13.1. 𝗗𝗼𝗹𝗰𝗶 𝗿𝗶𝗽𝗼𝘀𝗶𝗻𝗶

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Lally's Pov
Una tenue luce illuminò la stanza, colpendo il letto ordinatamente curato e una tazza di porcellana sul comodino. Con suo grande orrore si rese conto di trovarsi in una casa diversa dalla propria, ma il dolore che sentiva in tutto il resto del corpo le impediva di muoversi a dovere. Aguzzando un po' i sensi, Eulalie si rese conto che sulla sua fronte qualcuno aveva adagiato una pezza ghiacciata, che le dava parzialmente sollievo alla tempia dolorante. Allungò una mano verso il comodino, riuscendo a stringere appena gli occhiali fra le dita e a portarseli al viso.

Poco dopo li lanciò sulle coperte, colpita da un pesante conato di vomito e da un'intensa vertigine, che la costrinse a riappoggiare la testa sul cuscino per ripararsi il viso dalla luce del sole. Sentì uno strano movimento sul suo letto, ma quando vide un gatto -che riconobbe come proprio- impastare sulle coperte di lana con le zampe anteriori, si tranquillizzò.

«Ciao, Lily!» sussurrò al felino con un filo di voce.

La gattina, sentendo la sua voce, alzò il musetto e si avvicinò a lei, raggomitolandosi su se stessa all'altezza del suo petto. Anche la voce le fuoriusciva a stenti dalle labbra. Non riusciva a capire, non riusciva a ricordare nulla. Sentì soltanto una spiacevole sensazione al petto, come se un senso di urgenza le stesse urlando di alzarsi e di fare subito qualcosa.

Poco dopo sentì dei passi ovattati nella stanza e come se il suo corpo si fosse mosso da solo, riuscì ad afferrare la bacchetta e a puntarla contro la sagoma che stringeva con entrambe le mani un vassoio con delle tazze di ceramica. Lei si bloccò di colpo, sussultando.
«Va tutto bene, Eulalie. Sono io, Tina!»

Lally la guardò attentamente, aveva ancora il pigiama addosso e i capelli scompigliati, mentre sul suo viso erano evidenti i segni di una notte trascorsa in veglia.
«Vuoi davvero uccidere la tua migliore amica?» sul suo viso apparve un dolce sorriso e Lally posò delicatamente la bacchetta sul letto.
«Mi dispiace.» abbassò lo sguardo l'insegnante stancamente. Tina le si avvicinò, poggiò il vassoio sul comodino e si sedette sul letto accanto a lei.
«Beh, ti trovo bene.» le scostò la pezza dal viso e le controllò la febbre, poggiando le labbra sulla fronte. In effetti la temperatura non era ancora scesa del tutto, ma sembrava stare decisamente meglio rispetto a qualche ora prima.
«Uhm.» sbottò.
Tina si lasciò scappare un risolino e scosse la testa, la strinse a sé in un abbraccio, mentre Lally prese a fissare i margini delle sue sopracciglia.
«Troppo gentile. Sono orribile!» sbottò.

Sapeva e sentiva di esserlo, non si era ancora guardata allo specchio, ma già immaginava la scena: una donna pallida come quelle tazze di ceramica che Tina le aveva portato, capelli aggrovigliati su se stessi più e più volte, e un taglio netto sulla tempia. E probabilmente qualche segno violaceo sparso qua e la. Tina socchiuse appena le labbra e le accennò un sorrisetto.

Confortare gli amici non era il suo forte, solitamente li inquietava e li terrorizzava.

«Uhm... solo un pochino. Almeno hai ripreso colore, un pochino almeno.» le rispose, cercando di apparire più cristallina possibile.
Lally si lasciò cadere esausta sul cuscino e l'impatto con il tessuto, seppur morbido, le procurò uno spiacevole bruciore alla testa. Anche il pigiama che indossava le dava fastidio. Si lasciò scappare un gemito e Tina le sollevò delicatamente la testa.
«Vuoi che ti porti qualcosa?» le chiese con premura, guardandola attentamente.

Lally sollevò lo sguardo verso di lei, e si irrigidì repentinamente. Tina pensò che forse stesse avendo qualche malore improvviso, un effetto collaterale della febbre o delle ferite che aveva acquisito, forse era solo preoccupata. In fondo... ne aveva passate tante.

«E se Tina non fosse Tina,  come Perry non era Perry?» Pensò.

«Qual è il mio patronus?» riuscì a riappropriarsi della sua bacchetta, che era scivolata un po' troppo lontana sulle coperte.
«Come?!» sussultò Tina colta di sorpresa.
«Rispondimi!!» le ordinò gravemente, puntandole contro la bacchetta che teneva ben stretta tra le dita. Non si era neanche accorta che l'avesse impugnata, così Tina non potè prendere la sua. Sperò che la memoria non la ingannasse.
«Una... lontra?» balbettò.
Lally le lanciò un'ultima occhiata sospettosa e si rilassò, convinta che la ragazza di fronte a lei fosse veramente la sua migliore amica.
«Bene.» disse semplicemente «Volevo solo verificare che, che fossi veramente tu.»

