell'estate trascorsa non era ancora da sottovalutare.

«Stai bene?» Mi domandò Sebastian, palesemente combattuto fra la preoccupazione e il divertimento. Lui non avvertiva calore, o stanchezza, se non in condizioni estreme.

Seccata, sbuffai. «È normale per noi comuni mortali essere stanchi durante una camminata del genere, sotto il sole» annaspai, avanzando faticosamente.

Si guardò attorno, come per verificare la mia affermazione. Studiò anche Erika, al mio fianco, che versava nelle stesse condizioni.
Sorrise beffarda, mostrandogli un pollice in su: «Tranquillo». Ridacchiò, un lieve fiatone a scuoterle il petto.

Lui storse il naso «Sono tranquillo». Sbuffò, lasciandomi un altra occhiata per poi superarci.
La ragazza cercò di celare il sorrisetto che continuava a tenderle i lineamenti e si avvicinò a me maggiormente.

«Sai, penso sia carino» Mi sussurrò divertita, la tensione che poco prima aveva pervaso l'aria, ormai dimenticata.

Ero abbastanza certa che lui ci stesse ascoltando. «Chi? Sebastian?» Tentai di apparire vaga, lei amava Nate ed io lo sapevo.

«No!» sbottò rapidamente «Cioè, sì, sarei scema a non ammetterlo» si corresse poi «Ma non è quello che intendevo dire, ad essere carino è il modo in cui si preoccupa per te».

Scossi la testa con un sorriso malinconico. «Siamo amici fin da bambini e sa che sono imbranata, senza di lui finirei nei guai» le spiegai, lievemente più cupa.

Lei mi bloccò il cammino d'improvviso, la serietà prese possesso dei suoi lineamenti. «Rose...» mormorò, apparendo quasi in pena per me «Ci sono...» fece una pausa «Tante cose di Sebastian che tu dev-» non potè terminare la sua frase. Un ragazzo passò avanti, investendoci.

Gli rivolsi uno sguardo gelido. «Almeno potresti chiedere scusa» proruppi, estremamente innervosita.

«Scusa!» ribatté beffardo. «Non ti ricordavo così suscettibile. O forse sì, in effetti» biascicò poi, facendo per riprendere la sua corsa volta al raggiungimento di chissà quale luogo.

«Come?» lo fermai nuovamente.

Alzò gli occhi al cielo. «Ti perdono solamente perché sei ancora sexy» mi ignorò, sparendo.

«Caleb!» Cercai di richiamarlo, senza alcun risultato.

Erika, riuscita a mantenere faticosamente l'equilibrio, mi guardò curiosa. «Lo conosci?» Chiese, anche se già aveva compreso la risposta a quella domanda.

Scrollai le spalle, vaga. «Te lo dirò in un'altra situazione» risposi, sforzandomi di apparire sicura.

Fu il pullman, dopo aver mangiato, a ricondurci a scuola.
«Ce la fai?» mi domandò Sebastian, mentre ci muovevamo nel vialetto di casa.

Alzai gli occhi al cielo limpido, infastidita «Non sono un'ottantenne» gli ricordai.
«Parlare dei suoi genitori...» introdussi a un certo punto «Come ti ha fatto sentire?».

Si irrigidì leggermente. «In nessun modo» affermò secco, tirando indietro ciuffi corvini con la mano. Strinse i denti, come a impedire ad altre parole e altri sentimenti di fuoriuscire.

A un mio sguardo scettico sorrise, rilassandosi nuovamente.
«Ascolta, Rose» mi richiamò «Finché ci sei tu andrà tutto bene». Mi sfiorò una guancia con delicatezza e io sorrisi mestamente.

Solo in parte ciò che aveva detto era vero. Non sentivo di star facendo abbastanza.
Mi pareva di avere un enorme debito con l'universo, che mi aveva donato un angelo custode. Le mie intenzioni di ripagarlo non sarebbero bastate, non in quel momento, ma ero certa che forse un giorno ci sarei riuscita.

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𝕰 𝖆𝖉𝖊𝖘𝖘𝖔 𝖘𝖔𝖑𝖔 𝖒𝖊!

𝖡𝗎𝗈𝗇𝗀𝗂𝗈𝗋𝗇𝗈!
𝖭𝗈𝗇 𝗏𝗂 𝗌𝗂𝖾𝗍𝖾 𝗀𝗂𝖺̀ 𝗌𝗍𝖺𝗇𝖼𝖺𝗍𝗂 𝖽𝗂 𝗆𝖾, 𝗏𝖾𝗋𝗈?
𝖫𝖺𝗏𝗈𝗋𝗈 𝖺 𝗊𝗎𝖾𝗌𝗍𝗈 𝖼𝖺𝗉𝗂𝗍𝗈𝗅𝗈 𝖽𝖺 𝗎𝗇𝖺 𝗏𝗂𝗍𝖺, 𝗌𝗉𝖾𝗋𝗈 𝗉𝗈𝗌𝗌𝗂𝖺𝗍𝖾 𝖺𝗉𝗉𝗋𝖾𝗓𝗓𝖺𝗋𝗅𝗈.
𝖢𝗈𝗌𝖺 𝗉𝖾𝗇𝗌𝖺𝗍𝖾 𝗏𝗈𝗅𝖾𝗌𝗌𝖾 𝖽𝗂𝗋𝖾 𝖤𝗋𝗂𝗄𝖺 𝖺 𝖱𝗈𝗌𝖾?
𝖢𝗈𝗌'𝖾̀ 𝗌𝗎𝖼𝖼𝖾𝗌𝗌𝗈 𝖽𝗂 𝗉𝗋𝖾𝖼𝗂𝗌𝗈 𝖺𝗂 𝗀𝖾𝗇𝗂𝗍𝗈𝗋𝗂 𝖽𝗂 𝖲𝖾𝖻𝖺𝗌𝗍𝗂𝖺𝗇?
𝖨 𝗆𝗂𝗌𝗍𝖾𝗋𝗂 𝖽𝖾𝗅𝗅𝖺 𝗏𝗂𝗍𝖺...

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