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Mila

Lunedì

Il consiglio di Carol fu di non ascoltare le voci che sarebbero girate a scuola e l'avrei fatto. Sarei andata per la mia strada evitando tutti come se fosse un giorno tale e quale agli altri.

I social non erano un mondo che mi apparteneva, perciò non sapevo se avessero continuato a postare notizie. Mi risultava difficile comprendere il motivo di tanto interesse, iniziavo a credere alla teoria di Dan.

Mi ero svegliata presto per andare al bar a fare colazione e fermarmi qualche minuto a leggere. Mi piaceva farlo in ambienti diversi, in qualche modo stimolavano la mia concentrazione e il mio interesse. A quell'ora non c'era nessuno, così potei scegliermi il tavolo più appartato.

Il barista era un ragazzo, nel quartiere molti giovani lavoravano nei locali. Presi un cornetto con la crema e un caffé.

Mentre preparava il caffé chiese: "Come mai a quest'ora? Di solito vengono tutti poco prima che inizino le lezioni."

"Esistono persone che non seguono la massa," gli feci notare, "preferisco avere un po' di tranquillità."

"È anche freddo."

"Sì, quello è un motivo in più per venire." E sorrise appoggiando sul bancone la tazzina e un piatto con sopra il cornetto.

"Se ti serve altro, sono a tua disposizione," disse affabilmente, "completa disposizione siccome sei l'unica."

"Stanno arrivando dei signori... immagino di non essere più l'unica" osservai. Nel momento in cui si voltò per controllare l'entrata, colsi l'occasione per pagare e raggiungere il tavolo che avevo adocchiato.

Aprii lo zaino notando di aver portato due libri e rimasi sconfitta di fronte al classico e il romanzo di Nicholas Sparks. Sospirai e presi il classico, magari quel posto mi avrebbe aiutata. Così iniziai a leggere alternando la lettura alla colazione. Senza accorgermene, riuscii a finire un capitolo intero. Presa dal momento continuai, concludendo anche quello successivo. Desideravo andare avanti, ma non avevo abbastanza tempo. Chiusi il libro e vidi arrivare il ragazzo di prima.

"Eri concentrata, non volevo disturbarti" fece.

"Volevi chiedermi qualcosa?"

"Ah no niente, ma immagino volessi sapere l'orario. Tra poco inizieranno a venire anche gli altri."

"Non era necessario dirmelo, ma grazie. Stavo giusto andando via..." e mi alzai facendo per andare.

"È la prima volta che vieni qui?" chiese ancora.

Mi fermai e mi girai per rispondergli: "No, ma non vengo spesso. Preferisco variare."

Annuì, potei finalmente uscire dal bar, mentre lui tornò dietro al bancone. Per mia sfortuna nell'esatto istante in cui aprii la porta, Melanie stava entrando. Mi guardò di sottecchi per poi chiedermi se avessi parlato con Dan.

"Di cosa avremmo dovuto parlare?" Cercai di allontanarmi per evitare la discussione, ma non sembrava intenta a lasciarmi andare.

"Di me." Non pensavo potesse essere così egocentrica.

"No, non l'ho fatto. Potresti andare tu a parlargli di te, mi sembra più logico" consigliai.

"Ma io l'ho chiesto a te. Ti ho già spiegato che non mi ascolta, mentre a te... beh, ho visto le foto che girano questi giorni. So che non mi faresti una cosa del genere... aiutami a farlo tornare da me, in questo modo nessuno crederà a questa storia." Avrei voluto non ascoltare la sua voce, risultava falsa e ingannevole.

"Tieni i tuoi piani lontani da me... per favore" e me ne andai in direzione della scuola.

Ci mancava solo quello. Melanie aveva distrutto quel piccolo momento di tranquillità, mi ero addirittura dimenticata della situazione in cui mi trovavo, ma era bastato poco per far tornare tutto nella mente. La cosa più assurda era la sua finzione, voleva farmi credere di non essere stata lei a far partire tutta quella messa in scena.

Sul parcheggio vidi Alis uscire dalla macchina di Dan. Lei si guardava intorno per controllare chi ci fosse, lui si diresse senza problemi all'interno dell'istituto. Alis mi vide e mi raggiunse salutandomi gentilmente.