Tina a quel punto annuì, allora la botta in testa non era la responsabile di quell'atteggiamento. Prese la pezza bagnata e la immerse nel catino con l'acqua gelida, sulla cui superficie galleggiavano dei cubi di ghiaccio mezzi sciolti, la strizzò e la rimise nuovamente sulla fronte bollente dell'amica. Il contatto con la pezza fredda la fece rabbrividire, era convinta che le sarebbe venuto il raffreddore, se avesse continuato a immergere le mani nell'acqua troppo a lungo. Tina prese a guardarla attentamente per capire se avesse bisogno di qualcosa, visto che Lally non azzardava a fare alcuna richiesta. L'insegnante si sentiva stanca, esausta e confusa, troppo debole per parlare.

«Beh... te la sei cavata bene.» ruppe nuovamente il silenzio, mentre armeggiava con il catino ghiacciato. «Sei fortunata a essere ancora viva.»
Appoggiò il viso sul cuscino, e si stese accanto a lei, evitando di disturbare il gatto che dormiva sotto il suo braccio.

Chiuse gli occhi, anche lei esausta e appoggiò il viso sulla sua spalla. Le mancava Queenie. Da quando si era sposata, sentiva parecchio la sua mancanza, le mancavano soprattutto quei momenti che passavano insieme, non si erano separate mai veramente, neanche quando aveva scelto da che parte stare.

Solitamente le correva dietro quando la incrociava per le stradine di New York, e lei raramente si voltava a guardarla. Era così veloce, sfuggente, che spesso rimaneva impalata in strada, a fissare il punto in cui i suoi piedi avevano toccato l'asfalto. Immaginava di poterla abbracciare, e stringerla forte a sé. Avrebbe messo da parte il suo orgoglio e le avrebbe volontariamente chiesto scusa per non averla capita, per non essere riuscita a leggere per l'ennesima volta il suo cuore. Una volta lei si era fermata, a pochi centimetri da lei. Erano rimaste a fissarsi negli occhi, nel suo sguardo non c'era rabbia, ma tanta tanta nostalgia, rimorso.

«Torna a casa, Queen. Ti prego, dimenticalo.»

Le aveva chiesto di dimenticare l'amore della sua vita. Con quel semplice imperativo le aveva dato il colpo di grazia.

«Tu non capisci.» aveva sospirato lei «Io non posso più tornare indietro! Lui non me lo permette. E può farmi avere quello che desidero!» aveva ricominciato a piangere e a implorarla di capire cosa provava.

E lei nuovamente non era riuscita a capirla. Rimorso.

«Tesoro, non è mai troppo tardi. E Jacob ti ama molto... e tu lo sai, lo hai già incantato. È a pezzi! Non vuole neanche parlarmi...»

«Perché non sei al Macusa?» Le chiese l'insegnante, lanciandole uno sguardo incuriosito.
Tina aprì gli occhi e le accennò un sorriso.
«Avevi bisogno di me. Io non lascio gli amici in difficoltà. E poi avevo veramente bisogno di riposare un po'... Ho già recuperato con gli straordinari!»
Lally divenne improvvisamente seria e si rabbuiò «Non dovevi!» disse semplicemente, abbassando lo sguardo.
«Io lo faccio con piacere, insomma, ecco sei mia amica. E poi, avresti fatto lo stesso per me, No?» si strinse le mani, imbarazzata.

Non ci pensò due volte prima di risponderle.

«Sì, certo.» annuì la strega. «Ma hai così tante grane al congresso, non voglio essere un peso per te.»
«Non lo sei» si affrettò a risponderle la bruna.

Un lampo. Era incredibile come un dettaglio potesse giovare alla memoria. Bastò che Tina si sistemasse la solita ciocca ribelle dietro l'orecchie per riportarle alla mente quell'episodio spiacevole.

Improvvisamente Lally si ricordò tutto, tutto ciò che era successo. Balzò in piedi e Tina fece giusto in tempo ad afferrarla, prima che precipitasse sul pavimento.
Lally chiuse gli occhi, non riuscendo a sopportare un pesante capogiro. L'auror riuscì ad adagiarla sul letto, si colorò di rosso per lo sforzo e nel mentre si dimenticò di riempire di aria fresca i polmoni, contratti per la fatica.

«Non devi fare sforzi, Eulalie! Sei ancora debole, devi recuperare le forze.» sussultò gravemente. La coprì teneramente con il lenzuolo e le diede un caloroso abbraccio.
«Devi stare tranquilla, Lally. Sei al sicuro qui, io non mi muovo. E Perennelle e Nicolas stanno bene, lui ti ha inviato una lettera qualche giorno fa. Non l'ho aperta, stai tranquilla.»
Lally sollevò lo sguardo verso di lei, i suoi occhi si illuminarono speranzosi. Ma non era ancora del tutto convinta.

