I. Francisca.

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Passato.

Soundtrack – Souvenir, Selena Gomez.

🌻

Un'altra lamentela di questo fenicottero ossigenato e giuro di non rispondere più delle mie azioni.

Non ho nulla contro i fenicotteri. Né ho la benché minima prova dell'esistenza di una sottospecie in via d'estinzione. Ma in questo momento è la signora davanti ai miei occhi di cui vorrei un'estinzione. Lei e il suo stupido pellicciotto rosa fosforescente dalle piume vaporose, intonato al lip-gloss della stessa tonalità che le sto mettendo con estrema cura.

È il mio colore preferito, tra l'altro, e lei sta avendo la capacità di farmelo odiare.

"Ne hai ancora per molto, ragazzina? Sono le nove di sera e io avrei un appuntamento galante al Dyno's."

Ma certo. Perché Francisca Ortega non ha nulla di meglio da fare che passare il suo ennesimo sabato sera nel camerino di un'agenzia di make-up artist che odora di cipria e fondotinta, le cui luci artificiali dello specchio andrebbero sostituite dall'età del Paleolitico. Non ha nulla di meglio da fare che invidiare le colleghe che sistemano le divise negli armadietti e la salutano a turni passando dinanzi alla porta aperta. E soprattutto, non ha nulla di meglio da fare che ascoltare le chiacchiere di una cinquantenne vedova misogina il cui figlio nella marina sembrerebbe essere il nuovo Messia sceso sulla terra per graziarci della sua presenza.

Oh, vi risparmio anche la storia sul breve flirt di questa Ortega con questa sottospecie di uomo delle paludi, che ne dite? Sfocerebbe nel tragicomico. E la situazione è già di per sé deprimente.

A essere sinceri, a Francisca Ortega non può fregar di meno neanche di quanti zeri abbia nel conto in banca il miliardario a cui la signora fenicottero vorrebbe fare gli occhi dolci per tutta la serata in un locale di lusso. Ma ormai la povera Francisca ci è dentro fino al collo, e prima conclude questa missione di sopravvivenza, prima si libererà della voce gracchiante che fa eco nella stanza.

Sì, parlare in terza persona di me stessa è segno del delirio che sto vivendo da cinque ore.

Cinque fottutissime ore in cui avrei potuto essere seduta al bancone di Kelly & Rowland's Club a sgranocchiare dolci alla marmellata in compagnia dei miei amati gattini pelosi, e invece mi tocca sistemare per l'ennesima volta un lip-gloss di cento dollari perché il fenicottero – mi stancherò di chiamarla così solo quando la smetterà di sbattermi le piume della sua pelliccia in bocca – ha deciso che questa era la sua serata decisiva per raccontarmi tutta la storia della sua vita.

Non era bastato quel pezzo di stronzo del figlio che mi ha bloccata dopo neanche quarantotto ore dalla nostra uscita, e da lì ho capito che uno: devo smetterla di fidarmi dei siti d'incontro e tantomeno degli uomini che hanno come immagine profilo una grigliata. Due: se questi erano i presupposti della famiglia, ciao Ryan, a mai più.

"Francisca, ci sei? Io e Loren stacchiamo il turno adesso."

"Dammi cinque minuti e sono da voi."

Ignoro la signora Wynston – proprio lei, il pellicciotto vivente – che mi pone domande e la fulmino con lo sguardo prima che possa di nuovo impasticciarsi la bocca e costringermi – di nuovo – a ricominciare da zero. Mi concentro solo sul tono addolorato della mia amica, e intuisco la sua risposta sul nascere.

"Mi dispiace dirti di no, ma Loren ha un appuntamento dall'estetista e io–"

"Va tutto bene." mormoro, ritornando a guardare il faccione della Wynston, e opacizzo meglio il contouring scuro sul naso con una pennellata.

Margot si morde un labbro, e una ciocca bionda le cade sulla spalla prima che lei possa appoggiarsi sulla porta. "Sei sicura? Ti avevo promesso che–"

"Ce la faccio." la interrompo. Forzo un sorriso, ma ancora non guardandola. "È il nostro capo, non Cerbero."

"Un che?"

"Lascia stare." borbotto, scuotendo la testa. "Non preoccuparti per me. Salutami Loren. Ci vediamo domani pomeriggio."

Lei resta immobile e incerta ancora per un po', e dubito non dia un'occhiata al lavoro che sto svolgendo. Vorrebbe dirmi dell'altro, ma è una gara onesta a chi sta trattenendo più parole. Lei di scuse. Io di imprecazioni.

Rimandiamo questo discorso da due settimane. Noi tirocinanti non riceviamo guadagni dalla Vyrga Company – l'agenzia di make-up artist a cui sto prestando i miei servigi dai principi di giugno – da... giugno. E adesso è settembre.

È diventata una situazione ingestibile, ancora più assurda considerando che vige il silenzio tombale da parte delle mie colleghe. La motivazione è che hanno tutte paura di perdere il posto. La Vyrga è una delle realtà d'arte più conosciute della città di Toronto, la cui specializzazione ti permette di recuperare e studiare i corsi di due anni di una normale accademia ufficiale di artisti. Ergo, uscirsene con un diploma che fa curriculum e abbia una tale valenza, non è certo da cestinare.

Be', andatelo a dire a queste persone i cui soldi escono dalle braghe dei pantaloni dei genitori. Io, invece, mi sono guadagnata da sola ciò che ho e l'appoggio dei miei genitori è un sogno utopistico. Ma questa è una lunga storia.

"Sei brava." afferma Margot. Già, ho solo dedicato la mia intera esistenza a questa passione per poi ritrovarmi a litigare con un'ingrata come te e a truccare Bellatrix in uno stanzino dalle luci artificiali, vorrei dirle. Ma mi trattengo. Come sempre. E ingoio saliva amara.

Eccolo, un altro difetto del mio carattere. Tenermi tutto dentro quando in realtà vorrei esplodere come una bomba a orologeria. Sono altruista, loquace, ingenua – troppo ingenua –, con una soglia d'attenzione pari a quella di un criceto in prognosi riservata, e soprattutto sono una sognatrice. Purtroppo.