"Come va?" domandò. Fui felice di trovarla in buona salute, mi stavo preoccupando per lei.

"Piuttosto a te come va?"

"Bene bene... sono stati giorni movimentati" rispose e potei immaginare a cosa si riferisse. Non replicai, non volevo creare una lunga conversazione e soprattutto non volevo che venissero fuori le voci che giravano su me e Dan.

Prima di dividerci riuscì a dirmi di vederci durante la ricreazione e dovetti accettare per non risultare ostile.

Arrivata alla porta della mia classe pensai che mi aspettassero solamente degli sguardi impertinenti, invece sul banco ritrovai delle scritte offensive. Le guardai a lungo riflettendo sulla cattiveria che alimentava il mondo. Sentii delle risate e delle occhiate addosso, mi limitai a sospirare.
In quell'istante Dan entrò in classe e venne nella mia direzione. Notò le scritte sul banco, mi guardò, poi abbassò il viso di nuovo sulle scritte, questa volta infuriato.

Prese un fazzoletto dallo zaino e iniziò a strofinarlo sulla superficie senza ottenere risultati, il pennarello era indelebile. Si girò verso i pochi ragazzi presenti e urlò: "Chi si fa avanti per pulirlo con la lingua? O volete che ve lo spacchi direttamente in testa?"

Tutti si ammutolirono, mentre io lo guardavo confusa. Non poteva semplicemente lasciar perdere?

"Idioti" commentò a bassavoce e prese il banco con determinazione che quasi pensai avesse intenzione di lanciarlo veramente contro qualcuno, era imprevedibile. Fortunatamente lo portò semplicemente fuori e ne prese un altro pulito.

Avrei voluto rimanere in silenzio, ma decisi comunque di non farlo. "Dove lo hai preso?"

"Dall'aula accanto" confessò facendo spallucce.

"E l'altro dove lo hai lasciato?" domandai ancora.

"Non importa. Piuttosto, bisogna risolvere la situazione e formulare un piano. Potresti parlare con Melanie o potrei mandare qualcuno a minacciarla. Tutto questo inizia a irritarmi."

In entrambe le opzioni non avrebbe dovuto agire in prima persona. Si tirava indietro se c'era da risolvere la questione. Non diceva di parlare lui stesso con Melanie, no, dovevo farlo io o addirittura degli sconosciuti.

"Venire qui e fare sceneggiate del genere non risolveranno di certo la situazione. Dovresti andare tu a parlare con lei, metterci la faccia. Ho già avuto il dispiacere di parlarci questa mattina e non mi sembra desiderosa di lasciarci in pace. Quindi prova tu per una volta e lascia stare le minacce, aggiungeresti solo altri problemi."

Mentre ascoltava mi guardava negli occhi, avevo quasi l'impressione che si fosse deconcentrato per pochi secondi. Speravo che avesse compreso almeno il concetto.

"Non ho intenzione di parlarle."

"Allora vai. Non hai motivo di stare con me se non per trovare un modo per placare le voci" e mi sedetti facendo per sistemare i libri sul banco.

"Voglio trovarlo questo modo" replicò scocciato.

"Ne esiste uno fino ad ora, ma non affronti i problemi in prima persona, quindi è inutile continuare a discutere. È meglio se vai, le lezioni inizieranno a momenti." Mi guardò insistentemente un'ultima volta prima di abbandonare l'aula e solo in quel momento mi accorsi delle persone che ci stavano osservando. Per distrarmi iniziai a scrivere sulle pagine finali del quaderno. In pochi minuti ebbi una poesia di qualche riga sotto gli occhi, decisi di trascriverla sull'agenda insieme alle altre.

Durante la ricreazione andai verso le macchinette prima di cercare Alis, quando fu lei stessa a venirmi incontro. Forzai un sorriso, non perché non volessi farlo, ma la mia espressione era solitamente neutra e priva di emozioni.

"Dove andiamo? Fuori o restiamo nel corridoio?" chiese e preferii andare nel cortile per svincolarmi dalle occhiate altrui.

Pensai di essere scappata da quel discorso, ma Alis lo introdusse. "Ho saputo cos'è successo. Certo che la gente non si fa mai gli affari propri."

