II. Paul.

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Presente.

Soundtrack – She Knows, Ne-Yo.

🌻

"Ricordami perché siamo ancora amici."

Il mio fiatone spaventoso non sortisce l'effetto desiderato. Arthur ride mostrando i denti bianchi e scuotendo la testa, e si sistema le fasciature intorno ai polsi mentre le ciocche bagnate dei capelli neri gli contornano il viso. Credo di non averlo mai visto così sudato, e il sudore rende i suoi pettorali e i suoi addominali perlacei e ben definiti.

Il bastardo ha messo su ancora più massa muscolare rispetto allo scorso anno grazie al regime alimentare stabilito dal coach, ed è principalmente concentrata sulla schiena, le spalle, i bicipiti e la parte anteriore del corpo. Per non parlare delle gambe, e a ogni sgambetto di oggi ne ho la conferma.

Arthur Wild è la perfezione fatta a uomo.

Il suo corpo lo conferma.

E lui lo sa. Cazzo, se lo sa.

Scende dal ring con un salto, ma io ho ancora le braccia distese sul cordone, le gambe spalancate e sono appoggiato per la stanchezza. Gli studio la schiena che si flette e ricordo l'ultima volta che l'ho beccato in una stanza privata di un night club con lo stesso movimento dei muscoli, ma in altri contesti inappropriati.

Il mio migliore amico non ha un cazzo di pudore quando si tratta di sesso.

Non è un segreto che sia un fan del voyeurismo, al limite dell'ossessione, e non è altrettanto un segreto che non abbia limiti. E questa sua rabbia, forza e potenza la concentra anche negli sport che fa, che siano semplici allenamenti o match ufficiali. E la boxe e il wrestling sono i migliori per fargli scaricare l'adrenalina e la tensione accumulati.

In questi giorni, uno strano nervosismo e inquietudine aleggiano sul suo viso. Lo intravedo quando lui si ferma a riflettere o resta in silenzio nei discorsi con i ragazzi e la squadra. E in vista dell'inizio dell'anno accademico, preferirei che lasciasse alle spalle qualunque cosa lo renda tale.

Ma sa essere anche un maledetto testardo, ecco perché il mio unico modo per estrapolargli qualcosa è quello di aiutarlo a sfogare le sue ansie e paure in qualcosa che sa fare e in cui è il numero uno. Chiedetelo al mio costato, che domani si ritroverà con qualche livido in più.

Il secondo round è più aggressivo. Gli ho chiesto io di darci dentro, e lui non se lo è fatto ripetere due volte. I problemi sono iniziati ieri sera, quando abbiamo fatto una videochiamata con i ragazzi. Chris ci teneva a mostrarci il suo ultimo modello della PlayStation che si era comprato, Ares ci ha strappato delle risate assurde prendendolo per i fondelli sui nuovi videogiochi, e poi ne abbiamo approfittato per decidere ufficialmente le strategie delle prime amichevoli di campionato proposte dal Mister.

Per tutto il tempo, Arthur è stato... silenzioso. Turbato. Come se qualcosa avesse scalfito la sua calma dopo anni.

Era riuscito a trovare un po' di serenità mentale da un anno a questa parte, ma quegli occhi persi nel vuoto non me li sono immaginati quando tutti ridevamo per una battuta di Jul e lui era fermo, immobile, con le labbra appoggiate su un pugno a riflettere su chissà cosa.

Era mio dovere portarlo qui oggi. E da come si sta sfogando, sono convinto di aver fatto bene.

Ritorna da me con la sua bottiglietta, e tracanna grandi sorsi d'acqua. Poi, la lancia sul tappetto rosso fuori dal ring, e io corruccio lo sguardo. Lui sorride con gli occhi notando la mia reazione, e si pulisce le labbra bagnate con le fasce dei polsi. Poi, le stesse mani le usa per asciugarsi i pettorali pregni di sudori, e io faccio una smorfia con la bocca nel ritornare in piedi e stabile per ricominciare.

"Perché sono il migliore."

Ah, ecco. Figuriamoci se uno come Arthur Wild non vuole avere l'ultima parola a una domanda o supposizione altrui.

"Mm, certo. E questo dovrebbe spronarmi?" lo provoco. Stringo anch'io le fasce intorno ai polsi, e cammino nei dintorni della mia postazione. Ciocche bionde e fradicie mi cadono sul viso, e avrei preferito non dimenticarmi l'elastico per capelli. Perché, quando il signorino mi ha piantato per sbaglio un pugno nel costato, la mia visuale era limitata.

E va bene, è lui che è un fenomeno di riflessi e potenza. Lo ammetto. Ma quando voglio e di rado, anch'io so avere un orgoglio smisurato.

"Imparare dai migliori?" cantilena, poi spalanca le braccia per mostrarsi. "Assolutamente sì."

Rido a mia volta e fisso il soffitto per qualche istante, poi scarico l'adrenalina con dei piccoli salti a ripetizione mentre sgranchisco le braccia.

"Quindi l'allievo che supera il maestro?"

Eccolo, il sorrisetto che le stende tutte.

"Adesso non esageriamo." mi stuzzica, e rispondo con una risata secca.

"Calma, campione. È solo il secondo round."

"Ma se vuoi essere il migliore, devi sempre dominare."

Pronuncia quel dominare con una lascività estrema, poi mi dà le spalle e le analizzo ancora. Sin dagli albori della nostra amicizia, non gli ho mai nascosto di provare un'attrazione fisica per lui. Anche perché, diamine, chi è il folle che gli resterebbe indifferente? Ma il rispetto, l'affetto e la fedeltà che comporta il nostro legame sono ineguagliabili.

"E comunque, troppe chiacchiere. È ora di passare ai fatti." Anche lui si sgranchisce il collo e le braccia con dei piccoli salti, poi piega le gambe per assumere la posizione per iniziare.