«A si?»
«Perennelle è ancora incosciente, ma stabile. Mentre Nicolas... beh a detta di Kama... è bello arzillo e vegeto! E ti ringrazia.»

Lally smise di fissare il soffitto. Non sapeva che cosa pensare, doveva tornare a casa, conoscere la verità, mettersi a lavoro.
Agire.

«Grazie, Tina. Ma non posso restare qua... devo tornare a casa!»
A quel punto Tina scosse la testa energicamente, sgranò gli occhi e prese a tormentarsi le mani, come solitamente faceva quando era nervosa.
«È proprio questo il punto... non puoi tornare a casa! È per questo se ho preso Lily e l'ho portata qui!»
«Perchè?» sobbalzò lei, esasperata.
«Beh...» iniziò L'auror, cercando le parole giuste per articolare il discorso «quando è successo quel che è successo la settimana scorsa...»
«Settimana scorsa?!»

A quel punto sentì ancora più insistentemente l'esigenza di mettersi nuovamente in piedi, a lavoro. Ma Tina proprio non voleva sentirne ragione.

«Già, così tanto... sì!» annuì l'auror sospirando.
Non le piaceva essere interrotta, ma sapeva che Lally, così come lei, aveva bisogno di risposte.
«La guaritrice ha detto, in effetti, che ci avresti messo tanto.»
«E perché non posso tornare a casa mia?!» iniziò a spazientirsi lei «Io qui non»
«Non sei un peso.» ripetè nuovamente «E poi sei più al sicuro qui.»

A quel punto l'insegnante parve capire, sgranò gli occhi e le sembrò sprofondare nel cuscino «Vuoi dire che... che sono lì, vero? A casa mia?!» inspirò con forza, cercando di calmare l'ansia e la preoccupazione.
Tina abbassò lo sguardo, e la sentì tremare appena, le prese la mano e la strinse fra le sue.
«Si muovono a decine. Tutti i giorni aspettano solo che tu esca di lì. L'ho incantata... ti credono ancora dentro. Non sanno che tu sei qui!» le accennò un mezzo sorrisetto e poi aggiunse «Sono tempi difficili per tutti noi, in effetti. Jacob e Queenie vengono pedinati continuamente, e lei si è così spaventata che... oh, povera piccola!» sospirò l'auror americana, scuotendo energicamente la testa.
Lally si limitò ad annuire e a sospirare, tempi difficili. Lei lo sapeva bene, anche lei combatteva quella guerra in prima persona.

«A ogni modo... hai saputo la novità?» le chiese con un enorme sorriso.

L'insegnante la guardò interrogativa e scosse la testa.
«Non credo di aver avuto modo di informarmi... visto che mi sono svegliata praticamente solo oggi...» inarcò un sopracciglio.
Tina arrossì «Oh, giusto... hai ragione. Sono così sbadata oggi!» sospirò «Allora te lo dirò io... anche se sarebbe il caso che te lo dicessero loro... ma sono emozionatissima!!»
Quasi urlava per la gioia e Lally le accennò un sorrisetto.

«Hm... deve essere davvero una bella notizia, se sei così su di giri.»
«Infatti!» confermò lei. «Queenie è incinta, aspetta un bambino.» e anche questa volta i suoi occhi si inumidirono nuovamente, e di nuovo era sul punto di piangere.

Per Lally però quella non parve essere una sorpresa, allungò il volto per osservarla meglio, con un sorrisetto sghembo canzonatorio stampato sul volto.

«Uhm... ecco spiegate le nausee mattutine, e tutto il resto.»  mormorò semplicemente.

E Tina a quel punto rimase un po' interdetta, possibile che fosse stata l'unica a non accorgersene? In effetti, non era stata molto presente in quelle ultime settimane per la sorella, sempre rintanata nel suo squallido ufficio a leggere documenti e scartoffie, anche lei sprofondò nel cuscino come Lally.

«Uff... sono una... pessima sorella! Come ho fatto a non accorgermene?!» si tastò nervosamente il setto nasale, cercando volontariamente di non incrociare il suo sguardo.

Era stata piuttosto assente, il suo lavoro la stava addirittura consumando. Era stata così persa fra quelle miriadi di dati e scartoffie che non era accorta neanche dell'evidenza. Lally la aiutava spesso ad avere una visione più vasta e completa delle cose. Lei parve capire immediatamente che cosa le stesse balenando in mente, c0sì le accennò un sorrisetto intenerita, pronta a rassicurarla per quella sua piccola mancanza.

«Hai avuto tante cose da fare al MACUSA, e poi se tu sei una pessima sorella... io sono una pessima insegnante! Non dire sciocchezze, Tina!» chiuse gli occhi e sospirò, si sentiva strapazzata e non percepiva più i polmoni espandersi in petto.

«Sì?»
«Sì.» le accarezzò la guancia, con un sorriso.

Aveva questo incredibile potere di rassicurare la gente, un super potere che a lei non era stato concesso. Lei era tutt'altro che rassicurante. In parte invidiava la sua calma, il suo temperamento equilibrato. Ma non poteva non rimproverarla per ciò che era successo, era stata impulsiva, folle! Non l'avrebbe mai ritenuta capace di agire nell'impeto, senza un piano... e che, soprattutto, l'avesse tenuta all'oscuro.