Già, perché nella mia famiglia sembrerebbe essere un lusso. Oh, e sono anche tremendamente pensierosa. Mi perdo facilmente in pensieri inutili ai fini della situazione in cui mi trovo, e questa ne è una dimostrazione. Margot mi sta parlando, io continuo a truccare la signora Wynston con tutta la rabbia che ho in corpo, e pronta a esplodere.

"Davvero, hai una mano ferma e delle linee che–"

"Margot."

Diamine se odio quando la gente vuole a tutti i costi compiacerti credendo che tu sia così stolta da non rendertene conto.

"Vai. Chiudo io il camerino."

Finalmente, Margot legge la stanchezza nei miei occhi e avverte la collera nel mio tono. Non fa più domande né tenta di scusarsi ancora, perché è inutile. E ogni tanto è bello sapere che c'è qualcuno che si limiti al silenzio e rispetti i tuoi spazi.

Anche perché, ora come ora, conviene che io mi ritiri davvero in un viaggio spirituale in qualche convento religioso per scaricare la mia tensione, piuttosto che far prendere vita alla conversazione che mi si sta delineando in testa.

Altro brutto vizio del mio carattere: immaginarmi scene, dialoghi e situazioni surreali che nella maggior parte dei casi non prenderebbero mai vita. Eppure, l'idea della testa del capo su un piatto d'argento non è poi così malsana.

Oggi è una di quelle giornate in cui tutto sembra andare storto e desideri soltanto metterti sotto le coperte a guardare una puntata di Gossip Girl in cui invidi l'armadio di Serena Van Der Woodsen. E invece, il vuoto della stanza è davvero il peggior nemico per una mente sovraffollata come la mia.

Anche la signora Wynston ci ha dato un taglio con i suoi racconti deliranti dei concorsi di bellezza a cui ha partecipato da giovane, forse perché mi sarà venuto un tic all'occhio per quante occhiatacce le ho lanciato nel giro di cinque ore.

La figura di Margot è sparita, e io non riesco a deglutire il groppo che ho in gola senza pensare a cosa davvero ho intenzione di fare da lì a breve.

Cavolo, ho proprio bisogno di scaricare tutta questa tensione. E d'improvviso ho l'immagine in testa di come trascorrerò il resto della serata fuori da qui.

Non riesco a rispondere alla metà dei saluti che ricevo dalle altre colleghe che stanno abbandonando il turno dalle altre stanze, e il viavai di persone nei corridoi è sfocato nella mia mente. Quando però mi rendo conto di aver concluso il lavoro sul volto della signora Wynston, mi sento come se avessi vinto la finale di Stanley Cup. Come se mille rocce appuntite mi fossero scivolate dalla schiena per distruggersi a contatto con il suolo.

Il fenicottero non smette di blaterare su quanto il miliardario cadrà ai suoi piedi neanche mentre si infila il cappotto bianco, e io faccio dei lunghi respiri prima di osservare la mia immagine riflessa in uno specchio ovale.

Sono distrutta. E non mi sorprende. Il trucco sui toni del rosa con farfalle argentate disegnate sulle tempie è ancora intatto, però, e mi strappa un sorrisino.

Truccare è la mia passione eterna. Dare la possibilità ai miei pensieri di prendere vita, sfumare la bellezza della fantasia e l'incanto dell'infinito. Nella mia mente è un'infinità di immagini quella che mi permette di ricordare alla me bambina di credere di più nelle sue capacità. La stessa me bambina che alle matite da disegno preferiva quelle waterproof, e ai pastelli colorati gli ombretti da smokey eyes.

Togliendomi la divisa blu noto che il mio maglioncino rosa è sfilacciato, e mi ricorda di doverne comprare un altro identico. Durante le ore lavorative, preferisco indossare outfit comodi che mi permettono di stare serena in caso qualcosa mi cada addosso. L'ultima volta che ho osato venire al lavoro con una minigonna gialla e nuova di camoscio, ho maledetto il fondotinta di Huda Beauty per essersi colato a chiazze su di essa. E i fondotinta di Huda Beauty non si maledicono.

Saluto la Wynston con un cenno del capo e un sorriso di circostanza che ormai ho imparato a usare in tutte le situazioni di disagio, e un peso si solleva dal petto quando resto sola nella stanza. Chiudo a chiave e permetto ai miei pensieri intrusivi di prendere di nuovo il sopravvento quando mi sfilo i jeans e afferro le calze di cotone bianco dalla mia borsa del cambio.

Faccio fatica a sollevarle ad altezza sedere, perché la pelle brucia ancora dall'ultima volta che... no, non fatemi domande. Ho già lo stomaco in subbuglio alla sola idea. Ma faccio parte del club RSS – Romanticona Senza Speranza – per cui la prima cosa che faccio dopo aver pensato "non scrivergli, aspetta un suo messaggio" è... quello di scrivergli. Già.

Digito alla velocità della luce, e l'angioletto sulla spalla destra mi sta altamente giudicando. Vorrei stringergli la mano solo per dirgli sì, hai ragione.

Ho bisogno di scopare.

Mio Dio. Aveva ragione mia nonna quando diceva che ero posseduta da un demone. La credenza di piatti su cui mi ero arrampicata a cinque anni non l'ho mai dimenticata, ma quella gran donna era pur sempre la moglie di un uomo che diceva "che vuoi farci? Noi latini siamo calienti. E tua nipote ha l'energia di un uragano." Va bene, nonno. Ma farmi sculacciare dopo un servizietto ad hoc della mia crush storica non era l'immagine di cui mia nonna avrebbe voluto sentire i racconti durante i pranzi della Vigilia di Natale.

Quando, dove e come vuoi, señorita.

Ho un miscuglio di farfalle che stanno cercando di rosicchiare il mio stomaco senza lasciare neanche l'ombra della donna spavalda che ero fino a qualche secondo fa. Il Club RSS è proprio cucito a misura sulla mia coerenza mista a disperazione, non c'è che dire. Merito un Oscar già solo per l'impegno di autoconvincermi del contrario. Scrivo ancora.

