iv. pelliccia, borchie e pizzo

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( E S M E )

Era una giornata come le altre. Esme si alzò fresca e riposata, i suoi occhi ancora leggermente annebbiati dal dolce sonno da cui si era svegliata. Gli uccellini cantavano felici fuori dalla finestra, e il sole splendeva come il più prezioso dei gioielli. Fece scivolare i suoi delicati piedini fuori dalle morbide lenzuola di seta e, dopo essersi stiracchiata, si diresse verso la finestra con un sorriso. L'aria appena fresca che entrò una volta aperta la fece rabbrividire, ma al tempo stesso la rese ancora più felice. L'inverno era sempre più vicino. E quindi anche la neve e la cioccolata calda.

Con un ultimo sorriso, si diresse al piano di sotto per far colazione.

Casa sua non era il più grande dei castelli. A dire la verità non era proprio un castello. Ma ad Esme piaceva lo stesso. Si trattava di un grazioso cottage leggermente più grande del normale, e si trovava esattamente al confine tra la foresta di Sherwood e Notre Dame. Le pareti erano di legno massiccio, a cui ogni tanto si alternavano parti in marmo e pietra scura. Sembrava quasi una versione in miniatura di Notre Dame.

La madre di Esme, la meravigliosa Esmeralda, era stata entusiasta di questa sistemazione. E sua figlia con lei. Certo, non sarà stata grande e maestosa come quella di Audrey, ma di certo era carina ed elegante.

La principessa si diresse nella graziosa cucina, il profumo del caffè che già le riempiva le narici. La capretta Djali era già sveglia, e non appena vide entrare Esme si mise a saltellare felice per la stanza. La corvina sorrise, andando ad accarezzarla.

«Buongiorno anche a te Djali! Splendida giornata, vero?».

Lei le diede una spinta scherzosa con la testa.

Esme ridacchiò, mentre andava a prepararsi un sandwich.

I sapori del burro d'arachidi e della marmellata le esplosero in bocca, facendola sorridere ancora di più.

Oggi sarebbe stato il primo giorno del suo secondo anno alla Auradon Prep. Non vedeva l'ora di arrivare per potersi sistemare nella sua stanza (che naturalmente condivideva con Audrey), e dare inizio a questo nuovo anno. Non avrebbe saputo dire il perché, ma sentiva qualcosa in lei che le diceva sarebbe stato un anno indimenticabile.

Andò verso la brocca del caffè, ma quando fece per versarne un po' nella tazza, un pensiero orribile risalì nella sua mente, distruggendo ogni minima traccia di sonno rimasta.

La brocca si schiantò sul pavimento producendo un suono assordante. Pezzi di vetro volarono dappertutto, mentre il caffè iniziò ad espandersi, facendosi strada tra i piedi della principessa e le gambe del tavolo. Sarebbe sicuramente rimasta la macchia sul marmo bianco.

Djali era schizzata via, spaventata, ma la corvina poteva vederla lanciare delle occhiate dal muro che separava la cucina dall'ingresso.

Esme crollò a terra, le mani nei capelli, mentre poggiava la schiena su uno dei mobili della stanza.

I figli dei Cattivi stavano per arrivare ad Auradon.

Qualche giorno prima Esme era stata determinata a non farsi scalfire da questa cosa. Si era promessa di non dar sfogo a nessuna emozione. Avrebbe accolto quelle... quelle persone con tutta la freddezza di cui era capace. Ma adesso che mancavano solo poche ore al fatidico momento, la paura la stava facendo vacillare in un modo che non credeva possibile.

Era terrorizzata.

Le tremavano le mani. Era sicura che se fosse stata ancora in piedi le gambe non l'avrebbero retta per quanto deboli. La vista le stava diventando sempre più sfocata, le lacrime le riempivano gli occhi.

I Cattivi stavano veramente per arrivare ad Auradon. A casa sua. Avrebbero potuto andare dove volevano, senza restrizioni. Non era uno stupido sogno.

Ormai le lacrime le scorrevano copiose sulle guance, rendendole ancora più rosse di quanto già non fossero. Singhiozzava. Ad ogni terribile pensiero che le passava per la mente, sentiva una nuova lacrima lasciare i suoi occhi per raggiungere le altre, in un'orribile gara a chi prima sarebbe finita sul pavimento.

Djali si era nuovamente avvicinata, e le stava leccando dolcemente la mano lasciata tremante alla sua destra. Soffocò un altro singhiozzo.

