VI. Paul.

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Passato.

Soundtrack – Motive, Ariana Grande.

🌻


Ho sempre amato la sensazione del ghiaccio sotto le lame dei pattini. Quel senso di morbidezza, freddezza, leggerezza che solo uno sport come l'hockey può regalarti.

Ma l'hockey non è solo questo.
L'hockey è molto altro.

L'hockey è il boato dello stadio quando segni, lo stridore dovuto ai movimenti, la gioia di condividere la vittoria con i tuoi compagni, la felicità dipinta sul volto del Mister, gli speaker negli altoparlanti, le musiche di sottofondo e boati a caricarti come leoni in un'arena.

E quando quello stadio non è la tua casa momentanea, ci pensa la squadra a esserlo. Come una perfetta e insostituibile famiglia.

Ecco il motivo per cui, tutte le volte che posso, non perdo occasione per trascinare qualcuno di loro a un allenamento extra fuori dalla scheda mensile del coach. Lo faccio quando ne ho necessariamente bisogno, per staccare la spina, caricarmi in vista di un match importante o... dimenticare. Semplicemente dimenticare. E nell'ultimo periodo, ne ho un bisogno pari alla sete nel deserto.

È trascorso un mese dagli avvenimenti dello spogliatoio. Un mese dal tradimento. E un mese dal mio rapporto ritrovato con Cordelia.
Non me la sento ancora di chiedere agli altri di accompagnarmi nella palestra scolastica per eseguire questa tipologia di allenamenti, ma Arthur è quell'eccezione alla regola di cui so di poter contare.

Arthur è quella persona che non ci penserebbe due volte a dirti che hai fatto una stupidaggine, ma poi ti aiuterebbe a riflettere su come risolverla. È quell'amico di cui chiunque ne avrebbe bisogno, ed è il motivo per cui non perdonerò mai del tutto le persone che gli hanno fatto del male in passato.

Ma il qui presente bastardo ha anche dei modi particolari per rimetterti in riga senza proferire una sola parola. Ad esempio, oggi mi sta ammazzando. Non nel senso letterale del termine, ovvio. O forse sì. Lo starà facendo nella sua mente.

A una mia distrazione, mi passa il puck con una velocità impressionante, e io sono costretto ad arretrare di qualche centimetro per permettere al mio bastone di intercettare il tiro.

Il suo sorrisetto malefico me lo legherò al dito. Sono pronto, cazzo. Se vuole la guerra, guerra sia.

Percorro i centimetri della pista con vigore fisico, e quando arrivo al centro, compio una giravolta perfetta e tiro all'improvviso verso la porta. Ma lui, come al solito, ha dei riflessi sensazionali. Non solo ferma il puck, ma lo fa rimbalzare sulla paletta ripetutamente.

In palestra, gli unici rumori sono le nostre lame che rigano la pista. Il mio umore non è dei migliori, ma in qualche modo, Arthur riesce sempre a sopperire a queste mancanze momentanee. Solo che queste mancanze momentanee sono diventate il mio abitudinario. Ed è per questo che necessito di cambiare aria.

Lui si allontana dalla porta e prova a raggiungermi per soffiarmi il puck sotto al naso, e non faccio in tempo a dire che sono dalla parte opposta della pista che mi ritrovo il suo fiato sulla schiena e una spinta sostanziosa che mi fa barcollare. Ma io non mollo, e il puck è ancora attaccato al mio bastone.

Inverto la rotta e lui ci casca, ma la mia tattica dura pochi metri: lui recupera la distanza che ci separa, e non ricordo il preciso istante in cui il suo bastone filtra tra i miei piedi e, con uno stacco veloce e netto, si impadronisce dell'oggetto.

Sbuffo. Lui percorre altri metri, e posso comunque udirlo a distanza. I suoi capelli sono disordinati e neri come il carbone, ma le ciocche del suo ciuffo sono imperlate d'acqua quanto la sua fronte. La sua divisa d'allenamento è quasi superflua, perché tutte le linee dei suoi addominali, bicipiti e glutei marmorei sono visibili a causa del sudore.

Fra noi ragazzi, lui è quello che suda di più nei match e nello spogliatoio. Eppure, con tutto l'esercizio che fa "fuori campo", dovrebbe essere abituato allo sforzo muscolare. O forse è proprio quello sforzo a tenerlo costantemente sensibile e in forma.

"Devi ancora capire chi comanda, Hills?"

"Giuro che se ti prendo, finisci dritto con il culo nella porta."

"C'è un problema, però."

"Ovvero?"

"Devi prendere un re. E chiacchierare meno."

Altra provocazione, altro ghigno. I suoi occhi scintillano di sfida, e questo è il primo sorriso che faccio dopo ore di permanenza in questo posto vuoto e gigante. Le sue lame stridono, e io mi carico abbastanza da slanciarmi contro di lui in velocità. Lui non riparte subito dalla sua postazione, e non so cosa stia aspettando. Ma una volta raggiunta la porta, mi è tutto più limpido.

