Capitolo 1 - 13 aprile 2023 📝

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• Your day - Moonbin & Sanha
• Dandelion - Seungkwan
• Polaroid love - Enhypen
• The night we met - Lord Huron

Pausa pranzo, una tra le tante cose che recano sollievo nei cuori degli universitari che non ne possono più di attendere la fine della lezione, quando lo stomaco chiama e il cervello non pensa ad altro, se non ad un bel piatto fumante di pasta al forno.

Anche la semplice idea di chiudere i libri e i quaderni o riporre nelle custodie i pc e i tablet, per poter andare a respirare un'aria decisamente meno viziata dell'aula in cui si è stati per ore, è abbastanza allettante.

Quelli erano stati gli stessi pensieri di Sole, che al sentire pronunciare la solita frase "Per oggi va bene così, ci vediamo domani, buon pranzo a tutti", si era alzata di scatto ed era uscita quasi correndo fuori dall'aula, come se qualcuno la stesse inseguendo.

In realtà aveva una fame da leoni ed era sicura che se non si fosse affrettata a comprare il pranzo, sarebbe svenuta come Dante Alighieri nell'Inferno. Così affrettò il passo e, non appena raggiunse la sua rosticceria di fiducia, Da Carmela, si accaparrò la sua porzione fumante di cannelloni.

Il buon profumo di quella prelibatezza sembrava aver dato un attimo di tregua alla sua fame, come se il suo corpo si fosse illuso di star già mangiando, e questo le permise di sopportare l'infinita rampa di scale di marmo, che l'aspettava ogni volta all'ingresso dell'università, e i vari corridoi sempre affollati di studenti e professori. Ad un certo punto svoltò a sinistra, uscì da una porta antipanico e si ritrovò di fronte ai giardinetti interni della sua facoltà, l'ex Monastero dei Benedettini di Catania.

Questo potrebbe essere un dettaglio banale per molti, ma non tutti hanno la possibilità di studiare in un luogo che garantisca una perenne comunicazione tra presente e passato. C'è chi prende posto su sedie di plastica, devastate da anni di utilizzo, e chi su panche di marmo, anche queste erose da anni di utilizzo.

Sole andò a sedersi su una di esse, quasi cadendovi sopra come se fosse un peso morto. Non ne poteva più di attendere oltre. Ripose accanto a sé il suo pesante zaino da studentessa che si porta dietro l'intera biblioteca e rimosse la pellicola dal contenitore di carta in cui si trovava il suo amato pranzo. Impugnò le posate usa e getta date in dotazione e si avventò su di esso, come se non mangiasse da quella mattina, cosa in effetti vera.

Se in quel momento il suo stomaco avesse potuto parlarle, le avrebbe certamente detto "grazie", ma avrebbe aggiunto anche "la prossima volta fai spuntino, ti prego".

L'odore piacevole di salsa mescolato al formaggio fumante dei cannelloni attirò un gattone arancione che viveva in quel giardino insieme ai suoi fratelli. Sole lo aveva chiamato Mandarino perché era dello stesso colore e della stessa forma del frutto.

Il quadrupede peloso si avvicinò a lei, miagolando pigramente e atteggiandosi come se fosse un lottatore di sumo pronto a finire l'avversario. Quel suo atteggiamento spavaldo era motivato dal fatto che era stato abituato sin da piccolo ad ottenere una parte del cibo da tutte le persone che mangiavano lì, in cambio avrebbe tollerato un minuto di carezze, ma attenzione, non un secondo in più.

Lei gli diede un pezzettino di cannellone e poi proseguì a mangiare, come se non ci fosse tempo da perdere. Mangiava alla stessa velocità con cui pensava a tutte le cose che avrebbe dovuto fare dopo: ripetere storia romana, creare un PowerPoint per la prova in itinere di geografia, studiare filologia romanza e sistemare gli appunti di latino.

Fattibile, si diceva.

Nella propria testa cercava di fare conciliare tutte quelle cose insieme, comprese tra le tre di pomeriggio e le otto di sera, senza considerare la notte. Dentro di sé sapeva già che si sarebbe ridotta a studiare fino a mezzanotte.

Se solo fosse stata in grado di concentrarsi per tutto quel tempo.