I suoi guantoni sono lucidi dell'acqua e del sudore che ha sprecato, e lo stesso vale per i miei. Io ho meno ammaccature, perché è stato lui a infierire più colpi.

Al mio via, giriamo dentro al ring come dei segugi. Il silenzio così decisivo può essere davvero assordante, ma gli unici rumori presenti nella palestra sono i nostri movimenti e respiri.

E se ne aggiungono altri con i grugniti trattenuti di Arthur quando lui avanza verso di me per provare a colpirmi. Ma io mi faccio trovare con degli ottimi riflessi, e schivo il suo primo pugno. Ciò non mi basta, e riesco ad afferrargli il braccio destro per contorcerlo.

Lui emette un mugolio di rabbia, ma quando sbatte con la schiena contro la mia spalla, perdo un po' del mio equilibrio sui polpacci e lui ne approfitta per invertire i ruoli: adesso è lui ad avere il mio braccio 'in ostaggio'. Con la mia schiena premuta contro il suo petto, lui dà un colpo contro il mio interno ginocchio, e crollo rovinoso a terra con le mani spalancate.

Mi rialzo subito, ma non basta. Un pugno di Arthur mi sfiora la guancia, quel po' che basta per farmi sbattere – di nuovo – contro il ring, e la mia schiena ne risente. Faccio un grugnito di dolore, e con un Arthur così, è difficile anche solo ragionare su come contrastarlo.

"Allievo?" schernisce, provocatorio e con il fiatone. "Io direi più... dilettante."

"Oh, sta' zitto, Nik. Ti sto solo facendo vincere."

Mi avvento su di lui con furia, e lui arretra di qualche centimetro. È incredibile come abbia un controllo dominante anche camminando all'indietro. Credo che neanche una montagna possa scalfire la sua sicurezza fisica. Anche in campo perde difficilmente l'equilibrio, e il coach lo riempie di elogi questa sua qualità. Di certo non fa bene al suo ego sproporzionato.

Ma per una volta, la mia tattica funziona. Fingo di avvicinarmi per colpirlo, ma poi provo un rovescio di una mia gamba che sbatte contro le sue. Lui tenta di afferrarmela, ma io sono più lesto e faccio lo stesso con le sue braccia. Una gomitata nelle costole mi permette di recuperare tempo, e spingerlo con una spallata contro il ring.

Lui però non perde la quantità di secondi che spreco io quando vengo strattonato o sbattuto contro le corde, bensì si solleva alla velocità di una lince e invertiamo i ruoli. Adesso sono io a dare la schiena alla sua zona iniziale.

"E questo cos'era?" ridacchia, sputando a terra.

Faccio spallucce, con un affanno rovinoso. "Vendetta?"

"Oh oh, abbiamo del risentimento qui?" mi provoca ancora.

Sa che è il mio punto debole. Non ho mai nascosto di legarmi le cose al dito, dalle più innocue alle più gravi. Ma questo resta un gioco fra amici, e vederlo sorridere dopo la videochiamata di ieri è il mio vero obiettivo giornaliero.

Non rispondo e scuoto la testa per spostarmi i capelli biondi dagli occhi. Il suo petto sembra ancora più gigante mentre fa profondi respiri che gli permettono di recuperare fiato. Il bello degli scontri sul ring ad armi pari sono proprio le pause che permettono di studiare l'avversario e riprendere energie.

Be', più o meno. Lui è un colosso, un dominatore nato. Nato per questi sport. E ti sorprende sempre. Anche quando pensi di aspettarti o prevedere una sua mossa, non è mai così. Ed è quello che accade adesso.

Provo ad avvicinarmi per afferrargli la pancia, ma non ricordo il preciso istante in cui il mio grugnito per ricaricare la corsa si trasforma in me con la schiena a terra e un volo di sostanziosi centimetri.

"Porca puttana." gemo a occhi stretti, beccandomi una sua risatina perversa e soddisfatta.

Alle donne quella risata farà anche tanto effetto, ma a me in questo momento fa solo girare il cazzo.

Questa sfida era persa in partenza, ma non ho alcuna intenzione di mollare. Mi sollevo con non poche difficoltà, e il disgraziato ne approfitta per spingermi con un piede. Io però gioco di astuzia e glielo afferro. E adesso è lui a crollare a terra.

Gli salgo addosso a cavalcioni per provare a sferrargli un pugno, ma reagisce. Il suo arriva nel mio stomaco, e sono costretto a piegarmi in due per il fiato che si accorcia. Tossisco, e lui stranamente si prende il tempo per sollevarsi da terra e barcollare di poco. Si sistema meglio i guantoni mentre mi osserva che cerco di rialzarmi.

"Sei ancora in tempo per arrenderti, Hills."

Non lo faccio. Non sospetta minimamente il modo in cui mi organizzo per controbatte. Mi alzo e raggruppo il peso del mio corpo per finirgli addosso. Lui si sposta, come previsto, ma la mia gamba inclinata mi permette di fargli uno sgambetto. Lui cade a terra e si rialza, così passiamo al contrattacco estremo. Ce lo leggiamo negli occhi l'un l'altro.

Chi prima colpisce, vince.

È un assemblaggio di corpi che si spingono, pugni da schivare e ringhi sommessi o elevati. Entrambi riusciamo a dare retta ai nostri sensi, e l'attacco decisivo avviene quando io lo afferro di nuovo per i fianchi, lo spingo contro le corde del ring, ma... lui è più forte.

Lui è sempre più forte.

E ricambia gli stessi movimenti, ma con un'unica certezza: buttarmi a terra. Adesso è lui a cavalcioni su di me, ma non mi sferra pugni. Si assicura soltanto che io non possa muovermi, a gambe divaricate e con il petto che fa su e giù per lo sforzo.

"Tre..." boccheggia, e tra un respiro e l'altro mi sorride.

"Due..."

Grugnisco, strizzo gli occhi e appoggio la testa a terra.

"Uno..."