«Sono felice che tu stia bene... e Buon Lewis, ma perché non sei venuta direttamente da me?! Neanche una lettera... sei stata folle, Eulalie!»
La ragazza dai capelli di topo non si affrettò a rispondere, rimase in silenzio, perchè si era posta quella stessa domanda mentre cercava di rimanere viva.
«Non ho avuto abbastanza tempo... e poi non ci ho pensato.» ammise.

Bugiarda, disse a se stessa.

«E forse forse hai sottovalutato un pochino la situazione, giusto?» inarcò un sopracciglio.
Eulalie si sentì costretta ad annuire, e quando lo fece sentì i muscoli del collo stirarsi e le spalle bruciare per lo sforzo.

«Sì, anche.» impallidì.
Mentre discutevano, Lily aprì gli occhi e si alzò, fissò per qualche secondo le due giovani streghe e si allungò appena, riuscendo a strisciare via dalla presa di Lally. Atterrò sul tappeto, dove si raggomitolò su se stessa e si riaddormentò nuovamente.
«Uhm... quante energie!» commentò Tina quando allungò la mano per accarezzarla, e la gatta si ritrasse. «Sempre più delle mie...» borbottò lei con un sorriso.

«Mi sento come una giocatrice di quidditch caduta dalla scopa!» bofonchiò Lally, sospirando.
«Non ho mai veramente giocato al quidditch... però capisco bene il paragone!»
Si abbandonò alla piacevole sensazione della coperta calda contro il suo corpo, non dormiva da giorni e quel piacevole contatto le stava facendo venire voglia di chiudere gli occhi, e abbandonarsi al sonno e alla stanchezza. Si lasciò scappare uno sbadiglio, che non passò inosservato a Lally.

«Da quanto tempo non dormi?» le chiese.
«Non lo so, da qualche giorno, credo.» rispose con gli occhi socchiusi.
«Non ti fa certamente bene,Tina.» esclamò gravemente l'insegnante, lanciandole un'occhiataccia. Tina sospirò e scosse la testa.
«Ho davvero troppe cose da fare.» sussurrò.
«Beh... visto che ti sei presa qualche giorno libero per me... non sarebbe forse l'ideale se ti prendessi qualche oretta per te?» propose ironicamente lei con un mezzo sorriso.

Tina fece per alzarsi, ma Lally le avvolse un braccio intorno alla vita, immobilizzandola e costringendola a rilassarsi, e ad appoggiare nuovamente la testa sul cuscino. 
«Sei più pallida di me. Dico davvero!»
Tina le lanciò un'occhiataccia «Non posso fermarmi, Eulalie.» la chiamava con il suo nome da battesimo completo solo quando era particolarmente frustrata «Non hai idea delle grane che mi aspettano al MACUSA, cosa sta succedendo...»
«Ne avrei se me lo dicessi!» le rispose bruscamente lei «Non puoi continuare a chiuderti a riccio! Non posso aiutarti, se non me lo consenti.»

Tina sospirò e annuì. «Scusami. È solo che, ecco, sono scomparse altre tre reclute questa settimana, e io non so più che fare. Cosa dire.» ammise «Non c'è alcuna traccia, non so che cosa fare, Lally.»
Lally appoggiò il viso sulla sua spalla e le sfiorò appena la punta del naso, le accennò un sorriso.
«Vedrai che riuscirai capirci qualcosa, a mente fresca. Ti farà bene, un buon sonno ristoratore» abbassò la voce «e poi lo so che ti manca tanto tanto Queenie.»

L'auror sospirò esausta. «Da quando si è sposata... ci vediamo raramente. Prima è successo quel che è successo... e beh, non è stato piacevole. Non è più la Queenie che conosco.» chiuse gli occhi e assaporò il silenzio.

Le faceva male la testa, ed evidentemente quei caffè, che aveva bevuto, non erano giovati a molto.

«Queenie è tutto per me, non riesco a sopportare che si sia alleata a Grindelwald... ma non mi ha consultata.»
Lally la costrinse a guardarla, le afferrò delicatamente il viso per il mento e le voltò leggermente la testa nella sua direzione.
«Non sei sua madre, Teenie. Siete adulte... e non puoi continuare a guidarla come facevi prima. Lei avrà un bambino, diventerà madre. Lei non è più la ragazzina che ricorreva le farfalle.» le sorrise.
Tina sospirò. Lo sapeva bene. Ma non poteva certamente negare che tutto le mancasse terribilmente, aveva paura che quel legame, già assottigliato, potesse infrangersi del tutto.
«Già. E ho paura... di perderla. E so che è sposata, ma lei... è la mia Queenie. Mi capisci, vero?»
Lally annuì comprensiva.