Una finta gli permette di superarmi, come se fossi un novellino qualunque o un avversario da smarcare durante i match. Ma io non sono né uno e né l'altro. Sono il suo compagno di squadra, e lui mi sta sbattendo in faccia la superiorità che ha su tutti noi.

Arthur Wild conosce bene i suoi pregi. È agile, forte, prestante, attraente, dominante. Le donne ne riconoscono ogni aspetto, e sono estasiate dai suoi modi galanti di giorno misti alla perversione estrema di notte.

Ma a tutte loro, vorrei far passare una sola ora con il suo agonismo ed ego sportivo per rendersi conto di quanto sia competitivo e senza sconti. Ma è probabile che mi risponderebbero che, quel senza sconti, va bene anche a loro.

Sbuffo sonoramente, e dal suo tiro incrociato e di spalle che riesce a centrare la porta in una posizione assurda per i muscoli, constato un aspetto che ho sempre saputo dentro di me.

Arthur è un fuoriclasse.

Gioca e si nutre di hockey da un numero d'anni da sembrare infiniti. E sebbene a volte esageri con i carichi e le routine giornaliere fatte di sport, esercizio fisico e alimentazione adeguata, è un maestro d'eccellenza nel dare il buon esempio alla sua generazione e a quelle a venire.

Se gli chiedessero di scegliere una sola costante eternamente garantita nella sua vita, non ci sarebbe alcun dubbio nella sua risposta.

Per lui, nulla è più importante del suo hockey.

"Facciamo una pausa." urla a distanza, e mi ritrovo a dovergli dare a ragione.

Ci alleniamo da ore, e la mia resistenza è effimera. Non riesco a mantenere i nervi saldi, e mi irrito anche per la più piccola delle certezze. Quando mi tolgo il casco, lui ha l'espressione di chi ha visto fare questo gesto per la prima volta. Ma vorrei dirgli che è lui ad allenarsi senza a essere quello strano.

Io mi avvicino al penalty box per afferrare una bottiglietta d'acqua, e con la coda dell'occhio noto lui raggiungermi e osservare ogni mio minimo movimento, dal togliere il tappo alla mia sete appagata. Ha un gomito appoggiato sul plexiglass, e il suo indagare diventa insistente, come se da me si aspettasse una risposta o una reazione a chissà cosa.

"Sei un coglione, Paul. Te l'ho sempre detto, ma oggi non scherzo."

Il suo tono mielato e calmo è in contrasto con la rudezza delle sue parole. Abbastanza forti da bloccare i miei sorsi, e deglutire ciò che ne rimane in bocca.

Non lo fisso. Chiudo la bottiglia e la mia concentrazione è tutta sui sedili degli spalti che si vedono oltre il vetro.

So che argomentazione diletta la sua provocazione. Ma non ho le forze per mantenere viva questa discussione. Il mio affanno procurato dall'allenamento è una sciocchezza in confronto al battito del mio cuore.

"Kart ha detto che domani ci sarà la squadra degli Orleans a prendere parte ai nostri allenamenti. Il loro Mister vuole incrementare la scheda annuale dei suoi–"

"Paul..."

"Giocatori affinché possano iniziare il nuovo anno con nuovi stimoli dopo–"

"Paul..."

"L'incidente avuto lo scorso anno durante il campionato–"

"Paul."

Ho cercato di indebolire l'inevitabile. Il suo tono autoritario. Ma non ci sono riuscito. E ora non mi resta che bloccarmi, irrigidire la mascella e chiudere gli occhi. E sperare che non alimenti ancora i miei sensi di colpa costantemente attivi da un mese.

"Che è successo?"

Adesso la sua domanda è ancora più lieve di prima, ma non meno decisa a sapere la verità. Non so se, arrivati a questo punto, manterrebbe ancora la sua posizione nel non giudicarmi. Il modo in cui poso la bottiglietta, mi abbasso e mi distraggo con i lacci dei pattini è un chiaro segnale della mia mancata collaborazione.

Non oggi, Arthur. Non oggi.

Ma lui si abbassa alla mia altezza, appoggia le braccia sulle ginocchia e mi fissa con il capo inclinato.

"Riformulo la domanda: che ti sta succedendo, Paul?"

Non so se sia dovuto alla sincerità che avverto nel suo tono o alla mia stanchezza prolungata nel tempo, ma i miei occhi socchiusi per cercare di trovare la concentrazione nel silenzio rispondono alle sue domande. Ci solleviamo entrambi, perché entrambi sappiamo che sarà una conversazione lunga, e vorrei evitarmi dei crampi gratis ai polpacci.

"Perché non mi hai detto della tua relazione con Cordelia?"

Era proprio dove sarebbe voluto arrivare lui. Ed era proprio ciò che avrei evitato io.