"Possono interessarsi di ciò che vogliono senza influenzare gli altri. Non mi interessa se pensano che... che io e Dan siamo una coppia, ma desidererei almeno avere i miei spazi, restare da sola, essere invisibile. È ciò che sono sempre stata e che voglio continuare a essere." Mi guardai intorno, lì fuori era più tranquillo e tutti erano occupati nei loro discorsi.

"Perché vuoi essere invisibile?"

"Esserlo non dev'essere necessariamente visto in modo negativo. Il mio mondo è selettivo. Preferisco pensare a me senza il peso di scaricare dubbi o problemi sugli altri o il contrario." Ripensò alle mie parole forse per trovarne il senso, ma fui certa che ci arrivò.

"E... stare con Dan non ti infastidisce?" domandò.

Feci spallucce e risposi semplicemente: "Non fa parte del mio mondo."

Decisi di passare l'argomento su ciò che era successo ad Alis per non concentrare l'attenzione su di me. Non voleva parlarne, ma, accorgendosi delle domande che aveva fatto prima a me, decise di farlo.

Capii che non aveva perdonato i Kings, o almeno ne restava uno. Proprio Matthew. Notai un po' di nostalgia nelle sue parole e nella sua espressione che non comprendevo. Se gli mancava, perché non parlarci? Perché non andare a risolvere la situazione? Rendevano tutto più complicato. Non facevano nessun torto agli altri, ma solo a loro stessi.

Continuava a ripetere come si sentiva: delusa, presa in giro... Si basava solo sulle sensazioni e non sui fatti concreti, perché non aveva ancora trovato il coraggio di affrontarlo. Forse ci teneva così tanto da non voler sentire la verità. L'ascoltavo senza condividere il suo pensiero. Probabilmente una parte del mio disaccordo era dovuto alla mia poca esperienza, poco mi importava delle relazioni, quindi non avevo la minima idea di come mi sarei comportata, ma credevo che avrei agito sicuramente in modo diverso.

Accertandosi che io sapessi qualcosa di quel gruppo, iniziò ad andare più sul dettaglio spiegando meglio i suoi dubbi. Non mi interessava sapere ulteriori informazioni sui Kings, ma la lasciai parlare.

"...i suoi amici lo proteggono, è chiaro che devono difenderlo. Ma se lui era partito con l'idea di corteggiarmi per usarmi come aveva fatto Tyler... allora  è un bugiardo come penso. In fondo hanno continuato a fare ciò che faceva lui e Matthew ha voluto usare anche i suoi metodi per rendere tutto più semplice."

Per cercare di non farla continuare, replicai: "È un'esagerazione. Matthew non mi sembra quel tipo di ragazzo e poi se il tuo presentimento è così forte, lascialo stare. Sei tu a decidere cosa fare della tua vita, se non vuoi che lui faccia parte della tua, allora non lasciarlo entrare. È più semplice di quanto sembri."

Restò in silenzio metabolizzando. "Il fatto è che per me è difficile... continuo a parlare così per parlare di lui. Forse mi manca."

"A questo punto vai da lui e cerca di risolvere la situazione. Perché devi avere nostalgia di persone che sono così vicine a te? Guarda, è lì che ti fissa." Puntai lo sguardo verso la sua direzione, con lui c'erano altri membri del gruppo.

"Vorrei essere un po' più impulsiva. Credo che andrò a parlarci... ma non oggi."

"La scelta è tua, però non dovresti sempre rimandare. Magari lui non ha colpe e ora è distrutto. Non puoi mai sapere cosa prova realmente una persona. Forse lui sente più dolore di te, magari soffre solo per paura di aver sbagliato qualcosa con te pur non sapendo cosa."

"Mmh hai ragione" commentò. Dal tono non sembrava convinto, ma semplicemente era dura accettare le mie parole e pensare che nessuno dei due aveva in realtà sbagliato.

Mi alzai dal prato dove ci eravamo appostate e la salutai per tornare in classe. Durante la ricreazione era solitamente vuota, momento perfetto per passarci qualche minuto. Per mia fortuna la trovai deserta come mi aspettavo. Mi avvicinai alle finestre per osservare una parte del cortile e la strada.