Mai come allora aveva desiderato sua madre al suo fianco. Voleva che fosse lì a stringerla fra le braccia, mentre le sussurrava all'orecchio che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che non c'era niente di cui preoccuparsi. Voleva che le tirasse su il morale come faceva sempre, ballando con lei e saltellando in giro per la casa. Voleva che per distrarla le insegnasse un nuovo trucco di magia, da mostrare il giorno dopo ad Audrey, come quando era piccola.

Ma sua madre non c'era. Era in viaggio, e Dio solo sapeva quando sarebbe tornata.

Di solito Esme cercava di non fare molto caso alle continue assenze di Esmeralda. Passava le sue giornate come meglio poteva: andava da Audrey, e si mettevano lo smalto a vicenda; cavalcava con Chad, figlio di Cenerentola, nell'enorme tenuta dei suoi genitori; imparava a tirare di spada con Febo, oppure giocava con Djali.

Stavolta non aveva niente di meglio da fare che starsene seduta sul pavimento, fissando i pezzi di vetro sparsi per terra, come a sperare che si ritrasformassero in una brocca.

Ma quello sarebbe potuto succedere solo se avesse posseduto della magia. Vera magia, non i piccoli trucchetti che le insegnava sua madre. Non avrebbe neanche potuto chiamare Febo, poiché lui ormai, essendo arrivato settembre, passava le giornate a Notre Dame con Quasimodo. E nonostante Esme avesse un telefono, era sicura che lo stesso non valeva per il cavaliere. Diceva che quegli aggeggi erano peggio di Frollo.

Solo al pensiero di quel nome, Esme rabbrividì.

Quell'essere. Quell'uomo schifoso e ripugnante. Quell'uomo che anni prima aveva ucciso centinaia di persone, che aveva cercato di uccidere Febo e Quasimodo. Lo stesso uomo che aveva fatto tutte quelle cose orribili a sua madre. Esme iniziò a sudare freddo, ma poi si tranquillizzò al pensiero che suo figlio . . . o figlia non sarebbero venuti. In un certo senso era grata a Ben per questo.

Non che cambiasse molto la situazione.

Come si sarebbero comportati i cinque ragazzi scelti? La figlia di Malefica sarebbe stata orgogliosa e vendicativa come la madre? Il figlio di Jafar avrebbe avuto degli strani poteri esattamente come suo padre? Chissà se il figlio di Hans avrebbe pugnalato tutti alle spalle. O se la figlia della Regina Cattiva sarebbe stata bella come tutti descrivevano la madre. Il figlio di Crudelia sarebbe andato alla ricerca di cuccioli per poi ucciderli?

Esme preferiva non pensarci.

Con un lunghissimo sospiro, si costrinse a rialzarsi. Prese una scopa e iniziò a radunare quello che rimaneva della brocca del caffè. Adesso non le andava proprio di pulire anche la macchia formatasi per terra. Ci avrebbe pensato Febo una volta tornato da Notre Dame.

Dopo aver dato controvoglia un ultimo morso al panino, la principessa tornò in camera sua.

Fece per dirigersi al suo armadio, ma si fermò ad osservarsi allo specchio. Era una cosa che faceva molto spesso. Ciò nonostante non per vanità, semplicemente le piaceva potersi vedere. In qualche modo il suo aspetto le ricordava chi era veramente. Figlia di sua madre. Figlia di Esmeralda. Figlia di un'eroina. Niente in confronto a quei ragazzini che sarebbero venuti oggi.

Morbidi boccoli neri pece le incorniciavano le fattezze delicate del viso. La sua pelle era leggermente scura, color terracotta, a differenza delle sue labbra, che invece erano sottili e rosse come il sangue. Molti le dicevano che se non fosse stato per la carnagione avrebbe potuto essere scambiata per la figlia di Biancaneve. Ma Esme sapeva che era tutta una farsa. I suoi occhi non avevano niente a che fare con il caldo color nocciola che contraddistingueva Bayley, figlia del Re Florian e della Regina Biancaneve. Quelli della figlia di Esmeralda erano neri. Di un nero così profondo che neanche alla luce diretta del sole riuscivi a distinguere l'iride dalla pupilla. Erano scuri come l'inchiostro che usava sua madre per firmare i documenti. Scuri come una notte senza luna. Scuri come il male. Esme li odiava.