«E Jacob pende dalle sue labbra. Ma mi mancano così tanto i suoi abbracci. Troppo.» sussurrò, abbassando lo sguardo dal soffitto al pavimento.
Notò con sorpresa una macchia grigiastra sulla vernice bianca, poteva essere una perdita o qualche guasto. Le toccava avvisare la signora Esposito.

Ogni volta che pensava a lei, le veniva un'intenso bruciore di stomaco.

«Uhm. Questo non è un problema.» Ridacchiò Eulalie. Si sforzò di trattenere i gemiti di dolore per lo sforzo eccessivo, e strinse l'amica a sé. «I miei non sono tanto male.» le fece l'occhiolino.
Le sistemò la coperta all'altezza delle scapole per tenerla al caldo, e si strinse di più a lei.
«Chiudi gli occhi, Porpentina.» sghignazzò.
Tina, in tutta risposta, la spinse più in là.

«Smettila di chiamarmi così.»
«È così che ti chiami.» le ricordò, ridacchiando e facendole l'occhiolino.

Tina, tuttavia, non si mosse dal suo abbraccio, anzi annuì e seguì le sue indicazioni. Era talmente stanca che, probabilmente, non si sarebbe neanche resa conto se si fosse addormentata.

Ma per quanto ci provasse sentiva che la realtà la opprimeva anche nella quiete, e la sua mente ancora troppo concentrata sul caso per riposarsi, anche solo per cinque minuti. Eulalie se ne rese conto, senza preavviso si avvicinò di più a lei, fino a quando la sua testa non sfiorò il proprio petto, e la sua fronte fu all'altezza della sua scapola. Tina non si era praticamente resa conto di nulla. Spalancò gli occhi di colpo solo quando sentì le sue mani accarezzarle la schiena e le dita premere sui suoi muscoli tesi.

«Che stai facendo?» trasalì.
«Ti sto solo facendo un massaggio. Sei troppo tesa!»
Tina emise un gridolino. «Mi fai male!» sbottò.
«Te l'ho detto... sei molto tesa! In effetti... ci sarebbe una soluzione per calmare i nervi.»
«E quale sarebbe...?» chiese scettica, concentrandosi sulla sensazione dei polpastrelli sulla sua sua schiena.
«Ti servirebbe un ragazzo.»

Tina, che aveva iniziato a rilassarsi, sollevò la testa di scatto e sgranando gli occhi e prese a guardarla con sguardo truce.
«Come?!»
Eulalie scoppiò a ridere, sapeva che avrebbe reagito così.
«E seguire anche lui...» proseguì l'auror «no, grazie. Ho già abbastanza grane a cui pensare.»
«Ma l'amore è una cosa bellissima, Teenie. E quando trovi la persona giusta che ti ama veramente...»
Ma Tina non voleva sentire ragione, la interruppe bruscamente.
«E annullare me stessa?» domandò, con una voce simile ad un sussurro.

Lei sapeva che l'amore non era per lei, era riuscita perfino a far scappare Queenie. L'amore non era per lei. Più lo ripeteva e più le sembrava vero. Lei era Tina Goldstein, una persona cocciuta, testarda e fredda. Aveva imparato che il distacco era il suo unico mezzo per non soffrire, ma finiva sempre per abbracciare una causa. La verità era che lei odiava la sua empatia, la causa di ogni suo dispiacere.

«Ma che stai dicendo? L'amore, quello vero» specificò Lally «non ti annulla, ma ti completa. E poi tu hai solo paura di rimanere delusa. È normale, è una cosa nuova per te e»
«Io non credo di volerlo mai provare... ecco, sto bene così, Lally.»
«Hai solo paura di soffrire. L'amore è sicurezza, affetto e rispetto.»
Tina sospirò sonoramente. «Davvero... sto bene così.» ammise.
«Forse dovresti parlarne con qualcuno.» le sussurrò all'orecchio, mentre con una mano le accarezzava i capelli.
«Sto bene. Davvero. Sono solo esausta. E poi non ho bisogno di un ragazzo. Il MACUSA prosciuga ogni singola energia. E poi mi bastano le tue parole...sono meglio di tre gocce di saporifera!»

Rimasero in silenzio per qualche minuto a contemplare il soffitto e ascoltare il canto degli uccellini. Tina non sapeva neanche che ore fossero, e non le importava. Ricordava ancora quando lei e Lally erano compagne di stanza a Ilvermorny, e tutte le volte che l'aveva riportata a letto mezza dormiente, quando si addormentava nella sala comune con la faccia immersa fra le pergamene. Aveva dimenticato quanto avesse faticato per diventare auror, l'unico sfizio che si concedeva nel pomeriggio era osservare gli altri studenti dalla vetrata del suo dormitorio.

Era Lally che la trascinava, la obbligava a mettere da parte i suoi amati libri per qualche ora e la trascinava nei giardini della scuola. Non voleva fermarsi, lei voleva diventare auror a tutti i costi.