Non starai forse dimenticando qualcosa?

Cioè?

Ti avevo ordinato di non chiamarmi così fino a quando non mi sarebbe passato il ciclo. I miei ormoni hanno vita propria.

Be', mi hai anche ordinato di sculacciarti più forte l'altra notte. E come hai potuto vedere, sono un uomo di parola.

Maledetto bastardo.

No, non traiamo conclusioni.

Non abbiamo... ecco, sto arrossendo alla sola idea. Non abbiamo fatto sesso. O quanto meno, non nel senso...

Il bussare sulla porta mi fa sentire come quando a sei anni sono stata beccata con le mani nella Nutella appoggiata su un ripiano della famosissima credenza. Sì, era stata ristrutturata dopo l'incidente dell'anno prima. E sì, quel legno avrà vissuto giorni migliori quando sono cresciuta.

"Sì?" La mia voce risulta più stridula di come l'avevo immaginata mentre mi sollevo la minigonna di camoscio rosa, e il telefono per poco non mi casca nel piccolo lavabo dove lavo i miei pennelli.

"Theodora vorrebbe parlarti, Francisca. Datti una mossa."

Oh, Maleficent vuole parlarmi. Davvero? "Che coincidenza. Abbiamo lo stesso desiderio."

"Be', fossi in te non sarei così contenta di ciò che ha da dirti."

E la replica sarcastica di Jasmine mi fa ritornare con i piedi per terra. Non che avessi speranze di risoluzioni tipo ti ha inviato un bonifico di un milione di euro e domani mattina hai un biglietto d'andata per le Fiji, ma mi sarebbero bastati i Caraibi. Giuro.

"Due minuti e arrivo."

"Smettila di fare sexting con il giocatore di hockey e vedrai che riuscirai a prepararti prima."

Risatine provengono da dietro il legno della porta, e riconosco Freya, Serena e Julie.

"Io non sto facendo sexting con il giocatore di hockey!"

Comprendo che la mia voce è alta e il tono colpevole quando è troppo tardi. Le risate aumentano e con esse il vociare nei corridoi, per fortuna. Sbuffo sonoramente e sistemo alla rinfusa i trucchi sulla postazione. Poi, infilo il maglioncino perlaceo e per ultimo il cappotto arancio pastello dall'armadietto personale. Ritrovo i guanti bianchi che avevo lasciato la scorsa volta in un caschetto, e benedico la grandezza di queste ante anche quando ritrovo il berretto di lana.

Mi sarà anche toccato il camerino più striminzito della concorrenza, ma quanto meno posso vantare di avere un passaggio diretto per Narnia. In questo momento, non scherzo nel dire che un viaggio senza ritorno nelle terre del libro mi potrebbe soltanto fare bene, e invece mi ritrovo a fare i conti con il capo più menefreghista, spocchioso, irritante e avaro dell'intero cosmo.

Quando giro la chiave e apro la porta, trovo solo Jasmine ad attendermi con il suo borsone pieno di trucchi.

"Cos'è? Adesso vi ha detto di mettermi anche una scorta personale?"

"Be', considerando la faccia che hai adesso... fossi nella strega, temerei per la mia incolumità."

"E fai bene. Perché ho intenzione di incenerirla."

Non scherzo quando dico che ho il carattere più intrattabile del mondo quando arrivo a un punto di non ritorno. So essere cordiale, estroversa e tutte quelle carinerie da lista della spesa che ho elencato prima. Ma mi diano un solo motivo per venire meno alla mia apparente calma, e il terremoto che ero a cinque anni non è niente in confronto a cosa potrei scatenare adesso.

Il nodo che avevo in gola quando ho salutato Margot ritorna a farmi visita. E odio il tempismo di Jasmine quando mi chiede: "Margot?"

Faccio una risata sarcastica. "Prova a indovinare."

"Oh, no. Di nuovo? Certe volte vorrei tirarla per i capelli, giuro." replica, e se possibile, ha un tono più esasperato del mio.

Io ne approfitto per guardarmi intorno, e so il motivo per cui lo faccio. Le pareti color pesca, i lampadari di cristallo, gli addetti alla security in smoking che trascinano carrelli pieni di vestiti luccicanti di sartoria pregiata, il vociare delle tirocinanti come me mischiato a quelli dei professionisti che camminano davanti ai miei occhi, e poi ancora il rumore dei tacchi a spillo delle celebrità, la musica soft jazz che viene dalla radio pubblica...

Mi sono sacrificata e fatta in quattro per avere e vedere tutto questo ogni giorno. Ho passato un test dalla difficoltà elevata riconosciuta come primaria in tutto l'Ontario. E ora potrei star mandando tutto a puttane.

Semplicemente perché sono stanca. Stanca di lavorare il doppio di ciò che ricavo, o oserei dire anche zero nello stato attuale in cui mi ritrovo. E il fatto che questa situazione la vivano anche Loren e Margot, ma abbiano deciso di dare priorità alle loro serate fuori piuttosto che risolvere la situazione precaria che stiamo vivendo a lavoro... faccio un profondo respiro. Non mi sono mai mostrata irrispettosa in pubblico, e non sarà questo il giorno in cui farò un'eccezione.

"Non è colpa sua. Ma neanche di Loren. Mi ha detto che Loren aveva un appuntamento dall'estetista." dico.

"O Loren è un orangotango oppure quest'alibi di cui si serve una volta ogni due giorni non regge più."

Inarco un sopracciglio. Due giorni fa ha detto lo stesso? Buono a sapersi. Si aggiunge alla lunga lista di cose per cui sono stanca. E le persone che mentono hanno una priorità assoluta sulla punta della mia piramide della sopportazione.