"Non è servito a nulla ciò di cui ti avevo avvertito un mese fa?"

"Cioè?"

"Non fare cazzate."

Riconosco quella voce. È giudicante e l'ho sentita una sola volta nella vita, quando non ho preso le difese di un giocatore della nostra squadra che era stato accusato di doping, mentre Arthur aveva insistito per indagare meglio e aveva scoperto che nella sua famiglia c'era una situazione di violenze carnali e povertà che definire di merda è un eufemismo.

Ma non sono più il giocatore che ero all'epoca, perché ho imparato a diventare un essere umano anche laddove la vita non voglia la nostra clemenza. E ad Arthur e alla sua razionalità devo la metà del lavoro. Ed ecco perché ora non capisco perché stia replicando quel me di un tempo con il me di adesso.

"Stai illudendo una ragazza."

"Ascolta, Francisca è stata chiara. Il tradimento è una delle poche cose al mondo su cui non posso passarci, e sai quanto me che–"

"Non parlavo di lei."

Un silenzio irritante.

"Ah no? E chi è che starei illudendo? La mia ragazza?"

Il suo sospiro pesante e lo sguardo verso il soffitto servono a darmi la risposta al suo posto. Ma non gli basta.

"Non lo so. Dimmelo un po' tu. Dimmi che sensazioni si prova dopo aver fatto sesso con la propria ex per dimenticarsi della donna di cui si è innamorati."

Sgrano gli occhi e lo guardo. "Io non ho fatto–"

Il suo sguardo, però, è meno clemente. Mi suggerisce: smettila di mentirmi. So tutto.

E onestamente non so come. Io e Cordelia abbiamo mantenuto la riservatezza massima affinché, almeno questa volta, potesse funzionare e i suoi genitori si facessero da parte. Nessuno lo sapeva. Fino ad oggi.

Ho il diritto di restarci male se è stata lei. La stessa che ha proposto il segreto.

"E va bene, sì." replico, stufo. "Ma non è andata come credi."

Lui solleva le sopracciglia e incrocia le braccia sotto al petto. "La curiosità mi uccide."

Solo lui può fare del sarcasmo in una situazione simile. Ma ha comunque il coltello dalla parte del manico.

Respiro piano e riprendo. "Ero andato lì per questo. Per dimenticarmi Francisca. Per scacciare dalla mia testa l'ennesimo volto di una persona che aveva deciso di abbandonarmi e farmi male. Mi sono assicurato che Cordelia avesse la casa libera perché, dopo una giornata come quella, avrei sinceramente evitato di ritrovarmi il cranio fracassato da suo fratello per essere colti sul fatto. Ma non si è svolta così."

"Ah no? È apparsa un'entità celeste che ti ha fatto un blackout mentale delle ultime ventiquattr'ore della tua vita? O addirittura un'amnesia totale?"

"Mi stai giudicando?" Il mio tono è aspro, i miei occhi socchiusi.

"Non dovrei?"

"No, non dovresti. Sei il mio migliore amico. E dovresti cercare di capirmi."

"Proprio perché sono il tuo migliore amico ti ho avvertito quella notte. Non mi hai ascoltato, e ora sei causa dei tuoi mali. E illuminami: come avrei dovuto aiutarti, capirti o qualunque cosa implicasse il mio appoggio se la prima cosa che avrai pensato dopo il fattaccio sarà stato nascondiamogli tutto?"

"Io non ti ho nascosto tutto. Io ho accettato un accordo con la mia ragazza."

"Continui a chiamarla la tua ragazza. Ma è proprio dalla tua ragazza che l'ho scoperto."

Sono sicuro che il mio volto sia sbiancato. Non capisco perché le persone continuino a deludermi. E non capisco perché continui a essere sempre io quello a finire sotto quintali di merda.

"Cordelia non è una persona cattiva. È una persona buona a cui sono capitate cose cattive, e ha modi di reagire, di ragionare e di porsi completamente plagiati da come è cresciuta e completamente relazionati a cosa ha dovuto sopportare nel tempo nella sua mente."

"Lo so. Non c'è bisogno che tu mi faccia una ramanzina su cosa abbia passato. Quei problemi li aveva anche nel periodo della nostra relazione. E non ho mai giudicato la sua persona per questo. L'ho amata più visceralmente di quanto avrebbero potuto fare tutti quei pezzi di merda che le hanno fatto del male in quel lurido cesso scolastico."

"E proprio perché sai cos'ha dovuto affrontare, non giudicarla. Soprattutto se l'argomento le è sfuggito con me per puro caso, in riferimento a un'argomentazione collegata."

Lui continua a parlare, ma io visiono solo l'immagine di lei rinchiusa in quella stanza del gabinetto. Visiono soltanto i suoi graffi. Le sue lacrime. I suoi racconti. Il modo in cui l'ho stretta e consolata il giorno in cui ho saputo tutto. E Arthur deve sapere la verità nuda e cruda prima che possa aggiungere ulteriori teorie al suo schema mentale.