«Credi davvero che troverò mai qualcuno che mi ami veramente? Per quella che sono?» espresse questo suo timore con voce tremante, che non avrebbe mai confessato a nessuno.
«Sono cocciuta, testarda e a volte prepotente.» ammise.
«Puoi togliere a volte...» specificò Lally, senza tuttavia smettere di sorridere, assaporandosi la sua implicita vittoria.
«Io dico di sì. Anzi...ne sono sicura.» dichiarò seria l'amica.
Tina sospirò.
«Sei gentile. È per questo che sei la mia migliore amica.»
«Vale lo stesso per te.» sorrise la ragazza dai capelli di topo, stringendola energicamente in un abbraccio, come poteva.

Anche allungare le braccia procurava un fastidioso bruciore alle ossa.

Tina esausta smise di parlare, per quanto le dessero fastidio i capelli sulla guancia non li scostò, non aveva né la voglia e nè la forza di scostarli dietro l'orecchio. Le piaceva essere abbracciata, le era mancato parecchio l'affetto di Queenie in quegli ultimi cinque anni.

«Mi piacciono i tuoi abbracci...» mugugnò lei, socchiudendo gli occhi.
«Non ne dubito.» rise in risposta Lally, ma prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa lei era già crollata.

La stanza si riempì di sospiri, Eulalie constatò con sorpresa che l'amica non aveva smesso di russare. Era così stanca, esausta. Le avrebbe fatto molto bene non pensare assolutamente a niente per qualche ora, il suo cuore avrebbe agito meglio. Le fece una carezza. Una ragazza così forte all'apparenza, che necessitava più di un abbraccio per colmare quella fragilità interiore che tendeva a nascondere con un sorriso.
Tutto diveniva una questione personale. Aveva imparato a leggerla in qualche modo, non era la persona che tutti erano convinti di conoscere. A volte appariva ancora piuttosto criptica, e difficile da decifrare. Era dolce, questo lo sapeva.

«Vedrai che andrà meglio con il caso.» le sussurrò, consapevole che non poteva udirla, ormai nel suo mondo dei sogni.

Minnie ed Albus pov

Una folla di persone si muoveva in sintonia, spostandosi da un lato all'altro del porto Newyorkese. Minnie per un soffio afferrò il cappello che una folata di vento aveva rischiato far volare via. Albus era perso a guardare il panorama, a studiare il mare increspato, in silenzio.

«Vuoi qualcosa da mangiare, Al?»
Albus alzò leggermente il viso, un pò colpito o forse colto di sorpresa.
«No, grazie, Minnie.»

Sembrava un marinaio in balia delle onde. Si sedette sulla panchina dell'imbarcazione per riprendere fiato, l'aria era così rarefatta che lo costringeva a contrarre i polmoni più volte.
«Mancano pochi minuti, la vedi la folla che si avvicina? Potremmo già smaterializzarci.»
«Certo, e non credi che troverebbero alquanto strano che due passeggeri siano"magicamente" scomparsi? Non siamo a Londra, ti rammento!» scosse la testa contrariata.
«Certo.» confermò lui con un mezzo sorriso «Ma le cose sono cambiate. Il MACUSA ha allentato un po' la mano, professoressa Mcgrannit.» le rispose pacato osservando attentamente i turisti seduti accanto a lui.

Francesi, gli sembrò di riconoscere. Quella non era esattamente quel genere di visite o viaggi di piacere, eppure si sentiva un po' come loro, quando li osservava chiacchierare allegramente intenti a perdersi in una laguna cristallina. Sarebbe stato il sogno di una vita di chiunque, riuscire a visitare ogni località del mondo.

Lui non aveva bisogno di uscire dal suo ufficio per farlo, gli bastava uno specchio magico e un ritaglio di giornale.

«Sì, ma non siamo liberi di fare quel che ci pare... li vedi quelli laggiù?» gli fece cenno di guardare nella sua direzione, indicando due uomini vestiti di tutto punto, con cappotti neri di pelle e cappelli in peltro dello stesso colore.

«E?»
«Sono auror! Il Macusa ha obbligato i suoi dipendenti a controllare i mezzi di trasporto babbani!»
«Uhm. Ci sono tanti modi per confondersi tra la folla, non credi?»
«Certamente.» confermò Minerva «Ma non vorrai dare loro il ben servito, spero.»
Albus ridacchiò divertito.

«E perché no, Minnie?»
Minerva sgranò gli occhi e prese a fissarlo con sguardo truce, come se davanti a lui ci fosse un Troll.
«Ti lascio qua, Albus! In prigione!»
«Ho capito, professoressa.» scoppiò a ridere lui. «Non oserei mai. Ho già abbastanza grane a cui pensare, non vorrei pensare anche agli auror.» ammise.
L'insegnante sospirò e si rilassò.
«Bene.» si lasciò cadere sulla panchina, accanto a lui.

«E soprattutto.» proseguì lei.
«Non inimicarti nessuno.» la interruppe lui. «Me lo hai detto decine e decine di volte.»
«Volevo dire...» sbottò lei, infastidita di essere interrotta continuamente «cerca di rilassarti. Di respirare aria fresca, per una volta.» si addolcì.
Albus rimase parecchi secondi a fissarla, come se volesse assicurarsi che non lo stesse prendendo in giro, ma Minerva era seria, stessa espressione imperterrita.
«Oh, sei seria.»
«Serissima.» confermò lei, con un sorriso raggiante.

