III. Francisca.

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Soundtrack – The Heart Wants What It Wants, Selena Gomez.

🌻

Passato.                                

Sia benedetto Maurice Levy.

Il giorno in cui ha inventato il primo rossetto in un contenitore metallico, avrà pensato: ecco il salvavita di Francisca Ortega.

È il mio accessorio preferito. E versione glitter mi regala l'effetto che più amo sulle mie labbra.

Mi sto specchiando e sistemando da circa mezz'ora nel parcheggio di casa mia, e non mi sono mai sentita più stupida.

Non è una novità che io voglia rendermi presentabile in qualunque occasione. Soprattutto con i miei genitori. Il motivo? Be', da dove iniziamo? Dal fatto che non credano nelle mie capacità? Da mia madre che sminuisce ogni mio progresso e non prende mai le mie difese davanti a mio padre? Soltanto perché ha rischiato la vita per mettermi al mondo?

Un papiro egiziano non basterebbe a quantificare ciò che ho da dire sulle due persone che mi hanno dato la vita. Ma mi costringo a fare un bel respiro e focalizzarmi sulla matita labbra che sta delineando il mio rossetto fucsia. Non è salutare che io rimugini già ora su come avverrà la nostra ennesima conversazione a vuoto sul mio lavoro. Ma d'altronde, l'avevo detto. I miei pensieri intrusivi sono il mio peggior nemico.

Dalla radio parte Who Says di Selena Gomez. E sorridere è una mia certezza.

È la mia canzone preferita in assoluto. Maledetto Paul e i suoi insulti gratuiti sulla mia beniamina. Potrei seriamente prendere in considerazione l'idea di non farmi più spogliare.

Ma tutte le volte che penso alle sue carezze, ai suoi baci, alla delicatezza con cui mi tocca e alla velocità con cui il suo profumo di agrumi e vaniglia mi inonda la radici... perdo ogni buon proposito di resistenza.

Maledetto di un Hills. Tre anni fa dovevo farmi gli affari miei anziché innamorarmi di te.

You'd like to change about yourself
But when it comes to me
I wouldn't want to be anybody else.

Questa canzone è un colpo al cuore tutte le volte che l'ascolto. Rispecchia tutte le mie fragilità.

Mi ricorda chi sono. Le mie insicurezze. E il fatto che io voglia mentire a me stessa più volte di quanto io possa ricordare.

Mi trucco perché mi piace, perché è il mio lavoro e la mia passione. Ma mi trucco ancor di più...

Perché mi sento bella.
E perché senza, non mi sentirei abbastanza.

Senza un eye-liner, un lucidalabbra, un rossetto, un ombretto, un mascara, un fondotinta, una cipria... non sarei niente. Non sarei la Francisca Ortega che si è costruita una corazza per scappare dai giudizi del mondo.

E lo so. Ho una percezione sbagliata di me. Dovrei avere più sicurezza, mi dicevano i miei insegnanti del liceo. Devo lasciarmi alle spalle i trascorsi con mio padre e non giudicarmi così crudele, mi diceva la psicologa. Devo essere Francisca. Semplicemente Francisca. Ma il punto focale è che non ci riesco.

Non riesco a immaginare una versione di me diversa da quella che sono oggi. Non riesco a presentarmi agli occhi di un ragazzo senza un velo di trucco addosso. E tutte le volte che esco con Paul, per esempio, ho il costante impulso di afferrare il mio specchietto nella borsa e controllare che sia tutto a posto.

Lui mi guarda con degli occhi da farmi contorcere lo stomaco, e una volta che mi ha baciata forte su una guancia e si è sporcato con il mio fondotinta, mi ha detto che mi avrebbe divorata con o senza quel sapore metallico, perché ero già così bella da farlo stare male.

Quelle parole mi sono rimaste impresse per giorni. O forse, considerando che le ho appena nominate... per sempre.

I'm no beauty queen
I'm just beautiful me.

Già, mia cara Selena. Fosse così facile. Tu sì che sei una regina di bellezza. Se avessi un briciolo della tua sicurezza, avrei risolto metà dei miei problemi.

E invece sono chiusa in un'auto grande come una scatola di sardine, comprata e pagata con i miei soli soldi guadagnati dai corsi estivi di make-up di due estati fa. Non ho alcuna intenzione di chiedere soldi ai miei, perché chiederne in prestito a un imprenditore equivale a condannarti. Te li rinfaccerà a vita, anche quando avrai trovato il modo di restituirli. E questo è mio padre. E i rapporti con lui già non sono di per sé idilliaci.

Who says you're not perfect
Who says you're not worth it
Who says you're the only one that's hurting
Trust me
That's the price of beauty
Who says you're not pretty
Who says you're not beautiful
Who says.

La vibrazione del telefono mi distrae dal canticchiare la canzone. Per lui ho una suoneria personalizzata. E funziona fin troppo, dato che il mio stomaco ha fatto le capriole alla sola idea che mi abbia scritto. Sblocco lo schermo e mi prometto di respirare.

Mi manchi già.

Missione fallita.

Dopo l'esperienza in macchina, ci siamo visti il giorno dopo, cioè oggi. Ho appurato una gravità a cui devo rimediare, perché non esiste che la mia vita graviti attorno a un uomo solo perché il mio mondo sta crollando a pezzi come un fondotinta di Chanel che si schianta a terra. Mio Dio. Potrei morire per una cosa del genere. Non di Chanel, per favore.

Ci siamo salutati mezz'ora fa.

Non passano neanche due secondi dal suo visualizzato e dal suo sta scrivendo. Può significare una sola cosa: ha la chat aperta. E io ormai vedo ogni segnale come un pericolo per il mio cuore indolenzito.

Lo so. Perciò mi manchi.

La necessità di ossigeno si fa spazio nel mio corpo. Ho le guance accaldate, e non posso toccarmele perché rovinerebbe tutto il lavoro. Quando ci siamo visti per un pranzo insieme in centro, ho dovuto pregarlo di non lasciarmi baci sulle guance. Se ci è rimasto male, non l'ha dato a vedere e si è limitato a una risatina, per poi stringermi una mano sul tavolo per tutto il tempo della consumazione dei pasti.

Decido di non rispondere subito. Gli uomini si fanno attendere, no? Insomma, guardate Selena: ha una sfortuna da scrivere la storia. Ma la verità è che nessuno ti merita, mia amata musa. Gli uomini non sono capaci di...

Vibra ancora. Quella suoneria, così dolce e maligna al tempo stesso, ritorna. E sempre perché il mio abbonamento al club RSS deve avere una validità, visualizzo e leggo veloce.

E mi devi un bacio.

Faccio un lungo sospiro e chiudo gli occhi. Non capisco cos'abbia fatto per meritarmi quest'uomo. Rispetta i miei tempi, mi contempla come se non ci fosse null'altro al mondo, e il mio limite risiede proprio in questo. Che al mondo c'è ben altro che merita di essere ammirato da quegli occhi azzurri come il cielo sereno di una mattina di mezza estate.

Tipo la sua ex. Che è maledettamente perfetta. E lo ricordo ogni anno che la vedo in accademia.

Non riesco a non paragonarmi a lei. Non riesco a evitare i pensieri turbolenti che lui... sia stato con lei. In quel senso. Che abbia potuto innamorarsi di quella che è sostanzialmente la mia bulla. Ma come biasimarlo? Se si ignora il caratteraccio che mostra ai miei occhi, Cordelia Copperfield sembra un'attrice uscita dagli anni venti dello scorso secolo.

Un tripudio di charme, sensualità e voce suadente che ha fatto capitolare lui e l'amico di squadra, Chris Dubois.

Il francese si ostina a negarlo, ma in Academy lo sanno tutti che ha perso la testa per lei e non vuole rovinare il rapporto con l'amico. Se avessi metà dei valori che ha Christian, a quest'ora sarei la donna più felice del mondo.

E invece mi ritrovo a fare pensieri ingiusti e crudeli sulla sorella di Ares Copperfield, ripetendomi in testa che non merito i suoi trattamenti. E non merito il peggioramento del nostro rapporto da quando ha iniziato a sospettare che io e Paul ci frequentassimo.

Il mio orgoglio è troppo grande per ignorare i miei pensieri. Chiudo la chat con Paul e vado a cercare il profilo di Cordelia. È pieno di foto a tema jazz, musica antica, vestiti a pois, scatti in pose ammiccanti, in intimo, e la mia attenzione si sofferma sul servizio fotografico che ha fatto lo scorso inverno con un'agenzia di moda di Toronto. È senza veli, uno sguardo e un fisico che catturerebbero l'attenzione di chiunque, e si copre il necessario che serve a non essere bannati dalla piattaforma di Instagram. La foto in cui è distesa su un lettino, con la schiena inarcata, uno sfondo giallo scuro, completamente nuda e con le dita sui capezzoli, cattura la mia attenzione. E la mia vista si appanna.