Rappresentavano una parte di lei che non voleva esplorare, di cui sapeva l'esistenza, ma che non aveva mai rivelato a nessuno. Erano gli occhi di suo padre.

• ✵ •

Se fosse stata al posto di Ben, si sarebbe risparmiata la banda che in quel momento stava suonando a tutto volume all'entrata del campus. In realtà, se fosse stata Ben, non avrebbe neanche pensato a quel tipo di proclamazione. Ma ormai si era messa l'anima in pace.

L'intera scuola stava aspettando l'arrivo della limousine contenente i cinque ragazzi, figli dei Cattivi, che sarebbero andati a scuola con loro. C'era chi era terrorizzato, chi era curioso e chi era ansioso. Si poteva dire che Esme era un po' tutti e tre.

«Come pensate che saranno?» chiese Ben a lei e Audrey.

La corvina fece una smorfia. In tutta onestà non le importava molto del loro aspetto. Ma nonostante questo, una parte di lei era molto curiosa. La figlia di Malefica avrà delle corna? si chiese. Quello potrebbe essere molto strano.

«Non ne ho idea, ma spero arrivino presto. Non vedo l'ora che questa giornata finisca» rispose secca Esme.

Sentì Ben sospirare accanto a lei.

«Ragazzi!».

Una voce, squillante e dolce come il miele, fece rivolgere lo sguardo dei tre verso il centro della folla. La Fata Smemorina era graziosa come sempre. Era bassina e leggermente grassottella, ma il viso emanava gentilezza da tutti i pori. Come tutti ad Auradon, i suoi vestiti avevano una graziosa nuance pastello, dal baby blue al rosa cipria. Il suo sorriso luminoso non potè che far sorridere pure Esme.

«Buongiono Fata Smemorina!» esclamò Audrey, educata come sempre.

«La ringrazio per essere venuta» le disse Ben. «È molto importante per me, e sono sicuro che tutto questo — indicò gli studenti pronti ad accogliere i nuovi arrivati — servirà molto a dare una buona impressione a questi ragazzi speciali».

Esme dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo.

La Fata Smemorina annuì: «Non è un problema, tesoro. Tutto, pur di far sentire quei ragazzi i benvenuti qui».

Le due principesse si scambiarono un'occhiata. Era chiaro che avevano notato la stessa cosa. Il sorriso della Fata, stavolta, era forzato, come se si stesse trattenendo dall'urlare: "cancellate tutto!".

Esme stava per fare un commento pungente sul fatto "dell'essere benvenuti", quando sentì un ragazzo gridare: «Arrivano!». Non era sicura se fosse un urlo di terrore o di emozione.

Il sangue le si gelò nelle vene, e sentì Audrey accanto a lei irrigidirsi, stringendosi ancora di più a Ben. Esme le rivolse uno sguardo con la coda dell'occhio, e le prese la mano. La figlia di Aurora parve rilassarsi un minimo.

La corvina si costrinse a riassumere una postura rigida e composta. Fece sì che il suo respiro tornasse regolare come sempre. Non avrebbe dato a dei Cattivi la soddisfazione di vederla spaventata.

Ma quando vide la limousine avvicinarsi dalla fine della strada, quasi le sue gambe non la tradirono. La stavano praticamente pregando di allontanarsi il più presto possibile da quella piazza. Esme digrignò i denti, e inconsciamente strinse più forte la mano di Audrey, che ricambiò la stretta.

Ora o mai più, si disse, quando vide fermarsi davanti a lei la stupenda macchina nera. Era quasi un controsenso che una cosa così bella trasportasse persone così orribili.

Infatti dovette trattenersi dallo spalancare gli occhi, quando due ragazzi caddero fuori dall'auto tirandosi pugni e calci. Sembravano contendersi una specie di sciarpa. Uno dei due cadde di schiena sull'asfalto, le mani ancora sul pezzo di stoffa, mentre l'altro gli mise un piede sul petto. Entrambi avevano altri ninnoli che gli uscivano dalle tasche.

«Hai già tanta roba! Si può sapere perché vuoi anche questa?!» urlò il ragazzo steso per terra.

Esme fece una smorfia disgustata. Come era possibile che quei due stessero lottando per rubare una sciarpa? Lottando! Con veri calci e pugni! Una rissa! La principessa sbuffò. Che altro poteva aspettarsi da due figli di Cattivi?

«Perché la vuoi tu!» rispose l'altro ragazzo.

«No! Questa è mia! Lasciala!».

«Molla l'osso!».

Nel mentre dalla limousine erano uscite due ragazze e un altro ragazzo. Iniziarono a guardare la folla, compresa Esme, con degli enormi sorrisi. Che illusi che erano se speravano di poterli ingannare così!

Una delle ragazze, lisciandosi i pantaloni con le mani, richiamò l'attenzione dei due ormai entrambi stesi sul pavimento: «Ragazzi! Ragazzi!» disse tra i denti. «Abbiamo pubblico!».

Uno di loro, con un agile salto, si rialzò da terra, e dopo aver sfoggiato un ghigno impertinente disse: «Stavo . . . ripulendo!».

Esme e Audrey alzarono in contemporanea gli occhi al cielo, ma non abbandonarono i loro sorrisi forzati.

Si rivolse al ragazzo ancora steso sull'asfalto: «Alzati!» gli ordinò, tirandolo in piedi per un braccio.

«Non si tocca niente!» cantilenò la Fata Smemorina, mentre vicino a lei Ben ridacchiava. «Rimettete tutto dov'era».

I due ragazzi sbuffarono infastiditi, ma alla fine ributtarono il loro bottino nella limousine, per poi ritornare a guardare la folla con sguardo annoiato.

Esme quasi non ebbe un attacco di cuore. Ora che poteva vederli bene, si era resa conto di una cosa orribile. Questi ragazzi erano gli stessi che aveva sognato qualche giorno fa. Quei ragazzi che si divertivano a provocare caos. Meno il ragazzo vestito di bianco e blu. Per poco la principessa non svenne seduta stante.

Non era possibile che quel sogno fosse stata una premonizione, giusto? Era . . . era solo una stupida coincidenza!

Ma più osservava quei ragazzi, più si rendeva conto che erano effettivamente quelli che avevano invaso i suoi sogni.

C'era una ragazza dai capelli viola, dagli scintillanti occhi verdi. A giudicare dal linguaggio del corpo nei confronti degli altri, doveva essere una specie di capo. Esme rabbrividì. La figlia di Malefica.

L'altra ragazza era alta, con una folta massa di capelli blu scuro e caldi occhi nocciola. Al collo portava una catenella a forma di cuore rosso, con una corona sulla sommità. Non c'erano dubbi che fosse la figlia della Regina Cattiva.

Accanto a lei c'era il ragazzo che, per fortuna, non era riuscito ad intrufolarsi nella mente di Esme. Era il più alto di tutti, con dei capelli mori corti e pieni di gel, a formare un ciuffo spettinato. I suoi occhi erano di un marrone scurissimo, ma se colpiti da un raggio di sole assumevano una sfumatura dorata. Aveva stampato in faccia un luminoso sorriso, ma il suo sguardo lo tradiva. La principessa sospirò. Era decisamente il figlio di Hans.

Alla sinistra della figlia di Malefica c'era un ragazzo anch'esso molto alto, con dei lunghi capelli castani che gli coprivano le braccia muscolose. Anche lui aveva gli occhi marroni, però erano illuminati da una luce impertinente, come se non vedesse l'ora di farti uno scherzo. Figlio di Jafar, senz'ombra di dubbio.

Infine, come se stesse cercando di nascondersi dietro la figlia di Malefica, c'era un altro ragazzo. Era più basso degli altri, e poco più alto delle ragazze. I suoi capelli erano corti e ordinati in morbidi ricci sparati verso l'alto, bianchi come la neve, tranne per le radici nero pece. Quando il suo sguardo incrociò quello di Esme, la principessa barcollò. I suoi occhi erano di un profondo color caffè, e in un modo o nell'altro sembravano le potessero leggere l'anima. L'intensità di quello sguardo la fece sentire immensamente piccola, ma, al tempo stesso, quasi la costrinse ad avvicinarsi, come fosse il polo di una calamita. Per esclusione, si trattava sicuramente del figlio di Crudelia De Mon.

«Ehi, ciao bellezza».

L'attenzione di Esme venne richiamata da questa frase. A parlare era stato il figlio di Jafar, e si stava rivolgendo ad Audrey.

««Io mi chiamo . . .» e la squadrò tutta «. . . Jay!».

La corvina fece una smorfia disgustata, e senza pensarci due volte si intromise tra i due, trovandosi faccia a faccia con il ragazzo.