Ma ho già detto che sono la persona più ingenua che esista? Perché la parte tale di me vuole credere che Loren abbia altro di cui preoccuparsi, e quello sia solo uno scudo. Sono giorni che la vedo esausta, piena di occhiaie sotto agli occhi, e i suoi turni sono tra i più leggeri qui dentro. Ma non la biasimo se voglia tenere la sua vita privata lontana dalle chiacchiere dei camerini di una delle agenzie più snob d'America, fatta di tirocinanti ricchi da far schifo. Nessuno più di me può capirla.

Io, che per essere qui ho dovuto usufruire di una doppia borsa di studio da ritornare con gli interessi a fine diploma. E che non racconterebbe delle sue vicende personali e private neanche alla più tomba delle tombe. Ovvero Jasmine.

La conversazione, per fortuna, cade lì. Perché Jasmine mi fa intuire che siamo arrivati dinanzi alla porta dello studio di Theodora Jones, la più stronza dell'universo. Ops, volevo dire preparata.

Non faccio in tempo a salutare Owen, il neo-tirocinante gay con cui ho fatto amicizia qualche giorno fa, che mi passa affianco per iniziare il suo turno. Dio ha i suoi preferiti, non ho dubbi. Perché, quando avrà dovuto miscelare la pozione del talento sovrannaturale a quella per la bellezza ultraterrena, non ho la minima esitazione che sia stata rovesciata per creare lui.

E allo schiudersi della porta, seguito dalla sua voce che ci permette di entrare, i miei sensi di colpa mi divorano lo stomaco e mi dimentico del viso etereo di Owen. Non posso aver fatto tanta strada per nulla. Devo affrontare questa situazione a cuore aperto. Una volta per tutte.

"Ciao, Theodora, volevo parlarti per –"

Può una persona che ha chiesto a tutti i suoi tirocinanti di darle del tu sollevare una mano per zittire colei che la scorsa settimana si è beccata gli elogi di Samantha Ferguson, una delle più grandi make-up artist di tutti i tempi? Non ho dubbi che possa aver ignorato il resoconto della sua segretaria su come fosse andato lo stage con lei di alcuni studenti che avevano superato il test di ammissione alla sua mini-classe di tre lezioni.

"Ho visto i tuoi resoconti settimanali, Ortega, e non c'è nulla da aggiungere. Complimenti sinceri. Ma sei in ritardo con la paga di settembre, e mi hanno riferito che ti sei rifiutata di farti cambiare l'attrezzatura da lavoro dal nostro staff collaborativo. Ti ho fatto chiamare perché sono alquanto sicura che ci siano delle spiegazioni in merito al tuo atteggiamento e–"

"Le darò. Ma prima voglio delle spiegazioni su come tu stai trattando i neo-tirocinanti di quest'anno."

Sento un sussulto provenire dalle parti di Jasmine, e una flebile voce di stupore. Sì, ha capito bene. Non ho alcuna intenzione di far finire bene questa conversazione. E ora è chiaro a tutti. I miei pensieri intrusivi stanno venendo alla luce.

Theodora mi fa un sorriso così dolce da far venire le carie, ma che di dolce non ha assolutamente nulla. E ne ho la conferma quando apre la bocca per una replica, mentre si sistema una ciocca biondo platino dietro un orecchio.

Ho già detto che è una donna mozzafiato? Le fortune tutte agli stronzi. Scusami, Owen, tu sei l'eccezione alla regola.

"Qualcuno qui dimentica le posizioni da mantenere, a quanto pare."

"No, nessuna dimenticanza. Per fortuna ho ancora una buona memoria che mi permette di ricordare che i set di make-up non si comprano da soli, e una buona paga per il servizio svolto è previsto dalla legge americana che tutela i diritti degli universitari."

"Ottimo, ma tu non sei una studentessa universitaria, Francisca. Sei una mia dipendente. E in quanto dipendente, stai alle mie regole di condotta e decisionali."

Pronuncia quella studentessa universitaria come se nella vita avessi scelto di andare a prostituirmi sotto il ponte di Brooklyn e non di consumare tutti i miei risparmi in un'agenzia d'eccellenza internazionale.

"Certo. Sei il capo." Vuole giocare al gioco del sarcasmo? Sono campionessa in carica. "Ma proprio perché sei il capo e ammiriamo la tua figura all'interno di un'agenzia pluripremiata e selettiva, vorremmo delucidazioni su come stiamo svolgendo il nostro lavoro."

"Discreto."

Discreto?

Non sono una persona violenta. Non lo sono mai stata. Ma giuro che, se si permette di riassumere la mia esperienza qui come discreta, dopo tutto quello che ho fatto per lei e ai litigi accesi e agli insulti che ho dovuto subire in famiglia...

Posso percepire l'ansia di Jasmine anche a metri di distanza. E il mio batticuore non è inferiore, ma ho bisogno di dire tutto ciò per cui sono venuta qui. Con o senza l'aiuto delle mie amiche.

"Meritiamo che i nostri sacrifici vengano riconosciuti." dico tutto d'un fiato, con la voce che cede. Non si può dire lo stesso della sua, dopo aver accavallato le gambe in una posizione sicura, conscia della bella figura che le fa fare quel tailleur e... quel trucco svolto da me. Oltre il danno, anche la beffa.

"E non lo sono? Per la miseria, Francisca, sei stata promossa come la migliore alunna nell'esperienza con Samantha Ferguson della scorsa volta, mi occupo di organizzare eventi come questi con altrettante celebrità del mondo dello spettacolo e ritenete anche che non vi vengano riconosciuti i sacrifici? Siete in una scuola di talenti fuori dall'ordinario, dove per entrare serve tanta dedizione e –"

Sbatto le mani sulla sua scrivania. Una cornice con una foto della sua famiglia cade a faccia in giù. E sono sicura che nessuno, nell'arco di dieci metri intorno a me, si sarebbe mai immaginato una tale reazione.

La tenera, dolce, permissiva e socievole Francisca Ortega. Che accetta e scende a compromessi. Ma che, se portata all'estremo, scopre lati del suo carattere che avrebbe preferito di no. Perché al resto della settimana in cui mi brucerà lo stomaco dal nervoso, dovrò pensarci io e io soltanto. Perché questa vita l'hai voluta tu, direbbero i miei genitori.