E non c'è nulla da fare per il mio fegato che si accartoccia. Perché le dita mi tremano quando clicco il commento con il cuore rosso che gli ha lasciato Paul. E mi tremano altrettanto veloci quando vedo che, tutte queste foto, hanno un'unica cosa in comune – oltre al colore giallognolo del feed: i likes di Paul.

E non ci riesco. Non riesco a comportarmi come se nulla fosse accaduto nella mia testa. Ho immaginato il modo in cui lui la stringeva quando erano fidanzati. La stessa delicatezza che sta riservando a me. A come lei gli abbia riempito le orecchie dei suoi gemiti, mentre lui le sussurrava che l'amava, e spingeva, e la rendeva sua, e spingeva ancora a fondo e...

Scuoto la testa nervosamente. Faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi. Non devo piangere. Non devo fare in modo che le emozioni prendano il sopravvento.

A breve avrò una conversazione con i miei genitori, e sono già abbastanza provata alla sola idea di come potrebbe sfociare. Non permetterò all'immaginazione di portarmi via l'ultimo briciolo di serenità della giornata.

Uscita dalla macchina, mi specchio nel riflesso dell'auto. Ho un mini vestito rosa con fantasie floreali, le calze bianche e molto spesse, stivali alti color cammello, un giubbotto giallo pastello e delle cuffie di lana bianca a coprirmi le orecchie. Il trucco è impeccabile, come sempre. È l'unica certezza della mia esistenza, e resterà una costante.

Mi dimentico di spegnere la radio quando chiudo lo sportello e mi avvio verso il portone della reggia. Sono troppo in ansia per poter badare anche alla mia sbadataggine, e sì, ho appena chiamato reggia la villa in cui vivo. Maria Antonietta di Francia avrebbe invidiato le colonne e le rifiniture dorate e bianche, gli interni delle stanza che ricordano lo stile barocco, il tetto dalle tegole rosso scarlatto e le finestre giganti e maestose dei tre piani, nonché il giardino dedicato alla lettura e al giardinaggio di mia madre. Ma probabilmente sto solo delirando per occupare il tempo che mi separa dagli scalini alla porta. E quando tiro il picchiotto bianco con lo stemma di un giglio, la mia salivazione si azzera.

Ad aprirmi è la nostra cuoca di fiducia, Soledad. Una donna del Sud America che si occupa di cucina e mansioni nella nostra villa dalla scorsa primavera.

"Buenos dias, Soledad."

"Buenos dias, Francisca. I tuoi genitori sono in soggiorno che ti attendono."

Un nodo mi stringe la gola. "Gracias. Sono contenta di rivederti."

Lei mi fa un largo sorriso che mi riscalda il petto. Le mie riflessioni su Paul e Cordelia che fanno l'amore bombardano ancora il mio cervello, ma una codina bianca e un miagolio insistente me le fanno ignorare per qualche istante.

"Bea!" mi abbasso sulle ginocchia e lascio che la mia gatta mi salti addosso. Il suo pelo bianco mi finisce in bocca mentre cerca di farmi le fusa, e ridacchio per la gioia di rivederla. Nei giorni precedenti mi ha fatto preoccupare con la visita dal veterinario a causa di un problema alimentare, ma ora è sana e felice quanto me di essere tra le mie braccia.

Il suo nome è un omaggio a Beatrice Portinari, la musa ispiratrice di Dante Alighieri.

La prima volta che ho letto la Divina Commedia mi sono chiesta come facciano a esistere al mondo autori così talentuosi e complessi al tempo stesso. Ancora oggi, molti suoi scritti restano indecifrabili ai miei occhi, ma sono tremendamente affascinata dalle sue storie e dai suoi personaggi, e ho un debole per i Canti dell'Inferno.

La storia di Paolo e Francesca nel Canto V mi ha totalmente rubato e straziato il cuore. Credo che nella letteratura mondiale non esista una frase più bella e profonda di "la bocca mi baciò tutto tremante".

I pensieri su Dante e le sue opere mi aiutano a fare quei passi impossibili dal corridoio lungo e stretto al soggiorno di casa. Le mie gambe si sono irrigidite nel preciso istante in cui ho messo piede in casa, e la voce di mia mamma che si interrompe nel vedermi dà il colpo di grazia. Sta giudicando la gonna del mio mini vestito. Con un suo armadio pieno di questi indumenti. Ma cerco di non pensarci, e il mio essere autodistruttiva fa concentrare la mia attenzione sull'uomo in sartoria italiana, pantaloni di pelle e mocassini, che sta in piedi davanti al fuoco del camino.

"Ciao, papà."

Ho avuto la certezza della sua presenza dal primo istante in cui ho annusato l'alone di colonia lasciato in corridoio. E i suoi occhi nocciola identici ai miei mi ricordano che la vita è bastarda, perché di mia madre ho preso solo il colore di capelli. Per il resto, sono la fotocopia versione femminile dell'imprenditore che ha fatto perdere la testa a quella donna. O meglio, all'arrampicatrice sociale che mi ha messo al mondo e di cui non ho neanche il numero di cellulare salvato in rubrica.

"Ciao, Francisca. È un piacere rivederti."

La freddezza con cui ci rivolgiamo l'un l'altro tutte le volte che siamo in una stanza è il sunto del nostro rapporto. Lo vedo una volta ogni tre mesi a causa dei suoi viaggi all'estero, ma nell'ultimo periodo è stato a casa più spesso. E ciò mi ha destato dei sospetti. I suoi affari non vanno più come prima? Mia madre l'ha tradito? Vuole trascorrere più tempo con la sua famiglia? Tutto può essere. A eccezione della terza opzione.

Ecco perché fingo un sorriso e non mi preoccupo di rispondere al suo saluto. Soprattutto quando noto la borsa di Chanel fra le mani di mia mamma. Nuova di zecca. Direttamente da un atelier di Parigi. La mia marca preferita, di cui anche i sassi davanti casa ne sono a conoscenza.

Evidentemente, nella sua permanenza di un mese in Francia gli saranno mancate le corna di mia madre. E nel tempo che trascorreva tra un pompino e l'altro fatto dalle sue segretarie, si dimenticava di avere una figlia.

Non pretendo nulla da quest'uomo. Tantomeno è di mio interesse ciò che fa mia madre della sua esistenza. Un uomo così merita di essere scalfito nel suo orgoglio, e una donna che mi fa pesare il giorno in cui sono venuta al mondo merita di vivere nelle menzogne della sua vita perfetta. Ma tutte le volte che siamo in tre in una stanza, prego le divinità celesti di farmi stare zitta. E non raccontare cosa ho visto a cinque anni nell'ufficio di lavoro di mio padre, mentre andavo a consegnargli tutta contenta ed entusiasta un disegno di acquerelli fatto a scuola. Quella segretaria a cui lui stava sfondando il culo sul vetro della scrivania non si è fatta più vedere. E scommetto ogni singolo dollaro degli Stati Uniti d'America che l'ha profumatamente pagata per andarsene via dalle nostre vite.

"Come è andata la tua giornata, raggio di sole? Raccontaci un po'."

Peggio del distacco di mio padre, c'è il finto buonismo di mia madre. Almeno lui è sempre stato coerente negli anni a vedermi come uno scarto vivente. Il massimo che la moglie è riuscito a dargli. Ha sempre voluto il figlio maschio per ereditare l'impero di famiglia, e il modo in cui quel lecchino di mio cugino si comporta con lui spiega ogni supposizione.

L'ho capito già a sei anni, quando a Natale mi era stata regalata una bambola di seconda mano, mentre a mio cugino un telefono di ultima generazione. Piccoli dettagli, ma che ti fanno crescere in fretta all'interno di un mondo schiavo del Dio denaro.

Ora che ci penso, forse mio padre spera che una delle sgualdrine che si porta a letto possa dargli prima o poi la fortuna che non ha mai avuto con mia madre. E una parte malata di me ci spera, perché questo significherebbe lasciare in pace i miei sogni. Farmi respirare. Darmi la possibilità di inseguire ciò che amo, e non mettermi i bastoni tra le ruote tutte le volte che voglio portare a termine un progetto.

"Veniamo al dunque e non giriamoci intorno, papà. Perché sei qui? A cosa devo la tua visita?"

