𝕯𝖎𝖛𝖊𝖗𝖘𝖔 𝖕𝖊𝖗 𝖓𝖔𝖎

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Giunta a scuola, la prima ora di lezione corse tranquilla.
Una tranquillità che mi rassicurò, ma mi frustrò anche, se portata a paragone con il panico che poche ore prima mi aveva pervaso.

Le fondamenta della mia vita, prima salde, avevano sofferto una forte scossa. Ma nulla attorno a me era mutato, nel perpetrarsi di quel quotidiano via vai di luoghi e persone che era l'estenuante vita.
Nel periodo di tempo che seguì il trillo della prima campanella, di una futura lunga serie, però, ogni parvenza di inerzia cessò.

In attesa del nostro severo professore la porta era tenuta spalancata. Potei ben notare un familiare nugolo di capelli castani sfrecciarvi davanti a una velocità allarmante.

Con circospezione abbandonai la mia sedia, e con essa ogni possibile parvenza di tranquillità. Fortunatamente nessuno sguardo fin troppo curioso mi fu rivolto. Mi diressi verso la piccola porta giallognola, sforzandomi di non richiamare alcun genere di attenzione.

Una volta fuori non mi diedi più remora di mostrare la mia reale preoccupazione.

Un urlo: «Bailey!». I piedi puntati sulle mattonelle del corridoio, richiamai la ragazza che avevo visto sfrecciare via. All'ascoltare la mia voce, si bloccò di colpo, la vidi spostare i ciuffi scompigliati dietro le spalle.
Si voltò a osservarmi con sollievo, ansimante per la corsa, e non esitò a venirmi incontro a lunghi passi.

Chiamò il mio nome di rimando. Mi parve estremamente sollevata. Un suo sussurro confermò il mio pensiero: «Menomale che sei qui». Conclusi di non aver errato nel cominciare a preoccuparmi.

Mi allarmai. «Che succede?» Chiesi, cercando di mantenere, almeno nell'espressione, una calma che avrebbe celato ciò che realmente mi agitava l'animo.
Scosse la testa, rapita da un improvviso ulteriore sconforto «Non so bene neppure io» rispose cercando di riprendersi. «Chris è uscito di corsa. Eravamo a lezione di Biologia» aggiunse.

Una cosa io e Bailey condividevamo: il totale prosciugante pensiero, spesso di preoccupazione, sempre rivolto ai nostri due lupi.
Lei, però, possedeva più diritti di me su quell'insuperabile ossessione.

Fui io, allora, ad afferrare la sua mano in una stretta. Era soffice e il polso piuttosto esile, eppure le sue dita si strinsero alle mie con decisione. «Dai, andiamo» approvai, unendomi a quella corsa priva di una meta precisa.

Ci fermammo solamente quando, nel mezzo del corridoio, che sarebbe dovuto essere deserto, individuammo il piccolo capannello di membri del branco riuniti. Le loro voci erano impegnate in bisbigli, frenetiche. Si mescolavano.

Silenziosamente ci avvicinammo a loro. In ogni caso, sembravano troppo impegnati in una grave conversazione per rilevare la nostra presenza.
«La traccia termina qui» stava dicendo Romeo. La voce bassa, per evitare giungesse alle orecchie di chi non avrebbe dovuto ascoltare.

Fu Drake a proseguire, sempre in sintonia con l'onda di pensiero del suo amico, «La domanda è: come ha fatto a venire fin qui? Oggi c'è un sole che spacca le pietre».

Sebastian, al contrario, non sembrava condividere quegli stessi razionali pareri. La sua mascella era serrata, le braccia lungo i fianchi, le dita strette in pugni. «Che importa?» Ribatté brusco «Di certo non cambierà il modo in cui lo uccideremo».

Chris era il meno tormentato. «Calmatevi» affermò fermamente.
Lui e Bailey avevano quel tipo di carattere maturo e pacato, che ti portava a un'istantanea fiducia.

Cercò di ristabilire ordine e priorità. «Prima di tutto dobbiamo parlarne con Jason e Val» ricordò a tutti, un movimento vago delle mani «l'ultimo voto sulla decisione va a loro».

Sebastian appariva incredibilmente frustrato. La rabbia era un'emozione sempre presente in lui, a volte mascherata dalle altre. La miccia dei suoi istinti, sempre in subbuglio sotto la pelle chiara.

Romeo mosse il braccio, come per posargli una pacca gentile sulla spalla. A quel punto intervenni, salvando il povero ragazzo da una molto probabile prematura dipartita.

