• 49 •

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Alis

Quando l'avevo visto andarsene mi ero sentita completamente vuota, sola e rifiutata. Ma avevo preso una decisione e non l'avrei abbandonata. Matthew aveva bisogno del mio aiuto, forse ero io a necessitarne più di lui. L'unica soluzione che mi veniva in mente era trovare il colpevole, trascurando il come.

Feci colazione con lo sguardo fisso sulla sedia di fronte e nonna se ne accorse limitandosi a fare una battuta che mi destò. Fu utile per ricordarmi del latte ancora caldo. Constatai di aver bisogno di fare una passeggiata e, dopo essermi assicurata che nonna stesse con Carol, uscii con il mio cappotto e la sciarpa a coprirmi sino alle labbra.

Cercai di ricordare dove si trovava quel parco dove mi aveva portata. Dopo aver confuso qualche strada, per timore di finire in qualche via "oscura", chiesi a un signore che teneva per mano un bambino con l'attenzione rivolta al giardino della casa vicina. Mi indicò il luogo facendo lui stesso fatica a ricordare, poiché sosteneva non ci andasse più nessuno. 

Con il passo tremante dovuto al freddo, mi incamminai e lo trovai, vuoto. Provai a entrare e subito mi sentii estranea, o meglio, incompleta. Perché doveva essere tutto così complicato?

Appena sentii un fruscio mi voltai terrorizzata, per poi tranquillizzarmi alla vista di Nathan.

"Cosa ci fai qui?" chiese.

"Devo proprio rispondere?"

"Ti ha portata lui vero?" Annuii. "Ti manca e non sai che fare?" Annuii di nuovo. "Vuoi un abbraccio?"

E così si avvicinò e mi strinse forte a sé, un gesto confortante che alleviò la pesantezza nella mia testa.

"Se ti chiedessi di controllare le chiamate dei Kings per vedere se c'è qualcosa di insolito, lo faresti?" tentai.

"No. Alis ci ho pensato bene... non voglio risolvere la situazione in questo modo, non ne vale la pena."

"Non so che fare" ammisi.

"Sai che non è colpa tua, giusto?" Non risposi. "Non devi sentirti in dovere di scoprire chi era con Joan. È successo un anno fa e nemmeno sai da dove iniziare. Lascia stare, non spetta a te questo caso."

Nonostante quelle parole sembrassero così corrette, non le percepivo come tali e restai nella mia idea.

"Alis. Quando Lena se ne andò, sentivo il dovere di scoprire tutto, di punire chi doveva essere punito, di trovarla... perché mi mancava un pezzo e non c'erano certezze, tutto era confuso. Se...", fece un sospiro, "anche se non hai più una madre... e ti manca un pezzo... non significa che tu debba cercare i pezzi mancanti degli altri, non sei stata tu a strapparli e portarli via. Questo è ciò che voglio che tu capisca."

"Sei mai stato innamorato?" cambiai discorso.

"Non mi interessa l'amore, sono sempre stato distratto per pensarci. Amo la mia famiglia però."

"Mmh... Io voglio provarci fino alla fine" replicai tornando all'argomento precedente. "Puoi portarmi da loro?"

"Intendi nella loro casa?"

"Sì... tu puoi stare con Lena."

"E tu?" chiese.

"Voglio parlare con Dan sperando si trovi lì."

Mi portò fino a quella casa rassegnato. Probabilmente non era stato del tutto contrario alla mia idea perché lui stesso voleva che Matt ritrovasse la sua pace.

Quando arrivammo, vidi Lucas fuori che ci guardò stranito e non si curò di salutarci. Mi fiondai all'interno alla ricerca di Dan e lo trovai in cucina intento a prepararsi qualcosa da mangiare. Si fermò appena mi vide, ovviamente non si aspettava il mio arrivo.

"E tu?" domandò.

"Dobbiamo assolutamente scoprire chi era con Joan." Rimase immobile, lasciò la posata sul ripiano e si avvicinò serio. 

"Alis, lascia stare. Non immischiarti e non andare a metterti in qualche guaio. Se è un caso che deve risolversi, si risolverà, senza che mettiamo noi stessi in pericolo. Va bene?" disse con il suo solito tono duro per assicurarsi di essere il più chiaro possibile.

"No. Matt a malapena mi parla, io voglio aiutarlo! Con o senza il vostro aiuto."

"Se metti a rischio te stessa, ferirai anche lui."

"Non più di quanto non lo sia già."

"Non immischiarti in cose che sono più grandi di te!" scandì bene le parole. Lo guardai dritto negli occhi per fargli capire che ormai avevo già preso una scelta e me ne andai.

"Alis!" mi richiamò più volte.

Uscii fuori, non c'era più nessuno, nemmeno Lucas. Aspettai che Nathan si accorgesse della mia mancata presenza. Ripensai alle parole di Dan. Io continuavo a voler aiutare Matthew, ma non avevo la più pallida idea di come fare.