Mia mamma sussulta. Che novità. Si comporta sempre come se scendesse dal pero e non sapesse che odio l'uomo che si è sposata. E il sorrisino confidente e sicuro di mio padre è un altro aspetto della mia routine in famiglia.

"È così che mi accoglie la mia unica bambina dopo un lungo viaggio dalla Francia al Canada?" la mielosità del suo tono caldo non mi inganna.

"Un viaggio proficuo, vero? Quella borsa di Chanel deve esserti costata una vera fortuna."

"Francisca..."

"Non importa, madre. È solo la mia marca preferita in assoluto." E non avrò la possibilità di averne una di egual prezzo neanche in un'altra mia vita parallela se pagata con i miei soldi, vorrei aggiungere. Ma è molto più soddisfacente vedere la mortificazione sul volto di questa stronza, che continua a giudicare il mio vestiario a sua detta inopportuno per una ragazza della mia età.

Lei, che ha succhiato le palle di mio padre nello stanzino di un negozio d'abbigliamento, quando era ancora una commessa di professione e dopo avergli dato lo scontrino di una spesa di più di un milione di dollari dall'American Express di lui. Ah, l'amore a prima vista.

Deve essere straziante trascorrere le giornate tra una manicure e un trattamento estetico ripensando ai tempi nostalgici in cui piegava abiti che non si sarebbe mai potuta permettere.

"Tesoro, non sarà un po' troppo corto quel vestitino? Fuori fa freddo, e poi..."

Alzo una mano. Non voglio sentirla. È sempre la stessa storia trita e ritrita. E la mia sopportazione ha un limite. Sono qui perché mio padre vuole aggiornarmi su qualcosa, e ho intenzione di andarmene nell'esatto momento in cui avremo concluso questa spiacevole visita.

"Sei qui per affari, vero?" domando a mio padre.

"Cosa te lo fa pensare?"

"Oh, giusto. Includo il comprare le attenzioni di mia madre. Poi?"

"Francisca." Ecco il tono accusatorio della donna che, neanche tre secondi fa, mi dava velatamente della poco di buono con dello zucchero al posto della voce.

Mio padre si schiarisce la voce, e lo riconosco quando mi dice: "Hai ragione. Forse è meglio che veniamo al nocciolo della questione."

"Però. Ne abbiamo impiegati di anni per andare d'accordo su qualcosa..." replico sarcastica, e nessuno fa caso alla durezza.

È un abitudine. Così come nel vedere mia madre scacciare Bea con i piedi tutte le volte che vuole farle le fusa. Quella gatta non ha ancora capito che fra esseri umani non funziona come nel suo mondo: non siamo tutti buoni. Ci sono stronzi e sopravvissuti. Non puoi fidarti di nessuno.

"Come va la tua vita sentimentale, Francisca?"

La mia vita sentimentale? Dove vuole arrivare a colpirmi? Vorrei reagire, ma il mio corpo non risponde. E lui potrebbe intuirlo dal modo in cui ignoro anche Bea che si sta raggomitolando intorno ai miei piedi.

"C'è per caso qualche giocatore di hockey che ti corteggia?"

Non riesco a muovere un solo arto. Tutto avrei immaginato fuorché mio padre che, per la prima volta in tutta la sua esistenza, prende iniziativa nel conoscere meglio sua figlia. Due sono le cose: o ha uno scopo o vuole redimere più di quarant'anni di vissuto. Punto la prima.

"Non fingere con me. Sono a conoscenza di alcuni spiacevoli dettagli. E mentire non farebbe altro che aggravare la situazione." precisa.

"Oh, devo aver proprio commesso un crimine per usare termini come spiacevoli e aggravare."

"Tesoro, non mi sembra il caso di..."

"Non chiamarmi così!"

Erano anni. Anni che non mi rivoltavo in questo modo contro mia madre. Anche Bea ha miagolato e si è ritirata nella stanza dei giochi accanto al salone. Ho sopportato di tutto. Pregiudizi, malelingue, le occhiate delle sue amiche tutte le volte che rientravo a casa con qualche macchia di trucco sugli abiti, i vestiti nascosti da lei e mai trovati incolpando la mia 'distrazione', gli insulti ai miei sogni e alla mia persona. Arrivi a un punto di non ritorno quando non hai nulla da perdere. Perché di tutta questa agiatezza ne farei volentieri a meno se comportasse riavere indietro la mia infanzia e la mia adolescenza. E ancor peggio, il mio presente fatto di dubbi e incertezze.

Sia mio padre che mia madre accettano il mio tono. Ma qualcosa mi dice che il male deve ancora uscire fuori.

"Ieri sera ho avuto un colloquio lavorativo a cena con la famiglia Parker. Li ricordi? Venivano ai campeggi estivi con la nostra famiglia quando eri una bambina. Suo figlio, Blade Parker, gioca a golf. Frequenta la tua stessa accademia. E devo dire che eri un vero portento quando vi sfidavate sui campi verdi dell'hotel in cui–"

"Conosco Blade. Siamo amici." lo interrompo.

Un sorriso gli illumina il volto. "Oh. Lo so. Mi ha parlato molto di te."

Cazzate. Sì, ci parliamo, ma non tale da avere discorsi filosoficamente interessanti. Quel tipo di cose che tanto fanno gola agli interessi di mio padre.

"E grazie a lui, quasi per puro caso, sono venuto a conoscenza di una situazione alquanto interessante."

Deglutisco piano per non farmi beccare. Una morsa mi sta consumando gli organi interni. Decido di non rispondere, perché non mi darebbe comunque retta, e un narcisista come lui vuole sentire soltanto consensi.

"Mia figlia che frequenta il letto di un giocatore di hockey. Paul Hills. Giusto? L'attaccante dei Wilder alla Toronto Music Academy. Com'è che lo chiamano? Oh, giusto. L'Artista."

La pronuncia del suo nome e del suo soprannome mi congelano il sangue.

Non ho mai visto così tanto astio e collera in un solo uomo, solo che da parte sua è ancora più raccapricciante poiché riesce a nasconderlo perfettamente. Non so a che gioco stia giocando e dove vuole arrivare per distruggermi, ma è a un buon punto di partenza, perché le mie gambe potrebbero crollare da un momento all'altro.

"Voglio essere il più chiaro e sincero possibile con te." mi dice, poi inizia a camminare nel salotto con l'eleganza e la classe che lo contraddistinguono. Ed è nella tranquillità che mi ha sempre intimorito. Perché è da essa che sono scaturiti già molti litigi passati.

"Ti stai scopando quell'orfano, Francisca?"

Sussulto come mai prima d'ora.
Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva.

"Paul non è un orfano."

"Ah no?" fa del sarcasmo. "Come mai tutta questa conoscenza?"

La testa sta iniziando a girarmi. "P-perché i suoi genitori sono vivi. Solo che..."

"L'hanno abbandonato. E ha vissuto la sua infanzia con i nonni, per poi trasferirsi a Toronto ed ereditare la loro fortuna dalla maggiore età. Ho dimenticato qualcosa?"

Come fa a sapere tutte queste informazioni? Gli è davvero bastato una cena con la famiglia Parker? No, impossibile. Paul non avrebbe mai detto tutte quelle informazioni a Blade. Per quanto possano essere legati, è Arthur il suo braccio destro. E Arthur si sparerebbe in gola se servisse a nascondere i segreti del suo migliore amico.

Deve esserne venuto a conoscenza tramite terze parti, ma il controllare la mia vita, chi frequento e i miei spostamenti, mi provoca una nausea disgustosa. Un qualunque padre farebbe questo per i propri figli irresponsabili, direbbero gli altri. Già. Peccato che il mio non è un qualunque padre, e io non sono irresponsabile. E tutto ciò che vuole sapere è ai fini di un progetto che ingloba più motivanti.

"Non frequenterai quell'uomo, Francisca. Né ora, né mai."

Mi sento come se una quantità indefinibile di pungiglioni mi avesse perforato la schiena, lasciandola sanguinare a terra in un fogliame di morte e terrore.

Come osa... dirmi cosa fare? Come può tornare in questa casa, dopo giorni, e non accontentarsi del male che mi ha provocato negli anni?

Non credo di avere il controllo o l'emotività ferrea per sostenere questa conversazione. Do un'occhiata a mia madre e noto che anche lei è terrorizzata. Sono alquanto sicura che concordi con il marito. Non ha abbastanza spina dorsale per proteggere l'unica figlia che ha. Non se significa perdere i suoi diritti su mio padre.

Devo farmi forza e controbattere. Perché Paul Hills è l'unica cosa bella che mio padre non può ancora controllare. E per un uomo abituato ad avere il potere, deve essere frustrante farsi sfuggire l'occasione dell'ennesima conquista.

