v. fidarsi è bene, non fidarsi è meglio

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E S M E

Per la prima volta, l'Auradon Prep non rientrava nei suoi posti preferiti.

Fin da quando ci era entrata anni prima l'aveva sempre trovata regale e maestosa, adatta per qualcuno del rango di un principe o di una principessa. I corridoi luminosi e alti, le grandi finestre di vetro colorato, gli stendardi blu reale e giallo canarino che pendevano da ogni muro, ogni cosa le ricordava quanto Auradon fosse un regno meraviglioso. Quando camminava in quell'edificio, anche solo per passare da una lezione all'altra, non riusciva a non rimanere estasiata dalla sua bellezza.

Era l'emblema della bontà, ritrovo delle nuove generazioni, compresa la sua, che in futuro avrebbero governato gli Stati Uniti di Auradon.

Per questo Esme odiava come adesso sarebbe stato contaminato da qualcuno come i cinque figli dei Cattivi.

Era ormai tardo pomeriggio, e la figlia di Esmeralda stava camminando in uno dei lunghissimi corridoi della scuola, diretta verso camera del suo amico Richard. L'aveva chiamata perché gli serviva aiuto con Storia di Auradon, essendo Esme una delle migliori nella materia. Certo, la scuola non era iniziata da molto, ma il figlio di Roger e Anita Radcliffe non era mai stato un genio nelle ricerche, aveva sempre preferito studiare musica. Passione trasferitagli dal padre.

Alla luce del tramonto la scuola assumeva tutto un'altro aspetto: quando durante il giorno era gioiosa e luminosa, di notte diventava quasi la location di un film horror. Il sole proiettava delle forme scure sui muri dei corridoi, creando delle inquietanti tonalità di rosso. Esme rabbrividì. Sembrava quasi che qualcuno ci avesse dipinto sopra col sangue. Era tutto una perfetta combinazione di luci e ombre.

La principessa sistemò meglio il suo zaino color porpora sulla spalla. Gli appunti erano così tanti che quasi sembravano romperne le cerniere. Ma in tutta onestà, aveva fatto bene a prenderne in quella quantità: Richard non era proprio la persona più ordinata del mondo, e a lezione tendeva a scambiare gli appunti di storia con gli spartiti delle sue nuove canzoni. A volte poteva sembrare un ragazzo arrogante, ma chi lo conosceva bene sapeva quanto in realtà fosse dolce e altruista.

Ma nonostante questo, Esme era grata di poter passare un pomeriggio con lui. Le serviva proprio una pausa da quella giornata.

Finalmente arrivò davanti alla stanza giusta. Bussò, e attese che il suo amico le venisse ad aprire.

Immaginate la sua sorpresa quando invece dall'altro lato della porta uscì il nuovo arrivato, figlio di Hans.

Esme venne presa in contropiede per un momento, non aspettandosi di vedere uno dei Cattivi così presto. Ancora non sapeva il suo nome, e non aveva intenzione di chiederglielo, ma a quanto pare il moro aveva altri piani.

Sfoggiò un gigantesco sorriso, mostrando i suoi denti perfetti, quel tipo di sorriso per cui qualunque ragazza si sarebbe sciolta. Peccato che Esme pensò fosse disgustoso.

«Ma salve!» le disse «È un vero piacere conoscerti di persona! Nel cortile non ne abbiamo avuto l'occasione, e sei scappata prima che potessi presentarmi».

Prima che Esme potesse anche solo pensare di reagire, lui, mettendo un braccio dietro la schiena, in un perfetto inchino, le fece il baciamano. La principessa fece un smorfia, completamente disgustata dal percepire le labbra umide del ragazzo sul dorso della sua mano.

«Principe Hunter delle Isole del Sud. Al tuo servizio» si presentò.

La figlia di Esmeralda aprì la bocca, pronta a ribattere (naturalmente con un commento sarcastico), ma Hunter la fermò prima che potesse anche solo dire una parola.

«Oh, so chi sei. Non c'è bisogno di presentarti. Dopotutto, come potrei dimenticare il nome di qualcuno carino come te» le fece l'occhiolino.

Esme dovette stringere i denti per non vomitare.

«Sono desolato, ma purtroppo non posso trattenermi di più. I miei amici mi aspettano per parlare di un argomento molto importante». Le riprese la mano, chinandosi per baciarla una seconda volta: «Ma prometto che non sarà l'ultima volta che mi vedrai».