"Sono andato lì per dimenticare un'altra. È vero. Non lo negherò mai. Ma il legame che unisce me e Cordelia non può conoscerlo nessuno. L'ho amata, Arthur. E so che tu non lo metti in dubbio. Ma proprio perché l'ho amata, so quanto possa dare una persona che regala il suo tutto in cambio di sicurezza. Ci siamo curati a vicenda. Eravamo due anime sole. E volevamo solo scappare dalla solitudine e dalla crudeltà inflitta dalla fiducia cieca nel prossimo. Quella notte di un mese fa, ci siamo voluti con la consapevolezza di iniziare un nuovo percorso insieme. Non mi sono sentito forzato nel momento in cui è iniziato ad accadere, e non si è sentita forzata lei. Quella notte, ho capito che dovevo volermi più bene. Smetterla di pensare ancora a una donna che mi ha tradito, e circondarmi di persone che potessero realmente amarmi. Ho bisogno della pace e della sicurezza che lei riesce a donarmi."

"Ma questo non è amore, Paul."

Ora sono io a guardarlo con giudizio. Lui ha paura di rispondermi. Come se potesse ferirmi come mai prima d'ora. Lo noto da come mi parlano i suoi occhi. Sono lucidi e...tristi.

"Questa è riconoscenza."

Mi gelano le vene.

"Riconoscenza per il bene giusto e importante che vi siete donati a vicenda."

Il fiato mi muore in gola mentre esce in un sussurro. "Stai dicendo che non l'ho mai amata?"

"No. Sto dicendo che la vostra relazione è stata la forma più pura e vera del sentimento che io non ho mai avuto modo di conoscere. Ma che ora, nel profondo del tuo cuore, sai benissimo di volerle ancora così bene, ma di amare un'altra. Il vostro rapporto si è trasformato negli anni. In un qualcosa di ugualmente puro e vero, ma allo stesso tempo diverso. E va bene amare un'altra e augurare ogni bene del mondo a chi ti ha dato l'anima, Paul. Purché tu non ferisca due innocenti."

"Hai davvero una concezione sbagliata della parola ferire, Arthur. Fattelo dire."

La mia voce è incrinata e non posso fare nulla per nascondere la delusione impartita dal suo voler giudicare così facilmente i miei sentimenti. Ma non riesco ad allontanarmi per uscire fuori dalla pista, perché le sue parole mi bloccano in tronco.

"Dillo al mio passato."

Evelyne.

Dio, stimo quest'uomo come poche cose al mondo. È rinato da una situazione in cui io non avrei retto neanche la più minima delle sofferenze. E... e la constatazione è agghiacciante.

Abbiamo vissuto lo stesso destino.

Mi manca il respiro.

Gli do ancora le spalle, ma sento chiaramente la sua voce.

"Sono circostanze diverse. Non pensare ciò che stai pensando."

"Però tu l'hai perdonata."

"Ho perdonato quel lato di lei di cui mi ero innamorato. Non ho perdonato quel lato di lei che mi ha portato a essere l'uomo che sono oggi. Credi che sia bello vivere con la consapevolezza che non potrei mai più innamorarmi di nessuna senza pensare a come potrebbe tradirmi in ogni angolo possibile del mondo? Ed è una concezione malata, cazzo. Perché non posso e non incolpo tutte le donne del mondo per ciò che mi ha fatto una sola. Ma la ferità è così profonda che posso incolpare soltanto me stesso per non avere la forza di andare avanti. Tu invece puoi, Paul. Puoi imparare dagli errori. Puoi recuperare il tempo perduto."

"E cosa vuoi che faccia?" mi giro verso di lui, perché adesso sono curioso di capire come lui pensi che sia una situazione districabile. E il mio tono alterato dalle emozioni non contribuisce. "Come vuoi che agisca? Che ora io vada da Francisca a dirle che sono andato a casa della mia ex per scoparmela?"

"Esattamente ciò che intendo."

Spalanco gli occhi.

"Ma non oggi."

E ora la bocca.

"Il tuo essere precipitoso non ti ha portato a nulla di buono, Paul. Hai solo incasinato una situazione già di per sé incasinata, e stai continuando a incolpare solo gli errori di una sola donna."

"Francisca mi ha tradito, Arthur! Mi ha tradito!" Spalanco un braccio. "Hai idea di cosa significhi per la mia poca fiducia nel mondo constatare che non è cambiato niente da quando sono stato abbandonato la prima volta dai miei genitori? Hai idea di cosa significhi vivere con il costante terrore di essere abbandonati? Di non essere abbastanza per il mondo? Di operare sempre a fin di bene e sperare che l'altra persona non si faccia mai un'idea sbagliata di te al punto di sparire per sempre? Ne hai idea o no?"

Il mio tono è elevato, ma non lo scalfisce. Piuttosto, i suoi occhi sono ancora più lucidi, e portano i miei a essere a un passo da un pizzicore insopportabile.