Roteo gli occhi. Non ho le forze per controbattere. E nel modo in cui riesce a mantenermi i polsi, il capo sta facendo leva sul suo corpo pesante e la forza disumana mentre io provo a dimenarmi.

"Mi arrendo." biascico, privo di forze.

Anche senza guardare, so che sta esibendo uno dei suoi ghigni preferiti. Quelli dal sapore di compiacimento.

"Immaginavo." Il suo respiro è più regolare del mio, ma ugualmente veloce. "Dilettante."

"Vaffanculo, Nik."

"Sì, mi hai già chiamato con il mio secondo nome." gongola.

"E allora?"

"E allora lo fai tutte le volte che sei incazzato. Dunque..." si avvicina con il volto al mio, e ora sì che ha un'espressione di estrema vittoria quando mi scompiglia i capelli, sapendo che mi dà fastidio. "Ho vinto."

Sbuffo sonoramente, e lui si risolleva per ritornare in piedi. Io mi appoggio sui miei gomiti, e finalmente sono in grado di regolarizzare i respiri.

Lui si sfila il guanto destro con i denti, mentre con la mano sinistra si stringe il polso delle dita nude. Poi, fa lo stesso all'inverso. Ed entrambi i guanti vengono sputati a terra.

"Vestiti." mi ordina, dandomi le spalle e raggiungendo le corde del ring per uscire.

Lo guardo di traverso mentre mi massaggio l'anca. "Tutta questa fretta è dovuta a..."

"Un appuntamento." Morde una cintura in bocca mentre me lo dice, e si abbassa in contemporanea i pantaloncini e le mutande.

L'avevo già detto che quest'uomo è matto da legare, vero? Non gli dispiacerebbe affatto se qualcuno entrasse e lo beccherebbe in queste condizioni.

"Ah sì? Con quale delle tante?" ironizzo, lanciandomi giù dal ring per afferrare un asciugamano pulito per la faccia.

"Finiscila." mi rimprovera, asciugandosi i pettorali con un asciugamano simile al mio. "Non esco mai in via ufficiale con chi vado a letto."

"Solo il tempo di una sveltina?"

Si immobilizza, e guarda accigliato ogni mio movimento nello svestirmi. "Da quando ti sei messo a giudicare la mia vita privata?"

"Sto solo ribadendo l'ovvio, Arthur."

"No, perché ti ho appena detto che non esco con le donne che mi porto a letto. Ma ciò non significa che io non le rispetti."

"Non ho mai detto questo. Ti ho visto con i miei occhi ad accompagnare molte di loro nelle loro case, e andartene soltanto dopo che eri sicuro che fossero rientrate e al sicuro."

"E allora qual è il problema?"

Il suo tono è più irritato, e lo nota anche lui. Perché dal modo in cui mi fermo e lo fisso, capisce che ho intuito che c'è qualcosa che non va.

"Con chi è l'appuntamento?" ribadisco più calmo, sperando che veda le mie intenzioni di riappacificazione.

Lui afferra il bagnoschiuma dalla borsa d'allenamento e me lo lancia. Io lo afferro al volo.

Non capisco. Poi si avvicina, e mi dà una pacca sul culo mentre mi vocifera: "Fatti una doccia e muoviti. Hai un appuntamento."

🌻

Soundtrack –  Save Your Tears, The Weeknd.

Avrei dovuto immaginarlo che la parola 'appuntamento', dalla bocca del sarcasmo reincarnato, potesse significare altro? Forse.

Ma ciò non toglie che sono angustiato per lui. E ho intenzione di affrontare l'argomento una volta che avremo occupato un tavolo del Kelly & Rowland's Club con il nostro cibo. Il mio stomaco brontolante è la risposta alle mie priorità.

"Hai fame?" ironizza lui, mentre attende alla cassa con le mani nelle sacche del suo giubbotto di pelle.

"Tu dici? Mi hai solo fracassato di botte per poi pretendere che fossi flash sotto la doccia."

"Direi per una buona ragione, no?"

Lo stronzo non ha torto. Oggi il locale di Kelly e Matthew offre la specialità di casa: tagliata di manzo con bocconcini di funghi porcini ripieni di mozzarella. Il mio stomaco sta diventando un serio problema.

"Come facevi a saperlo?"

"Oh no, non lo sapevo. Sono venuto per altro."

"Vale a dire?"

Il suo sorriso che proprio non mi piace. Strafottente o furbo. Non riesci mai a capire. Ma sono alquanto sicuro che la seconda opzione sia più plausibile. Ha in mente qualcosa.

La signora Rowland esce dalla porta collegata alla cucina del locale, e il suo ampio sorriso e il modo in cui urla i nostri nomi copre i rumori dei piatti e il chiacchiericcio dei cuochi e dei camerieri dall'altra parte della stanza.

"Ragazzi! Che sorpresa! Se avessi saputo che foste venuti qui, vi avrei fatto prenotare un posto. Perché non mi hai avvisato, Nik?"

Al contrario mio che lo faccio principalmente quando sono su tutte le furie con lui, Kelly adora chiamare Arthur con il suo secondo nome. Una volta ci ha confessato che un suo nipote che vive in Texas, che vede una volta l'anno durante le vacanze natalizie, si chiama così. E somiglia a un Arthur in miniatura.

"Non volevamo disturbarti." Si avvicina a lei per scoccarle un bacio su una guancia e accarezzarle la schiena.

"Giammai. Quante volte devo ripetervi che per me è un piacere avervi nel mio locale? Diglielo anche tu, Matthew!"

Il marito sbuca dalla stessa porta dove è uscita la moglie, e ha due piatti in mano con due pesce spada da cedere a una cameriera. Il mio stomaco sta davvero facendo brutti scherzi, adesso.

"Ehi, figlioli! Quale buon vento vi porta qui?"

"Magari la cucina di sua moglie, signor Rowland? Potrei averne una dipendenza, sa?"

L'affermazione di Arthur li fa ridere entrambi, e lo stuzzico. "La smetti di filtrare con la moglie del tuo supporter numero uno?"

"È vero, lo sono." Il marito sta al mio gioco. "Ma non ho voglia di fare a botte, eh. Ti ho visto come ti alleni su quel ring, ragazzaccio. Sta' attento ai denti dei tuoi amici."

"Già..." cantileno io. "Può giurarci."

Arthur sbuffa divertito. "Quanti alibi pur di non ammettere che vi batterei entrambi in un solo round."

Cattura l'attenzione mia e di Matthew, che gli dice: "Ah sì?"

"Assolutamente." stuzzica ancora Arthur. "Ma per oggi ho già dato. Non sarebbe ad armi pari."

"Oh, e adesso chi è che se la fa sotto?"

Arthur mi guarda di traverso dopo la mia provocazione, ma sorride e poi dedica tutte le sue attenzioni alla signora Rowland. "Come sta la mia cuoca preferita, piuttosto?"

Loro due hanno sempre avuto un rapporto madre-figlio. Ma è difficile non andare d'accordo con Arthur. Le mamme lo adorano. E la Rowland non è da meno. Sono anni che vuole presentargli la figlia. Dice che Arthur è il miglior partito che possa trovare sulla faccia della Terra. Proprio un modo brillante per sgonfiare l'ego di un egocentrico, eh?

Nel frattempo, io do un'occhiata al viavai dei camerieri che escono dalle porte collegate alla cucina. E conosco il motivo.

Forse speravo di trovarla. Forse... forse potrei non aver dimenticato che qui, una volta, le compravo i suoi croissants preferiti. Da quando il locale si è trasformato da bar a tavola calda, ma mantenendo i colori caldi, il profumo e l'accoglienza di un tempo, le nostre vite sono cambiate in parallelo. Fanno ancora quei dolci deliziosi, ma non è più la stessa cosa entrare in questo locale sapendo che la destinazione di quei croissants è sfumata.

Dannazione, devo proprio togliermi quella donna dalla testa.

Eppure, ho ancora il suo sapore sulle labbra. Il suo profumo di albicocca a inondarmi le narici. E i suoi capelli rossi mentre li afferravo e...

"Oh, ma allora davvero è un complotto contro di me o volevate farmi una sorpresa?"

La voce squillante e felice della signora Kelly mi distoglie dai pensieri. Non ne capisco il motivo fino a quando non mi giro verso il punto in cui osservano tutti. L'entrata.

E un Ares Copperfield con una sigaretta fra le labbra, il cappotto beige, un maglione bruno, dei jeans neri e un basco nero, si muove con una grazia ed eleganza innata.

Osserva l'ambiente che lo circonda, poi sorride quando incrocia lo sguardo di Kelly, che nel frattempo si sta sbracciando per salutarlo e dirgli di raggiungerci. Ares appoggia il cappotto all'attaccapanni dell'entrata, e poi il suo cappello. A piccoli passi, con le mani nelle sacche, ci raggiunge e non sono sicuro che sia indifferente alle occhiate che un gruppo di ragazze gli dedica da una tavolata.

Arthur avrà anche l'ego più grande dell'universo, ma Copperfield non scherza. E all'occhiolino che fa alla signora Rowland, io e Arthur reagiamo spostandoci per farlo passare.

Prima che Kelly possa abbracciarlo, gli sfila la sigaretta dalle labbra. Ares ha un'espressione destabilizzante, e a me e Arthur viene da ridere. Solo Kelly può sfilare in quel modo una sigaretta a mister brontolone senza rischiare la vita.

"Quante volte ti ho detto di non fumare nel locale?" gli dice, tra il corrucciato e il divertito.

"Ti dimentichi con chi parli." le suggerisce Arthur, incrociando lo sguardo minaccioso dell'amico.

"Fa così anche con voi?" chiede lei.

"Diciamo che ho perso il conto delle volte in cui avrei voluto tirargli un calcio in culo e mi sono limitato a rimproverarlo."

"Senti chi parla." borbotta il nostro amico al capitano.

"Io non fumo, Copp."

"No, ma sei una rottura di palle di prima categoria."

"Chi l'avrebbe mai detto che un giorno sarei stato d'accordo con Copperfield." aggiungo io.

Alle nostre facce divertite e provocatorie, Arthur risponde incrociando le braccia al petto e con un sorrisino di sfida. "Ricordatemi di aumentarvi il carico di lavoro quando condivideremo di nuovo gli allenamenti in palestra del coach."

"Bla bla bla." cantilena Ares, avvicinandosi al bancone della cassa per sfoggiare un sorrisetto alla cassiera che lo ha notato sin da quando è entrato. Poi si rivolge di nuovo a noi. "Il mio stomaco ha delle necessità."

"Cazzo. Siamo a quota due nel concordare con questo stronzo." mi lamento.

E non faccio in tempo a dire altro che Arthur saluta la Rowland, mi scompiglia i capelli e con un braccio intorno al mio collo e un altro intorno a quello di Ares, ci sussurra: "Siamo in tre a concordare. Ma il carico ve lo aumenterò lo stesso."

🌻

Non trascorrevo una serata tranquilla come questa da...

Mi meraviglio nel constatare che non ricordo l'ultima volta che sono stato così.

Certo, con i ragazzi è sempre un momento di condivisione e gioia, ma l'incognita Ares è un terno al lotto, e lui e il capitano fermi in una stanza, mentre colloquiano amabilmente, non è un evento scontato. I trascorsi sono quello che sono, e io preferirei amputarmi un braccio piuttosto che alimentare una conversazione su questo.

Per fortuna, loro sono della mia stessa idea. Il nuovo anno alla Toronto Music Academy sta per iniziare, e sebbene il chiacchiericcio delle persone nel locale superi di gran lunga le nostre voci, siamo riusciti a parlare per un'ora di partite, schemi di gioco, battute sul coach, sui ragazzi e altri argomenti di nostro interesse come la musica, la pallavolo che pratico nel tempo libero e l'ultimo progetto artistico e di poesia che io e Copperfield abbiamo deciso di unire.