Sentii la vibrazione di un telefono, molto simile a quella delle mie notifiche. Lentamente mi avvicinai al posto dove si trovava Lucas precedentemente e vidi lì il telefono. Mi guardai intorno, non dovevo farlo, ma controllai sullo schermo il messaggio appena inviato. Rimasi sconcertata quando lessi il nome di Tyler e subito dopo il messaggio: "Risolveremo anche questo problema, tu non preoccuparti."

Non ebbi il tempo di elaborare perché sentii un altro rumore e mi spostai subito. Decisi di rientrare e farlo sapere a Dan. Poteva valutare la situazione meglio di me.

"Sei tornata? Spero per scusarti o qualcosa del genere."

"In realtà no... devo dirti una cosa..." confessai pensierosa. Fece un cenno con la testa per farmi parlare. "Stavo uscendo e ho sentito che era arrivato un messaggio... e, beh, ho guardato il telefono. Credo fosse quello di Lucas, lui si trovava lì prima... e ho visto che Tyler gli ha inviato un messaggio."

Da calmo qual era, si scompose e strabuzzò gli occhi. "Stai scherzando? Non puó essere quel Tyler."

"Io non so dirlo per certo, ma ho letto qualcosa tipo Risolveremo anche questo problema, non preoccuparti."

"Va bene..." iniziò a riflettere, "Tu torna a casa come ho già detto, me ne occuperò io. Ma promettimi di non fare niente da sola per ora."

"Tu cosa farai?"

"Lo terrò d'occhio..." ammise forse preoccupato per quello che ne sarebbe venuto fuori. "Dai vai ora..."

Speravo che non stesse mentendo, l'unica cosa che rimaneva da fare era avere fiducia in lui.

"Ho un brutto presentimento" commentai sottovoce.

"Già, inizio a pensare che i Kings non sono poi tanto fedeli... Non ci voleva" fece deluso prima che uscissi.

Lungo il corridoio vidi Lucas dirigersi all'esterno con il solito atteggiamento che, dopo aver letto quel messaggio, interpretavo in modo diverso rispetto a prima. Il sangue si gelava al solo pensiero di cosa fosse realmente accaduto, ma avevo bisogno di scoprirlo... forse, come diceva Nathan, mi sentivo in dovere di aiutare Matt, perché capivo il suo dolore e rimpiangevo di non aver aiutato me stessa quando ero piccola a trovare il significato del passato e il senso del futuro.

Dan

"Bene!" Sbuffai lasciando bruscamente il coltello sul ripiano della cucina. "Mi è anche passata la fame."

I miei pensieri viaggiavano dalle parole di Alis a... quel panino che mi ero preparato. "Forse un po' di fame ce ne ho ancora." E cominciai a mangiare come se fossi forzato a farlo.

Iniziavo a sentirmi troppi pesi addosso, troppe promesse. A partire da Joan fino ad Alis. Avevo cercato di stare accanto a Matthew, aiutarlo a risolvere i tormenti e i dubbi. Una delle sue richieste era di proteggere Alis nei momenti in cui lui non era presente, io conoscevo i motivi. Avevo accettato. Perché mi sentivo io stesso in dovere di farlo. Tutte le persone che entravano nelle nostre vite, con tutte loro mi sembrava di doverle aiutare, come se avessi fatto loro qualcosa, come se le stessi tenendo all'oscuro di un fatto.

Dovevo uscire da quella casa, quei muri mi stavano troppo addosso. Dovevo cambiare ambiente, togliermi quella sensazione angosciante. Conoscevo il posto perfetto.

Uscendo dalla cucina vidi Lucas e lo evitai come al solito. Non era cambiato nulla dopo quello che Alis aveva detto. Lucas mi sembrava lo stesso, girava per la casa, poi tornava in uno specifico luogo, sul divano, fuori, sul letto. Si alzava, camminava un po', e ritornava lì.

"Esci?" chiese Aron sbucando dal nulla.

"No entro" risposi facendo sorridere Lena. I suoi gesti, la sua figura mi ricordavano molto Alis. Entrambe due ragazze che erano entrate nella nostra vita per caso e ci stavano rimanendo troppo a lungo, tanto da farmi preoccupare. Lena aveva già subito le conseguenze, dovevamo evitarle per Alis.

"Sempre molto simpatico" commentò a bassa voce Aron. Ormai ero alla porta della casa.

"Dan, vai via?" fece Thomas che invece era appena arrivato.

"Sì, questa casa è troppo noiosa" feci una smorfia. In realtà la andavo cercando quella noia. "Ora che ci sei tu, il doppio."

"Ha ha, simpatico" disse su modello delle parole di Aron, ma rise lo stesso.

