𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝑜 𝐼𝒱 - 𝒩𝒶𝑜𝓂𝒾 𝓅.𝟣

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Sei la piccola stella che porto
Nei momenti in cui non ho luce.

Piccola stella, Ultimo

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Durante la strada di ritorno mi sono sforzata di non dare adito ai miei pensieri e tenere a bada la mia mente.

Ma non appena ho varcato la soglia di casa ha iniziato a vagare tra i ricordi, andando a scavare tra le macerie del mio passato resti di memorie che speravo fossero andati perduti.

La paura di me stessa è una trappola mortale di cui ancora oggi sono vittima.

In tutti questi anni mi sono sforzata di trovare del buono in me, ho investito nelle mie passioni e in quelli che speravo fossero dei talenti. Ma è stato tutto vano.

Ho scoperto di essere mediocre in tante cose, ma in nessuna sono eccellente.

Non è vero, in qualcosa sono davvero brava: rovinare tutto.

Questa è l'unica cosa in cui riesco sempre bene.

La mia capacità di auto sabotarmi è innata.

La psicologa dice che è solo un meccanismo di autodifesa che il mio cervello mette in atto per tutelarsi.

Ma da che cosa esattamente ?

Non ho una vita sociale: le mie giornate le passo con la testa tra i libri e con le cuffie alle orecchie.

Se persino della mia stessa fantasia devo aver paura, allora sono veramente fregata.

E in parte credo proprio che sia così.

In fondo, se ci penso, è nato tutto proprio da lì: dalla mia grande capacità di immaginare.

Quando ero piccola questo giocava a mio sfavore: mi faceva vedere realtà che non esistevano, portandomi a raccontare un sacco di bugie.

Crescendo, poi, mi ha dato una visione distorta e malsana di me stessa. Fino a convincermi di essere qualcosa che non ero realmente.

A quattordici anni mi vedevo grassa, nonostante pesassi appena 53 kg, e così ho iniziato ad avere un rapporto malato con il cibo.

A sedici mi vedevo brutta, e odiavo il mio corpo a tal punto da volerlo sfregiare con le mie stesse mani.

Adesso... adesso semplicemente mi vedo intrappolata.

Ho accumulato così tanto dolore dentro di me che non sono sicura di poterlo sopportare tutto per il resto dei miei giorni.

L'unica cosa che mi dà una tregua da tutto questo è la scrittura.

Da quando ne ho memoria, le mie parole su carta si esprimono meglio di quanto io sia capace di fare a voce.

Sono l'unico modo che ho per far uscire tutto quello che mi porto dentro.

Anche in questo, però, ho scoperto che non sono un granché.

Un anno fa ho provato a inviare un mio scritto a una casa editrice, presa da un fugace attimo di coraggio, ma non è andata come speravo.

"É mediocre, insignificante. La sua storia non mi dice niente" disse colei che aveva letto il mio libro.

Niente, questo è quanto avevo da offrire al mondo.

Persino tutto il dolore che provavo era comunque niente.

«Che fai imbambolata lì?» La voce di mia sorella Naomi mi riporta alla realtà.

Sono ferma sulla soglia di casa, immobile come una cretina a fissare il vuoto di fronte a me.

«Niente» rispondo noncurante, lasciando la mia posizione.

«Come è andata dalla psicologa?» Chiede venendomi dietro.

«Bene, ma non come speravo» confesso un po' abbattuta.

Mia sorella si avvicina a me e mi poggia una mano sulla spalla. Nei suoi occhi grigi c'è tristezza. La stessa emozione che leggo da più di dieci anni.

«É per il tuo bene, ricordatelo. Presto non ti serviranno più» dice, e io le voglio credere.

Si, perché non posso pensare che per il resto della mia vita dovrò imbottirmi di psicofarmaci per stare bene. Ci dovrà pur essere una tregua al mio dolore.

«E quando arriva "presto"?» Domando.

«Beh, è ovvio: presto.»

Scoppiamo entrambe a ridere, nonostante quella che ha appena fatto non sia la battuta più simpatica del secolo, e io mi sento così grata di avere Naomi al mio fianco.

Lei c'è sempre stata. No ho mai dovuto chiedere, perché era semplicemente lì, accanto a me.

Ha visto ogni sfumatura di me e l'ha apprezzata.