"Quindi avete intenzione di presentarlo da JoyStory?" chiede Arthur.

"Non esattamente."

Sia io che il capitano fissiamo Ares con un punto interrogativo stampato in volto. "Come sarebbe a dire non esattamente?"

Ares fa un'alzata di spalle, e alla mia replica risponde: "Ho da aggiungere un'altra poesia."

"E quando pensavi di dirmelo?"

"Rilassati, Hills. È già pronta. Devo solo sistemarla."

Lo vedo afferrare un pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans, ma quando provo a fermarlo, Arthur mi afferra un gomito e mi suggerisce la risposta con lo sguardo. Saranno anche elettroniche, ma cavolo. Ares non cambierà mai. Scuoto la testa.

"Ho bisogno di un ultimo momento d'ispirazione." borbotta, mordicchiando la sigaretta e infilando di nuovo il pacchetto nei jeans.

"E cosa devi fare? Entrare in modalità zen?" chiedo.

"Quasi. Dio, non rompete il cazzo se non sapete come funziona il processo di isolamento di un poeta."

"Mi perdoni, poeta spezzato. Non accuserò mai più i suoi capolavori e il suo tempo prezioso."

La mia battuta, con tanto di mano sul cuore, sortisce l'effetto contrario: invece di divertirlo, gli fa rabbuiare il viso. Per quale motivo? L'ho chiamato con epiteti peggiori, garantisco. Se resta male per un semplice poeta spezzato...

"Ho bisogno di una persona."

La sua dichiarazione diretta non aiuta me e il capitano a capire, e restiamo in silenzio.

Lui aggiunge, guardando Arthur dritto negli occhi: "Tua sorella."

Cala un piccolo silenzio imbarazzante di qualche secondo. Arthur ha una serietà in volto da impallidire, e si distrae solo per ringraziare la cameriera che viene a prendersi il suo piatto vuoto.

"Perché?"

È una semplice domanda, ma io noto tutta la difficoltà di Arthur nel non chiedere ulteriori spiegazioni e tutta quella di Ares nel non rispondere troppo.

Il nostro amico dal ciuffo castano deglutisce. E Ares Copperfield che deglutisce è un evento più unico che raro. Comprendo che è nervoso dalla velocità con cui riafferra di nuovo il pacco dai jeans per prendere una sigaretta che seguirà quella che già ha.

"È solo una cortesia, Arthur. Con o senza il tuo permesso, avrò tua sorella in prestito."

"In prestito?" Arthur ironizza sulle sue parole con un piccolo sbuffo. E io capisco che devo fare la parte del maggiore. Perché, quando si tratta di Anastacia Wild, questi due non ragionano affatto.

Sembrerebbe essere l'unica donna che li renda così rivali.

Ares picchietta le dita sul tavolo, e si guarda intorno per qualche istante prima di fare un altro tiro e poi rispondere.

"Ho scritto una poesia su di lei, Arthur. Non ti sto chiedendo di mandarmi le sue foto di nudo, Cristo."

"Ci mancherebbe." Il tono di Arthur ora è davvero aspro, e il suo sguardo è indefinibile.

Dal ghigno di Ares, capisco che sta per dire qualche confessione sulla sua ultima affermazione delle foto nude.

E prima che scoppi il finimondo, decido di intervenire. "Ora che ci penso è una buona idea, Arthur. Ho uno schizzo che potrebbe abbinarsi benissimo a una pagina di poesia."

Spero di aver placato gli animi, e i miei desideri si realizzano quando Arthur rilassa le spalle tese e Ares la smette di tormentare il tavolo con i suoi polpastrelli. La sua mascella è meno contratta, così come lo sguardo di Arthur è meno omicida.

E finalmente anch'io posso ritrovare un po' di pace. E pensare che fino a qualche secondo fa elogiavo lo sforzo che avevano fatto queste due teste calde nello stare più di un'ora senza insultarsi nella stessa stanza.

Il mio cellulare ha un tempismo orribile, perché la vibrazione e il nome di mia sorella sullo schermo lo fanno illuminare.

Mi sta chiamando. E i due leoni accanto a me hanno fissato con un po' troppa attenzione la foto che ho scelto per il suo numero: lei con una minigonna scozzese nera, le gambe accavallate, un maglioncino nero a collo alto, un basco bianco e in una posa in cui manda un bacio alla fotocamera. Gliel'ho scattata lo scorso anno quando sono andato a trovarla a New York, durante una passeggiata insieme in città. E cavolo se lei è così bella. Ho voluto subito usarla, ma con il suo permesso.

Rispondere alla sua telefonata mi ricorda una realtà abbastanza scomoda: la sua presenza in città. Per l'inizio del nuovo anno accademico alla Toronto Music Academy.

Soltanto ieri, Gwyn ha fatto la conoscenza dei ragazzi, e io mi sento come se mille occhi indiscreti ci osservassero ogni giorno. Non ho rimosso gli sguardi lascivi con cui i Black Lions l'hanno squadrata mentre lei scendeva dalle scale di casa, e non ho ancora cambiato idea sul fatto che questa situazione deve essere gestita. Prima che sfoci in qualche problema serio.

Mia sorella è uno spirito libero. Un diavolo di prim'ordine quando si mette qualcosa in testa. E tutto vorrei fuorché che facesse perdere la testa a uno dei miei compagni. O più. Non è impossibile. È bella come una Dea, e altrettanto speciale caratterialmente.

"D'accordo. A dopo."

Chiudo la telefonata, e ancor prima di farlo so di avere i loro sguardi puntati addosso.

"Lei chi è?"

Cazzo. Avevo rimosso che, ieri, il qui presente Ares Copperfield non ha partecipato alla nostra riunione di squadra nel salotto di casa.

"Mia sorella." rispondo, prima di buttare giù un sorso d'acqua. Pesante come macigni.

Ares non risponde. Con la coda dell'occhio, noto che sta ancora fissando la schermata del mio telefono appoggiato sul tavolo.

"Hai una sorella?"

"Perspicace." ironizzo. "E io che credevo di parlare russo."

"Non in quel senso." Il suo tono è improvvisamente serio. "Non ce ne hai mai parlato."

E ora sono io a farmi serio. Ci sarebbero troppe cose da dire su Gwynevere Hills. Ma neanche la metà devono uscire dalla mia bocca.

Una promessa è una promessa, e intendo mantenerla. Anche se quelli che ho ai miei lati sono amici con cui mi confido spesso.

"Ti ho fatto una domanda."

Ares insiste. Ma Arthur mi anticipa con un: "Magari non vuole risponderti."

Io allora sbotto. Perché non è possibile che l'aria sia cambiata da un momento all'altro, e in modo così drastico. "Si può sapere cos'avete entrambi?"

"Io?" ride Ares, sarcastico. "Assolutamente nulla. Il capitano? Be', me lo chiedo anch'io."

Lo sguardo di Arthur è inflessibile, ma io so con certezza che stanno combattendo una battaglia nelle loro menti. Come se potessero leggersi a vicenda mentre si fissano decisi e concentrati.

"Sì, okay, ho una sorella. Va bene? Ma non c'è mai stata occasione di parlarvene. Ieri tutta la squadra l'ha conosciuta perché quest'anno inizia l'anno accademico qui e–"

"È mai stata a Toronto?"

Le domande di Ares sono troppo specifiche per passare inosservate. Lo so io, lo sa Arthur. Che ora ha iniziato a muovere una gamba sotto il tavolo con movimenti oscillanti e nervosi.

"No. È la prima volta. Come ho già detto, inizierà l'anno accademico qui. E avresti potuto conoscerla anche tu, se ieri ti fossi degnato di raggiungerci a casa."

Un altro silenzio che non riesco a decifrare. Ares è ancora il soggetto visivo di Arthur, e viceversa. Qui in mezzo mi sento un estraneo seduto a un tavolo circolare, fino a quando Copperfield non si rivolge a me.

"Be', allora vorrà dire che dovrò darle il mio caloroso benvenuto."

Ed è chiaro, chiarissimo che si rivolga a me. Ma è il tono che proprio non digerisco. Perché so bene a cosa è dovuto.

Una cameriera viene in nostro soccorso e spezza la pesantezza dell'aria, chiedendoci se la cena è stata di nostro gradimento e se abbiano bisogno d'altro. Mentre io e Arthur ordiniamo un caffè, Ares digita qualcosa a telefono, e io gli chiedo sfacciatamente chi sia.

"Chris." mi risponde distratto.

"Vuole unirsi a noi?"

"No. Dovevo dirgli una cosa."

Dopodiché, si alza dal tavolo senza darci spiegazioni. Ci appoggia una banconota da cinquanta dollari, che equivale a più delle nostre tre pietanze messe insieme. Io e Arthur fissiamo prima la banconota e poi lui, che con un sorrisetto insolente ci dice: "Ho delle commissioni serali da svolgere. Ci vediamo domani."

"Non fare tardi all'allenamento di inizio anno." gli urlo di rimando, quando lui si allontana.

Arthur, che di solito lo saluta e ha sempre qualcosa da ridire sui suoi orari degli allenamenti, questa volta non dice nulla. Ed è più silenzioso di un gufo.

Quasi mi viene da scherzare chiedendogli se ha perso la lingua, ma appena noto lo sguardo fisso nel vuoto capisco che devo necessariamente cambiare argomento per farlo ritornare da me. Quando però ci provo, lui mi anticipa. Schietto.

"La tortureranno."

Rude. Deciso. So bene di cosa parla. E la mia spina dorsale si irrigidisce.

Cerco comunque di mantenere la calma.

"Ares e Chris. La tortureranno fino a quando non avranno ciò che desiderano." insiste.

Io ho bisogno di aria. E di bere. Lo faccio. Mando giù a fatica, e poi aggiungo piano: "Mia sorella sa farsi valere. Se per lei è no, è no. Non accetterà."

"Non la conosco. Non mi permetterei." dice sottovoce, e dal suo sbuffo capisco che questa situazione, che va avanti da anni, lo innervosisce. Perché sappiamo entrambi il motivo per cui detesta quando Ares punta così tanto una donna. Adesso, c'è di mezzo la sorella del suo migliore amico.

E lo capisco. Mi girano quanto lui.

"Quindi non era mai venuta a Toronto prima di ieri?"

Nego con il capo. Questo improvviso interesse nei suoi riguardi mi sta stressando non poco. "Mh-mh."

"Ed è da sola? O ha..."

Appoggio una mano sul tavolo. Piano, ma tale da fargli capire che questa conversazione è particolare.

"Se desideri così tanto informarti su mia sorella, perché non le scrivi? Suvvia. Abbiamo tutti degli account sui social network. Il suo account Instagram è di dominio pubblico, e di foto come quella che avevo come profilo ne puoi trovare a valanga."

Decido di provocarlo ancora, perché il suo improvviso interesse mi dà fastidio. Così come mi dà fastidio il sussulto che ha avuto quando gli ho suggerito di contattarla. "E sono alquanto sicuro che potrai avere le tue risposte. Oltre a qualche foto in intimo qua e là, se può interessarti."

La sua faccia cambia colore. Ed era proprio quello che volevo.

"Non starai esagerando?" mi rimprovera.

"E tu? Nel fare domande su mia sorella?"

"Non la sto sequestrando, Paul. Sono semplici e innocue domande. E tu dovresti smetterla di trattarla come se fosse sotto una teca di vetro. Anche se accettasse di dare retta a quei due, be', è adulta e vaccinata."

Se solo sapesse. Se solo fosse a conoscenza del perché sono così protettivo nei suoi riguardi. Mia sorella ha un corpo magnifico, di cui molta gente se ne è approfittata negli anni. E io potrei morire sui carboni ardenti semi-cosciente piuttosto che accettare che qualcun altro di così crudele e manipolatorio si prenda gioco della sua dolcezza, bontà e bellezza.

"Chiudiamo questa conversazione. Sta diventando pesante." dico brusco, alzandomi dal tavolo.

"Mai stato più d'accordo."

Anche la sua risposta è fredda. Ed è tale il suo atteggiamento quando andiamo a salutare Kelly e Matthew. Lui cerca comunque di non far sospettare Kelly della discussione, e le sorride e la abbraccia. Io invece ricevo le occhiate stranite di Matthew, ma faccio del mio meglio per reggere la maschera.

Quando usciamo fuori dal locale dopo aver pagato, il freddo gelido della notte di Toronto ci schiaffeggia entrambi.

"Io chiamo un taxi." informo, e il messaggio al mio amico è limpido. Non voglio tornare a casa con te.

Lui lo accoglie, poiché mi risponde un debole: "A domani."

Io invece non voglio. E tantomeno voglio girarmi. Non mi sbaglio mai quando dico che Arthur Wild e Ares Copperfield non possono stare in una stessa stanza quando si parla di donne.

E ora che ho appurato che anche mia sorella potrebbe essere un problema, è ora di chiarire questa vicenda.

🌻

Soundtrack –Hands to Myself, Selena Gomez.

Una volta pagato il taxista e rientrato in casa, avviso mia sorella dell'arrivo salutandola a voce alta. Ma né ricevo risposta, né è davanti alla tv accesa in soggiorno.

Mi tolgo gli scarponcini e scuoto la neve dal giubbotto. Di mia sorella ancora nessuna traccia. Mi dirigo verso la cucina e noto che c'è ancora odore di fornelli accesi con un altro forte odore di patate al forno, segno che è rimasta a casa a cucinarsi la cena. E anche in queste piccolezze noto che è cambiata: un tempo, le sarebbe piaciuto uscire nel weekend. Da quando quel bastardo del suo ex le ha tolto la fiducia nel mondo, limita le sue interazioni sociali e i weekend li passa a telefono con me.

Ora siamo sotto lo stesso tetto, e sapere che è di sopra a farsi le sue cose mi fa sciogliere il cuore in una tenerezza assurda. Mi viene voglia di riempirla di coccole, e non ne capisco il perché. E il fatto che lei le accetterebbe, perché dice di amare gli abbracci, mi procura un tonfo al cuore che mi consente di salire le scale in fretta e in furia.

"Sono tornato!" ripeto ancora ad alta voce, ma niente. Così, quando arrivo davanti alla sua porta, busso.

E tutto mi sarei aspettata, fuorché rumori di... gemiti?

Oh, cazzo.

"Gwyn?"

Sento rumori di coperte spostate e l'affanno tipico di chi... Cristo. No.

Qualcuno può darmi un po' di tregua? Neanche il tempo di abituarmi alla sua presenza in casa?

Se apro la porta e succede che...

"Non puoi!" urla. Ha proprio l'affanno, merda. "È... è..."

"Chiusa a chiave? Lo vedo." sbotto, irritato. "Chi stai scopando, Gwyn?"

Giuro su Dio che se Copperfield ci ha pagato il conto per venire a scopare mia sorella nella nostra casa...

"Cosa?! No!" urla, spaventata. La sua voce ora è più calma. "Santo cielo, ma cosa dici? Era solo..."

Non mi dà il tempo di replicare. Spalanca la porta. E me la ritrovo con i suoi occhioni giganti e spalancati, le guance rosse, i capelli disordinati e... una coperta bianca a coprirle il corpo nudo.

Si morde un labbro e abbassa lo sguardo. In questo momento vorrebbe sprofondare, e così anch'io. Ma deglutisce e un sospetto mi vortica nella mente. Dio, dimmi che non l'ho interrotta mentre...

"Mi stavo masturbando, Paul. Ora che lo sai, potrai prendermi in giro per il resto della mia esistenza. Ed esporre gli striscioni il giorno del mio matrimonio."

Un silenzio. Assoluto.

Ma non è imbarazzante come quello avuto con Ares e Arthur mentre parlavano di lei. Perché...

Rido.

Rido e lei ha una faccia tra il perplesso e il preoccupato. Avrei dovuto immaginarmelo nel momento in cui ho sì sentito dei gemiti striduli e sofferenti, ma non rumori di corpi bagnati e sbattuti l'un l'altro.

I miei amici hanno ragione marcia nell'imbambolarsi a guardarla. È splendida.

Ha delle lentiggini graziose, un naso piccolo e perfetto, lineamenti delicati e raffinati, e un viso magnifico e luminoso anche dopo un viaggio d'andata in aereo. E io non posso privare alla mia sorellina adorata di avere ciò che vuole dalla vita. Non dopo tutto quello che ha passato e ha dovuto sopportare per anni.

"Perché s-stai ridendo?"

Ha una vocina così dolce e tremante che mi riempie il petto di un calore confortante.

"Scusami, Gwyn. Ho avuto una serata pesante."

Lei non capisce. Ha ancora le mani che le tremano – cerco di autoconvincermi che non sia per ciò che avrà appena finito di fare –, ma mi permette di passare ed entrare nella sua stanza. Si mantiene ancora la coperta che le fascia le forme del corpo, come se avesse paura che le cadesse da un momento all'altro. Devo ricordarmi di lasciarle le chiavi per il secondo bagno, perché non voglio che giri per casa con il timore di essere beccata da qualcuno. Qui deve sentirsi libera di fare ciò che vuole.

"Sei stato a cena con i tuoi amici?" chiede, ancora in affanno.

"Già."

Nota il malumore nel mio tono. "E...?"