Dalla fine della sessione invernale fino a quel momento, 13 aprile 2023, non era stata in grado di tenere il passo con lo studio. Tra autobus che non passavano, lasciandola alla fermata per ore, tra la stanchezza una volta ritornata a casa, che le faceva venire un sonno atroce già alle sette di sera, e l'incapacità di ripetere senza distrarsi per venti minuti di fila, si era resa conto che in quel modo aveva fatto ben poco rispetto a ciò che si era prefigurata.

Ogni pomeriggio ripeteva lo stesso schema tossico: accomodatasi alla scrivania, faceva la lista dettagliata dei compiti da svolgere e subito dopo la parte più pigra di sé le chiedeva di andare a bere un cappuccino, così da approfittarne per fare direttamente uno spuntino e perdere altri quindici minuti.

"Oggi sarà diverso! Farò uno spuntino veloce appena arrivo a casa e poi subito a studiare, senza il cellulare nella stanza e senza fissare il muro."

Era così tanto presa da quei pensieri, che sembrò quasi che anche la natura non ne potesse più: una folata di vento le colpì il viso, quasi a volerla schiaffeggiare per farla rinsavire, e la portò a rivolgere lo sguardo verso il prato poco più in là, rispetto a dove si trovava lei.

Lì vide diversi denti di leone, quei fiorellini simpatici che promettono di esaudire i desideri delle persone. Si illuminò di improvviso, come se fosse proprio quello che stava aspettando, e si alzò istintivamente per raccoglierne uno.

Il gambo verde era spesso, come se fosse una matita, mentre il soffione bianchissimo era pieno di semini, come una palla di cotone. Sorrise, perché le aveva ricordato la scena della Bella e la Bestia, in cui si vedeva un campo pieno di denti di leone. Belle aveva soffiato su uno di essi, spargendo nel vento tutti i semini, trasportati chissà in quali terre lontane.

«Caro dente di leone, per favore, fa' sì che i miei sogni si possano avverare» e soffiò, spogliandolo della sua corona lattea tutto in un colpo. Non aveva mai avuto lo stesso entusiasmo nemmeno quando aveva dovuto soffiare le candeline sulla propria torta di compleanno.

Seguì con gli occhi il tragitto compiuto da tutti quei piccoli petali maturi e sospirò, convincendosi che, essendo stata così generica, qualcosa si sarebbe realizzato sul serio.

Non erano sogni irrealizzabili, o per lo meno, la maggior parte era abbastanza comune.

Le sarebbe piaciuto organizzare un viaggio in Corea del Sud, ma aveva troppa paura degli aerei e non aveva mai viaggiato al di fuori della Sicilia, isola dispersa nel mare Mediterraneo.

Tutto aveva avuto inizio nel lontano 2019, quando a sedici anni aveva ascoltato "Fake love" dei BTS e si era affezionata a loro, al kpop e ai kdrama. Nel corso degli anni aveva anche tentato ad imparare il coreano, cosa che le era riuscita per un quarto, visto che era in grado di leggere e capire qualche frase semplice.

Se avesse avuto un coreano di fronte a lei, sarebbe anche riuscita a presentarsi e a dire qualcosa di senso compiuto, giusto per dimostrare di aver sfiorato un libro di grammatica coreana in quei quattro anni. Il merito invece andava in parte ai kdrama e alle solite frasi, ripetute formularmente e sistematicamente in ogni serie, come saranghae "ti amo, ti voglio bene", neon gwenchanha? "Stai bene", pegopa "Ho fame" e così via.

Nonostante ciò, si vergognava che dopo tutti quegli anni non era riuscita a imparare di più. Ogni volta aveva rimandato lo studio del coreano alle vacanze estive, ma ovviamente non ricordando quello che aveva studiato dodici mesi prima, doveva andare a ripassarlo. Si riprometteva che ci sarebbe stata poco. Avrebbe organizzato il ripasso in pochi giorni, ma si ritrovava alla fine di settembre sempre all'ottava lezione del livello 1 di Howtostudykorean.

"Giuro che lo studierò durante le vacanze di Natale" si diceva ormai rassegnata durante i primi giorni di settembre, ma poi non rispettava mai quel proposito, perché ovviamente aveva altre cose da studiare per la scuola.

Aveva avuto anche la faccia tosta di scriverlo negli obiettivi per l'anno nuovo, ma come è possibile immaginare, non aveva mantenuto nemmeno quella promessa.