Le scostò i capelli dal viso goffamente, facendo attenzione a non sfiorarle la guancia. Era la sua migliore amica, e mai avrebbe voluto metterla in imbarazzo. Minerva gli accennò un sorriso. - mi conosci, Albus. Io sono sempre seria!- gli diede una leggera spallata affettuosa e anche Albus non riuscì a trattenere un sorriso bonario.
«Ne sono testimone, professoressa Mcgrannit.» abbassò lo sguardo imbarazzato. «Lei è una donna ricca di sorprese, professoressa. Elphinstone sarà un uomo fortunato!»
Minerva gli lanciò un'occhiataccia, paonazza. Si guardò intorno, come se volesse assicurarsi di non essere udita dai turisti che la circondavano.

«Smettila! Mi fai impazzire! Non ridere! Non ti permettere di-»
Ma Albus non le diede retta, le sue reazioni gli rendevano ancora più difficile seguire i suoi ordini. E una volta scoppiato il riso, era difficile per lui ritrovare un contegno, e certamente la faccia di Minnie non aiutava.
«Quando siamo in Hotel, giuro che ti chiudo quella bocca!»
«Ci conto.» ridacchiò il mago, facendole cenno di guardare il porto, ormai vicino.

Minerva sospirò e iniziò a guardare l'immensa statua verde speranza, al centro della piazza portuale.

Dava importanza a quel luogo grigio, un pizzico di speranza, un senso di imponenza al tutto. Minerva non era mai stata a New York prima d'ora, il panorama la incantava, e quasi quasi non riusciva a distogliere lo sguardo dallo sfondo, dove si ergevano imponenti grattacieli. Erano arrivati un giorno prima, quindi ne avrebbero approfittato volentieri per fare un giro tra le vie.

«Credi che quella corona mi starebbe bene?» gli chiese, indicando la statua della libertà.
Albus le accennò un sorrisetto, non c'era bisogno di costruire accuratamente una risposta.
«Beh, posso assicurarti che non tutte le regine indossano una corona.»
«Non credo di voler mai essere una regina» ammise Minerva con un sorriso «troppe regole, troppe etichette. Ma una regina guerriera sì!» Esclamò fieramente lei.

«Un'amazzone?» Rdacchiò Albus, non riuscendo a trattenere il riso. «Ma lo sai che hai ragione, Minnie? Non ti vedrei di buon occhio se indossassi un pomposo abito di velluto!»
«Per una volta siamo d'accordo su qualcosa» sorrise fieramente lei, annuendo.

Albus ridacchiò.
«Magari potrei prestarti la spada di Godric Grifondoro. Per i tuoi allenamenti! Potresti chiedere a Sir Nicolas, lui sarebbe fiero di addestrarti. Potrebbe darti delle lezioni private.»
Inarcò un sopracciglio - o potresti chiedere un favore al Barone sanguinario.-
Minerva scosse la testa - Sposerei Elphinstone piuttosto!- sbottò.

Quello che certamente sarebbe successo, ridacchiò Albus fra sé e sé

Afferrò I bagagli e diede un'ultima occhiata al paesaggio che si era lasciata alle spalle. Era piacevole osservare quel mare cristallino alle sue spalle. Si mise in fila con Albus per scendere dalla nave, stringendosi al suo braccio per non perdersi. Se fosse successo, non aveva neanche la possibilità di smaterializzarsi. L'America era un territorio sconosciuto, per lei. Ma soprattutto, non voleva che Albus ne combinasse un'altra delle sue, sperando che non provocasse gli auror di guardia. O semplicemente per evitare di perdersi in mezzo alla folla, e di vagare per mezza New York alla ricerca l'uno dell'altra, in mezzo allo scirocco.

«Mi raccomando, Albus.» Gli sussurrò.
«Nessun problema.» Confermò.
Si tolse il cappello in segno di rispetto, per salutare un poliziotto in divisa, che rispose con un cenno del capo. Superata la passerella di legno, raggiunsero un cartello pubblicitario lontano dalla folla.
«Hm, oggi gelato a metà prezzo!» Lesse il cartello con un mezzo sorriso.
«Va bene... magari dopo.» Sospirò la strega, fissando il cono con parecchie palline di gelato e una ciliegina troppo ritoccata e artificiale sulla cima.

Minerva si abbottonò il cappotto per rendersi più presentabile. Le era sempre piaciuto il caldo, quel lieve tepore primaverile. Ma il tempo era così mutevole che spesso si ritrovava a combattere quel repentino vento gelido che le gelava le ossa.

Dopo aver superato un colonnato di legno, raggiunsero un poliziotto americano. Esibirono i loro documenti babbani, sperando che apparissero autentici. Loro non erano soliti usarli, e spesso tendevano a esagerare i tali circostanze. Forse avevano passato troppo tempo lontani dai babbani.

Minerva giurò a se stessa che si sarebbe trasformata in una di quelle palline di gelato sul manifesto, se non si fossero mossi al più presto a trovare un riparo.
Il poliziotto, un uomo grassoccio e dalla faccia quadrata, non appena vide i documenti in bella vista, lanciò loro un'occhiata di sospetto.

«Prima volta a New York?» Domandò, continuando a scrutarli per benino.
«Sì,» rispose la strega «per me sì», aggiunse.
«Bene. Minerva Isobel Mcgrannit?» Lesse i documenti e scrutò la foto, confrontandola con il suo viso.
«Esatto.» Confermò lei.
«E siete qui per?»
«Fare visita a un'amica» mentì Albus prendendo le sue difese.
«Sì, lui è con me» spiegò Minerva, accennando un sorriso.

Lanciò un'occhiataccia ad Albus, che sorrideva più del necessario.

«È troppo» gli sussurrò a denti stretti.
Il poliziotto annuì, e restituì a Minerva il proprio documento.
E subito si concentrò su Albus, che sorrideva raggiante.

«Quanta fortuna liquida hai bevuto?»

«Albus Percival Wulfric Brian Silente?» scandì ogni singola sillaba per assicurarsi di pronunciare bene ogni singolo nome, fermandosi per riprendere fiato. Albus trattene un sorriso.
«Non sono riusciti a mettersi d'accordo per il nome?» balbettò, con un filo di voce.
Albus lo guardò imbarazzato.
«Può darsi. Avevano l'imbarazzo della scelta. Non volevano scegliere, così li hanno scelti tutti.» mormorò.
Il poliziotto alzò appena le sopracciglia e annuì.
«Mi dispiace per lei.»

Segnò i due visitatori nel registro, e con il solito tono di non curanza si rivolse nuovamente a loro. «Ha qualcosa di illegale in quella valigia?»
«No, signore.» rispose Minerva, avvicinando prontamente la sua valigia. «Dia pure un'occhiata.» lo incitò.

«Al massimo ci trova un vaso da notte.» sussurrò Albus.

Minerva gli diede una gomitata imbarazzata, che fortunatamente il poliziotto non notò.
«Non è necessario, signorina. Le credo sulla parola. Una criminale nasconderebbe la sua valigia.» mormorò «Vi auguro una buona permanenza!» sussurrò.
«Grazie.» mormorarono in coro i due maghi.

Albus fece un rapido inchino, e Minerva lo tirò rapidamente verso di sé, notando l'espressione attonita del poliziotto.
«È troppo!» bofonchiò paonazza, a denti stretti.

Il poliziotto distolse rapidamente lo sguardo dalle due figure.
«Mah...» pensò.

Erano davvero così eccentrici i londinesi? Fuori dal mondo, individui assurdi. Se non ne avesse visti altri nella sua lunga carriera da poliziotto doganale, probabilmente si sarebbe convinto che fosse vero.

«Tu e il tuo grande spirito dell'umorismo!» gli lanciò un'occhiataccia, quando furono abbastanza lontani dai controllori.
«Ma è vero... il vaso da notte...»
«NON È UN VASO DA NOTTE!!» quasi urlò «È.... un vaso e basta.» concluse lei paonazza, abbassando il tono della voce.
Albus sollevò un sopracciglio, con l'intenzione di canzonare l'amica.
«Sì, ma lui non lo sa. Dico bene?» ridacchiò «E inoltre... a ogni modo... vorrei presentarti delle persone.»
«Uhm... immagino quella ex servitrice di Grindelwald e il marito!» esclamò contrariata lei.
«Sì, ma... chi non commette errori per amore? E poi lui è un grande amico di Newt, è un babbano molto tollerante.»

Minerva inarcò un sopracciglio, la sua espressione voleva intendere «e quindi... questo dovrebbe cambiare le cose

Aveva imparato nella sua lunga carriera da strega che i babbani tutto, fuorché tolleranti.

Così Albus si affrettò a spiegarle tutto «Newt si fida di lui, è il suo migliore amico. Pertanto anch'io. Ho avuto modo di conoscerlo, molto più di te.» non aspettò una sua risposta «E poi... la ragazza potrebbe avere informazioni importanti su "tu sai chi"» abbassò la voce per evitare di essere udito. A quel punto Minerva allungò leggermente l'orecchio.
«Nessuno sfugge a "tu sai chi", lo sai vero?»
Albus annuì. «ma forse lui ha altri piani... forse ancora gli è utile alla causa, solo che lei non lo sa.»
«E chi te lo dice che stia prendendo in giro tutti noi?» borbottò lei.
«Perché adesso ha una famiglia.» rispose deciso.

Forse lei ancora non lo sapeva. Forse, pensò. Ma più lo ripeteva nella sua mente, più ci credeva. Conosceva bene Gellert, non era quel genere di mago che lasciava correre. No. Lui era spietato, non conosceva il perdono, e mai avrebbe accettato di lasciare impunito un tradimento.

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