"No."

No è tutto ciò che riesco a vociferare. La mia gola è secca. Gli occhi tradiscono le mie intenzioni. E vale lo stesso per i suoi.

"No?"

Perché le sue parole sono sempre più persuasive delle mie? Anche quando affermiamo sostanzialmente lo stesso, lui risulta più risoluto. Sicuro di sé. Ma non è una novità che io abbia preso la debolezza di mia madre, sebbene io sia fiera e convinta di volermi costruire una carriera con le mie sole forze.

"Cos'è che non ti convince della mia proposta, Francisca?"

Altra dolcezza che non merito. Perché è velenosa. E con quel veleno, io non voglio più rovinarmi.

"Tutto."

Il sorrisetto che ne segue non mi piace. Sta davvero ignorando la mia volontà. Non è affatto uno sconvolgimento, ma oggi pesa più del dovuto se prendiamo in considerazione il soggetto della nostra discussione.

Non deve toccarmi Paul.

Non lui.

È tutto ciò che resta della mia libertà.

"Avrei voluto risolvere la situazione con le buone, ma è evidente che ciò non basti."

"Cos'è che non ti piace di lui? Mh? Il conto in banca? Solo perché non raggiunge gli zeri che hai tu allora è una feccia da debellare?"

"Modera il linguaggio, Francisca."

"Oh, adesso ti avvali anche della facoltà di dirmi cosa fare? Davvero? Pensi di potermi educare per tutto il tempo che sei stato fuori casa?"

Lui fa un profondo respiro. È evidente che non voglia arrivare a conclusioni affrettate e deleterie. Ma io sono pronta a tutto.

L'inferno l'ho già visto. Non temo più nulla.

"La risposta alle tue domande è affermativa. Non mi piace che lui approfitti della tua posizione agiata."

"È questo che pensi? Che lui abbia intenzione di prosciugarti l'eredità? Perché è di te che si tratta, giusto? Di te e dei tuoi sporchi e sudici lavori d'affari?"

"Francisca!"

"No, Heather. Lascia che si sfoghi. È il suo unico modo per sentirsi qualcuno in questo mondo."

Le parole feriscono. Sono tagli profondi e letali che ti segnano a vita.

E lui sta facendo quello per cui ha sempre avuto un talento innato: distruggermi. Ci riusciva da alcolizzato, e ci riesce da sobrio. Non è cambiato di una virgola.

Ma dentro di me sto covando un mostro che vorrebbe uscire e procurare danni. Solo che non sono disposta a far crollare quel palazzo di certezze che mi sono costruita intorno alla gabbia toracica. Lui, però, ci sta scavando con gagliardia, poiché vuole raggiungere il punto di congiunzione tra la resistenza e il dolore.

"E tu, invece? Ti senti qualcuno con il lavoro che fai?"

Lui assottiglia gli occhi e sorride. È a pochi soffi dal mio viso. "Stai mettendo in discussione l'attività imprenditoriale, Francisca? Sul serio?"

"Se per attività imprenditoriale intendi rubare finanziamenti e contratti illegali a lavoratori onesti, allora sì, lo metto in discussione."

"Francisca Ortega!" mia madre urla ancora il mio nome, ma la ignoriamo entrambi.

E mio padre, con un passo in più verso di me, mi sorride ancora con la stessa strafottenza di prima. "Heather, ti ho detto di lasciarla sfogare."

"Ti sta offendendo, Richard, davvero vuoi–"

Ancora più vicino. E il mio arretrare, che anticipa il silenzio, la dice lunga sul pensiero che sta balenando nella testa di mio padre. Ma non ho paura. Non più. Lo ripeterò fino alla fine dei miei giorni.

"Non sei degna di essere un Ortega. Non lo sei mai stata, e non potrai mai fare nulla per cambiarlo."

Un sospiro atroce e rabbioso che spezza le catene della mia forza interiore. Perché ora vorrei solo piangere e crollare, ma non lo farò. Non davanti a lui. Ingoio ciò che resta del mio orgoglio, ma mi trema la gola.

"Bene. Era proprio il mio obiettivo, padre."

Ed è cosciente di quanta rabbia si nasconde nel mio, di sospiro. Mi dà le spalle e inizia a passeggiare nella stanza, come se non mi avesse insultata fino a qualche secondo prima. Dal modo in cui si blocca e mi fissa, capisco che sarà una lunga serata. E dal sorriso che mi dona, ho la conferma che mi serviva.

"La cena con i Parker è stata illuminante. Sono venuti fuori degli scenari utili ai fini delle nostre operazioni commerciali oltreoceano. Ci sono delle società sportive europee nelle mani di Mr. Parker da cui mi piacerebbe ricavarne qualcosa. È disposto a una collaborazione internazionale con le intestazioni che hanno sede a Londra, Manchester ed Edimburgo, e sono disposto ad accettare. Ma ci sono dei ma. E voglio che tu mi ascolti bene, Francisca. Fino all'ultima parola."

Una sensazione di disagio si stabilisce sul fondo della mia schiena. "Non prenderò la tua eredità, padre. Sono stata chiara. Più volte."

"Certo. Non ne dubito. Ti sei già espressa abbastanza su quella passione ridicola fatta di pennelli e polvere."

Pennelli e polvere. Ha talento nel minimizzare e distruggere gli obiettivi di un essere umano. È l'unico che potrei riconoscergli. Anche a procurare mal di stomaco, aggiungo.

"Ciò che voglio da te non è un'eredità commerciale."

"E allora cosa?"

Un silenzio pervade la stanza.

La faccia di mia madre racconta che ne sappia più di me. Sa cosa sta per dire il marito. E non presagisce nulla di buono il modo in cui rompe il contatto con i miei occhi. Mia madre sarà anche un'arrampicatrice sociale priva della minima empatia per una figlia, ma riconosco quando mente o non vuole affrontare in faccia la realtà. E quella realtà sono io, in carne e ossa. In attesa degli sviluppi.

"Un'eredità più proficua."

Sbuffo esasperata, e roteo gli occhi. "Ve l'ho già detto miliardesimi di volte! Non ho alcuna intenzione di lasciare i miei studi, la mia carriera, il mio lavoro e le mie passioni per chiudermi in uno studio puzzolente a firmare carte e ascoltare ore e ore di discorsi eloquenti e altolocati di clienti e collaboratori con la puzza sotto il naso e–"

"Un fidanzamento."

Credo di non aver capito.

Il silenzio più di me.

"Un fidanzamento. Con il loro primogenito. Blade Parker."

Spalanco gli occhi.

E il desiderio di sprofondare sottoterra è più vivo che mai.

No.

Non è possibile.

Non è possibile che stia accadendo a me.

Nella mia casa.

Dalla bocca di chi avrebbe dovuto proteggermi, anziché condannarmi.

Perché è questo che sta facendo. È questo che sta architettando. Il mio futuro. Come se fosse un qualunque contratto lavorativo che gli capita sottomano. La mia persona, e il mio essere, ridotti a semplici preconcetti arcaici come matrimonio e combinato. Non sta parlando di matrimonio. Non sta parlando di anelli al dito e cerimonie pompose. Ma sento la minaccia strisciare sulla mia pelle come serpenti a sonagli.

Quel veleno corposo è tornato. Ed è pronto a farmi ancora più male.

"C-cosa..."

"Devi farlo, Francisca. Per il bene della tua famiglia. E per il bene della donna che sarai."

Credevo di potercela fare. Credevo di resistere alla tentazione di liberarmi. Ma i miei occhi si riempiono di lacrime, e ho bisogno di scacciarle. Ho bisogno di aria, perché in questo momento sto soffocando. E la realtà mi è piombata addosso come proiettili.

"Come..."

Come hai potuto, vorrei dirgli. Ma il respiro mi si spezza in gola, e trattengo a stento un singhiozzo. Indietreggio, poiché di questa famiglia, o per meglio dire di questa presunta famiglia, non voglio saperne più nulla.

Non è in mio dovere sfamarla. Non è mio dovere restare a casa e fare figli. Avrei potuto accettarlo secoli addietro. Ma non oggi, cazzo. Non oggi.

Ed è in questo momento che qualcosa cambia negli occhi di mio padre. Mentre i miei sono immersi nel dolore più totalizzante, con una bocca terrorizzata che fatica a chiudersi, lui ha una tristezza che non gli ho mai visto. Ma non è dovuta a me. Sto iniziando a collegare i punti. E la realtà potrebbe fare ancora più male di quel che sembra.