La cosa era peggiorata sicuramente durante quel primo semestre di università, perché a stento aveva trovato del tempo per studiare i materiali delle materie, sicuramente non avrebbe potuto appesantirsi anche con il coreano.

Quindi questo era il motivo per cui aveva chiesto aiuto al dente di leone per farsi motivare in qualche modo. Magari quell'anno avrebbe fatto amicizia con qualche madrelingua coreano.

"Sì, sì. Credici Sole" si era detta mentalmente.

Perciò quale altro desiderio c'era da esprimere? Andare in Corea del Sud era impossibile. Per imparare il coreano ci volevano dieci secoli. Mancava da smontare il sogno di diventare scrittrice, uno dei motivi per cui si era iscritta a lettere moderne.

"Ci ho provato, ma non so se sia la scelta giusta."

In effetti Sole aveva in mente una storia dai tempi delle medie, ma la trama era così difficile da articolare, che si era bloccata e non era mai riuscita a finirla. A scoraggiarla era stato il fatto che non sapeva a chi inviarla e che, se anche avesse trovato qualche casa editrice disposta a ricevere nuove opere, sarebbe stata rifiutata o ignorata.

Sapeva benissimo che il mondo dell'editoria era saturo. Forse c'erano più scrittori, che lettori, soprattutto in Italia. In più gli italiani stessi che leggevano, preferivano romanzi stranieri a quelli conterranei, come se avessero qualcosa in più da offrire.

Il fatto di vedere pubblicati così tanti libri dalle varie case editrici le metteva una tristezza assurda, perché si domandava se effettivamente quelle opere avrebbero trovato un pubblico numeroso e affettuoso, o se venissero semplicemente scaraventate nel mercato e dimenticate subito dopo. Un vero peccato, visto che dietro tutte quelle pagine c'erano ore di lavoro e di fatiche che nessuno avrebbe mai potuto apprezzare.

"Basta vagheggiare. Sbrigati o perderai l'autobus" si rimproverò interiormente.

Mise lo zaino sulle spalle e se ne andò, prima a buttare la spazzatura, poi verso l'uscita per tornare a casa.

Il corridoio si era svuotato. Probabilmente erano iniziate altre lezioni, ma lei per quel giorno aveva finito. Le sue due amiche non erano potute venire perché avevano altri impegni, quindi era rimasta da sola per quel giorno, ma aveva apprezzato comunque quel pranzetto all'aperto in compagnia dei propri pensieri.

Collegò le cuffie al cellulare per ascoltare un po' di musica mentre si incamminava verso la fermata del bus e così raggiunse di nuovo le scale di marmo e raggiunse l'uscita.

Quel luogo conteneva migliaia di storie di secoli differenti. Chissà quanti sogni avevano solcato quei gradini ormai smussati dalle suole dei visitatori. Chissà chi era passato da lì prima di lei, centinaia di anni prima.

Ogni tanto si poneva quelle domande a cui non sapeva darsi delle risposte. Le ricordavano quanto l'uomo fosse una creatura caduca rispetto alle opere d'arte che lasciava dietro di sé.

Una volta uscita fuori, il sole la riempì di attenzioni, colpendola affettuosamente con i propri raggi potenti. A lei piacevano le giornate soleggiate, soprattutto quelle primaverili. Le ricordavano che la natura si era risvegliata e che in Corea del Sud erano sbocciati i fiori di ciliegio.

Aveva visto così tanti video di persone che passeggiavano per le strade adornate di petali rosacei. Era così romantico secondo lei. Peccato che mancasse la materia prima: il fidanzato.

In quel periodo aveva adocchiato un ragazzo che frequentava il suo corso, era così bello da sembrare la versione italiana di Cha Eunwoo.

Per la sua estrema bellezza aveva evitato di parlargli, sicura che lo avrebbe potuto infastidire. Immaginava infatti che molte ragazze che lo incrociavano per strada si girassero per guardarlo stupefatte e forse questa cosa poteva anche non fargli tanto piacere. 

Peccato che era scomparso. Non veniva più a lezione da due settimane. Lui aveva sempre seguito tutte le lezioni, quindi le sembrava veramente strano che avesse smesso di frequentare.

Alla fine aveva scoperto tramite vari colleghi che aveva cambiato università.