Stavolta la corvina fu abbastanza veloce da sottrarsi alla presa del moro. Lui le rivolse un ultimo sorriso, che in verità somigliava più ad un ghigno, prima di sparire nell'oscurità del corridoio.

Lei lo guardò scomparire con sguardo assassino, decine e decine di insulti che le giravano per la testa.

«Vedo che hai conosciuto il mio nuovo compagno di stanza».

La voce di Richard la fece sobbalzare. Il suo amico l'aspettava con un braccio poggiato allo stipite della porta.

La sua zazzera di capelli color miele era disordinata, come se si fosse appena alzato dal letto. Il che era molto probabile, in quanto passava praticamente tutta la notte alzato a scrivere canzoni, dormendo poi di giorno. Tutta la scuola l'aveva soprannominato "Il vampiro" proprio per questa sua abitudine. Ma, a dirla tutta, Richard era l'esatto opposto di un succhiasangue: la sua pelle era costantemente abbronzata, come se fosse nato baciato dal sole (il che era vero, in quanto era stato benedetto alla nascita dal dio Apollo); i suoi occhi erano color cioccolato fuso, quasi come se fossero stati sciolti dal calore della stella.

«Lui è il tuo nuovo compagno di stanza?» esclamò Esme, indicando la direzione in cui il figlio di Hans era sparito.

Richard scrollò le spalle: «Non è così male. Almeno non mi è capitato il figlio di Crudelia» rabbrividì, e con lui Esme.

Non riusciva a togliersi dalla testa l'incontro faccia a faccia con Carlos. Aveva provocato un cocktail di emozioni che mai aveva provato prima. Emozioni che aveva paura di esplorare e di comprendere.

Per fortuna Audrey l'aveva aiutata.

Dopo una bella chiacchierata con la sua migliore amica aveva raggiunto una conclusione: NON. DEVI. AFFEZIONARTI. Nessun problema! — si era detta Esme — Chi si affezionerebbe a qualcuno del genere? È praticamente impossibile!

Non sapeva ancora che una parte di lei si era già legata al figlio di Crudelia per sempre.

•✵•

«Esme . . . Ehi, Esme!».

«Che c'è?!» sbottò per l'ennesima volta la principessa.

Erano orami due ore che stavano studiando, e di progressi ce n'erano stati ben pochi. Esme non era sicura di poter reggere ancora per molto.

«Rick, giuro che se mi fai ancora una domanda su Aladdin io ho chiuso!».

Lui parve ferito da questa sua insinuazione: «Guarda che tutte le domande che ho fatto erano motivate!».

«Oh davvero!» le chiese sarcastica la principessa. »Anche quella sul perché il tappeto volante vola? Si chiama "Tappeto Volante"! Vola perché vola!».

E già. Tutta la serata era andata così, con Richard che faceva domande stupide, ed Esme che cercava di mantenere la calma per rispondere. Almeno l'atmosfera veniva alleggerita ogni tanto da Freckles, il cane del ragazzo.

Un tempo uno dei cuccioli dei Radcliffe, adesso era diventato un bellissimo esemplare di dalmata. Bello grosso anche, ma l'esatto opposto di pericoloso. Quando vedeva che l'atmosfera tra i due ragazzi si faceva accesa, arrivava, e subito si poggiava sui piedi di Esme, tranquillizzandola. E lei non riusciva a resistere alla vista di quel musetto che la guardava adorante.

«Sei così noiosa! Chi ti dice che non ci abbiano fatto un incantesimo? O che abbia dei piccoli propulsori sulle nappe?».

«È praticamente un essere vivente!» protestò la principessa. «E fidati, io l'ho incontrato di persona. È uno dei migliori amici di Aladdin e Jasmine».

Richard scattò in piedi come una molla: «Mi stai dicendo che tu hai visto dal vivo IL tappeto volante?! QUEL tappeto volante?».

Esme scosse la testa, ridacchiando per l'adorabile entusiasmo del suo amico: «Solo una volta» ammise. »Ma è stato diversi anni fa, ed ero molto piccola».

Il biondo rimase alcuni secondi a bocca aperta, fissando il vuoto. A giudicare dalla smorfia che aveva in viso, sembrava stesse cercando di far girare gli ingranaggi poco oleati del suo cervello. Infatti se ne uscì con: «Quindi il tappeto magico non si trova al museo?».

La figlia di Esmeralda aggrottò le sopracciglia, perplessa: «Sì . . . pensavo lo sapessi. Era impossibile che il Sultano Aladdin e la Regina Jasmine lo lasciassero a marcire dietro una teca». Osservò l'espressione scioccata del ragazzo per alcuni secondi, cercando di capire cosa gli frullasse in testa: «Aspetta: come mai tutto questo improvviso interesse per il tappeto volante?».

Richard ripose lo sguardo su di lei, come se non credesse alle parole che avevano appena lasciato la sua bocca: «Cos— mi stai prendendo in giro?! Il tappeto volante è uno degli oggetti magici più fighi che esistano! Perché non dovrei essere interessato?».

La ragazza alzò un sopracciglio: «Forse perché non ti sei mai interessato veramente alla magia, alle favole, agli oggetti incantati o alla storia di Auradon in generale?».

Lui sbuffò, incrociando le braccia al petto: «Ma cosa vai a pensare? Io adoro queste cose! Che credi? Che ti stia chiedendo tutto questo perché come compito delle vacanze avevo da fare una ricerca su un oggetto magico, ma ho passato tutte le giornate a scrivere le parole per il mio nuovo singolo? No, certo che no!».

Esme gli scoccò un'occhiata che la diceva lunga. Persino Freckles alzò il muso dalle gambe della principessa per rivolgere al suo padrone uno sguardo annoiato.

Richard fece ricadere le braccia lungo i fianchi: «Ok. Forse, ma dico forse, potrei starti chiedendo, anzi no . . . implorando, di aiutarmi con questo compito» disse, e dal suo tono di voce si capiva quanto fosse disperato. «Volevo farlo sul tappeto volante, ma se tu mi dici che non si trova nel museo allora . . .».

Esme sbuffò, alzando gli occhi al cielo, ma non impedì ad un sorriso divertito di farsi strada sul suo volto: «Puoi sempre farlo sulla Lampada del Genio, se sei tanto fissato con la storia di Aladdin. Quella, al museo c'è».

Fu così che la principessa figlia di Esmeralda si ritrovò con lo zaino in spalla, una macchina fotografica appesa al collo e una matita dietro l'orecchio, pronta per una gita al Museo di Storia Culturale nel cuore della notte. Per non parlare del guinzaglio, a cui era attaccato Freckles, che reggeva in una mano.

Prima che potesse anche solo protestare, fu gentilmente scortata fuori camera dal suo amico, e tutto quello che riuscì a captare fu: «Ho del lavoro da fare! Grazie per il tuo aiuto, ti devo un favore!». Poi la porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo.

Esme rivolse uno sguardo a Freckles, che rispose inclinando leggermente la testa da un lato.

La principessa sospirò, sistemandosi meglio la fotocamera intorno al collo: «Sembrerebbe che noi due andremo a fare una piccola gita educativa fuori programma».

Il dalmata la trascinò fuori dalla scuola in tutta fretta.

•✵•

Per fortuna conosceva la guardia che ci lavorava.

Esme passava così tanto tempo in quel museo che ormai Robert non domandava neanche più cosa ci facesse lì a quell'ora. Perciò si accontentò di aprirle la porta d'ingresso e lasciarle campo libero.

Come si era già capito, storia era la materia preferita della figlia di Esmeralda. Adorava scoprire quanto più possibile sulla storia del suo regno. E non solo! La affascinavano le terre lontane come la Cina Imperiale, casa di Mulan e Li Shang, le Montagne del Nord, dove Elsa aveva creato il suo castello di ghiaccio. Per un periodo di tempo aveva addirittura studiato l'Isola degli Sperduti. Inutile dire che era uno degli argomenti da lei meno preferiti.

E il Museo di Storia Culturale la aiutava molto nel saziare la sua sete di conoscenza.

Ormai ne conosceva a memoria tutte le sale: da quella riservata alle corone dei reali di Auradon, a quella che conservava le armi dei Re e delle Regine di Narnia. Ma la sua preferita in assoluto era quella dedicata alle creazioni di Quasimodo. Ogni piccola opera d'arte che aveva creato durante la sua prigionia a Notre Dame, adesso spiccava dietro le brillanti teche del museo, così che tutti potessero ammirarne la bellezza. Esme ne era così fiera! Simboleggiavano il coraggio che aveva avuto il suo amico nei confronti di Frollo, un piccolo, ma al tempo stesso grande, segno di ribellione, che ancora adesso continuava ad ispirare la principessa dal non arrendersi mai. Erano la sua garanzia e la sua ancora.