"Sai cosa?"

Quella mia domanda mista ad affermazione resta sospesa nell'aria come il fiato di Jasmine sulla porta. Apprezzo la sua presenza, perché non si è tirata indietro dall'essere una testimone della conversazione. Non spettava a lei aiutarmi con le parole, ma ho stabilito un nuovo record e la pazienza l'ho persa ancor prima di poter iniziare a spiegare a Theodora perché ciò che sta facendo a tutti noi è ingiusto.

Mi ero preparata uno sproloquio senza precedenti sullo sfruttamento sul posto di lavoro, la parità di genere, le ore prolungate eccetera eccetera. Ma non è servito nulla di tutto questo, perché la pazientissima Francisca Ortega, dopo pochi minuti rinchiusa nella stanza del nemico, ha da dire solo una cosa:

"Mi licenzio."

Non so quale espressione facciale sia più sconvolta, ma non rientra nei miei interessi.
Il mio futuro. La mia carriera. Il mio rispetto. Questo dovrebbe rientrare nei miei interessi.

E il fatto che io sia qui, con un bruciore nello stomaco da farmi male, le urla del mio capo dietro di me, e una porta spalancata per farmi uscire... è tutto ciò che mi rimane.

"Dove stai andando? Francisca!" sento urlare dal suo studio, mentre il vociare del corridoio si conclude, e tutti gli occhi sono fissi su di me.

Grandioso. Il mio ego da festaiola che ama stare in mezzo alla gente dovrebbe nutrirsi, no? Eppure, in questo momento mi sento un estraneo nel mio stesso corpo. Non me ne importa nulla di quelle attenzioni se sono al fine di deridermi. Come a dire: è completamente pazza, se sta perdendo l'occasione di una vita.

Ma in questo momento non ho la mente lucida. Non ragiono sul da farsi. Mi interessa soltanto allontanarmi da tutta questa tossicità. Da un capo che non mi rispetta. Da amiche che sono pronte a voltarti le spalle. E da una finta patina di perfezione che mi fa vomitare nella vita privata, figuriamoci a vederla replicare nell'unico posto in cui dovrei sentirmi tranquilla.

E invece la tranquillità, in quelle settimane, l'ho ritrovata in una sola persona. Che ora mi starà aspettando fuori dall'istituto. E in nessun modo deve vedere le lacrime che mi stanno rigando il volto arrossato.

Davanti alla porta d'uscita, a braccia conserte e strette intorno al corpo, un singhiozzo mi scappa. Non mi guardo più indietro. E il peso di chi ha gettato in una pattumiera i suoi sogni per salvare sé stessa, mi scortica la pelle come pungiglioni senza perdono.

Soundtrack – People You Know, Selena Gomez.

🌻

Dopo una giornata del genere, dovrebbe essere considerato illegale ritrovarsi la tua crush storica ad aspettarti fuori da lavoro, in una tuta d'allenamento di hockey, con una sigaretta fra le labbra e i capelli spettinati dal post doccia.

Eppure, ho proprio la crush storica a pochi metri da me che spegne il mozzicone con un gesto talmente attraente da farmi chiudere le gambe di scatto, e... una busta? Sì. Ha una busta di cartone fra le dita.

Attende che io mi avvicini per salutarlo, e in nessun universo parallelo gli darò la soddisfazione di dargli un bacio davanti a tutto l'istituto che potrebbe vederci. Le poche cose belle della vita voglio ancora tenerle per me. Ma ho davvero dimenticato con chi ho a che fare, e lui non ci pensa due volte a mostrarmelo.

Mi cinge i fianchi, e con la forza di un solo braccio mi trascina a sé. Il bacio veloce ma intenso che mi schiocca sulle labbra sa di albicocca e vaniglia, un odore che su di lui mi ha sempre generato pensieri impuri. Una dolcezza estenuante per un corpo che non ha nulla di puro.

Mi porge il sacchetto di cartone, e io abbasso lo sguardo per capire di cosa si tratta. Oh, no. Se è quello che penso...

"Croissants alla marmellata di albicocche e vaniglia. Direttamente da Kelly&Rowland's Club. I tuoi preferiti."

Ecco.

È quello che penso.

Bentornate, farfalle nello stomaco. Adesso in nessun modo potrete più andarvene via. Tantomeno dopo questo sorrisetto che mi dona lui.

Paul Edward Hills è un uomo dalle mille sorprese. Lo dico io, lo dicono le amanti che ha avuto, lo dice la scienza. Giuro, anche quella. Perché la prima volta che l'ho visto senza maglietta, mi sono chiesta come sia possibile concentrare una tale fortuna e perfezione in un solo essere umano. Sempre perché il mio caro detto sugli stronzi è così attuale, e il mio club RSS è più vivo che mai.

"So che più tardi avresti voluto andarci, ma ero di passaggio e mi sembrava carino farti un pensiero. Ci tenevo. E vedendo la tua cera in questo momento, penso proprio di aver fatto bene. Cos'è successo a lavoro?"

Dio. Non merito assolutamente quest'uomo.

Mi afferra le guance per esaminare il mio volto, e nota l'umidità sulle gote.

"Hai pianto?"

Il dolore sul suo volto mi fa ancora più male del battibecco con Theodora. Ed è tutto dire.

Ma Francisca Ortega è conosciuta per il suo sarcasmo tagliente e la leggerezza con cui affronta la vita. Sono due delle cose che lo hanno fatto innamorare di me, a sua detta. Non lo biasimo se voglia lasciarmi dopo neanche qualche mese di frequentazione.

Sì, è innamorato di me da molto più tempo. E sì, anch'io sono innamorata di lui da molto più tempo. E ancora sì, i nostri genitori e i nostri amici non sanno assolutamente nulla, perché vogliamo assaporare la bellezza di una relazione senza impegni e pressioni. Ma se vuole restare con me, deve imparare a convivere con le mie insicurezze e i mille modi con cui cerco di non affrontare i problemi.