Indossò il sorriso migliore che riuscì a trovare, e fulminò Jay con lo sguardo.

«Nessuno te l'ha chiesto. E per la cronaca, adesso siete ad Auradon e dovete imparare a comportarvi di conseguenza». Rivolse un'occhiata di fuoco a tutti e cinque i figli dei Cattivi prima di continuare: «Provate solo a fare qualcosa di sbagliato e vi giuro che non sarà il Re a rimandarvi a casa, ma sarò io personalmente a farlo. A calci nel cul—».

«ESME!» la rimproverò la Fata Smemorina, mentre Ben la guardava sconvolto. «Credo basti così! Ti ringraziamo per la tua opinione, ma dobbiamo andare avanti con il programma e . . .» le grasse risate dei nuovi studenti interruppero la Fata.

Stavolta fu Audrey a rivolgere loro un'occhiataccia: «Si può sapere cosa ci sarebbe da ridere, di grazia?».

I cinque la ignorarono, ma poi a parlare fu la figlia di Malefica, ancora scossa dalle risate: «Tu!» disse, indicando Esme. «Tu! Tu mi piaci!».

La principessa venne presa in contropiede per un secondo, non aspettandosi questa reazione. Per qualche motivo a lei ignoto, cercò lo sguardo del figlio di Crudelia, ma lui stava ancora ridacchiando sommessamente, un braccio posato sulla spalla della ragazza dai capelli blu.

Ma poi la corvina si ricompose, incrociando le braccia al petto, e rivolgendo un sorriso sarcastico alla figlia di Malefica: «Temo di non poter dire lo stesso».

Quella alzò un sopracciglio, quasi compiaciuta: «Mal» si presentò, mettendo le mani sui fianchi, un ghigno che le aleggiava sul volto. «È un vero piacere conoscerti. Forse questa villeggiatura forzata potrebbe non essere così male, dopotutto».

Esme la guardò ad occhi spalancati, sorpresa di vedere gli altri figli dei Cattivi annuire d'accordo.

La principessa stava per rispondere a tono ancora una volta, ma Ben la fermò appena in tempo: «Anche per noi è un vero piacere conoscervi!» disse con un gigantesco sorriso stampato in faccia. «Io sono Ben—».

«Principe Benjamin!» aggiunse Audrey, prendendo la mano del suo ragazzo. «Presto sarà re!».

Esme non potè trattenersi dal fare una piccola smorfia. Se Ben, ora che sarebbe stato incoronato, avrebbe fatto solo proclamazioni del genere, la figlia di Esmeralda forse si sarebbe trasferita definitivamente a Notre Dame. Dopotutto di cose da fare ce n'erano, e non si sarebbe di certo annoiata con Victor, Hugo e Laverne a tenerle compagnia.

«Davvero sei un principe?» intervenne la ragazza dai capelli blu. Il suo tono di voce era caldo e soffice come un muffin al cioccolato. «Io sono Evie! E mia madre è una strega-regina, il che mi rende un principessa». Fece un piccolo inchino, rivolta a Ben, come se sperasse di farlo innamorare di lei. Esme sbuffò. Illusa. Ma dovette ammettere che dal suo modo di parlare e di atteggiarsi sembrava veramente una principessa.

Audrey accanto a lei, ridacchiò: «Oh, ma qui la Regina Cattiva non ha un titolo nobiliare! E quindi neanche tu!».

La corvina fece una smorfia quando vide l'entusiasmo di Evie svanire completamente, rimpiazzato da uno sguardo glaciale diretto verso la figlia di Aurora. In realtà Evie conservava tranquillamente il suo titolo nobiliare anche ad Auradon, in quanto sua madre era ancora legalmente sposata con il padre di Biancaneve. Ma Esme si tenne questo dettaglio per sé.

Immersa nei suoi pensieri, la principessa si era persa la reazione dei cinque ragazzi alla presentazione di Audrey. Fu la voce della Fata a riportarla alla realtà.

«Io sono la Fata Smemorina, la preside» disse, facendo un piccolo inchino.

Mal la imitò un po' impacciata: «Quella Fata Smemorina?» chiese «Quella del "bibbidi bobbidi bu"?».

«Bibbidi bobbidi! Proprio quella!» confermò la preside.

Erano quasi impercettibili, ma Esme parve notare dei piccoli ghigni farsi strada sul viso dei nuovi studenti. Si irrigidì, ora più vigile che mai.

La figlia di Malefica sorrise raggiante: «Sai, mi sono sempre chiesta . . . come deve essere stato per Cenerentola» sembrava quasi che per lei pronunciare il nome di un Buono fosse un sacrilegio. «Quando sei apparsa così! All'improvviso!» ridacchiò. «Con la bacchetta sfolgorante, e il sorriso amorevole . . .». Un luccichio malizioso passo negli occhi della ragazza, ed Esme per poco non rabbrividì. Mal battè le mani entusiasta: «E la bacchetta sfolgorante!» ripetè.

Lo sguardo della Fata si addolcì, ma quello di Esme si indurì ancora di più.

Gli altri figli dei Cattivi ridacchiarono tra di loro, ma poi i loro occhi si spostarono sulla corvina, essendo l'unica che ancora non si era presentata.

Audrey fu la prima a notarlo, e con un fintissimo sorriso, fece gli onori di casa: «Oh! Lei è la Principessa Esme, figlia dell'ambasciatrice Esmeralda».

La diretta interessata annuì secca, lo sguardo ancora duro come il marmo. Alzò un sopracciglio quando vide il figlio di Crudelia deglutire. Tutto ad un tratto sembrava nervoso.

La tensione venne tagliata dalla Fata Smemorina: «Ben, Audrey ed Esme vi mostreranno la scuola! Noi ci vediamo domani». I nuovi studenti annuirono, chi annoiato, chi entusiasta. «Le porte della saggezza non sono mai chiuse!» esclamò la preside, così forte che fece saltare sul posto persino Esme. «Ma la biblioteca alla undici precise chiuderà! E sapete come sono fiscale sugli orari. . .».

I cinque ridacchiarono sarcasticamente, mentre Jay e Mal alzarono gli occhi al cielo. La piazza iniziò a svuotarsi, finché non rimasero i cinque insieme al futuro re, Audrey ed Esme.

A rompere nuovamente il silenzio fu Ben, che con il suo solito sorriso si avvicinò ai nuovi arrivati: «Sono davvero tanto tanto felice di conoscerv—» provò a stringere la mano a Jay, ma questi si tirò indietro dando un pugno sul petto a Ben, il quale ridacchiò imbarazzato. «—i finalmente».

Si girò verso Mal, stringendole la mano. E successe qualcosa. Esme non era in grado di definirlo, però lo sguardo del futuro re era cambiato. Sembrava che i suoi occhi non potessero più staccarsi da quelli della figlia di Malefica, la quale rispose al suo sguardo alzando un sopracciglio. La corvina e Audrey si scambiarono un'occhiata, entrambe sconvolte. Cosa era appena successo?

Per fortuna, il principe si riprese dalla sua trance, e andò avanti con le presentazioni. Esme non riuscì a interpretare lo sguardo di Mal. A giudicare da come aveva ritratto subito la mano da quella di Ben, come se avesse la peste, poteva significare che fosse disgustata da lui. Ma c'era qualcosa nei suoi occhi che fecero vacillare questa ipotesi.

Ben strinse la mano del figlio di Crudelia: «È un'occasione molto importante! Un'occasione che spero passerà . . . alla storia!» si leccò la punta del pollice. «Cioccolato?» chiese al ragazzo. In tutta risposta, lui cercò di leccare via le tracce che gli erano rimaste sulla mano e sulla faccia. Ma l'occhiata che rivolse a Ben era tutt'altro che amichevole.

Esme non potè fare a meno che osservare incuriosita tutto lo scambio. Era davvero strano, ma quel ragazzo la intrigava in una maniera che lei stessa non riusciva a comprendere. Era come se lui fosse la lanterna e lei la falena attratta dalla sua luce, incapace di resisterle. Il modo in cui si sentiva nei confronti di questo ragazzo la spaventò, ma, al tempo stesso, la rese ancora più infatuata di quanto non fosse già. Sentiva la curiosità e la paura consumarla dall'interno, e sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa prima che la uccidessero. Doveva decidere a quale delle due dare ascolto.

Quindi, in una fiammata di confidenza, si avvicinò al figlio di Crudelia e gli porse la mano.

Nella piazza calò il silenzio. Gli unici suoni erano dati dal cinguettio degli uccelli e dall'incessante battito del cuore della principessa.

«Piacere» disse, cercando di far trasparire nessuna emozione nella voce.