"So cosa significa vivere con la paura di non riuscire mai a superare l'odio per un qualcuno che mi ha ferito. Ed è per questo che ho ricominciato a vivere e mi sono lasciato tutto alle spalle."

Abbasso il mento di scatto. Chiudo gli occhi.

"E la persona che ho qui davanti, insieme a un coach che si è dimostrato un padre e un essere umano speciale, mi ha dimostrato di tenere alla nostra amicizia più di chiunque altro. Mi ha dimostrato di prendere le mie difese contro Ares dinanzi a una scuola intera e non solo. Mi ha dimostrato un carattere di ferro quando si è trattato di sostituirmi a lungo, con una spalla dolorante di ritorno da un infortunio, nello sport che ha sempre alimentato la mia felicità, pur di far recuperare il mio status mentale dopo Evelyne. E mi ha dimostrato che sì, vale ancora la pena amare qualcuno. Perché esistono vari tipi di amore, e il mio per te appartiene allo stesso riconoscimento a vita che tu adotti per Cordelia. Solo che non riesci a rendertene conto perché anche tu sei una persona speciale a cui sono capitate cose cattive. Come lei."

Deglutisco un groppo in gola così amaro che la nausea mi sale istantanea. Ma i miei occhi chiusi mi permettono di non peggiorare la mia situazione emotiva. La mia voce spezzata e bassa però mi tradisce.

"Ho paura, Arthur."

Non risponde e rispetta il mio silenzio.

"Ho paura di non essere abbastanza."

Non so che reazione abbia, perché non ho intenzione di aprire gli occhi. Se lo facessi, lacrime copiose abbandonerebbero le mie ciglia per solcarmi il volto accaldato dalla frustrazione del dolore che sto provando interiormente.

"Per me sei abbastanza, Paul."

Parole dal sapore di colpo di grazia.

"E lo sei per gli altri. Per Cordelia. Per Francisca."

La voce si rompe ulteriormente. "Così abbastanza che lei..."

Mi appoggia una mano sulla spalla. Non credevo fosse così vicino. E poi mi abbraccia.
Non ricordavo quando è stata l'ultima volta che ne ho ricevuto uno. O almeno, non così sentito. Ecco perché non so come reagire. Non so come comportarmi, posizionare le braccia, non risultare invadente...

Ma Arthur è l'ultima persona al mondo che giudicherebbe le mie reazioni.
Se lo fa, è perché sa di aver ragione. E sa di volere il mio bene. Come mai nessuno era riuscito a fare in tutta la mia esistenza.

Un fischio assordante e provocatorio ci riporta nella realtà. Entrambi ci stacchiamo e fissiamo l'entrata della palestra, mentre io ne approfitto per pulirmi veloce quelle poche lacrime che non sono riuscito a trattenere.

"E io che pensavo che Capitan Arthur Nikolai Wild avesse un limite al suo procreare su ogni parete possibile e immaginabile dell'universo!"

Arthur ride. "Stai parlando di te stesso, Copperfield?"

"Oh no, sto parlando con il campione in carica di numero di scopate in un anno solare e con il campione in carica di personalità sdoppiata! O forse il secondo campione devo definirlo un brutto approfittatore depravato del cazzo?"

Dalle risate si passa al terrore.
E solo uno come Ares è capace di riuscirci in un tempo record.

Quando ci raggiunge con i suoi pattini velocissimi, ha una sicurezza nell'andatura e nello sguardo da stordirmi.

"Be', guardo il lato positivo della vicenda. So che a questo campione gli piace anche il cazzo, quindi se ci provasse con te almeno lascerebbe in pace mia sorella."

"Ares." Arthur lo rimprovera. Ma Ares non ha intenzione di smettere. Glielo leggo negli occhi omicida e nella mascella contratta. "Perché sei qui?"

"Ho un lavoro in nero come uomo delle pulizie dei cassonetti. Perché cazzo dovrei essere qui, scusami? Forse per lo stesso motivo per cui voi siete qui? E oh no, non mi riferisco a quello che stavate per fare voi due prima che arrivassi."

"Abbassa il tono e dimmi perché sei qui." risponde Arthur, inacidito, serio e al comando.

È sempre al comando di tutto quando impartisce gli ordini. Anche con il più grande pezzo di merda della storia, lui l'avrebbe sempre vinta.

"Te l'ho detto."

"Fossi in te mi concentrerei meno a dire stronzate e inveire contro gli altri e più a essere convincente nel nascondere il foglio dei turni di allenamento in un secchio dell'immondizia."

"Quella scheda del coach è sostanzialmente inutile."

"Quella scheda del coach serve a salvarti il culo quest'anno. Perché o impari la disciplina come si deve, o sarà mia premura spezzarti le ossa a una a una se ti presenterai tardi a un allenamento o ci boicotterai un solo singolo match dei cinquanta a disposizione."