Non è vero che sono indistruttibile. Sono rotta da fin troppi anni per averne memoria, e disprezzo l'alcol nell'alito di mio padre con ogni fibra del mio essere.

"Girasole."

Dio. Dio. Dio. Ho già detto di non meritare quest'uomo, vero? Perché tutte le volte che ripenso a perché abbia deciso di chiamarmi così, non capisco cosa ci abbia trovato in me. Cosa abbia trovato di così attraente in una spruzzata di lentiggini, una chioma rossa e sfibrata, delle guance rosse e un fisico coperto con qualunque cosa mi capiti nei paraggi.

Eppure, quando sono con lui mi sento rinata. Come se tutti i problemi della mia vita potessero sparire in un battito di ciglia. E come se lui fosse stato sempre lì ad aspettarmi per ricordarmi che le seconde possibilità fanno parte dell'esistenza umana. E ai miei sogni devo anche di più, per tutto ciò che mi è stato tolto.

"È tutto a posto. Mi sono solo licenziata."

I suoi bellissimi occhi azzurri mi scrutano profondamente. Se è sconvolto, non lo dà a vedere. Non vuole farmi pesare nulla. E io l'apprezzo, davvero. Ma in questo momento ho bisogno di qualcuno che mi ricordi di aver fatto una cazzata. E di trovarmi una soluzione per rimediare.

No. Devo resistere. Come ho sempre fatto. Spiego a Paul tutte le dinamiche dietro il licenziamento, risalendo a giugno e alla mia entrata ufficiale nell'agenzia. Lui mi ascolta per tutto il tempo, con le iridi fisse nelle mie e una nuova sigaretta fra le labbra. Quando stabilisce questi tipi di contatti visivi con me, mi rende esausta e debole sulle mie stesse gambe.

"Ho capito." mugugna, togliendosi la sigaretta fra le labbra e gettandola a terra per spegnerla. "Sai di cosa hai bisogno, adesso?"

"Di una scopata che mi faccia dimenticare anche come mi chiamo?"

Lui ride con i suoi denti bianchi. Scuote la testa. E vorrei imprimermi quell'immagine nella mente per sempre. Dio, mi è mancata ogni minima parte di lui. A partire da quelle ciocche bionde indomabili, così estranee all'ordine a cui è abituato.

"No. Di una serata a base di film, schifezze e coccole. I croissants li abbiamo, il film anche..." si avvicina a me per stringermi di più e appoggiare le sue labbra su un mio orecchio. "E le coccole puoi trasformarle in tutto ciò che vuoi, señorita."

Il primo giorno in cui abbiamo iniziato a frequentarci, io ho percepito che fosse quello giusto. Non per quelle dichiarazioni smielate della serie ci sarò per sempre ovunque tu vada che tanto piacciono a me, da romanticona incallita quale sono. Bensì, per il modo in cui ha reagito quando gli ho detto del rapporto che ho con il mio corpo.

Sono stata scostante e distaccata per giorni a causa delle mille problematiche che mi ero fatta pensando a una conversazione – sì, l'ennesima dei miei pensieri intrusivi. Ci ho riflettuto per ore a come avrei potuto dirgli che non mi sono mai toccata né ho avuto un rapporto fisico con un uomo.

E quando mi sono liberata e ho tirato un sospiro di sollievo angosciante, lui non ha riso delle mie insicurezze, né mi ha lasciato sull'asfalto. Eravamo in macchina. E la prima cosa che ha fatto... è stata baciarmi.

Sono seguite delle frasi che sono rimaste impresse nella mia testa fino ad oggi, e continueranno a esserci. Mi ha detto di sentirsi onorato che io gli abbia raccontato una parte così vulnerabile di me, perché lui in quella vulnerabilità ci vede la mia forza. E io per poco non gli sono scoppiata a piangere inumidendogli l'auto. Ma ancora una volta, ho riso e ho fatto una battuta per alleggerire l'aria.

"A cosa stai pensando, piccolo girasole?"

A te. Sto pensando a te e al regalo che mi ha fatto la vita.

"La smetterai mai di chiamarmi così?"

"Mmm, fammici pensare..."

Non ho il tempo di replicare. Mi afferra dietro le ginocchia, e con una forza che io non avrò neanche reincarnandomi in un'altra realtà, mi trascina sulle sue spalle e il sangue mi coagula in testa quando mi ritrovo a testa in giù e il suo bel fondoschiena davanti agli occhi.

"Mettimi giù, Paul! Mi si vedono le chiappe!"

Ride alla mia esclamazione, ma sono seria. Siamo ancora davanti al mio istituto, e la mia reputazione è stata già gettata alle ortiche per il mio comportamento impulsivo. L'ultima cosa che vorrei è lasciare un ricordo del mio culo davanti a tutti i colleghi di lavoro.

Lui è così veloce che neanche me ne rendo conto di essere dentro la sua macchina, con le gambe spalancate sul cruscotto del passeggero e un fiatone sconsiderato. E con altrettanta velocità, raggiunge la guida per sedersi e mettere in moto la macchina.

È molto più responsabile del suo migliore amico. Quando ho conosciuto Arthur Wild, il capitano della squadra di hockey della Toronto Music Academy, eravamo sulla sua Maserati. E ho maledetto tutti i pianeti del sistema solare per la sua guida spericolata nel traffico della città. Una volta scoperto che è sempre così, e non un'eccezione, ho chiesto di essere risarcita per tutti i danni morali che avrò salendo sulla sua auto in futuro, e i due mi hanno riso in faccia. Uomini.

A metà tragitto verso casa sua, lui si ferma a fare benzina self-service. Non c'è nessuno nei paraggi, e io approfitto di quella situazione per rompere il silenzio che lui mi ha donato durante il tragitto. Gli afferro un polso prima che possa uscire dall'auto, e lui resta sorpreso da quella mia reazione.

Lo guardo per qualche attimo prima di trovare il coraggio per dirgli ciò che penso, ma i miei occhi lucidi trovano tormento nei suoi quando sussurro senza fiato.

"Non stavo scherzando. Ho davvero bisogno di distrarmi."

Lui comprende. Comprende tutto. Come sempre. Sa che non sono ancora pronta a fare quel passo in più nella nostra "relazione", se così si può definire, ma... i suoi compromessi sono i miei preferiti. E lui lo sa.

Nei suoi occhi azzurri leggo la volontà di assecondarmi, ma allo stesso tempo la paura di deludermi. Annuisco a mia volta, e lui dimentica tutto ciò che stava pensando di fare fino a qualche minuto prima. Si slaccia la cintura di sicurezza e nella pancia avverto un calore che con lui non è insolito tutte le volte che mi guarda in quel modo.

Come se nel mio niente, lui trovasse il tutto.

E la mia pancia continua a surriscaldarsi quando sono costretta a stendere il sedile e farlo arretrare per permettergli di fare il contorsionista e inginocchiarsi davanti a me. Dio, sta scomodissimo. E prima che io possa parlare in merito a questo, lui mi legge nella mente.

"Non provarci." boccheggia.

"A?"

"Chiedermi come sto."

"Volevo farlo."

"La vera risposta non vuoi saperla."

Ora sì che percepisco vera e propria lava al posto dei miei muscoli. Perché, quando lui mi abbassa le calze, mi sfila gli stivali con una grazia indescrivibile e poi fa lo stesso con le mie mutandine... ho come l'impressione di dover controllare la gradazione della mia vista, perché è tutto sfocato e la sola immagine del volto di lui perso ad osservarmi lì in mezzo mi rende instabile.

Ma quella dolcezza che lo contraddistingue si indebolisce, e lascia spazio a una rudezza che non mi dispiace affatto. È un misto tra sicurezza dei suoi mezzi e volontà di non spaventarmi perché, dopo avermi afferrato dall'interno coscia e avermi permesso di allargare le gambe per appoggiarle sulle sue spalle, ritorna la bontà nei suoi occhi e...

Sta ridendo?

Sì, sta ridendo.

Oh, cavolo.

Non faccio in tempo a farmi mille domande sul mio odore, su qualcosa che non va, su qualunque altra lo abbia fatto desistere dal leccarmela che lui se ne esce con: "Hai sul serio messo la playlist di Selena Gomez?"

Scoppio a ridere anche io. E riconosco quel tipo di risata: sto scaricando tutta la tensione accumulata fino a quel momento. E ancora una volta, è lui a donarmi questa sensazione di leggerezza. Come a camminare sulle nuvole.

"Cos'hai contro Selena Gomez?"

"Fa musica commerciale."

Chiudo le cosce di scatto, ma me ne pento subito dopo. Perché i calli delle sue mani sono premuti ancora di più contro il mio interno coscia, e i suoi capelli biondi e spettinati mi solleticano la pelle.

"Hai intenzione di non rivedere la mia fica per i prossimi dieci anni?"

"Mi hai appena detto che staremo insieme altri dieci anni?"

"Dieci diviso dieci."

Lui fa un'alzata di spalle e sopracciglia. "Be', devo darmi da fare, allora. In un anno devo darti il sesso di dieci anni di fila."

Come può una semplice espressione renderti più molle di una gelatina? Chiedetelo al mio corpo. Che non sa più come controbattere alle attenzioni di questo principe azzurro dalla lingua inappropriata.

E sì, lui è davvero capace di farmi dimenticare che con nessuno prima di lui ero stata in grado di farmi sculacciare o praticare dei preliminari. L'ansia da prestazione non se ne andrà mai del tutto, ma la dolcezza con cui mi tratta trova uno spiraglio all'interno della mia gabbia di insicurezze.

"E comunque sei proprio privo di gusto, sai? Selena Gomez è la mia cantante preferita sin da quando avevo un pannolino, e People You Know ha un significato così profondo che–"

Cazzo.

Cazzo.

Cazzo.

Non sono solita bestemmiare così spesso, ma il Dio che ho fra le cosce mi ha appena leccato la fica in un modo da procurarmi brividi sulla schiena e uno spasmo che mi ha fatta arrossire da far paura.

"Onesto? Della profondità di Selena Gomez, in questo momento, non mi importa nulla."

"Grandioso." ansimo io. "Siamo in due."

Un'altra. Dio.

Un'altra leccata la cui punta della lingua si inserisce fra le mie grandi labbra, e io sono costretta a mordermi un labbro e mantenermi con una mano al sedile laterale.

"Fan di Selena, eh?" Mi lecca ancora, facendomi tremare tutti i muscoli costali e procurandomi un gemito trattenuto dalle labbra chiuse. E non gli passa inosservato.

Gemo ancora quando la lingua inizia ad avventurarsi nella mia fessura, e inarco la schiena con gli occhi socchiusi.

Santo cielo. Perché è così bravo? Dove ha imparato? Come fa a stimolare parti di me che credevo sconosciute?

"Adesso dillo alla tua beniamina che, alle sue canzoni, preferisci la mia musica fra le tue gambe."

"Mai." sospiro, ma è un mezzo gemito che lo fa grugnire.

E parte al contrattacco, perché a Paul Hills proprio non piace perdere o essere contraddetto, e questa notte me lo sta dimostrando. Nel bel mezzo del nulla, ai miei piedi, intenzionato a procurarmi un orgasmo da strapparmi i timpani prima che qualcuno possa scoprirci.

E avendo conosciuto il suo migliore amico, credevo che fosse lui quello privo di coscienza su un'auto. Mi sono immaginata una quantità di scenari infiniti su come il capitano dell'Academy scopi selvaggiamente le sue donne sui sedili posteriori. Magari anche in corsa. E magari mentre si fa fare un pompino.

Dio, è proprio da lui.

Ma Paul? Paul ha una grazia e delicatezza da frastornarmi. Sa usare le parole giuste per eccitare una donna, e la sua delicatezza non lo rende comunque inferiore a nessuno. Perché per una come me è come toccare il cielo con un dito. E spero che lui possa rendersene conto.