Quello era stato per lei una delusione durissima, perché aveva iniziato a piacerle da nemmeno un mese e già era finito tutto.

Pensare a lui in quel momento la faceva soffrire. Per colpa della sua insicurezza non era riuscita nemmeno a instaurare una conversazione banale.

"Non è lui quello giusto. Sono sicura che il mio futuro ragazzo è meglio di lui. Alla fine non so nemmeno se fosse una brava persona."

Dopo venti minuti di camminata veloce, arrivò alla fermata e collassò su uno scalino di un negozio chiuso. Era talmente tanto sfinita che respirava a fatica. Purtroppo si stancava facilmente e il suo cuore non la smetteva di battere ad un ritmo insostenibile.

Dopo un paio di minuti riuscì a riprendere il controllo di se stessa e decise di chiamare mamma Gianna.

«Amore, ciao. Sei alla fermata?» Le chiese la donna con una voce rasserenante.

«Sì, ora devo aspettare fino all'una e mezza. Mancano quindici minuti, dai.»

«Ecco, speriamo che sia puntuale e che si decida a passare.»

«Deve passare, non può lasciarmi qua ogni giorno.»

«Infatti. Hai mangiato?»

E così continuarono a conversare, finché miracolosamente l'autobus che Sole stava aspettando si degnò di passare.

In quel periodo infatti non erano garantite tutte le corse per problematiche interne all'azienda dei trasporti, quindi capitava che Sole dovesse restare ad aspettare fino alle tre o ancora peggio fino alle cinque.

Per quel giorno almeno ebbe più fortuna e arrivò a casa alle due e qualcosa.

«Mamma, sono a casa!» Avvisò dopo aver aperto la porta ed essere entrata.

La donna la raggiunse all'ingresso e la abbracciò con affetto.

«Ciao amore.»

Detto ciò, Sole andò a posare lo zaino nella propria stanza e poi si spostò in cucina, dove sua madre le stava preparando un tè.

Il profumo della bevanda le mise buon umore e così prese posto al tavolo di legno collocato al centro della cucina, luminosa per via delle pareti gialle e delle mattonelle chiare del pavimento.

«Metto una bustina di zucchero?»

«Sì, grazie.»

In pochi minuti la donna si presentò con due tazze fumanti da cui prendevano le etichette del tè.

«Allora, come ti sei sentita oggi?»

«Bene, la strada oggi non mi è sembrata troppo pesante.»

«È un sollievo. Ti è venuta la tachicardia?»

«No no, oggi sono stata bene.»

Gianna la scrutò con attenzione, per capire se la figlia stesse mentendo. Non trovò nulla di sospetto, quindi le credette.

«Sarebbe ottimo se fosse così tutti i giorni.»

«Ecco, devo stare tranquilla.»

Continuarono a conversare ancora un po', finché Sole si andò a chiudere in camera per iniziare a studiare.

Si sedette alla scrivania di legno, la sua amata scrivania che le aveva permesso di sognare e immaginare scenari irrealizzabili.

Aveva scritto lì le pagine di quella storia che ancora non aveva finito e sapeva benissimo che l'avrebbe completata proprio lì.

Nel tempo aveva aggiunto diverse decorazioni, come un organizer in cui mettere i post-it di varie dimensioni e colorazioni e una vecchia tazzina in cui aveva raggruppato tutte le sue penne preferite. A sinistra c'era una pila di libri che l'aspettava, a destra un'agenda in cui segnava liste di cose da fare e pensieri. La prese e cominciò a scrivere tutti i compiti da fare, sperando di essere abbastanza pronta mentalmente per studiare.

C'erano giorni in cui si sentiva bloccata dalle ansie. Non riusciva a ripetere e si distraeva anche con una minima scusa. Ogni singolo oggetto poteva catapultarla in un'altra dimensione e intrappolarla lì, prima di rendersi conto di quanto tempo fosse passato.

Sospirò profondamente e si promise che avrebbe fatto una pausa tra un'ora, se avesse iniziato a ripetere storia senza fermarsi.

D'improvviso si era accorta che il suo battito era aumentato eccessivamente.

"Sarà che sono ansiosa." Si disse, respirando un'altra volta per riempire i polmoni e svuotare la mente.

Ignorare il problema non fu d'aiuto, dato che il cuore martellava così forte che era in grado di sentire le vene del collo pulsare sotto la pelle.