"Se non sai dove trovare Mila, prova a cercare in classe" disse Dan come se stesse dando indizi per una caccia al tesoro. Era appena entrato e si avvicinava lentamente.

"Come mai mi cercavi?" chiesi confusa.

"Deve sempre esserci un motivo?" domandò a sua volta. Ancora più perplessa, non replicai. "Volevo dirti che ti aspetto a fine lezioni qui fuori."

"Nemmeno lo chiedi? Dai per scontato che io venga da te?"

"Perché non dovresti?" Infastidita non gli diedi modo di provocarmi e mi limitai ad alzare gli occhiali con la punta dell'indice. Sorrise lievemente al che aggrottai le sopracciglia. "Possibile che sei sorpresa da qualsiasi cosa io faccia?"

"Non sono sorpresa, sono confusa. I tuoi comportamenti sono insensati... prima con il banco, ora dici che mi aspetterai a fine lezioni, poi sorridi senza un motivo. Per non parlare di quando ti arrabbi. Ma questi sono solo miei pensieri, poco mi importa dei tuoi comportamenti."

Sorrise di nuovo cercando di nasconderlo inumidendo le labbra con la lingua. "Se ti dà fastidio, perché dici che non ti importa?"

"Non mi dà fastidio, questo sei tu ad averlo detto. Semplicemente non li capisco, ma non mi interessa, perché sei tu a decidere come comportarti alla fine e a me non riguarda. Penso ci sia sempre un motivo dietro e non devo per forza saperlo" spiegai.

"Okey non importa." Guardò lo schermo del telefono, probabilmente per vedere l'ora. Poi se ne andò pensieroso ricordandomi che mi avrebbe aspettato fuori dall'aula.

Qualche istante dopo i miei compagni di classe entrarono uno ad uno e mi affrettai a riprendere il mio posto. Alcuni sembravano distratti, altri continuavano a parlare tra loro. Era quello l'effetto della ricreazione, una pausa dalle ore di attenzione. Tutti apparivano più tranquilli i minuti successivi perché si erano rilassati, poi sarebbero tornati come prima, stanchi e annoiati.
Io non sapevo che effetto mi faceva la scuola. Seguivo le lezioni con naturalezza, se mi distraevo non era un problema, perché recuperavo la spiegazione da sola. Le pause non erano molto diverse, perché non ero in compagnia. A volte capitava di stare con le Sparks ma non partecipavo alle loro conversazioni, nemmeno le ascoltavo. Tutto ciò che mi accompagnavano veramente erano i miei pensieri, sia in classe che in corridoio.

L'ultima ora l'insegnante decise di farci scrivere un tema da consegnare. Nonostante dei borbottii e lamenti, dettò due tracce: una sulla felicità e una sul'abbandono.

Non esitai a scegliere la seconda solo perché non avevo la minima idea di cosa scrivere sul primo argomento. Così iniziai e in venti minuti ebbi scritto un'intera pagina senza essere a corto di ispirazione. Più scrivevo e più avevo in mente le parole successive.

La campanella suonò, ma potevamo aspettare altri cinque minuti prima di consegnare. Rilessi il testo per controllare gli errori e portai il foglio sulla cattedra. Poi presi lo zaino e mi fiondai fuori dall'aula in direzione dell'uscita.

"Ehi ehi" mi bloccò una voce alle mie spalle. "Dove vai?"

Mi ero completamente dimenticata di Dan troppo presa dal tema e dalla fretta di finire.

"Stavi aspettando che me ne andassi?" chiese infastidito.

"No, stavamo scrivendo un tema e avevamo dei minuti in più. Mi era passato di mente" spiegai. "Cosa volevi dirmi?"

"Non qui" e fece un mezzo sorriso pericoloso. Mi prese la mano facendomi strabuzzare gli occhi, ma quando cercai di non pensarci mi accorsi di avere lo stomaco in trambusto. Cercai di nascondere le nostre mani dietro alla sua schiena per non farle vedere agli studenti che stavano uscendo dalla scuola, mentre noi rimanevamo lì e andavamo in direzione dell'aula vuota in cui eravamo entrati l'altra volta insieme a Matthew.

Mi fece spazio, poi entrò anche lui chiudendo la porta. Sentii un tintinnio di chiavi e mi girai notando che stava chiudendo con quelle la porta.