«Seb» Lo richiamai dalle profondità di quel prepotente sentimento. Si voltò verso di me, con uno scatto del capo, la bocca contratta in una smorfia, i canini affondati nel labbro inferiore.
Le sue sfere d'argento screziate dall'impurità del rigido piombo, la vena del suo collo parve smettere di pulsare sotto la pelle.

Mi avvicinai lentamente. Gli misi una mano sulla spalla, premendo il palmo contro le scapole, picchettai le dita sulla clavicola. Conoscevo fin troppo bene l'irrequietezza dei suoi tormenti.

«Non dovresti essere qui» mi rimproverò. Non intendeva davvero le sue stesse parole. Esse risultarono prive di convinzione, influenzate anche dal sorriso che aveva preso possesso dei suoi lineamenti definiti.

«Questa è anche la mia scuola» ribadii decisa «se qualcuno la minaccia, voglio saperlo». Mi domandai se non fosse egoistico mentire in una maniera tanto spudorata.

Lo sentii sbuffare, buttando fuori assieme all'aria anche l'eccessiva tensione. Tornò a sfoggiare la pacata eleganza che in altre situazioni lo avrebbe caratterizzato.

«Già» mi spalleggiò Bailey. Approfittò del silenzio che aveva accompagnato il mio intervento per infiltrarsi nel discorso.
Chris le sorrise. Le avvolse un braccio attorno alle fragili spalle, Bailey indossava una maglia violetta di morbido cotone.
Le posò con delicatezza un tenero bacio sulle labbra rosee.

«Io penso che abbiano il diritto di conoscere la situazione». Fu Ashley Turner, ragazza temeraria che di certo non si poneva inutili problemi ad esprimere le sue idee, a parlare. Andava spesso contro corrente, non saprei dire se per il semplice gusto di contraddire gli altri.

«Ash!» Proruppe in un rimprovero Kelly Roberts. Invece, lei non amava infrangere regole. Con studiata precisione, seguiva qualunque codice le fosse imposto, scritto e non. Sempre ordinata ed elegante.

Le due, così diverse, erano migliori amiche sin dall'asilo, legate da un rapporto molto stretto che ogni tanto le portava ad un ilare esasperazione.
Mi ricordava quello tra me e Sebastian sotto alcuni aspetti.

«Non capisco perché Jason dovrebbe poter decidere al nostro posto» Ribatté Ashley piccata. L'istinto naturale di ribellione la guidava.

Con due dita a massaggiarsi una tempia, Kelly sbuffò: «È a questo che serve un Alpha!». Si portò i capelli biondi dietro la spalla in un rapido gesto stizzito.

Chris si schiarì la voce, ristabilendo la calma per l'ennesima volta, con un sorriso lievemente divertito.
«Ragazze...» affermò gentilmente, una ciocca chiara sulla fronte.
«Preferisco non dare ragione a nessuna delle due, se volete dirlo a qualcuno, qualcuno di fidato e importante, come voglio fare io, allora chiedete prima a Jason» risolse.

Le labbra rosa cipria di Bailey si contrassero. «Allora me lo dirai?» Chiese soddisfatta. Non colta di sorpresa, vista la fiducia reciproca data dal meraviglioso rapporto che condividevano.

«Come posso non farlo?» ribatté il ragazzo in risposta, gli occhi ridenti e le labbra curvate verso l'alto.

Distolsi lo sguardo soffocata dalla dolcezza che permeava l'aria. Probabilmente anche invidiosa. L'amore passava pacato fra i loro sguardi, così incondizionato. In un modo che io non potevo permettermi di mostrare.

Mi rivolsi a Sebastian con un broncio tremolante. «Non è giusto» borbottai «Tu non me lo dirai mai».

Sorrise, assestandomi una leggera pacca sulla testa «Non preoccuparti, Ro» affermò con fare beffardo «Prima ancora che io possa dirti qualunque cosa il problema sarà eliminato, siamo molto... efficienti».

«Ragazzi!» Ci avvertì Katrina, che fino a quel momento era rimasta in silenzio. La campanella suonò e i suoi occhi verdi indicarono il momento di sloggiare. Gli studenti ripresero a riversarsi nei corridoi, simili a degli affluenti che si rigettano nel fiume.