Prova a farmi distrare, ma non sa ancora che è proprio l'argomento da cui vorrei allontanarmi. "E mi hanno fatto molte domande su di te."

Lei sgrana gli occhi. Come se ci fosse qualcosa di collegato fra ciò che stava facendo e ciò che le ho appena detto. "...Cioè?"

"Domande, Gwyn. Domande su chi sei, da dove vieni, cosa fai, eccetera eccetera. Neanche fosse stato il governo americano a mandarti in libertà vigilata da me."

"Ehi, l'unico crimine che ho commesso è quello di essere stata beccata da mio fratello mentre..." si porta una mano sulla faccia, e arrossisce tantissimo. "Mio Dio, mi dispiace, non sapevo..."

"Va tutto bene, Gwyn." Non riesco a trattenere il riso. "È normale masturbarsi. Non puoi scandalizzarti della normalità."

O forse sì, penso. Dopotutto, ciò che per noi è normale, per lei potrebbe essere ancora un peso, dannazione. Avrei dovuto essere meno duro davanti alla porta. Ma non sono ancora pronto a sapere che c'è un uomo con cui si concede a letto.

"Ovvio, sì. Emh..." si porta una ciocca dietro un orecchio. "Lo so. Ma avrei preferito..."

"Dirmelo? Gwyn... tranquilla." Rido ancora, e spero capisca che è ridicolo. Non mi deve spiegazioni.

"D'accordo." sussurra, con un sospiro di sollievo. "E cosa chiedevano di me?"

Non sfuggirò mai a questo argomento, eh? Bene. Tanto vale affrontarlo. Veloce e indolore.

"Sono curiosi. Ti hanno vista per la prima volta ed è una reazione ahimè lecita. Non sapevano che io avessi una sorella. Ares, tra l'altro, non ti ha ancora visto di persona."

Ignora totalmente le mie constatazioni per chiedermi, senza il minimo accenno di esitazione: "Arthur? Arthur ha chiesto di me?"

Una lastra di ghiaccio sarebbe comunque meno rigida della mia schiena in questo preciso istante.

"Perché mi chiedi di lui?"

Lei cerca di mantenere un contegno visivo. Ma lo noto dalle sue guance più rosse e dal modo in cui si tortura le punte dei capelli che la mia domanda la mette in imbarazzo.

"E soprattutto, come sai il suo nome?"

"Ti dimentichi che, mentre voi parlavate di sport nel salone di casa, disturbavate la mia concentrazione nello scegliere la giusta cottura del mio spuntino giornaliero. L'ho sentito di sfuggita. Difficile non conoscere il nome di un capitano di una squadra di hockey."

Mi viene da sorridere. "D'accordo. Ma non hai risposto all'altra mia domanda."

So di averla colta in flagrante, perché fa di nuovo il gesto della ciocca dietro un orecchio e prova ad allontanarsi da me per evitarmi di guardarla in faccia. "Curiosità."

"Curiosità?"

Annuisce. Non ha neanche il coraggio di rispondere, cazzo. È più di una curiosità. Non sono nato ieri.

Ma faccio finta di non aver intuito nulla, e sospiro prima di dirle: "Io sono nella stanza accanto alla tua. Devo ripassare per domani. La mia prima lezione è di strumentistica, quest'anno. Tu, a tal proposito? Domani hai bisogno di un passaggio?"

"No." Si schiarisce la voce. Era distratta. "Ci vado da sola."

"Okay. Va bene."

Bene, Paul. Dall'imbarazzo con i tuoi amici a quello con tua sorella. Che amico e fratello esemplare.

Ma non mi scoraggio. Mi avvicino a lei, e appurare che nemmeno se ne accorge perché fissa un punto indefinito della stanza... mi condanna a essere turbato per tutta la serata.

Ma le schiocco un bacio sulla nuca e le avvolgo il girovita sottile in un abbraccio. Subito dopo, le rido nei capelli e le sussurro: "Ti raccomando, non interrompere le tue abitudini quotidiane."

Sa che la sto prendendo in giro. Perché il modo in cui si è imbarazzata per quell'interruzione mi fa ridere ancora di cuore. Mi allontano giusto in tempo per evitare che mi spinga lei, sebbene il suo tocco è quello di una piuma. Ha sempre avuto una leggerezza innata, così in contrasto con il vulcano di energie che è con tutti.

Poi però mi lancia un cuscino appoggiato ai bordi del letto, e io sono costretto a fuggire verso l'entrata ridacchiando. Ridacchia di cuore anche lei con la sua voce soave, e capisco che si sta abituando all'idea che, fino a quando sarà in questa casa, potrà fare tutto ciò che vuole. Non ha bisogno di chiedermi di andare in bagno, tantomeno di rimediare a una necessità.

"Gwyn?"

Richiamo la sua attenzione, dopo che si era di nuovo distratta nei suoi pensieri. I suoi occhioni mi scrutano ancora, incuriositi e innocenti. "Mh?"

Le sorrido. Comprende che un sorriso dolce come quello che le sto dando, difficilmente lo vedrà in vita sua.

"Buona fortuna per domani a scuola. Vedrai, la Toronto Music Academy ti piacerà. Diventerà la tua nuova casa. Il tuo rifugio nel mondo se condivisa con le persone giuste."

Mi sorride di rimando, con veli di gratitudine fra le labbra.

Ed è abbastanza.

È abbastanza per chiudere la porta della sua stanza e dare una piega diversa alla mia serata.

Arthur e Ares sapranno anche essere insopportabili quando si tratta di donne, vero. Ma io ne conosco una che ne vale cento.

E il suo nome è Gwynevere Hills.

E con questa certezza nel petto, mi allontano e mi inserisco delle cuffie bluetooth nelle orecchie. Sperando che gli esercizi di basso che avrei dovuto fare quest'estate possano scriversi da soli ed evitarmi i rimproveri di Mr. Garson nella prima lezione del nuovo anno accademico.

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