"A discapito di ciò che credi del mio pensiero su di te, trovo che tu sia una donna intelligente, Francisca. È il motivo per cui insisto nel donarti una vita dignitosa che possa permetterti di non fare la fine di tua madre."

La persona nominata sussulta. Bene. Era ora che provasse anche lei un minimo del dolore che mio padre mi ha inflitto negli anni. Ma sono alquanto sicura che comunque non farebbe nulla per farsi valere.

"E lo vedo dalla tua reazione, e dal modo in cui stai muovendo gli ingranaggi del tuo cervello, che hai intuito ci sia dell'altro." Avanza verso di me, le braccia incrociate dietro la schiena. E a me sembra di vederlo e di conoscerlo per la prima volta, poiché tutto questo ha solo la forma di un incubo, e io vorrei tanto svegliarmi di soprassalto.

"Abbiamo bisogno di questo fidanzamento, Francisca. Perché suo figlio... ecco... lui ne ha bisogno più di chiunque. Suo padre mi ha raccontato degli scenari che... non importa. Lo scoprirai a tempo debito. Potrai farti degli amanti e–"

"Papà..." sono senza fiato. Sono davvero a corto di parole. Mi porto una mano sul petto. "Che stai..."

"Non è importante." Mi raggiunge per afferrarmi le mani, ma io le ritraggo. Lui non si smuove di un centimetro. "Ciò che conta è che dobbiamo ufficializzare questo fidanzamento. Blade Parker deve entrare a far parte della tua vita. E la sua famiglia della nostra famiglia."

"Tuo padre ha bisogno di quelle proprietà, ragazzina insolente. Siamo quasi in bancarotta."

Nessuno di noi due si aspettava l'intervento di mia madre. È shock puro, misto alla lentezza spaventosa con cui mio padre si gira e, probabilmente, la fulmina con lo sguardo.

"Dovevi dirglielo, Richard. Saresti arrivato al dunque prima o poi e –"

Uno schiaffo. Uno schiaffo riempie l'aria.

E io ho dimenticato ufficialmente come si respira.

Il viso di mia madre bolle di rabbia, in contrasto con la sua reazione arrendevole. Posso già intravedere la forma delle cinque dita di mio padre, e la paura mi attanaglia lo stomaco.

Un conto è vedere queste scene da ubriaco – è successo una sola volta, e non ho potuto intervenire in tempo. Un conto è vederle da sobrio. E raggiungere questo livello da lucido non potrebbe presagire nulla di buono.

Io arretro nell'esatto momento in cui lui avverte di nuovo la mia presenza e si gira verso di me. Ma lo sguardo che dona a me non è il disprezzo che ha concesso a mia madre. Lei continua a massaggiarsi la guancia senza dire nulla, e io provo pena per me stessa nel sentire dolore, rabbia, dispiacere e tristezza per una donna che ha fatto violenza psicologica per anni sulla mia persona. Sono peggiore di lei? Provo pena per chi mi ha fatto del male? È un disturbo da debellare? Non lo so, e non riesco a ragionare. La mia unica preoccupazione è l'uomo che ho difronte a me. E il male che potrebbe infliggermi.

"Quella stronza di tua madre ha ragione. Siamo quasi in bancarotta. E io ho bisogno di alleanze politiche e lavorative ferree per ritornare a far respirare questa famiglia che crolla giorno dopo giorno. Il signor Parker ha collegamenti nella finanza, nel campo giuridico e nei piani alti. Potremmo agganciare poteri forti, Francisca. Capisci? Potremmo costruire un impero dal nulla. Ereggendo false promesse e corrompendo a nostra volta. La vita è questa, figlia mia. È sporca, corrotta e deplorevole, e tu ne fai parte quanto chiunque. Non c'è posto per amore, fantasie da bambini e ingenuità fanciullesca. Hai l'età adatta a capire che una donna bella come te deve imparare a compiere i giusti passi e le giuste strategie per imparare a giocare. È come una scacchiera. Chi prima compie la mossa vincente, vince. E io non sono disposto a essere dall'altra parte, no. Non dopo una vita che mi sono fatto il culo per dare un tetto a te e tua madre. È chiaro?" mi punta un dito contro il petto, e io sobbalzo. Oltre a percepire i suoi polpastrelli come coltelli affilati. "Punto all'eccellenza. Punto a un mondo in cui noi possiamo farne da padroni. Gli Ortega sulla cima della piramide di una società imprenditoriale sempre più all'avanguardia con i tempi. Ma invece siamo rimasti indietro, e lo devo anche alla mancanza di una moglie dalle capacità cognitive elevate che spiegano i continui tradimenti, e di una figlia che pensa ancora di poter vivere di trucco e parrucca."

Quindi lo sa. Conosce i trascorsi di mia madre, ma non accenna ai suoi. Che razza di viscido farebbe tutto questo alla sua famiglia? E io sto... davvero provando compassione per la donna che ora è seduta su una poltrona con lo sguardo assente e un'anima svuotata?

"Era necessario?" sospiro, senza forze.

Mio padre resta sorpreso. Tutto si sarebbe aspettato dalle mie lacrime e dalla voce rotta, fuorché questo.

"Era necessario..."

Indico mia madre con un cenno del capo, e noto che lei ha gli occhi lucidi. Li chiude.

In questo potremmo anche specchiarci l'un l'altra, e questo mi fa paura. Non voglio diventare come lei. Non voglio accettare un destino già scritto. Voglio un futuro, un amore, e una carriera. Voglio vivere la mia vita, e fare di quest'uomo e della sua mente perversa un lontano ricordo.

"Ricordi quella volta che eravamo a San Diego per una vacanza estiva?" dopo il suo sussurro, indica la figura di mia madre rannicchiata. "La vedi quella donna lì? Ecco, è stata capace di tradirmi con l'uomo della receptionist dell'hotel. E poche ore prima, con un assistente di volo dell'aereo diretto a destinazione."

"Richard..."

Mia madre fatica a respirare. E non l'ho mai vista così in difficoltà e vulnerabile.

"Oh, e poi c'era quella spiaggia. Il resort in cui siamo stati. Un cameriere. Un fottuto cameriere da quattro soldi con la metà dei suoi anni, che gliel'ha infilato su per il culo mentre tu dormivi in una culla. Nella stanza adiacente."

Trasalisco. E ho la pelle d'oca.

"Richard... ti prego..."

Ho la certezza del dolore di mia madre. Sta piangendo. E mio padre si nutre di quel dolore come linfa vitale. Sono terrorizzata dall'uomo che ho davanti. E più delle volte in cui aveva uno scotch tra le mani.

Credevo che quei giorni fossero lontani. Credevo che avesse smesso di iniettarmi il dolore verbale che riusciva all'epoca.
Ma ora ha il potere. Ora ha il potere che gli ha consumato le ossa. E non c'è più modo per rimediare.

Vorrei che tutto questo non fosse mai accaduto. Vorrei non averlo mai provocato così tanto. E vorrei che Soledad non sia all'ascolto. Ma come faccio a non sapere se lei non sia sua complice? Se non abbia organizzato tutto questo sotto controllo di mio padre? E, arrivati a questo punto, se non sia anche lei un'amante?

Perché lui può controllare tutto. Davvero tutto. E questa mia predisposizione a non piegarmi al suo controllo mi porterà in grossi guai.

"E tu, dall'alto della tua immaturità infantile, prepotenza e maleducazione, vuoi farmi credere che quella donna che ha visto le braghe di tutta la classe elitaria di Toronto meriti il mio rispetto? Mh? Credi che io possa darle qualche merito se non quello di aver messo al mondo una prole? Oh, non è riuscita a fare neanche quello. Perché, se fosse stata in grado di generarmi un erede per la Ortega Society, a quest'ora staresti a girarti i pollici in una squallida agenzia di make-up da padrona assoluta. Sì, Francisca. È con quella donna che sta implorando il mio perdono che dovresti arrabbiarti. Non con l'uomo, il padre, che cerca di darti un cazzo di futuro."

"Richard..." piagnucola lei, più forte.

"È quella puttana che sta tentando di incastrarmi che devi incolpare per i tuoi fallimenti! Lei! E nessun altro!"

Ha alzato la voce.
Il punto di non ritorno è stato raggiunto. E io non sono disposta a uscirne.

I manipolatori sono capaci di trascinarti nel loro vortice di violenza e irrazionalità. Ti fanno credere una realtà astratta e differente, e quando crolli ti sembra di essere inghiottita da un buco nero di fallimento.