Ma purtroppo, quella notte la sala prescelta era quella destinata agli oggetti e manufatti magici.

Carta e matita in una mano, e fotocamera nell'altra (aveva lasciato Freckles legato ad una panca accanto ad una teca vuota) si diresse verso la Lampada.

L'ex dimora del Genio scintillava alla luce dei faretti posti intorno alla teca, accentuando i ricami in oro sulla superficie d'ottone. Era così strano pensare che un oggetto così piccolo avesse contenuto qualcuno di così grande e potente come un genio.

Sedendosi davanti ad essa, iniziò a disegnare.

Esatto. Per Esme questo era andare al museo e fare ricerche. Mettersi davanti all'oggetto di suo interesse, e pazientemente farne uno schizzo, catturandone quanti più particolari possibili per poi finirlo in camera sua. Dopotutto, per le informazioni pratiche esisteva internet.

La matita si muoveva rapida e precisa sul foglio bianco, la grafite che riusciva a creare dei perfetti chiaroscuri, rendendo il disegno incredibilmente realistico.

Questa era la vera magia per la figlia di Esmeralda. Non una bacchetta, un libro di incantesimi, o dei capelli che si illuminavano, no. Le emozioni che riuscivi a trasmettere attraverso un semplice foglio, i colori che si mischiavano per crearne uno ancora più brillante, gli acquerelli che scivolavano sulla ruvida carta in lente lacrime di arcobaleno. Era tutto ciò di cui aveva bisogno per realizzare la sua di magia.

Peccato che il suo incantesimo venne interrotto da quello che sembrava un ululato di felicità.

Esme alzò di scatto la testa dal foglio. Quello non era di certo Robert, pensò. La voce le era sembrata decisamente più giovane.

Anche Freckles si era destato dal suo pisolino sul pavimento, le orecchie drizzate in allerta di altri rumori improvvisi.

La principessa gli si avvicinò, e iniziò ad accarezzarlo: «È tutto ok» sussurrò. «Tu vai dal tuo padrone, io starò bene. E, oh! Aspetta . . .».

Prese un pezzetto di carta, iniziandoci a scarabocchiare distrattamente.

C'è qualcuno nel museo. Ho mandato indietro Freckles. Se non mi vedi tornare da te entro un'ora, manda qualcuno a vedere. Penso di avere un'idea di cosa stia succedendo.

Lo piegò e infilò nel collare del dalmata, prima di piegarsi di nuovo verso di lui.

«Devi andare da Richard. Ok? Trova Richard».

Freckles le leccò leggermente la faccia, prima di scattare nella direzione da cui erano arrivati, diretto verso l'uscita.

Esme sospirò. Mai come adesso aveva ringraziato i Radcliffe per aver addestrato così bene i loro cani. Era sicura che Freckles sarebbe arrivato sano e salvo dal suo padrone. Si prese un ultimo secondo per darsi coraggio, poi si diresse dove era risuonato il grido del ragazzo.

Passò attraverso un paio di corridoi pieni di vecchi manoscritti, fino ad arrivare alla sala delle bacchette. Vi erano diverse teche anche lì, fatte per conservare le bacchette della Fata Turchina e quelle di Flora, Fauna e Serenella. Ma il loro sistema di sicurezza era niente in confronto a quello che circondava quella della Fata Smemorina. La splendida bacchetta color del cielo galleggiava a mezz'aria all'interno di un campo di forza blu. Da togliere il fiato.

Stava per avvicinarsi ancora di più, quando delle voci in lontananza la fecero congelare sul posto. Poi decise che congelarsi non era la cosa migliore da fare, e corse dietro ad una colonna.

Parzialmente nascosa dal pilastro portante del soffitto, vide entrare in tutta fretta nella sala cinque persone. E il respiro le si fermò in gola.

Sapeva che non c'era da fidarsi! Sapeva che Ben avrebbe dovuto darle ascolto! Sapeva che avrebbero tentato una cosa del genere!

I nuovi arrivati figli dei Cattivi si disposero in cerchio intorno al campo di forza che li separava dalla bacchetta della Fata Smemorina. Tutti e cinque la ammiravano ad occhi e bocca spalancati, adoranti, come se quella fosse la risposta a tutti i loro problemi.