"Cosa fai?" domandai avvicinandomi.

"Chiudo la porta" rispose ovvio.

"E perché?" continuai.

"Così restiamo qui e non ci disturba nessuno."

Ero sicura che nessuno sarebbe entrato in quei pochi minuti in cui avremmo parlato, perché tutti si stavano dirigendo verso l'uscita. Eravamo soli lì nel seminterrato, neppure i bidelli sarebbero passati, perché controllavano gli altri piani.
Mi sedetti in attesa che dicesse qualcosa per potercene andare. Non proferì alcuna parola, restò a guardarmi, almeno finché non gli dissi io di farlo. E così iniziò a ripetere le stesse frasi, che io dovevo parlare con Melanie o che avrebbe mandato qualcun altro. Sembrava quasi una presa in giro. Mi aveva portata lì per parlare, aveva addirittura chiuso la porta a chiave e non aveva niente di nuovo da dire.

"Mi spieghi la necessità di tutto ciò?"

"Risolvere la situazione." Non gli credevo, non aveva senso.

"Ne abbiamo già discusso, stai solo ripetendo le stesse parole di questa mattina." Rimase in silenzio. "Puoi farci uscire? Devo tornare a casa a piedi."

"No."

"Non capisco perché no. Cosa vuoi fare qui?" Invece di rispondere, andò verso le finestre, ne aprì una e buttò le chiavi fuori prima che potessi realizzare. "Dimmi che è uno scherzo e hai un'altra chiave." Ma scosse il capo.

Sospirai restando calma, c'era sicuramente un motivo per cui l'aveva fatto e speravo che ne valesse la pena. Non aggiunsi altro, avevo parlato abbastanza per i miei gusti, era il suo turno di spiegare.

"Sul serio?" fece seccato a un certo punto. "Nessuna reazione? Ma come fai? Anche io mi irrito per le mie stesse azioni!"

"Iniziavo a pensare che non ragionassi... ma lo fai apposta, ecco svelato il mistero. Ora resta da capire il perché." In realtà non volevo saperlo, ma uscire di lì e tornare a casa. Il libro che avevo nello zaino aspettava di essere letto.

"Tu. Tu sei il motivo." Lo guardai confusa, anche lui non distoglieva mai lo sguardo dai miei occhi e si avvicinava allontanadosi dalla finestra. "Sembra che non ti infastidisca niente. Hai sempre lo stesso umore, non sei mai turbata. Cioè guardami, irritare la gente potrebbe essere il mio mestiere! Ma tu... sei la peggior cliente di sempre. La cosa più strana è che non mi giudichi, cerchi di capire le mie azioni. Mi sembra quasi di leggerti nel pensiero."

Finalmente riuscii a capire parte dei suoi strani gesti. Voleva smuovere la mia indifferenza a tutto. Le sue parole erano vere, era stato un attento osservatore. Quando non capivo alcuni atteggiamenti lo dicevo senza insultare nessuno o giudicarlo, perché non potevo sapere cosa si celasse dietro a quei gesti. Poteva darsi che la persona in questione non vivesse una vita facile, causa dei suoi tormenti e comportamenti. Preferivo visualizzare l'errore, farlo notare senza obbligare di cancellarlo, ma di provare a capirlo e rimediare. Forse lo facevo proprio perché la mia neutralità era una conseguenza dell'allontanamento dei miei genitori. Senza di loro avevo dovuto trovare una strada per non soffrire alla vista degli altri bambini felici con il loro padre o con la loro madre, mentre io dovevo accontentarmi della loro voce qualche volta a settimana. Era dura e per riuscire a sopportare la situazione dovevo spegnere le mie emozioni.

"Ogni azione ha la propria motivazione. Mi piace ripertemelo ogni volta che incontro qualcuno. È facile giudicare, bisogna piuttosto cercare di capire. E se non ci riusciamo... non dobbiamo interferire nella vita altrui. È come se io mi inserissi in una squadra di... non so... pallavolo, senza saper nemmeno giocarci." Cercai di rendere il più possibile la mia idea che poteva risultare complicata. Non la condividevo spesso, forse mai, ed era difficile spiegare i miei pensieri. O almeno quella era la mia impressione.