Lui è quello che sta facendo. Sta tentando di farmi credere che il problema non sia lui. Non sia lui che ha ingannato una moglie, per quanto mal intenzionata fosse, a una vita di agio e potere. Sta provando, con ogni sua forza, a farmi mollare.

Ma io ho smesso di aspettare i suoi regali di Natale da un bel po'. Ho smesso di accettare i suoi finti complimenti da altrettanto tempo. Era tutto raggruppato ai fini di un progetto superiore incomprensibile per chi lo circonda. O almeno, così crede lui. Perché a me è chiarissimo. E ho una sola risposta da dargli, dopo un silenzio echeggiante fatto solo dei singhiozzi di mia madre e del mio respiro affannato.

"Non le darò la colpa."

Si sente appena. Ma voglio incrementare la mia difesa.

"Non darò la colpa a mia madre per aver scelto di vivere e abbandonare la morte. Non più."

Lui sa bene a cosa mi riferisco con questa metafora implicita. Sa bene che non è nella posizione di parlare di tradimenti. Esistono varie tipologie di tradimenti: il fisico, il verbale, il morale. Il primo puoi passarci e rifarti una nuova vita con qualcuno che ti rispetta; il secondo lo ponderi in base all'intelligenza dell'individuo che hai davanti; ma il terzo... il terzo ti annienta. Perché ti fa credere che i tuoi valori, i tuoi princìpi, il tuo rispetto, non siano niente se non combaciano con i suoi.

E non è così che voglio vivere. Non è con i manipolatori che voglio costruirmi una reputazione.

Ed è con il groppo in gola e le mani che mi tremano che mi volto e cerco di raggiungere l'uscita.

Ma una mano mi afferra.

Una mano mi afferra un polso.

E lo stringe.

Forte.

Brutale.

Ed è subito un dejà-vu.

Quando mi giro di scatto, a occhi sgranati e con i capelli che ondeggiano, temo di fare la stessa fine di mia madre. Temo di viverlo sulla pelle delle mie guance. Ma lui mi sta solo uccidendo con gli occhi e con il dolore della stretta. E sembra bastargli.

Provo a strattonarmi. Non capisco da dove trovo le forze per farlo. Ma lui è più forte di me. Abusa del suo potere. E la stretta intorno al mio polso mi costringe a spalancare la bocca per il dolore.

È infernale.

È disumano il dolore che sto provando.

E la consapevolezza dell'affronto lo galvanizza, perché mi tira a sé affinché solo un respiro separi i nostri volti.

"So dove stai andando." mi ringhia in faccia.

Io sono paralizzata. E tutto ciò che è intorno a me sfuma come un'allucinazione.

"E non aprirai più le cosce a quella feccia umana neanche se fosse l'ultimo uomo sulla Terra."

Un pugnale mi trafigge il cuore, che sta iniziando a sanguinare di una paura senza alcun precedente.

"Mi hai sentito?" abbassa la voce, e capisco che non è un bene. Più lo fa, più devo aspettarmi il peggio.

"Non farai più la puttana come tua madre. Non la darai al primo che capita solo per farti mettere incinta e pensare di avere un futuro con uno sfigato che non può darti neanche un cimitero per seppellirci quei bastardi dei tuoi figli."

"Padre..."

"Non butterai via il tuo futuro per farti scopare dalla cotta adolescenziale di turno che ti ha fottuto il cervello!"

"Padre..."

Sto piagnucolando. Perché mi manca l'aria. Mi manca la circolazione del sangue. Ed è dovuto tutto alla stretta delle sue dita intorno al mio polso caldo e riscaldato.
Avrò dei lividi giganteschi.
Esattamente come l'ultima volta.

"Non ti ho cresciuto così, Francisca!" ruggisce forte, e ora sono sicura che Soledad ci abbia sentito. "Non ti ho cresciuta per accontentarti della mediocrità! La devi smettere di farti fottere il cervello con quelle fantasie malsane!"

"Padre..." boccheggio.

Ho bisogno d'aria. Ho bisogno che mi lasci. Sta usando il mio polso per gesticolare con rabbia.

"Mia figlia non finirà in uno stanzino pieno di muffa a truccare gay, troie e stronzi di ogni categoria! È chiaro?"

"Lasciami!" urlo tra le lacrime. "Lasciami andare!"

Mi spinge. Mi spinge e cado rovinosamente a terra. La mia schiena sbatte contro la moquette del salone, e avverto mia madre – che si era seduta – alzarsi dalla poltrona.

"Non provare ad avvicinarti!" le grida mio padre, gli occhi iniettati di sangue.

E lei indietreggia. Ma non mi importa. Ora non è lei il nemico. Non è lei che mi ha spinto a terra. E non è lei che mi sta osservando pensando... a un modo per farmela pagare.

E quel modo avviene con lui che si abbassa lentamente sulle ginocchia, e si comporta come se non fosse accaduto nulla. Come se non avesse appena riempito di insulti sua figlia, e non avesse picchiato la moglie.

"Stammi a sentire." Mi afferra una caviglia. Io provo a strattonarmi, ma invano.

Ha una forza disumana. L'ha sempre avuta quando mi pizzicava e mi stringeva come oggi. E io sono esattamente come mia madre. Debole. Perché non ho mai avuto il coraggio di fargliela pagare.

Lacrime copiose mi rigano il viso, e oltre la patina che si è creata davanti ai miei occhi, riesco a vedere un uomo spaventosamente rilassato. Sicuro dei suoi mezzi. E di ciò che sta per dire.

"Ora farai tutto ciò che ti dico. Domani andrai da quello sfigato del tuo amante, e gli dirai che è finita. Senza spiegare nei minimi dettagli. Non possiamo permetterci che la verità venga fuori. O almeno, sarai tu a distorcerla. Gli dirai che amavi un altro. Che vuoi trascorrere la vita con quest'altro uomo. Fredda. Cinica. Sicura come tuo padre. Fregandotene di una sua reazione. Sparirai dalla sua vita, e lui dalla tua. Ti è chiaro? È molto semplice, Francisca, e lo porterai a termine."

Prima che io possa urlare e replicare con tutto il mio dissenso, lui mi afferra le guance. E le sue mani non mi sono mai sembrate così viscide ed estranee come questa sera.

"E sai perché lo farai? Perché, se scoprirò che una sola virgola è andata storta, e hai perso l'occasione per dimostrarti degna dell'eredità di tuo padre..."

Stringe più forte la mia mascella. E io imploro di morire sul colpo pur di non restare ad ascoltare il prosieguo.

"Lo ucciderò. Lo ucciderò, Francisca. E farò sembrare questo lutto come un incidente clamoroso alla Toronto Music Academy. Scriverà la storia sui giornali della città, e nessuna magistratura e realtà investigativa potrà ricorrere al mio nome. Ucciderò quell'uomo. E non avrai più alcuna persona a cui aggrapparti."

Non ricordo per quanto tempo resto a terra, sudicia come un verme, mentre le persone spariscono dalla stanza e soltanto mia madre ha un tentennamento di pietà.

Ma non lo fa. Segue l'uomo che l'ha fatta assistere a tutto questo. E sceglie ancora una volta la strada più semplice e malata.

Quel che ricordo dopo minuti, però, è che devo salvare la vita di un uomo e condannare la mia.

E nell'atto che separa il per sempre, ricordarmi che sono figlia di mio padre.

Di un padre che si prospetta a diventare uno dei più grandi imprenditori della storia.

A sacrificio delle persone.

A sacrificio di chi non ha mai amato.

Al sacrificio di me.

La sua unica figlia.

🌻

Soundtrack – Love Is Gone, Slander.

Il giorno dopo mi presento davanti casa Hills con l'aspetto di chi non ha chiuso occhio per tutta la notte.

Le nocche delle mani hanno iniziato a tremarmi, e il mio viso è terribile. Mai come questa volta mi vergogno di ciò che sono, e buona parte è dovuto a cosa sto per fare oltre quella porta che intravedo dall'interno della mia auto.

Devo infliggere dolore a un uomo innocente. Devo mentirgli, prosciugare le mie emozioni e trasformarmi in cosa ho combattuto una vita intera: mio padre.

È così che mi sento. Una versione repellente, acida, disgustosa, che marcisce nella sua malvagità.

Altre lacrime solcano il mio viso, e mi sembra di essere ritornata a ieri sera. Stesa su una moquette antica. A capire come risolvere tutta questa situazione, consapevole che una soluzione non c'è.

Quando tuo padre può mantenere le promesse che fa, belle e brutte, diventi conscia di essere intrecciata a un destino più grande del tuo volere.