Ha conosciuto il mio dolore e l'ha fatto suo.

Ha visto il peggio ed è rimasta.

Ha avuto paura con me, per me.

Ha passato ore e ore ad ascoltarmi ripetere le stesse cose, incessantemente. Senza mai lamentarsi. Senza mai chiedermi di smettere. Senza mai farmi notare quanto fossi ripetitiva.

Lei è stata la mia tregua, la mia pace, la mia salvezza.

L'equilibrio in tutto il caos che ho dentro.

In questi anni, mia sorella ha seminato così tanta cura e così tanto amore nella mia vita, che sono state la sua pazienza e la sua perseveranza che mi hanno portata ad essere oggi ancora qui.

Lei mi ha dato vita quando non ne avevo.

Ha acceso più di una speranza nel baratro della mia agonia.

Ogni cosa che sono, la devo in gran parte anche a lei.

«Grazie» dico, concedendole un sorriso sincero che racchiude ogni pensiero.

Non sono una persona affettuosa da anni ormai.
Tutto ciò che riesco a dare è un sorriso. A volte più sincero di altri.

Per il resto, non sono più in grado di concedermi un abbraccio neanche con mia sorella che amo profondamente.

Con gli altri, poi, non ne parliamo: chiunque tenti di avvicinarsi a me rappresenta un pericolo da cui devo tutelarmi.

Nella mia testa sono pienamente convinta del fatto che le persone vogliano solo farmi del male. Che a nessuno interessa particolarmente di me. E che, se mi conoscessero davvero, mi troverebbero noiosa e insignificante. Proprio come il mio libro.

Infondo sono una ragazza di ventiquattro anni che si sforza di vivere una vita che non sente neanche sua, a cui interessano cose come i libri, la musica, e il silenzio.

Sì. Il silenzio.

L'unica cosa che mi affascina davvero.

Sarà che dentro la mia testa c'è così tanta confusione che un po' di silenzio lo bramo da molto.

Magari potrebbe essere il mio nuovo sogno nel cassetto. Dovrò verificare se c'è ancora spazio per aggiungerne un altro.

«Dove sei?» La voce di mia sorella mi riporta alla realtà. «Con i pensieri dico, dove sei?» Domanda.

«Non lo so, credo che mi sono persa» confesso.

«Parla con me, lascia che ti riconduca a casa.»

La guardo negli occhi e improvvisamente mi sento terribilmente in colpa nei suoi confronti.

É a causa mia se gli ultimi anni della sua vita sono stati "difficili". Ogni mattina si sveglia con l'ansia di lasciarmi a casa da sola, perché non sa mai se tornando la sera mi troverà ancora viva.

Vive con il telefono perennemente in mano per essere sempre pronta a rispondere a ogni mia chiamata o messaggio in cui minaccio di farla finita.

I suoi occhi si sono rivestiti di una grande tristezza dalla prima volta in cui le ho confessato ciò che avevo fatto con quella lametta.

E quando mi vede nuda, le cicatrici sulle mie gambe le ricordano di quel pezzo di storia che lei ha vissuto con me.

Ho sempre pensato che chi non ci passa per certe vive buie e tortuose non possa capirti davvero. Ma se qualcuno di a te caro soffre così, e tu diventi un tutt'uno con quella persona, credo proprio che quel dolore diventi un po' anche il tuo.

E così è stato per mia sorella con me.

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Eccoci con il quarto capitolo!

Conosciamo ancora meglio Ester e i suoi pensieri, e scopriamo una nuova figura: Naomi.
Di lei sappiamo ancora poco, ma nella prossima parte svelerò un po' di più su questo personaggio fondamentale.

So che può sembrare un po' lenta la trama, ma i primi capitoli mi servono a farvi comprendere bene lo stato d'animo e mentale con cui vive la nostra protagonista.
Nonché il suo contesto sociale; é fondamentale per riuscire a raccontarvi la storia di cui voglio parlarvi.

Spero che abbiate ancora un po' di pazienza, prometto che sarà ricompensata.

Nel frattempo, come sempre, vi ricordo di sentirvi liberi di lasciare tutti i commenti che volete, e se quello che scrivo vi piace, non esitate a lasciare una ⭐️

Ci vediamo nella parte 2 di Naomi.

Baci❤️

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