Ovvio che lo è! — si allarmò Esme — È l'oggetto magico più potente mai esistito, lo useranno per distruggere la barriera!

Una paura improvvisa incominciò a scorrere nelle vene della principessa, fermandola dal fare qualsiasi cosa. La sua mente andava a mille, alla disperata ricerca di una soluzione. Perché diavolo non aveva portato il suo telefono con sé?!

Sentì l'urgenza di scoppiare a piangere. Di singhiozzare, e di sentire le lacrime scorrerle sulle guance. Ma sapeva di non poterlo fare. Non adesso almeno. Adesso doveva trovare un modo per andarsene e avvertire qualcuno di quello che stava succedendo.

Si girò, pronta per scattare via da quella sala. Ma nel farlo colpì con un piede una delle sue matite, che sicuramente non si era accorta di aver lasciato cadere dalle mani. Il pezzetto di legno e grafite rotolò sul pavimento di marmo e, seppur fosse un rumore da nulla, risuonò come una campana nel silenzio che ricopriva il museo.

Esme era sempre stata educata, e mai si era sognata di anche solo pensare una parolaccia. Solo negli ultimi tempi, proprio a causa dell'arrivo di quei ragazzi, sembrava perdere molto spesso il suo autocontrollo. E lì, in quel momento, tutto quello che la sua mente riusciva ad elaborare era soltanto una parola.

Merda.

In meno di un secondo sentì bruciare sulla schiena gli sguardi dei cinque figli dei Cattivi. E qualsiasi particella del suo corpo smise di funzionare.

•✵•

«Ehi!» sentì uno dei ragazzi gridare, ma a causa della paura che la impossessava non riuscì a capire chi fosse.

Ma poi, come risvegliata da un lungo sonno, raddrizzò la schiena e si mise a correre a tutta velocità verso l'uscita.

I cinque ragazzi dietro di lei sobbalzarono e, ormai ad almeno dieci metri di distanza, Esme udì la voce di Mal rimbombare sui muri dell'edificio: «Jay, Hunter, prendetela!».

Stringendo i denti, aumentò l'andatura. Corse. Corse così tanto e così veloce che una volta arrivata nel cortile fuori dal museo le facevano già male le gambe. Alcune lacrime le scorrevano dagli occhi, finendole in bocca, facendole così sentire il loro sapore salato.

Si fermò, e mettendo le mani sulle ginocchia, cercò di stabilizzare il respiro. Ma proprio quando stava per dare un sospiro di sollievo per essersi allontanata abbastanza, vide un ombra rossa materializzarsi in un secondo davanti a lei, e per poco non urlò per lo spavento. Si trovò a guardare negli occhi Jay, le braccia muscolose incrociate al petto, e un ghigno divertito che la fece letteralmente tremare di paura.

Provò a girarsi e scappare nell'altra direzione, ma stavolta si ritrovò davanti il figlio di Hans che la guardava con un sopracciglio alzato e anche lui le braccia al petto.

Prima che potesse tentare un'altra scappatoia, venne completamente circondata anche dal resto dei cinque.

Mal e Evie erano fianco a fianco, e la guardavano sorridenti, compiaciute e appagate dalla paura che in quel momento divorava la principessa. Carlos la guardava con un leggero sorrisetto, e un braccio poggiato sulla spalla di Jay. Nessuna via d'uscita.

«Bene, bene, bene. Guarda un po' chi abbiamo qui!» esclamò Mal.

Esme le scoccò un'occhiataccia, ancora con il fiatone: «Puoi anche . . . evitare . . . tutto il discorso da Cattivo, posso immaginare . . . quale sia>>. Rivolse un'occhiata a tutti e cinque, e si accorse di una cosa strana: <<Come diavolo fate . . . a non avere neanche un po' di fiatone?>>.

Il gruppo scoppiò in una sonora risata che risuonò come un tuono nella quiete della sera, ma purtroppo la figlia di Esmeralda non poteva sperare che qualcuno li sentisse. Dal museo al centro abitato c'erano diversi chilometri di distanza.

«Siamo cresciuti sull'Isola degli Sperduti!» le rispose Jay, ancora scosso dalle risate.

«Non hai idea di quanto importante sia lì la corsa» aggiunse Mal, avvicinandosi di più a lei, cosa che però non fece tremare la principessa, almeno non più di quanto stesse già facendo.

Esme alzò gli occhi al cielo: «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci! Chissà da chi scappavate. Dopotutto, si sa che i Cattivi sono tutti dei codardi!» sputò velenosa.