Ed è con questa certezza rivoltante che scendo dall'auto, la chiudo con il telecomando automatico e mi dirigo verso la destinazione. Mi asciugo quelle poche lacrime che il freddo non riesce a congelarmi, ma non prima di sobbalzare per la figura incappucciata che esce dalla porta d'ingresso.

Paul non c'è. Ma riesco a riconoscere la corporatura del suo migliore amico, Arthur. Ha una felpa nera con un cappuccio e il simbolo rosso dei Wilder sul petto, e un pantalone di tuta dello stesso colore. È a telefono con qualcuno, e dalle chiavi che fa volteggiare fra le dita della sua mano sinistra capisco che Paul gli ha ceduto una copia, e si spiegherebbe il motivo della sua assenza sulla soglia della porta per salutarlo.

Forse Paul dorme. Forse posso risparmiarmi questo viaggio di sofferenze che sa di un tradimento ineguagliabile. Ma se non lo faccio, sarà peggio. E Arthur starà pensando che avrò visto qualche spettro nascosto dietro le sue spalle a causa dell'espressione che lancio alla casa del suo amico.

"Ortega." mi chiama lui, sollevando una mano per salutarmi. Quando è più vicino, mi sorride. "Ehi. Che ci fai qui?"

Perfino la dolcezza nel tono del migliore amico rischia di farmi piangere. La mia sensibilità, in questo momento, è sottile come il filo di un rasoio.

Faccio l'alzata di spalle più convincente che conosco, ma sono sicura che lui sospetti qualcosa. I miei occhi stanno comunicando la verità che non riesco a far trapelare a parole. "Sono di passaggio."

"Grandioso. Vorrei vedere la sua faccia nel presentarti da lui proprio in questo momento."

La sua risposta divertita e pacata mi mette in allarme. Cosa significa? Che è con un'altra? Che il destino sta avendo la capacità di rovinare la mia vita più di quanto sia già stata rovinata?

Arthur azzera le distanze per schioccarmi un bacio su una guancia, e aggiunge: "Ti saluto o farò tardi agli allenamenti. Il coach potrebbe scuoiarmi vivo. Ho imparato a non sottovalutarlo dall'ultima volta che ha staccato i riscaldamenti della palestra per farmi gelare le palle in doccia come punizione."

Mi strappa una risata. Nel mezzo di questo casino, Arthur Wild è stato capace di strapparmi una risata.

E mentre si dirige verso la sua Maserati, con la sua schiena marmorea e il suo passo sicuro, i miei invece sono lenti e accompagnano le lacrime che lui non riuscirebbe a vedere da lontano. Una volta acceso il motore e partito, lo vedo scomparire fra la nebbia del mattino con una manovra e velocità micidiale, e mi ritrovo a stare male anche per quelle piccole cose.

Quello che non avevo messo in conto era che, a perdere Paul, avrei perso tutti suoi amici. E anche una persona buona, dolce e speciale come Arthur. Che è stato il primo ad accogliermi senza pregiudizi o domande inopportune nella loro famiglia allargata. E l'ultimo a salutarmi.

Ho smesso di credere nel destino.

Ho smesso di scorgere una parvenza di felicità laddove si nasce dalle tenebre. Ero destinata a questa vita, e ho creduto che un raggio di sole potesse annullare tutte le mie ombre.

Ma le ombre non scompaiono. Restano dentro di te anche quando non puoi vederle. Ed escono nei momenti meno opportuni per farti capire che il sole non sorgerà mai oltre l'orizzonte.

🌻

"Ciao, girasole."

Il suo saluto è una coltellata che mi uccide sul colpo.

E il sorriso smagliante e dolce con cui mi accoglie non è abbastanza, perché vederlo con solo una camicia slacciata e di seta, un pantalone di pelle e una tavolozza di acquerelli tra le mani... è il messaggio che mi sta mandando il fato.

Devo lasciare che tutto questo mi sfugga fra le mani. Devo permettere a mio padre di mettersi tra me e l'uomo che ora mi sta scrutando in adorazione, picchiettando sulla sua gamba per suggerire di avvicinarmi.

Lo faccio. Perché sono masochista, o forse perché ho davvero bisogno di sentire la sua pelle sulla mia per un'ultima volta. Non faccio in tempo ad avvicinarmi che lui mi ha già cinto la vita, riesce addirittura a procurarmi una flebile e breve risata, e appoggia la tavolozza sporca sul tavolo adiacente per circondarmi il busto con entrambe le mani. Ha delle macchie di colore incrostate sul naso, sulle guance e sulla fronte che lo rendono ancora più affascinante.

Dio, quelle tele. Mi mancherà tutto questo. Mi mancherà coglierlo in flagrante mentre dipinge e io esploro il suo mondo interiore.

Una volta ho assistito a un tramonto su mare prendere forma. E lui mi ha detto che era il posto in cui ha deciso di morire il suo bisnonno. Prima di combattere contro i fascisti nelle Guerre Mondiali, aveva dichiarato di voler essere seppellito accanto al mare della sua città natale, affinché potesse sentirne i suoni e gli odori in ogni giorno della sua nuova vita nell'aldilà.

Ed è incredibile come l'arte possa racchiudere tutta questa infinità di emozioni. Incastrare pennellate di ricordi indelebili che, oltre la mente, resteranno vivi su tele graffiate e nivee.

La potenza dell'arte mi ha permesso di conoscere uno scorcio della sua vita. E oggi, mi sta giudicando mentre compio il peccato più grande che possa esserci contro un suo sostenitore.

Non ragiono lucidamente quando lui riesce a sollevarmi dalla sua gamba con una semplice presa delle sue braccia muscolose. Mi porta al tavolo più vicino, e dopo aver spostato i pennelli d'intralcio, mi permette di sedermi e di spalancare le cosce.

Lui si inserisce in mezzo, e mi trascina dolcemente a sé per permettermi di avvolgere le mie gambe intorno ai suoi glutei. Poi fa lo stesso con le mie braccia intorno al suo collo, e mi tiene stretti i fianchi mentre mi stampa un bacio sulle labbra da farmi girare la testa.

"Mi sei mancata." sussurra, fissando la mia bocca e procurandomi una risata.

Dio.

Fa male.

Fa così fottutamente male.

"E io mantengo sempre le promesse."

Non intuisco nell'immediato, ma poi mi ricordo del suo ultimo messaggio. Mi aveva detto che gli dovevo un bacio, e ora è qui a tormentare il mio volere. Ma oggi non può essere il mio volere a comandare. E i crampi che inizio a percepire nello stomaco ne sono una chiara dimostrazione.

Mi cosparge altri piccoli baci sul mento, sulla guancia e su un orecchio. "Però mi hai rovinato la sorpresa."

Non riesco a respirare. Su di me, lui ha sempre un effetto afrodisiaco che mi annulla i sensi e non mi permette di pensare.

"Quale sorpresa?" sospiro appena.

Lui si allontana il minimo che serve a dire: "Guarda dietro di me."

E avrei voluto non farlo.

Sulla tela che stava dipingendo, sono raffigurate le linee di una donna. Una donna le cui punte rosse delle ciocche di capelli lasciano poco spazio all'immaginazione.

È una bozza. Una semplice bozza che prenderà colore, forma e dettagli. Ma abbastanza da farmi piangere. Abbastanza da fargli credere che sia solo commozione quella che sente dal suono fuoriuscito dalle mie labbra. E riesco a malapena a sentire il seguito.

"È ancora tutto da sviluppare, ovviamente, ma l'idea c'è. E già che ci siamo, voglio mostrarti una cosa."

Sento un vuoto incolmabile quando esce dalle mie gambe per raggiungere un cassetto di un mobile di legno. Se penso che questa lontananza dovrà diventare un'abitudine, mi chiedo come sia possibile che io sia qui. A fare tutto questo.

Tra le mani ha due pezzi di carta. Me ne porge uno, e non so come ma riesce a non sporcarlo con le sue dita piene di colore. La mia vista si appanna ulteriormente quando capisco cosa sia, e lui non perde tempo a ribadirlo.

"Parigi."

Un silenzio, che a lui potrà sembrare insolito, riempie la stanza.

"Il viaggio che ti avevo promesso qualche settimana fa."

"Non..." deglutisco pesante, attutendo un singhiozzo a capo chino. "Non mi hai promesso nessun... viaggio."

"Ma ne hai parlato con me. Hai detto che un giorno ti sarebbe piaciuto visitare la città di Chanel. Di Dior. Dei Macaron. Dei croissants. Delle grandi firme della moda parigina, per arricchire il tuo bagaglio conoscitivo sul make-up e non solo."

E lui ha ben pensato di estrapolare quel mio pensiero ad alta voce per realizzarlo nel concreto.

Mi sento una merda.

Una completa merda.

Ma devo prendere coraggio. Prima che lui possa donarmi altro. Prima che possa mostrarmi qualcosa di cui non potrò separarmene. Tanto per cominciare, la felpa che ho addosso è sua. Ed è l'unica cosa che potrò avere di lui una volta uscita da questa stanza.

"Ci sei riuscita?"

Sollevo il mento e lo guardo. I suoi occhi azzurri oggi sembrano più intensi e luminosi.

"A fare cosa?"

"A non truccarti."

No, Paul. Non l'ho fatto perché mi piaccio. L'ho fatto perché provo disgusto. Per me stessa e per quello che sto per farti. E perché tu possa vedermi con la stessa luce con cui mi vedo io.

"E?"

"E sei bellissima. Sei bellissima, girasole. Non importa quanto trucco tu abbia ogni volta in mia presenza. Io ammiro la tua passione, ma vedrò sempre oltre lo strato. È tutta una questione di prospettiva. E io ho scelto quella giusta."

Lacrime piene e calde mi inondano le gote, e ora tocca ai singhiozzi.

È il momento in cui Paul capisce che c'è qualcosa che non va. Che sono grata del tempo che abbiamo passato insieme, e sarà l'errore più grande della mia vita schiudere le labbra per condannare tutto ciò che c'è stato.

Ma devo farlo.

Devo salvargli la vita.

Mio padre ha già ucciso in passato. Non si è fatto scrupoli ad assumere società segrete di criminali e spie che potessero agire per suo conto con tutti i rivali imprenditoriali che gli ostacolavano il cammino verso la vetta. La corruzione non è mai una scelta saggia, perché ti trascina nel baratro dell'amoralità. E l'amoralità porta alla morte di vittime innocenti.

Un uomo che mi ha donato il mondo e oltre come Paul non può nulla contro mio padre e il suo potere. Non può nulla contro l'impero che sta espandendo giorno dopo giorno. Tutte le catene più gloriose delle attività in cui investe portano il suo marchio.
E a essere marchiata del timbro peggiore sono stata io. La vittima sacrificale.

"Ti ho tradito."

Attimi di quiete.

Antecedenti alla tempesta.

Attimi in cui i respiri si azzerano. E aumentano le distanze.

Lui arretra di impercettibili passi. E lo fa un po' di più quando sollevo lo sguardo pieno di lacrime e guardo la tela dietro di lui nel ribadire la confessione, ma con il suo nome in aggiunta finale.

Lui è bianco come un fantasma. Le labbra serrate. Il pomo d'Adamo che si muove su e giù. I suoi occhi ora sembrano avere un colore quasi vitreo, che richiamano le pareti bianche della stanza.

"No."

È solo un sospiro, ma abbastanza da darmi una seconda coltellata al centro del petto.

"Non è vero."

Respiro a stento. "Paul..."

"Non è vero. Mi stai mentendo. Stai cercando di... proteggermi. Da qualcosa."

"Paul..."

Si avvicina. Mi afferra le ginocchia. E io continuo a piangere, piangere e piangere.

Debole come mia madre. Codarda come mio padre. Incarno il peggio delle persone che mi hanno messa al mondo. Ed è stato proprio mio padre a dimostrarmelo.

"Guardami negli occhi."

"Paul..." il mio pianto è straziante quanto la sua voce fiacca e tremante.

"Guardami negli occhi e dimmi che mi hai tradito."

"Paul..."

Mi scuote piano. I miei piagnucolii aumentano. E non riesco più a espirare con costanza.

"Guardami negli occhi, Francisca. Solo così potrò crederci."

Mi serve tutta la forza di volontà dell'universo per assecondare la sua richiesta. Mi servono tutte le menzogne e la crudeltà esistente per procedere con l'atto finale.

Sollevo lo sguardo. E lo guardo dritto negli occhi, mentre non ho la forza di muovere un solo muscolo della mia mascella umida e dolorante.

"Ti ho tradito, Paul."

Non ho mai conosciuto le potenzialità del tempo infinito. Fino ad oggi.

Ma il silenzio che trascorre dalla mia risposta e dal suo sguardo perso nel vuoto si sgretola nel preciso istante di una chiamata sul suo cellulare.

È appoggiato accanto a me.

Abbastanza vicino da leggere il nome del mittente della telefonata.

Cordelia Copperfield.

Qualcosa in me smette di funzionare.
Qualcosa si sgretola in mille pezzi di solitudine e abbandono.

La mia anima fuoriesce dal corpo e mi abbandona qui. In questa stanza. Al gelo e al freddo di un qualcosa che non riconosco più come mio. Più come nostro.

I baci rubati. Le carezze sul letto della sua stanza. I croissants di Kelly&Rowland's Club. I momenti in macchina. Quelli sotto la pioggia. Le giornate in cui ci bastava chiacchierare a telefono per sentirci vicini, nell'attesa della volta successiva in cui ci saremmo rivisti.

Tutto.

Tutto svanito per la peggiore delle bugie.

Una bugia può trasformarsi in realtà se ci credi abbastanza. E lui aveva bisogno di attraversare quella parete invisibile che gli permettesse di cascarci.

Scendo di scatto dal tavolo. Non ragiono mentre mi dirigo verso la porta e mi asciugo quintali di lacrime con un braccio.

Ma poi non ci riesco. Non riesco a lasciare che l'addio si spenga così. Senza affrontare i miei demoni. E le mie insicurezze più forti.

"L'hai sempre voluta!" grido. "Hai sempre voluto lei!"

"Ma che ti prende?" urla a sua volta. Sta piangendo anche lui. E questo non potrò mai perdonarmelo.

Risucchio un singhiozzo atroce. "È lei che vuoi! Non me! È lei che continui a chiamare quando qualcosa non funziona, ed è lei che ti consola quando io non posso garantirti ciò che vuoi!"

Lui si trascina le mani nei capelli. È chiaro che non ci stia capendo nulla.

Ma quella chiamata è stato il crollo. Il crollo di cui avevo bisogno per capire che non saremmo mai stati destinati ad avere un futuro. Un rapporto. Un noi. E nessun altro.

Una bugia può trasformarsi in realtà se ci credi abbastanza.

Lui fa un gesto inaspettato. Si avvicina e mi porge il telefono. E tra le lacrime, resiste e sospira tremante: "Rispondi."

Non riesco a replicare. Lo osservo mentre singhiozzo sull'uscio della porta.

"Rispondi, Francisca. Avrai la verità."

Verità. Ciò che in questo momento non appartiene a ciò che sono e a ciò che diventerò.

Ed è per questo che non c'è limite alla sofferenza che mi impongo quando gli dico tra i singhiozzi e la voce rotta: "Ti ho tradito, Paul. Ti ho tradito con il tuo amico, Blade Parker. Sei stato solo un gioco. Sei stato solo una distrazione verso il mio vero obiettivo. C'è sempre stato lui. Tu non eri abbastanza. Lasciami in pace ed esci dalla mia vita. Adesso. Per sempre."

I suoi occhi sono la risposta che mi serve.

Quell'azzurro splendente, cangiante, vivo, puro, non c'è più.

Ha lasciato spazio a un grigio lucido e da pugnalate inflitte senza perdono. Un grigio che si prepara alla tempesta di mare che deve accompagnare le sue ultime parole.

Anche il peggiore dei criminali ha diritto a una difesa. E Paul Hills era di quanto più lontano all'idea stessa.

"Cordelia non l'avrebbe mai fatto."

La frase che segna il crollo.

La frase di cui avevo inconsciamente bisogno per chiudere quel portone.

Un portone che lascia dietro di sé le speranze di una vita migliore di quella che mi spetta oltre l'abisso.

Ma l'abisso mi sta risucchiando. E lo fa con intensità nel momento in cui do le spalle all'uomo che amo, sfuggo alla sua presa e mi dirigo verso le scale. Rischio che la vista appannata possa farmi cadere, ma non m'importa.

Sono già morta. E più di una volta.

Sono morta quando ho scoperto anni fa la natura di mio padre.

Sono morta quando mio padre ha picchiato mia madre.

Sono morta quando ho dovuto accettare di mentire.

Sono morta quando ho oltrepassato l'ingresso.

Sono morta quando ho confessato.

Sono morta alla telefonata.

E sono morta adesso.

Sommersa dalla neve e dal gelo di Toronto. E nel tragitto dalla casa dall'auto, mi prometto di non innamorarmi mai più.

Di non concedere mai più il mio cuore a un uomo.

E di custodirlo segretamente sotto una teca di indistruttibile vetro.

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