Il ragazzo davanti a lei sembrò preso alla sprovvista. Per un minuto buono rimase immobile, lo sguardo fisso sulla mano della corvina, che stava iniziando a perdere il suo atteggiamento freddo.

Finalmente il figlio di Crudelia si decise a rispondere. Accettò la mano della principessa e la strinse forte, cercando di apparire deciso. Quello che nessuno dei due si aspettava fu la scarica elettrica che partì da quel contatto. Entrambi sobbalzarono, separando subito le loro mani, che ricaddero deboli al loro fianco, come paralizzate.

Si schiarirono la voce in contemporanea, ma fu lui il primo a parlare: «Io . . . ehm . . . il mio nome è Carlos. Pia—Piacere di conoscerti». Sembrava si stesse sforzando di essere educato, ma ad Esme non importò. Gli rivolse un piccolo sorriso.

«Sei il figlio di Crudelia De Mon, giusto?».

Lui annuì, per poi rilasciare una piccola risatina: «Si vede così tanto?».

Esme sbuffò, quasi divertita: «I tuoi capelli e il modo in cui ti vesti sono un notevole indizio».

Non stava mentendo. I figli dei Cattivi indossavano tutti qualcosa che ricordava i loro genitori. Che fossero degli accessori, i colori che li contraddistinguevano, o più semplicemente i loro capelli, c'era qualcosa che rendeva palese la loro discendenza. Ma i cinque avevano una cosa in comune. Su i loro vestiti c'erano dei piccoli dettagli in borchie, e tutti portavano alle mani dei guanti senza dita.

Mal indossava una giacca in pelle viola, con una striscia rosa su una manica e una verde sull'altra, e dei jeans strappati color prugna secca. Ai piedi aveva un paio di anfibi che sicuramente avevano visto giorni migliori.

Evie indossava dei tacchi in pelle nera che si abbinavano perfettamente con la mantellina blu notte e la gonna corta nera piena di macchie rosse, bianche e blu. Le sue gambe perfette erano fasciate da leggings con una stampa floreale, che ricordava degli alberi morti. Esme dovette ammettere che era veramente una ragazza stupenda. Quasi le sfiorò il pensiero che fosse addirittura più bella della figlia di Biancaneve.

Il figlio di Hans aveva indosso una giacca da biker bianca come il latte, con alcuni inserti blu e magenta sulle maniche. Era lasciata aperta, così da far vedere la maglietta nera che faceva pendant con i pantaloni del medesimo colore. Ai piedi indossava anfibi marrone scuro.

Jay, tra i cinque, sembrava quello a cui importava meno del suo aspetto. Ma questo non lo rendeva meno iconico degli altri. Indossava un gilet bourdeaux senza maniche con alcune parti gialle e blu, e un semplice jeans dello stesso colore. In testa portava un berretto di stoffa sempre bourdeaux.

Per quanto riguardava Carlos, non c'era molto da dire. Era vestito esattamente come ti aspetteresti da un figlio di Crudelia. I colori dominanti erano nero, bianco e rosso, e il colletto della sua giacca di pelle era in pelliccia sintetica. Bianca da un lato e nera dall'altro. Al di sotto di questa si poteva vedere una maglietta nera striata di bianco. Dai suoi pinocchietti pendeva una specie di coda sempre in pelliccia. Esme si chiese se fosse stata un regalo di sua madre.

I due restarono ad osservarsi negli occhi, prudenti, ma al tempo stesso incuriositi. E molto probabilmente avrebbero continuato a farlo se non fosse stato per Audrey.

«Scusatemi tanto, ma mi sono ricordata che io ed Esme dobbiamo controllare che le vostre stanze siano apposto e pronte ad accogliervi! E stato un vero . . . piacere incontrarvi, ci vediamo domani!» e con questo prese per un braccio Esme, trascinandola via dalla piazza. La mora però non si accorse che per tutto il tempo lo sguardo della sua migliore amica rimase incatenato a quello di Carlos.

—— angolo autrice!

Questo è il mio nuovo capitolo preferito. Non so perché ma mi è piaciuto veramente tanto come è uscito. Ma chi sono io per parlare, giusto? Ditemi sempre la vostra.

Domanda del giorno: tutti amiamo i Rotten Four (o almeno spero), ma chi tra di loro è il vostro preferito? Io direi Mal, ma in realtà non saprei proprio chi scegliere.

Al prossimo mercoledì!

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