Lo vedo deglutire. E capisco di avere ragione.

Il capitano è il capitano.

Ares fa una fatica immensa a replicare con quanto richiesto da Arthur, ovvero la verità. Ma dalla sua risposta, quasi quasi avrei preferito assecondare la sua strafottenza gratuita.

"C'è una persona con me. Sono arrivato in anticipo perché dovevo accompagnarla."

Dall'entrata, appare la figura di Cordelia.

Indossa delle cuffie pelose bianche che le incorniciano il viso tondo e lucido. Ha un filo di eye-liner e uno dei suoi amatissimi rossetti rosso acceso sulle labbra piene che amo così tanto mordere. Sul suo corpo meraviglioso ha un maglioncino giallo a collo alto, un jeans blu a vita alta che solo Dio sa cosa le fascia così bene, dei pattini ocra messi soltanto ora e un cappotto giallo pastello che le raggiunge le ginocchia.

Giuro di averglielo visto indossato il giorno della nostra prima uscita insieme.
Sì. Di anni fa.

Pattina verso di noi con una grazia che le riconosco in molti ambiti. Ha sempre avuto un'andatura sinuosa ed elegante. Saranno i geni di famiglia.

Ha un sorriso timido e smagliante al contempo, ma la pacca di Ares sulla spalla e le sue labbra vicino al mio orecchio mi fanno sobbalzare.

"Accetto un ringraziamento scritto su una pergamena egiziana, pezzo di merda."

"Tu!" esclama ad Arthur, poi fischia e gli fa un cenno con il capo. "Vieni con me."

"E da quando mi dai ordini? Solo io posso darmi ordini. Al massimo il coach quando le nostre idee viaggiano sulla stessa retta via e il mio orgoglio si frantuma."

"Da quando lo scorso inverno ti ho beccato con le braghe calate e il cazzo sepolto nella fica di una spogliarellista del Soho's Club."

"E pensi di avere potere su di me per aver assistito a un buon sesso consenziente? Datti al voyeurismo e la vita ti sorriderà, Copp."

"Ci tieni tanto a sottolineare il consenso?"

"Sei così testa di cazzo da non sapere che è l'unica cosa che conta?"

"Me le stai facendo girare, Wild. E la mia sopportazione giornaliera per comunicare con gli esseri umani garantisce dieci minuti di grazia."

Arthur gli dà uno scappellotto sulla nuca, poi si dirigono ad ampie falcate verso l'uscita della pista per dirigersi chissà dove.

Io, invece, resto con la mia donna. E mi avvicino per trasformare quel suo sorriso dolce in una presa sui suoi fianchi e baci sulle tempie.

Non mi accorgo di non essere ancora soli perché sto affondando le mie labbra nei suoi capelli profumati di mimosa e miele, dimenticandomi del resto.
Ma Arthur è ancora lì, impalato all'entrata della pista, e me ne accorgo solo quando sollevo il capo da lei.

Mi fisso per qualche istante con il mio migliore amico. E da lontano, mi urla le sue ultime parole della giornata:

"Ricorda ciò che ti ho detto oggi, Paul. Io ci sarò sempre. Cerca di ricordatelo quando ne hai più bisogno. E fai attenzione."

Dopodiché, i suoi occhi profondi e sinceri fanno spazio alle chiacchiere di Ares che lo coinvolgono in qualcosa a tema NHL.

Cordelia mi dà un pizzicotto sui fianchi, e io mi giro di nuovo verso di lei per darle tutte le mie attenzioni e tutti i miei sorrisi più sinceri.

Arthur si sbaglia.
Lei mi fa stare bene.
Mi fa sentire protetto dalle mie paure.
La amo.
E glielo dimostrerò.

Lei arriccia il naso quando io mi avvicino per morderle la punta, e poi ridacchia. Anche il suono della sua voce mentre fa questo mi rende rilassato e più ponderato. Una persona migliore.

"Sei venuta a spiarmi?" la provoco scherzoso, a bassa voce.

"Mh-mh." mi risponde, suadente e dondolando fra le mie braccia. Ha un girovita così sottile di cui ho sempre avuto paura di spezzarlo quando l'ho presa più volte in posizioni diverse.

"E perché? Hai finito le lezioni?" le chiedo dolce.

Annuisce. "Ho anticipato l'uscita dall'aula di sassofono. Ho finito il test di solfeggio prima dei compagni. E il prof mi ha lasciata andare."

"Ma che brava la mia ragazza..." le sussurro sulle labbra, prima di darle un bacio a stampo e avvicinando di più i nostri bacini. Avverto le sue guance arrossirsi e le sue mani tremare appoggiate sul mio petto. "Ma ho sempre saputo che fossi la prima della classe."

"Sono la prima della classe anche in molti altri contesti, signor Hills."

La sua provocazione mi fa bollire una parte precisa del corpo.

"Ah sì?"