Non vide neanche arrivare il pugno.

Tutto ciò che sentì fu un'improvvisa spinta sulla guancia destra, e poi qualcosa di caldo che le usciva dal labbro spaccato e le scorreva sul mento. Il dolore arrivò dopo. Le esplose sulla mandibola come un ferro incandescente. Il sapore metallico del sangue le invase la bocca, facendole fare una smorfia disgustata.

Quasi non riuscì a registrare le parole di Mal.

«Non parlare di cose di cui non sai niente!» sussurrò tra i denti. «Non provarci neanche! Perché potresti farmi arrabbiare molto più di quanto già non sia in questo momento».

Stavolta la principessa rimase in silenzio, mentre con una mano toglieva via il sangue colato sul mento.

La figlia di Malefica però poi sorrise. Un sorriso che costrinse Esme ad abbassare lo sgaurdo, non volendo tremare un'altra volta. Ma una nuova ondata di paura la travolse alle parole che seguirono.

«Jay, Hunter, bloccatela».

L'istinto di sopravvivenza che contraddistingue ogni essere umano entrò in azione. E subito Esme si ritrovò a far uso delle tecniche di lotta insegnatole da Febo.

Quando vide il figlio di Hans provare ad afferrarle un braccio, subito gli circondò il collo con le braccia, abbassandolo alla sua altezza, per poi assestargli una poderosa ginocchiata dove non batte il sole. Il ragazzo naturalmente portò le mani verso il punto colpito, ma questo diede lo spazio ad Esme per sfoderagli un forte gancio destro, che lo fece cadere a terra incosciente.

Incurante della fatica che già le attanagliava il corpo, decise di lasciarsi guidare dall'adrenalina. Ed era già pronta a mettere KO anche Jay, quando Mal fece un segno col capo verso Carlos, che annuì e, più agile di quanto Esme si sarebbe mai aspettata, le bloccò il braccio sinistro, dando così la possibilità al suo amico di bloccare anche il destro.

Ora era in trappola, e a niente servivano le urla e i calci che la principessa tirava all'aria, cercando di liberarsi. La stretta dei due ragazzi era troppo forte.

«Mi dispiace che sia dovuta andare così» le disse Mal, con finto tono dolce. «Ma, vedi, non possiamo proprio lasciarti andare sapendo quello che hai visto».

«E cosa farete allora?!» urlò Esme, ormai arresa. «Mi volete uccidere?!».

Mal ridacchiò: «Oh no! Sarebbe troppo facile, e darebbe troppo nell'occhio! Sai, mia madre mi ha regalato questo». Tirò fuori dall'interno della sua giacca un piccolo libro.

«E onestamente non vedo l'ora di poter provare qualche incantesimo! Solo che non ho ancora trovato un volontario . . .».

Esme spalancò gli occhi, mentre sentiva il suo cuore fermarsi.

La figlia di Malefica sorrise malvagia: «Oh, ma guarda! Ne abbiamo uno proprio qui! Come posso non approfittarne?».

In un ultimo impeto di adrenalina, la principessa cercò ancora una volta di scappare dalla stretta dei due figli dei Cattivi, invano.

Non appena vide Mal aprire il libro, Esme capì di essere completamente fritta.

«Oh ecco!» ridacchiò, puntando un dito su una delle pagine ingiallite. E improvvisamente, non c'era altro che Mal e la sua voce. La figlia di Esmeralda non potè fare altro che ascoltare, ipnotizzata: «Te l'ho detto, te l'ho ordinato, quello che hai visto non c'è mai stato».

Sentì il suo corpo venire prosciugato da ogni energia, mentre un improvviso dolore alla testa le fece fare una smorfia di dolore.

Le ultime parole che sentì prima di perdere conoscenza furono di Carlos: «Codardi? Per la cronaca, non eravamo noi a scappare dagli altri. Erano gli altri a scappare da noi».


—— angolo autrice!

Ahhhhh io amo questo capitolo. Ma quanto sono fighi i figli dei Cattivi?!

Che ne pensate? Piaciuta la scena al museo? Che prima impressione vi a fatto il personaggio di Richard? Io sono sempre qui per sentire le vostre opinioni.

Domanda del giorno: vi piace la mini serie Descendants: Wicked World? Io la adoro, è dolcissima! E poi, raga, le canzoni . . .

Ci vediamo alla prossima!

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