"A cosa stai pensando?" mi borbotta, mentre la sua bocca si perde fra le mie grandi labbra e io gli afferro i capelli per incentivare mie spinte contro la sua faccia. Vedo le stelle quando lui raggiunge un punto nascosto.

"Al tuo migliore amico."

Ecco qua. Lezione numero uno dal manuale di Francisca Ortega: come far sgonfiare le palle a un uomo. Dire di pensare al suo migliore amico.

Solleva la testa da sotto la mia gonna e mi guarda perplesso. "Mi devi delle spiegazioni."

"È vero quello che si dice su di lui? Che scopa donne nelle sue auto alla stessa velocità con cui io schiocco le dita? E che in Academy non abbia rivali sul sesso?"

Lezione numero due dal manuale di Francisca Ortega: soprattutto parlando del suo migliore amico su una sfera sessuale.

"Fammi capire. Questa notte hai deciso di torturarmi? Prima Selena Gomez, ora a darti dettagli sessuali sul mio migliore amico."

Faccio spallucce. "Qualcuno deve pur iniziare a farlo. Non può sempre filarti tutto liscio. Una giornata di merda può capitare anche a te."

Il sarcasmo con cui cerco di proteggermi non manca mai. Così come la sua risata sconsolata quando lo faccio. Perché lui sa capirmi anche in queste piccolezze. Ma alla velocità con cui mi rimette le mutandine, mi viene da rimangiarmi tutto.

"Che stai facendo?"

Non risponde. Ma ride. Fa lo stesso procedimento con le calze, e poi con gli stivali.

"Paul?"

Ancora nulla. Ma il suo sguardo mi parla chiaro. Ha in mente qualcosa.

Si solleva da terra, e non so come faccia a muoversi in quello spazio ristretto. Quando mi riafferra le cosce per allargarle ulteriormente, io sono ancora più confusa di prima.

Ma continua a non perdere il mio contatto visivo, e con un'elasticità da stupirmi, inserisce il suo corpo fra le mie gambe.

Mi manca l'aria.

Ed è ancora peggio quando mi afferra i polsi, li porta in alto, li intreccia sotto una sua presa ferrea e mi bacia sulla bocca.

Forte. Duro.

Faccio uno spasmo che mi condanna. Perché sentire la sua erezione sulla mia fica non era in programma. E mi manda in cortocircuito quel briciolo di sanità mentale che mi era rimasta.

Poi inizia a strusciarsi. Mentre mi bacia. E quel briciolo diventa polvere, e poi invisibile.

Oh Dio. Si sta masturbando su di me? Mentre non mi permette di muovermi in nessuna parte del corpo?

Sto andando in iperventilazione.

Stacca le sue labbra dalle mie solo per sussurrarmi a un orecchio, mentre i suoi movimenti con le anche mettono a dura prova la mia concentrazione nel sentire la sua voce.

"Sì e sì."

"Cosa?" ansimo. Oddio. La mia è un disastro.

"Le risposte alle tue domande."

"Ah."
Ah? Cavolo, Francisca. Che discorso da Premio Nobel per la pace.

"Ma..." si struscia ancora, questa volta con più veemenza. "...non è lui che vuoi fra le tue gambe, vero?"

Ommioddio. No. Te. Voglio te, Paul.

Ma se pensi che io possa dare ulteriori prove al mio Club RSS per avere la promozione...

"È me che vuoi fra le tue gambe, señorita. E io posso accontentarti."

Non ricordo il preciso istante in cui mi dimentico del mondo e mi abbandono ai suoi baci e ai suoi movimenti. Nella playlist parte Dusk Till Dawn di Zayn e Sia, e la sua risata nelle mie orecchie riempie il calore già presente nell'auto.

"Hai proprio dei gusti discutibili, girasole."

"Senti chi parla."

"Non credo affatto. Sono pur sempre fra le tue cosce."

Roteo gli occhi quando le sue spinte sul mio corpo aumentano, ma sussulto e perdo un po' del piacere quando una sua mano si infila sotto il mio maglioncino per toccarmi il seno.

"Tutto okay?" mi sussurra in un orecchio.

Io annuisco, ma poi deglutisco. "Potresti non toccarmi lì, per favore?"

"Certo." Mi bacia le tempie, e quella sicurezza mi scioglie il cuore. "Non preoccuparti. Chiedimi tutto ciò che vuoi."

Ho voglia di piangere. Perché sebbene io non possa confessargli il motivo per cui non voglio che mi veda nuda in quel punto, diamine se vorrei le sue dita dolci, affusolate e delicate ad accarezzare ogni centimetro della mia pelle. Diamine se vorrei che mi contemplasse per tutta la notte e oltre, ignorando che qualcuno possa scoprirci.

E non mi pento di schiudere le labbra per rilasciare un gemito profondo nel suo orecchio. Non mi pento di osservare i suoi glutei che si flettono per spingere contro la mia pancia. E ancora, non mi pento di voler dire ciò che penso.

Per una volta, voglio che i miei pensieri intrusivi restino sepolti in una parte intoccabile della mia testa. Perché lui merita tutta la sincerità che posso offrirgli nel confessargli parole che costeranno care alle mie paure.

"Paul?"

"Sì?"

"Ti amo."

Si blocca.

Non c'è più la pesantezza estrema del suo membro, né la cintura a graffiarmi, e tantomeno il calore e la voce affannata nel mio orecchio. C'è il rumore della pioggia sui finestrini che accompagna la sua testa che si solleva. E i suoi occhi lucidi che valgono più di mille parole.

"Ti amo anch'io, girasole."

Questa volta, il bacio che seppellisce fra le mie labbra è speciale. Così speciale da farmi dimenticare che lui stia ancora spingendo contro di me per strapparmi un orgasmo celestiale senza penetrazione. Perché sentirlo tremare su di me, dalla punta dei capelli fino a quella dei piedi... è una sensazione che vorrei imprimermi nelle ossa, fino a farle logorare.

E avvolti dalla musica e dai nostri gemiti sofferenti, me lo domando per la prima volta.

Cosa mai potrebbe rovinare tutto questo?

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