"Certo." cantilena, melliflua. Il suo morso sulla mandibola accende in me una fantasia che no, proprio non dovrei immaginare. Non qui. Su del ghiaccio in una palestra congelata.

"Hai freddo?" le chiedo.

Nega, ma non le credo. Ha iniziato a tremare dal primo istante che l'ho stretta fra le mie braccia, ma pensavo fosse dovuto all'emozione di vedermi. Forse è anche quello, perché causa studio e impegni extra scolastici non ci vediamo da cinque giorni: lei ha un'associazione benefica per cani randagi o abbandonati. Io ho il mio studio di dipinti che mi occupa metà del tempo delle mie giornate. Per due che sono abituati a fare sesso almeno una volta ogni due giorni, è un supplizio.

Sono secondo solo a quel disgraziato del mio migliore amico, che se ne va in giro dicendo che lui, in una relazione, appagherebbe la sua donna con un minimo di tre volte di sesso al giorno. Prego per la pancia – e non solo – di quella povera moglie che dovrà generare i suoi figli. Anzi, il suo esercito di figli.

"A cosa pensi?" mi chiede, i suoi occhioni dolci a rendermi più quiete.

"Al sesso." rido.

"Che coincidenza. Anch'io."

La sicurezza che emana nella sua voce tutte le volte che deve confidarmi la sincerità dei suoi pensieri è uno degli aspetti che più mi piace di lei. Figuriamoci quando mi dice che...

"E sto immaginando il tuo cazzo nelle profondità della mia gola proprio in questo momento."

Cristo.

Il soggetto del suo desiderio non ce la fa più.

Dopo questa frase, con quel livello di provocazione e fame nel timbro di voce, non è più un segreto. Il suo amato soggetto è dritto e più vivo che mai.

Ma decido di mettere da parte le mie voglie malsane in una palestra di uno spogliatoio con il fratello a pochi metri di distanza, e le trascino una ciocca di capelli dietro un orecchio.

"Come è andata la tua giornata?"

"Intendi dire la litigata accesa e furiosa che ho avuto con mio fratello in macchina?"

Il mio cuore si restringe. "Mi... mi dispiace."

Lei fa spallucce. Tenta come sempre di calare una maschera per coprire i suoi veri sentimenti, ma io la vedo. Vedo oltre le increspature.

"Non importa. Se ne farà una ragione. Mi ha pur sempre accompagnato. È un buon inizio."

Io però non riesco ad assecondare il suo tono forzatamente scherzoso per alleggerire. La situazione con Ares non era da sottovalutare, e io l'ho fatto. I primi giorni è stato tremendo convivere con lui e la sua faccia in classe. Ringrazio i santi protettori per avere ancora una testa sul collo.

Ed è stato ancora peggio quando lui ha saputo del tradimento di Francisca. Non ha fatto altro che sbattermi in faccia di usare sua sorella. Ed è dovuta intervenire lei per dirgli che erano fatti suoi su come volesse gestire la sua vita. Cordelia non ha smesso di farmi domande su quanto accaduto quel giorno, e in un lungo discorso fatto di incomprensioni, pianti e parole decise, le ho detto la verità.

Ero lì per distrarmi. Ma intendo davvero ricominciare daccapo. E dare un'altra opportunità al nostro rapporto.

E così, dopo quattro settimane di alti e bassi dovuti a lei che lanciava costantemente frecciatine alla mia ex, alla fine si è rassegnata. Le ho fatto capire che era di lei che volevo parlare nelle nostre conversazioni.

Lei.
E non chi mi ha tradito.

"Oggi ho intravisto Francisca."

Al diavolo tutti i miei buoni propositi per mantenere il mio umore leggermente migliore degli ultimi dieci giorni. Fingo di non interessarmene più di tanto, ma dal modo in cui lei mi guarda, temo che non mi creda.

"So che ti interessa. No. Non ci siamo tirate per i capelli. Ma potrei essere stata..."

"Non voglio saperlo." le do un altro bacio casto. "Ti chiedo solo una cosa."

"Dipende."

"Non prendertela con lei."

Avrei voluto non dirlo. Avrei voluto che la bocca mi fosse tagliata. Eppure l'ho fatto. E dal suo sguardo cupo, la linea dritta delle sue labbra e il sobbalzo del corpo, capisco che devo accettarne le conseguenze.

"Cosa?"

La sua risposta è sottile, ma... scossa. Si può dire scossa per non dire altro?

"Non voglio che vi facciate del male."

"Vi? O lei?"

"Cordelia..."

"La stai proteggendo?" Il suo tono si è alzato. "Ancora, Paul?"

"Non la sto proteggendo, sto solo dicendo..."

"Che pensi ancora al benessere di quella stronza. Che pensi ancora a quella troietta che ti ha tradito. Dio, Paul, non ce la faccio a sopportare tutto questo. Non io. Per favore. Non io che–"

La cingo meglio e stringo di più per non farla scappare. Lei emette un gemito che è di frustrazione, ma il mio cazzo non capisce la differenza tra chi si struscia su di lui perché può capitare per sbaglio e chi lo fa con interesse.

La bacio ancora. La profondità e la delicatezza dello stacco le permettono di respirare e sbollire le guance rossicce.

"Non litighiamo. Per favore."

Sei la mia unica ancora di salvezza per la tranquillità, vorrei dirle.

"D'accordo." bisbiglia, naso contro naso.

"D'accordo?"

"D'accordo."

Una successione di fiati corti per poi concludersi con un altro bacio. Questa volta, lei mi avvolge le braccia intorno al collo, e io mi lascio trasportare dalla sua dolcezza. Si alza sulle punte e infila le sue unghie lunghe e gialle nei miei capelli.

Dio, le vorrei ovunque.

"Siamo io e te, in questo momento. Ed è ciò che conta."

"Anche se ho detto alla tua ex di starti lontano?"

Mille coltellate mi pugnalano lo stomaco. Resto in paralisi per qualche secondo.

"Che vuoi dire?"

"Quello che ho detto. L'ho minacciata."

Altri secondi, altra paralisi.

"Cordelia, non..."

Mi appoggia un dito sulle labbra. Vorrebbe di nuovo alzare la voce, ma forse la sua pacatezza mi spaventa ancora di più.

"Se tu non hai il coraggio di chiudere i rapporti con la tua ex traditrice, allora ci penso io a farle capire con le... buone."

Il modo in cui sottolinea quel buono non mi piace.

"Che vuoi dire?"

Fa spallucce.

"Cordelia." Sono teso.

"È mai possibile che tutte le volte che siamo insieme iniziamo a parlare di quella stronza?"

"Non è assolutamente vero."

"Se non tutte, quasi, Paul. Dalla cosa più semplice alla più stupida. E per quanto mi riguarda, quell'arrampicatrice sociale è già stata fin troppo su questo pianeta."

Non voglio che lei faccia questi pensieri.
E non voglio che se la prenda con Francisca.

Cordelia non è ciò che mostra.
Non è quello che vuol far credere agli altri.
È una donna di una profondità immensa, la cui analisi di Arthur è fottutamente veritiera. E io non voglio procurarle altro male, perciò le accarezzo i fianchi, sospiro e appoggio la fronte contro la sua.

"Come stai? Mi sei mancata."

Ho paura di come possa reagire. Ho paura di come possa interpretare la mia domanda. Ma ogni paura viene allontanata dal suo sorriso. Il suo splendido sorriso a occhi chiusi, che bacio più volte e con grazia insieme alle sue palpebre.

"Mi sei mancato anche tu." borbotta, con le sue labbra premute dalle mie. "E ho proprio voglia di scoparti."

Dio. Cordelia.

Il mio corpo non collabora.

"C'è tuo fratello nella stanza accanto."

"E allora?"

"E allora ho ancora voglia di vivere e avere dei figli e nipoti."

A questa espressione, la sua faccia muta in un qualcosa che non riesco a interpretare. Non è sconvolta, né irritata. Anzi.

"E in più," aggiungo "a meno che non ti piaccia l'esperienza nuova del tuo culetto nudo sul ghiaccio artico, o le tue cosce spalancate sui sedili delle panche, dubito che–"

"La mia macchina."

Mi blocco.

"Ares se ne andrà via con Arthur. La mia macchina e la mia bocca, invece", le sue dita scendono con un movimento sexy, fino ad afferrarmi il pacco. "sono tutte per questo qui."

Per il mio cazzo.
La sua bocca pronta per il cazzo.

Cristo.

Devo immediatamente togliermi questa immagine dalla mia testa.

Ma è troppo tardi.
Non ho un contatto fisico con la mia ragazza da giorni. E lei mi sta implorando con i suoi occhioni dolcissimi e un culo che, visto da dietro, mi fa pensare ai peggiori modi per prenderla sul sedile posteriore. Pattina verso l'uscita con un andamento che lo evidenzia, e le mie mani già formicolano all'idea di come vorrebbero schiaffeggiare quelle pacche lucide.

Ridacchia. Ridacchia e il suo caschetto svolazza. È così bella e felice che non vorrei desiderare nient'altro che questo.

Renderla felice.
Darle ciò che merita.
Ricordarle che donna speciale sia.

E mentre la raggiungo verso l'uscita, accattivato dal gesto del dito con cui mi sta chiamando provocatoria a sé, io sorrido.

Sorrido come non mi succedeva più da un mese.
E sì, mi convinco che questo rapporto tra noi, fatto di tanta complicità, momenti intimi, chiacchierate profonde a tarda notte per telefono e nel suo letto e qualche litigio per chiarirci, possa davvero trasformarsi in un qualcosa che cerco da troppi anni.

Un rifugio.

Un rifugio dai mali del mondo.

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