Continuò a guardarmi incuriosito. Ormai eravamo entrambi seduti. Rimasi in silenzio, il mio discorso era finito. Erano molte le cose da dire, ma non sarei mai riuscita ad esprimere a pieno i miei pensieri, perché dopo un determinato tempo in cui parlavo, mi accorgevo dell'aggiunta di parole su parole, mi perdevo e mi confondevo fino ad ammutolirmi completamente. Di solito riuscivo a terminare il discorso, ma capitava anche che lo lasciassi inconcluso.

"Tu non mi dai filo da torcere, o forse lo fai in modo diverso.... E questo mi piace" constatò.

Lasciai passare qualche secondo prima di cambiare argomento. "Quindi dovremmo restare qui? So che hai delle chiavi nascoste da qualche parte" tentai.

Con un ghigno rispose: "Quale parte? Comunque no, le ho fatte volare fuori dalla finestra. Avevano bisogno di aria."

"Come dovremmo uscire?"

"Semplice. Non usciamo."

"Resteremo qua tutto il giorno?"

"E tutta la notte" specificò, "fino all'arrivo di qualcuno che ci apre la porta."

"E se io avessi fame? Come facciamo a sopravvivere?" Puntò l'indice verso le macchinette.

Mi arresi e per evitare altre conversazioni, frugai nello zaino per prendere il libro e mi misi a leggere. All'inizio sentivo il suo sguardo addosso, poi fui presa dalla lettura e non ci feci caso. Dei libri mi piaceva molto fantasticare sul finale. Per Emma ciò mi risultava impossibile. Non avevo capito lo scopo del libro e nessuna storia d'amore sembrava tale nonostante avessi ormai superato la metà delle pagine. Fui distratta dalla lieve risata di Dan e quando alzai gli occhi in sua direzione notai che i suoi erano a sua volta rivolti a me. Scossi la testa come per chiedergli quale fosse il motivo della sua improvvisa allegria.

"Oh scusa, hai fatto un'espressione troppo buffa. Fai così ogni volta che leggi?" domandò divertito. Quella volta la mia indifferenza non poté nascondere il rossore formatosi sulle mie guancie.

Chiusi il libro assicurandomi di aver messo il segnalibro. "Non è colpa mia se non capisco delle scene."

"In effetti fai le stesse facce con me e deduco che io crei molta confusione."

"Mi hai portata qui. Rettifico. Mi hai portata e rinchiusa qui. Più confusa di così..."

Mi alzai per prendere qualcosa alle macchinette. Presi il portafoglio nella tasca dello zaino, ma prima che potessi inserire i soldi nel distributore di snacks, Dan mi anticipò affermando: "Come hai detto tu, sono io ad averti rinchiusa, quindi sono io a pagare."

Insistere non sarebbe servito a nulla, così lo lasciai fare. In attesa di prendere le patatine e i crackers scelti, misi le mani nelle tasche posteriori dei jeans accorgendomi di avere il telefono.

"Posso avvisare qualcuno che siamo qui!" esclamai speranzosa. Quando però pigiai il tasto per accenderlo, lo schermo del telefono rimase spento. "Mannaggia a me che non lo carico perché penso di non usarlo..."

"Se non lo carichi, perché portartelo dietro?" Non era il momento per le sue puntualizzazioni. La mia preoccupazione era solo una.

"Carol penserà che mi è successo qualcosa... L'ho sempre avvisata... Non vorrei che si sentisse male per colpa mia. Tu non hai il telefono con te?" chiesi nervosa.

Controllò e disse: "È all'uno percento. Al contrario di te io lo carico ma lo uso spesso."

"Devo assolutamente avvisare Carol che non sarò a casa oggi."

"Perché, chi è Carol? Una tua amica?"

"Non importa ora." Glielo avrei spiegato più tardi se necessario.

"Qualcuno a scuola la conosce?" Ci pensai su. Alis sapeva chi fosse! Così scrisse a lei e appena inviò il messaggio anche il suo schermo diventò nero. Fui felice di essere riuscita tramite Dan a chiedere ad Alis di avvisare Carol. Era un intreccio un po' strano, ma non avevo altre vie.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

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