Mi affrettai a salire in macchina, misi in moto e cercai di raggiungere la biblioteca il prima possibile. Sembrava infastidirmi tutto, ne avevo tanti di momenti del genere. Sentire il nome di Tyler mi faceva ribollire il sangue, in netto contrasto con il freddo d'inverno. Lui era stato l'artefice di tutti i nostri problemi: Joan, di conseguenza Matt, Nathan, Lena. Frantumava il mio desiderio di mantenere l'armonia nel gruppo di volta in volta, lo faceva quando meno ce l'aspettavamo e io cercavo sempre di stare all'erta.

Entrai nell'edificio, salutai la bibliotecaria e mi fermai a parlare qualche minuto con lei. Non sapevo perché, ma si avvicinava molto alla figura di una madre ed era piacevole parlarci. Sorrideva alle mie battute e reggeva il gioco talvolta senza mai considerarmi fuoriluogo o maleducato.

"Cosa mi consiglia di fare quest'oggi?"

"Mmh...", controllò il computer di fronte a lei, "se vuoi ci sarebbero diversi scaffali da sistemare..."

"Beh certo, potrei anche prepararti un caffè, comprarti dei dolci, lucidare il pavimento..."

"Perché no?" continuò lei seria, ma sapevamo entrambi di essere ironici, era un bel modo per passare il tempo. "Se vuoi sono arrivati dei nuovi libri, potresti leggere le trame."

"Non riuscirei a mantenere la concentrazione... ma sarà per un altro giorno."

"In quella stanza ci sono dei bambini che apprezzerebbero molto se tu andassi a leggergli una di quelle storie con una parola per pagina." Guardò in una direzione per indicarmela con gli occhi.

"Pronto. Quali sono gli insegnamenti che devo dargli? No fumo, no alcol, viva la scuola?"

Ridusse gli occhi a due piccole fessure. "Non credo che siano pronti per i tuoi insegnamenti..."

"Già, non credo sappiano cosa sia la scuola" sospirai. "Altre idee donna dei libri?"

"Non so, là ci sarebbe la ragazza dell'altra volta se vuoi salutarla" disse facendo finta di star lavorando al computer. Lo faceva apposta, sapeva dall'inizio che lei si trovava lì. Mi girai e la vidi al solito posto, assorta.

Non persi tempo e la raggiunsi, senza dare più attenzioni alla bibliotecaria.

Vidi Mila da lontano per qualche secondo, mi avvicinai più lentamente rispetto all'entusiasmo precedente per studiarla. Non mi notò, pensai a come organizzare la mia entrata in scena. Decisi di mettermi semplicemente davanti a lei e farle sentire la mia presenza. Alzò lo sguardo dopo pochi minuti che mi sedetti e parlai subito io. "Lezione antipensiero a sorpresa!" Ne necessitavo più di lei.

"Non stavo pensando" constatò.

"Se parli, pensi."

"Quindi non avrei dovuto risponderti?" Aggrottò la fronte.

"No, cioè sì." Mi sentii in soggezione. "Mi complichi le idee."

"Le complico anche a me stessa, eppure vivo nella semplicità più totale."

"Per questo esisto io!" esclamai chiudendole il libro che teneva aperto tra le mani. "Andiamo da qualche parte."

"Già siamo da qualche parte."

"Una parte diversa da questa parte" replicai.

"Mi oppongo" rispose riaprendo il libro, senza sapere che aveva dato inizio a una sfida.

"Non ho dato opzioni" iniziai a stuzzicarla. Mi guardò inizialmente confusa, poi mi ignorò. Era impossibile creare un gioco con lei, lo impediva e da un lato mi sollevava quel suo aspetto. Insomma, niente malizia, urla, odio... dovevo trovare un modo diverso, tradizionale, per farla sorridere. Ecco la nuova sfida.

Mi avvicinai, mi appostai dietro alla sua sedia e le feci il solletico sui fianchi d'improvviso. Si alzò istintivamente, il libro cadde. Si scostò in maniera immediata e mi guardò. "Non farlo mai più", mi puntò l'indice contro. Riuscii a vedere un mezzo sorriso. Fece per sedersi di nuovo, ma cambiò idea e rimase in piedi. "Non mi fido di te" disse credendo che potessi ripetere la mia azione una seconda volta. Quella frase così spontanea mi infastidiva un po'. Non le avevo fatto niente, eppure sembrava così.

"E va bene," si arrese, "da quale parte vorresti andare?"

"Scegli tu."

"L'idea era tua" disse confusa. "Non importa... usciamo, camminiamo e da qualche parte arriveremo."

"Ecco, la mia idea si è rivelata ottima." Scosse la testa divertita o almeno così pareva per una percentuale minima.