Cercò di mantenere la calma, mentre fingeva di non star dando ascolto al suo corpo. Si abbassò verso lo zaino messo ai piedi della scrivania e prese il libro di storia romana, che aveva portato all'università per leggerlo durante i momenti vuoti della giornata, e il tablet.

Aveva cominciato a rileggere gli appunti presi con il tablet e a correggere gli errori di battitura, quando le sue orecchie iniziarono a fischiare fastidiosamente, causandole numerose fitte alle tempie.

"Tempistica perfetta per farsi alzare la pressione!" Pensò sarcastica. Scosse il capo e strizzò gli occhi.

"Ho capito, cuore, non vuoi farmi studiare oggi."

Sbuffò e fece per alzarsi per prendere un po' d'aria in balcone, quando le vennero delle vertigini spaventose: le parve quasi di trovarsi in bilico su un precipizio e, se avesse guardato giù, verso l'ignoto che inghiottiva ogni cosa, sarebbe caduta senza nemmeno accorgersene. Per salvarsi da quella visione terribile, ricadde terrorizzata sulla sedia, mentre lo schermo acceso del dispositivo aspettava che riprendesse da dove aveva interrotto. Sospirò infastidita e nauseata dalla luce che emanava e lo spense.

Aveva l'impressione che il suo corpo fosse impazzito, ma sapeva cosa sarebbe successo di lì a breve e si preparò, strizzando le palpebre in attesa della punizione che le avevano gentilmente riservato le sue stesse membra.

Come quando si sta scendendo da una rampa di scale e capita di saltare uno scalino, il cuore di Sole cessò di battere per più di un secondo, anche se sembrò durare molto di più.

Cominciò ad annaspare in cerca di aria con le lacrime agli occhi, mentre si teneva il lato sinistro del petto, dolorante.

Il suo cuore riprese a pompare il sangue come se non fosse successo niente, invece Sole continuava a tremare come una foglia e a cercare più aria possibile.

La porta si spalancò in uno scatto, con la madre che si piombò sulla figlia per assisterla, avendo sentito dalla cucina i singhiozzi di Sole.

«Sole, Sole. Ti è venuta l'aritmia?» Domandò in panico, mentre spostava i capelli dal viso della figlia.

Continuava a tremare, ma si sforzò di rispondere. Dalla sua bocca uscì un filo debole di voce e tra un colpo di tosse e una parola, riuscì a dirle di sì.

Era stato un singhiozzo, un'aritmia, cioè una pausa che serviva a stabilizzare delle pulsazioni eccessive. Sebbene la sua non fosse letale, secondo quello che le avevano spiegato i medici, era la cosa più fastidiosa che potesse provare, perché le dava l'impressione di star morendo.

Gianna allora la aiutò a mettersi in piedi e la fece sdraiare sul letto, sperando che riuscisse a riprendersi il prima possibile. Era estremamente preoccupata perché non le era mai venuto un attacco di quella portata fino a quel momento. Con una mano accarezzò quella della sua bambina, con l'altra rovistò lo zaino in cerca della borraccia.

La porse a Sole, che si mise seduta contro il muro su cui era adagiato il letto, per consentirle di bere dell'acqua.

Passarono vari minuti prima che la ragazza potesse ristabilirsi, ma non fu abbastanza, poiché un forte senso di tristezza si avventò su di lei e non la lasciò più.

Respirò profondamente mentre alcune lacrime le bagnavano gli occhi, giusto per sfogare quell'emozione così travolgente.

•••

Ciao a tutti, mi presento, sono Piera. Ho deciso di ritornare su Wattpad, dopo una lunghissima pausa dalla scrittura, con l'intenzione di scrivere questa storia e di poterla condividere con voi. È maturata dentro di me in questi mesi e solo ora sono riuscita a trovare le parole per raccontarla. Per questo spero di "rivedervi" in futuro leggere i prossimi capitoli di questa storia. Credo che sarà un viaggio molto divertente da compiere insieme.

Cosa ne pensate delle canzoni che ho suggerito? Le conoscevate già? Ho intenzione di esprimere questa vicenda anche sensorialmente, attraverso la musica, come se fungesse da colonna sonora ed esprimesse lo stato d'animo dei capitoli.

Se avete qualcosa da dire, vi aspetto nei commenti!

A presto.

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