Avevo perduto la cognizione del tempo trascorso. Non mi ero accorta che un'ora fosse volata via, persa per sempre, a una tale velocità.
Ci disperdemmo, rapidi, fra la folla. In un semplice tentativo di depistaggio, ci dirigemmo alla successiva lezione.

O, almeno, così credevo avessero fatto tutti. Evidentemente mi sbagliavo perché, quando a pranzo giunsi al nostro solito tavolo, non trovai la persona che più mi premeva rivedere. Il vociare dei ragazzi rimbombava, amplificato, fra le pareti della grande mensa.

«E Sebastian?» interrogai gli altri, rivolta soprattutto a Drake e Romeo. Si scambiarono uno sguardo, per poi rivolgermi una contemporanea scrollata di spalle.
«Noi a lezione non lo abbiamo visto» ammise Romeo, con riluttanza. I dolci occhi color nocciola colmi di indecisione «ma io non mi preoccuperei».
«Sebastian se la sa cavare da solo» convenne Drake con leggerezza.

Perdendosi poi in un lungo discorso, tirarono fuori dalle loro memorie numerosi ricordi. Episodi divertenti di cui io non conoscevo neppure l'esistenza che vedevano Sebastian protagonista indiscusso.

Non prestai loro ulteriore attenzione.

Sedendomi, scrutai il perimetro della sala. Registrai a malapena la voce di Bailey, seduta alla mia destra, che mi domandava preoccupata quale fosse il problema.
Individuai rapidamente il tavolo dei ragazzi che secondo le sociali norme scolastiche venivano considerati popolari. Lì di solito sedeva Madison.

Il posto era vuoto.

Spostai il vassoio con il cibo, che avevo precedentemente riempito, il più lontano possibile, avvertendo un leggero malessere.
«Rose...». Bailey ricercò nuovamente la mia attenzione, la sua caviglia sfiorò delicatamente la mia sotto il tavolo, in maniera discreta. «Tutto bene?» ripeté pazientemente.

Annuii.

«Davvero?» fece Ashley, scettica, muovendo le labbra attorno a una patatina fritta «Perché hai la faccia di una che ha appena visto dei vermi uscire dal suo panino». il suo poco tatto riuscì a farmi sorridere.

Kelly ebbe una reazione differente.
«Ash!», La rimproverò con una faccia comicamente disgustata. Spostò, anche lei, con la punta delle dita, il vassoio azzurro in plastica.

Ashley scrollò le spalle, le labbra arcuate in un ghigno strafottente. Le strappò via il cibo scartato con mani veloci, sotto lo sguardo scioccato della proprietaria.
Nonostante la malinconia, che mi aveva precedentemente pervaso, quella scenetta riuscì tirarmi fuori dalle labbra una debole risata.

A volte bastava essere semplici e genuini, per riportare il sorriso sul volto di chi ti stava attorno, abituato all'artificio dell'attuale esistenza.

«No, no» sbuffò Romeo fra le risa, di fronte a noi. Ci voltammo a guardarlo. «Ti ricordi quando Sebastian è spuntato fuori dai cespugli trasformato, e quel cacciatore se l'è fatta addosso?» Chiese a nessuno in particolare.
Drake annuì con fervore, facendo specchio alla sua allegria.

«Davvero?» domandai, con ritrovato interesse. Non esitarono neppure per un attimo a rendermi partecipe della conversazione.

«Sì» proclamò Drake. Come se quella fosse stata un'impresa condivisa da ognuno di loro.
Nonostante tutto, componevano un Branco compatto, un potente composto di solidarietà ed empatia, situazioni di sintonia, scaturite dalla forza di simili tormenti.

«Da tutta la sera dal profondo della foresta lo sentivamo vantarsi con un allampanato ragazzino che era con lui, forse suo figlio, di tutto quello che aveva visto nelle precedenti battute, Grizzly enormi, diceva...» Proseguì, il resto del suo discorso si perse fra le allegre risate.

«Avresti dovuto esserci» Affermò Romeo asciugandosi delle lacrime immaginarie. Tutti attorno al tavolo non poterono trattenere espressioni divertite. Persino Kelly fu costretta a coprirsi la bocca con la pallida mano ben curata per non lasciarsi sfuggire un risolino.

«Davvero non te l'ha mai raccontato?» borbottò Chris, apparentemente rivolto più a sé stesso, senza mostrare reale desiderio di essere udito da qualcuno.

Scossi la testa, Romeo assunse un cipiglio confuso. «È strano» convenne con leggerezza «Chris racconta tutto a Bailey». Lanciò un'occhiata al diretto interessato, che sorrise imbarazzato, stranamente. Appariva a disagio.

Portò la propria attenzione verso Bailey, sottraendosi alla conversazione, che per qualche motivo sembrava aver cominciato a stargli stretta.
Non prestai particolare attenzione a quella repentina reazione, strana, specialmente per lui che di solito risultava sempre pacato.

«Sì» risposi, disinteressata, «ma per loro è diverso, no?».
Posai il gomito sul freddo tavolo di metallo, che non percepii attraverso la stoffa della mia felpa, abbandonando il peso della testa sulla mano. Avvertii distrattamente i morbidi ciuffi ramati scivolarmi sulle dita.

Romeo si schiarì la gola con imbarazzo. L'occhiataccia truce di Drake che lo attraversò, assieme alla mia azzurra e curiosa. «Sì, sì» fu il suo lieve borbottio «che idiota. Ovviamente».

Quando le lezioni terminarono, trovai la figura di Sebastian esattamente nello stesso luogo in cui mi attendeva tutti i giorni, davanti al portone.
La schiena posata contro la colonna, lo sguardo colorato di un vacuo grigiore, i pensieri perduti nella ricerca della risposta a quesiti che io ignoravo tristemente.

Notando la mia presenza, si volse con uno dei suoi sorrisi dolci, che solo io avevo il privilegio di poter ammirare, a tendergli le labbra carnose, in uno scintillio di denti perlacei.
Fu difficile per me mantenere la patina di furia, che avevo racimolato durante la giornata.

«Allora...» sbottai ilare «Ti sei divertito con Madison?». Lo superai senza voltarmi indietro e, per una volta, fu lui a seguire me, accostandosi al mio fianco.

«Sì» Affermò serio «Ma suppongo sia meglio non vederla più». Totale naturalezza traspariva dalle sue disinteressate parole.
Mi bloccai di colpo. Non mi colpì grazie solamente ai riflessi pronti che poteva vantare, derivanti dal suo stato di licantropo.

«Perché?» Chiesi, tentando, e non riuscendo, a mascherare la sorpresa che trapelò chiaramente nella mia voce.
Fece una smorfia amara. Non mi negò la risposta che attendevo, con un'ansia che non avrei desiderato provare.

«Non intrattiene rapporti con altri ragazzi da un po' e, in mia presenza, i suoi battiti aumentano notevolmente» mi informò. Poi scrollò le spalle, in un'azione che esprimeva un interesse poco o nullo. Mi sorprese.

Si poteva dire che Madison ormai fosse una sfaccettatura dell'intreccio delle nostre vite. Non piacevole, ma permeata dall'importanza che ha un pezzo di esistenza che si ripropone nello scorrere di mesi.

«E tu come fai a sapere che non vede altri ragazzi?» Domandai, tentando di non rimuginare ulteriormente sul significato che avrebbe potuto avere il resto della sua frase.
Fingendo che il mio cuore, invece, non pompasse il sangue a un ritmo più rapido quando il mio respiro poteva bearsi della fragranza che impregnava l'aria in sua presenza.

«Dall'odore» mi fece presente Sebastian, un sorriso inconsapevole ad accompagnare le sue parole.

Dimenticai, almeno apparentemente, i precedenti pensieri, apparsi nella mia mente con prepotenza. Gli rivolsi un'occhiata avida. «Cosa capisci dal mio odore?» chiesi, vestendo le apparenze di una bambina ansiosa che non vede l'ora di scoprire le funzionalità del proprio giocattolo nuovo fiammante.

«Che sei Rose» si limitò lui, ma, a una mia occhiata insistente, si arrese.
«Mi piace molto il tuo odore» rivelò. Sentii un familiare bruciore salire alle guance in risposta alla gioia di quella semplice ma per me monumentale scoperta.
«Profumi di rose e shampoo per capelli ai lamponi, è dolce» proseguì, un lieve respiro contento lasciò le mie labbra.

Mi accorsi che quello era un tentativo di farmi tornare il buon umore. Apprezzai il gesto e decisi che potevo fargliela passare, un'altra volta.

«Oggi non hai mangiato, mi è stato detto» affermò poi, la preoccupazione si posò sui lineamenti marmorei «Stai bene?».
Mi torturai leggermente il labbro inferiore con i denti bianchi e annuii.

«Chris mi ha detto che Jason ha organizzato una riunione a casa sua» cambiai discorso con caparbietà. «È davvero terribile quello che sta succedendo?» Chiesi, esprimendo quel pensiero, rapido come era arrivato.

«Voglio venire» ripresi, poi, sicura. Mossi il capo su e giù. I riccioli ramati mi solleticarono il viso, sospinti dalla potenza di un vento leggero. Ripresi finalmente a camminare, Sebastian manteneva il passo senza alcuna difficoltà.

«Sarà di notte, come sempre» tentò lui, palesemente stanco delle mie pressioni «Cosa dirai a tua madre?»

«Che dormo da te» risposi con un piccolo sorriso, sistemandomi la spallina dello zaino «Sai che stravede per te» spinsi un ricciolo ribelle dietro l'orecchio.

«Solo questa volta» acconsentì, di malavoglia.

Gli feci presente il mio scetticismo. «Hai ceduto troppo in fretta, cosa c'è sotto?» intuii. Il fatto che avesse improvvisamente smesso di lottare mi insospettì.

Lui scosse la testa, l'aria di un lieve sbuffo a varcargli le labbra. «Niente» mi assicurò, colto dalla leggerezza di una risata.

Annuii, non del tutto convinta, digitando un rapido messaggio da inviare a mia madre. Non fece troppe domande, non ne faceva mai quando era coinvolto Sebastian.

Era triste infrangere in tal modo la fiducia che lei riponeva in me. Nonostante questa conoscenza mi accompagnasse, le menzogne che dicevo a lei erano le uniche di cui, ne ero certa, mai mi sarei pentita.

Rapirla dalla sua vita per condurla nel viale della torbida tristezza, che permeava le inesistenti luci della concreta verità, sarebbe stata un'azione composta della crudeltà più amara di quanta ne avrebbe mai potuta possedere un qualunque genere di bugia.

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𝕰 𝖆𝖉𝖊𝖘𝖘𝖔 𝖘𝖔𝖑𝖔 𝖒𝖊!

𝖡𝗎𝗈𝗇𝗀𝗂𝗈𝗋𝗇𝗂𝗌𝗌𝗂𝗆𝗈!
𝖲𝗉𝖾𝗋𝗈 𝖽𝗂 𝖾𝗌𝗌𝖾𝗋𝗏𝗂 𝗆𝖺𝗇𝖼𝖺𝗍𝖺, 𝗆𝖺 𝗈𝗋𝖺 𝖾𝖼𝖼𝗈𝗆𝗂 𝗊𝗎𝗂, 𝖽𝗂𝗌𝗉𝗈𝗌𝗍𝖺 𝖺 𝗋𝗂𝖼𝖾𝗏𝖾𝗋𝖾 𝖺𝖽𝖽𝗈𝗌𝗌𝗈 𝖿𝗂𝗈𝗍𝗍𝗂 𝖽𝗂 𝗉𝗈𝗆𝗈𝖽𝗈𝗋𝗂.
𝖳𝗈𝗋𝗇𝖺𝗇𝖽𝗈 𝖺𝗅𝗅𝖾 𝖼𝗈𝗌𝖾 𝗌𝖾𝗋𝗂𝖾, 𝗉𝗂𝗎̀ 𝗈 𝗆𝖾𝗇𝗈, 𝗌𝗉𝖾𝗋𝗈 𝖼𝗁𝖾 𝗊𝗎𝖾𝗌𝗍𝗈 𝖼𝖺𝗉𝗂𝗍𝗈𝗅𝗈 𝗇𝗈𝗇 𝖺𝖻𝖻𝗂𝖺 𝖽𝖾𝗅𝗎𝗌𝗈 𝗅𝖾 𝗏𝗈𝗌𝗍𝗋𝖾 𝖺𝗌𝗉𝖾𝗍𝗍𝖺𝗍𝗂𝗏𝖾, 𝖼𝗁𝖾 𝖿𝖺𝗍𝗂𝖼𝖺𝗍𝖺, 𝗇𝗈𝗇 𝗌𝗈𝗇𝗈 𝗌𝗈𝗅𝗈 𝗎𝗇𝖺 𝗋𝖺𝗀𝖺𝗓𝗓𝖺 𝗅𝖺𝗆𝖾𝗇𝗍𝗈𝗌𝖺, 𝗀𝗂𝗎𝗋𝗈, 𝗆𝖺 𝖺𝗇𝖼𝗁𝖾 𝗂𝗆𝗉𝖾𝗀𝗇𝖺𝗍𝖺.

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