Osservai in basso fino a che i nostri passi si sincronizzarono. Mi trovavo con Mila. L'avevo vista la prima volta alle macchinette proprio dietro ad Alis che in quel momento mi chiedeva di infastidire qualcun altro. Non era seria, ma io sì. Mila sembrava una perfetta anima innocente da turbare, avevo scoperto però che mi piaceva non farlo. Mi sentivo in pace, quella che mi mancava da tempo.

Iniziò lei a parlare: "Se potessi, vivresti in una biblioteca?"

Feci un lieve sorriso. Lei non lo sapeva, ma era l'unica a non considerare strano qualche mio comportamento o abitudine. Non mi chiedeva se mi piaceva veramente la biblioteca o non commentava quanto fosse assurdo che io la frequentassi, come facevano gli altri.

"Una notte ci ho dormito" risposi. Mi aspettai una reazione di perplessità, ma mi sbagliavo.

"Come è stato?" domandò con un tono calmo, come se dormire in biblioteca fosse la cosa più normale al mondo.

"Tranquillo. Avrei continuato a farlo se non fosse che mi sveglio tardi e potrei ritrovarmi dei bambini che mi toccano i capelli, o la faccia, o mi usano come se fossi un gioco delle giostre!"

"Tranquillo" ripetè riflettendo. "Sarebbe bello viverci."

"Soprattutto quando hai dei genitori come i miei" dissi spontaneamente.

Pensai che non mi avesse nemmeno sentito, invece quell'argomento parve interessarla. "Come sono i tuoi genitori?"

"Sempre troppo impegnati con la loro carriera. L'unica cosa di cui si preoccupano è la loro reputazione. Mio fratello Ryan sta dando inizio a un futuro brillante, mentre Dan è stato capace di lasciare una ragazza preziosa, umile ed educata." Imitai il tono di mia madre. Mi riferivo a Melanie, però non mi chiese di chi si trattasse.

"Anche i miei sono spesso occupati. A volte non sento la loro voce per mesi" confessò. Notai come a ogni frase si ponesse dei limiti, così cercai di farla continuare attraverso delle domande.

"Con chi vivi?"

"Con Carol... è una donna che hanno assunto i miei genitori per occuparsi di me. È lei la mia famiglia, l'unica a preoccuparsi, a sapere tutto, a vivere nella mia quotidianità."

Arrivammo in un tratto dove il marciapiede era coperto di foglie. Ad ogni passo seguiva un lieve rumore che accompagnava le nostre parole.

"Ti mancano?"

Fece spallucce. "Non lo so più. Mi manca qualcosa, ma non capisco se sono loro."

In poche parole aveva espresso il mio pensiero, quello che non avevo mai saputo spiegare nè a me nè a nessuno.

"Perché fai parlare me?" fece poi come se si fosse accorta che avesse già detto abbastanza. Mila mi incuriosiva a ogni parola sempre di più. Reagiva in modo diverso e inaspettato. Al che sorrisi leggermente e anche ciò non parve disturbarla.

Non chiedeva molto di me, lasciava che fossi io a parlare, che trovassi il momento e le giuste parole. Però non lo facevo, spesso parlavo anche quando non dovevo.

"Se vuoi che sia io a parlare, allora fammi delle domande."

"Di che genere?"

"Non ti ho chiesto di prestarmi un libro, ma di farmi delle domande."

"Quindi leggi veramente?" Alzai un sopracciglio. "È questa la domanda."

"Sono così poco credibile?"

"Dovevo farti una domanda..." e si era basata sulle mie parole. Avendo nominato i libri, aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente.

"Non ti piace parlare di te" dissi, volevo saperne di più.

"Non ne sento il bisogno."

"Mai? Deve pur esserci un modo per tirare fuori quello che hai dentro." Mi sentii patetico subito dopo, forse era meglio se stavo zitto. Ne seguì un lungo silenzio e proprio quando pensai che quell'argomento fosse chiuso, rispose: "Scrivo poesie."

Come se averle fatto notare quanto poco parlasse di se stessa l'avesse turbata, quella volta iniziò a parlare di poesie spontaneamente. Intorno a noi si creò una sorta di bolla trasparente, niente entrava, né usciva, uno spazio chiuso.

"Cosa ci scrivi?" mi azzardai a chiedere. Mi guardò come se neanche lei lo sapesse e fossi stato io a farglielo notare. Non rispose, perché quel momento non era giusto.

Quando tornai a casa sentii una strana sensazione, troppo diversa da quella che percepivo solitamente. Il leggero mal di testa mi aveva lasciato libero per un po', il tempo di farmi realizzare quanto quei giorni fossero stati in realtà frustranti. Poi a tutta la confusione si contrapponeva Mila.

Arrivato in bagno, guardai lo specchio. "No, non pensarci. Sei Dan, non sei il tipo per nessuno" dissi, cercando di convincermi di ciò di nuovo.

ℳ𝒶𝒹 •𝒶𝓂

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro