15.3. 𝗨𝗻𝗮 𝗯𝘂𝗼𝗻𝗮 𝗰𝗮𝘂𝘀𝗮

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«Beh, sei un folle, Newt Scamander!" tuonò Minerva Mcgranitt, squadrandolo da capo a piedi, con le mani premute sui fianchi «un irresponsabile!! Lascia che lo scriva a tua madre e»
«Calma, calma, Minnie.» ridacchiò Albus, interrompendo la sua sfuriata «non è più un ragazzino.»
«Dici?» domandò la strega sarcasticamente, scuotendo la testa.
E in quel momento a Newt sembrò essere ritornato bambino, un vivace bambino pestifero che ne combinava di tutti i colori.

«Anche se... certe volte è vero.» ridacchiò una voce.
Newt si voltò appena a guardare nella direzione in cui aveva riconosciuto la voce, e incrociò il suo sguardo del fratello, soffermandosi a studiare i denti bianchissimi in evidenza.
«Non credevo di trovarti qui...» ammise paonazzo, abbassando lo sguardo.
«Non potevo certamente lasciarti da solo, a fare qualche altra follia!» esclamò l'auror dandogli un leggero colpetto sulla spalla, come se volesse rimproverarlo bonariamente per quel suo atteggiamento poco maturo e responsabile.

Erano nella penombra più totale, ad eccezione della luce tenue che penetrava appena da un piccolo spiffero dal soffitto. I lampadari erano del tutto inutili, e le finestre socchiuse erano pressoché misere. Silente si avvicinò a una di esse, ed evitando il sudiciume con uno dei suoi guanti neri, ne spalancò una, almeno si sarebbero potuti guardare negli occhi. Ma nonostante tutto, le sagome nella stanza rimanevano sconosciute, compresi gli spigoli dei tavoli, che Theseus aveva avuto modo di constatare sul proprio fianco prima del presunto arrivo del fratello.

«Perché siamo qui?»
«Perché dovevi parlarmi di qualcosa, mi pare di capire...» proferì Albus Silente con un mezzo sorriso, avvicinandogli una sedia. Newt si ritrovò ad annuire.
«Volevo solo chiederle se ha qualche notizia in merito a»
«E comunicarmi dell'attacco della settimana scorsa.» lo bloccò il mago più anziano con noncuranza, continuando a passeggiare nella stanza. Osservò per qualche secondo il suo riflesso tra i vetri dello specchio, e poi riprese a guardare il resto del gruppo con curiosa allegria.
Come al solito Newt ne rimase colpito, come sempre Albus Silente era al corrente dei fatti. Se avesse saputo che ne era già al corrente, probabilmente non si sarebbe preso la briga di scomodarsi per raggiungerlo ad Hogwarts. E non avrebbe dovuto fare tanta strada inutilmente.

«Come lo sa?» domandò.
Theseus fece un passo avanti e inarcò un sopracciglio e sospirò «Credevi davvero che non avrei fatto nulla a riguardo?»
Newt annuì. «Gli hai mandato un gufo, vero?»
«Già!»

Aberforth gli fece cenno nuovamente di accomodarsi sulla sedia libera vicino a lui, ma Newt non accettò l'invito, preferendo rimanere in piedi.

«Ha delle notizie, professore?» chiese timidamente, sforzandosi di guardarlo negli occhi.
«Oh sì, parecchie a dir la verità... e da una fonte più che attendibile!» confermò battendo le mani euforico «Ho fatto delle ricerche sulle maschere, e credo proprio di aver trovato alcune informazioni davvero interessanti!» proseguì lui, accarezzandosi la barbetta bruna, « sono stati avvistati in Grecia. Recentemente, qualche giorno fa. E ora... capisco perché. Mi è stato detto, che circa due secoli fa una ragazza stava per essere rapita da un mutaforma, un'aquila con una capacità alare così sviluppata da trascinarla in volo.»
«Ma è assurdo! Non esistono creature umanoidi oltre le arpie capaci di fare qualcosa del genere!» Esclamò Newt visibilmente contrariato, «E si sono estinte parecchi secoli fa!» Concluse lui.

«Inoltre, bisogna considerare, che si tratta solo di una leggenda!» sospirò Minerva incrociando le braccia al petto.

«Anche!» confermò il magizoologo. «Nella mia breve ma intensa carriera da magizoologo non ho mai avuto l'occasione di incontrarne una, purtroppo.» Abbassò lo sguardo visibilmente imbarazzato.

«Forse potremmo chiedere al professor Dippet...» propose la strega grattandosi il naso «In fondo... nella sua umile e lunga esistenza deve aver visto qualcosa di interessante. Insomma, lui ama i viaggi e non fa che farsene vanto!» ironizzò, cercando di nascondere una smorfia di fastidio.

Il più giovane tra i quattro sospirò, non aveva alcuna intenzione di ricominciare a pulire e certamente rivedere quell'affabile preside di Hogwarts. E Newt che la trovava una persona statica, ordinaria. Decisamente lontana dall'avere una vita animata, o un'avventura in giro per il mondo. Forse era era anche per quello se era ancora vivo....dopo ben tre secoli e mezzo, troppo prudente per fare qualsiasi altra cosa.

«Non è male la tua proposta, Minerva» ridacchiò Albus quando scorse il muso lungo del magizoologo britannico.
«Ma dubito, che il preside dippet abbia visto tutto ciò che ha detto di vedere!» sospirò Minerva, che conosceva bene l'attuale preside di Hogwarts.

Era un uomo tutto fumo ma niente arrosto. Bravo per certi aspetti ovviamente, ma per altri certamente apparire ordinario... forse aveva quel pizzico di ironia in più, che non guastava mai. Aveva dato però un gran contributo alla scuola, resa decisamente nota e privilegiata rispetto alle altre, un pizzico di notorietà in più che valorizzava quella già concessa dal casato del black.

Dopotutto il preside Dippet meritava di finire tra i quadri di Hogwarts, ricordato insieme a tutti gli altri.

«Non credo si tratti di arpie.» ammise Newt, guardando il resto del gruppo, « le arpie non mutano in animali, non ne avrebbero il motivo... sono già degli ibridi.» sussurrò.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Silente decise di romperlo improvvisamente.
«Ad ogni modo, ho avuto modo di parlare con la tua amica del macusa!» esclamò con noncuranza, accennando un sorriso al suo ex allievo, fingendo di essere poco interessato all'argomento e marcando apposta la parola amica.

«É stata lei a darle queste informazioni?» balbettò paonazzo Newt, che aveva colto la sua supposizione. Non riusciva a figurarsi che Tina avesse avuto una rappresentanza con il grande Albus Silente, e che aveva preferito dire al suo professore quelle notizie e non a lui. Forse non si fidava abbastanza, o forse non era la persona più adatta per il caso.
«Sì.» confermò Minerva con un mezzo sorriso, «voleva anche che te lo dicessimo. Non poteva scrivertelo via gufo, sarebbe stato troppo rischioso.» abbassò lo sguardo.
«È una donna davvero particolare, Newt. Unica nel suo genere.» mormorò il maggiore dei Silente.
«Già.» mormorò Newt, abbassando lo sguardo.
«È una donna straordinaria! Ha fegato! E si fida ciecamente di te.» gli sussurrò la professoressa Mcgrannit, guardandosi intorno.
«Ah sì?» mormorò completamente rosso.
«Ah ah...»
«Ed è davvero abile!» ripetè Minerva, che aveva preso a simpatia la strega americana, «Ha tenuto testa a quel sudiciume di, com'è che si chiama...Albus?»
«Abernathy!»
«Ah sì, giusto...»

Newt deglutì a fatica, certamente non aveva dimenticato il suo carattere spigoloso e pericoloso. Tina gli aveva detto come la trattasse con sufficienza a lavoro, nonostante ricoprisse una carica di gran lunga più importante della sua. Gli aveva detto di tutti i problemi che gli aveva causato durante le ore lavorative. Non riusciva proprio a sopportarlo, e quando poteva faceva di tutto per non fare la sua stessa strada, talvolta sceglieva di farsi quelle decine di rampe di scale, pur di non prendere l'ascensore con lui. Erano passati mesi dal loro ultimo incontro e sentiva che non avrebbe tardato a lungo per rivederla, le mancava doveva metterlo, ma non riusciva ancora a trovare il coraggio di ammetterlo a se stesso.

«Una minaccia, in effetti, per Grindelwald. Ma in fondo, lo siamo tutti no? Tutti vulnerabili...»

Quella frase lo fece tremare più del solito, come se le parole tutto d'un tratto assumessero un significato più profondo, una nota sincera di preoccupazione gradualmente crescente, pronta a sommergere le loro menti, che andava oltre le notizie lette sul giornale. Era come, se in un certo senso, da un giorno all'altro avrebbero potuto vedere le loro immagini impresse su quei papiri. Se veramente fosse accaduto probabilmente non avrebbero avuto più opportunità di salvare il mondo. Continuavano a ripetersi che il loro mondo, e quello dei babbani, aveva bisogno di loro. E con ragione. Perché molto probabilmente erano gli unici a poterlo salvare. Il mondo ha bisogno di noi, ripeteva.

Perdere Leta lo aveva particolarmente ferito. Lo aveva distrutto. Non voleva perdere anche Theseus, Jacob, Queenie, i suoi genitori, quel suo eccentrico professore un po' troppo ficcanaso, Tina. Tina, se avesse perso lei probabilmente non avrebbe saputo come comportarsi, o come si sarebbe sentito. Loro erano la sua famiglia, il suo luogo sicuro. Nessuna creatura al mondo sarebbe riuscita a colmare quel genere di vuoto, che aveva avuto l'occasione di provare una volta.

«Se vogliamo fermare Grindelwald ognuno di noi deve agire, fare ciò che è nelle proprie facoltà. Ma vi siete chiesti perché ha provato ad attaccarci?» chiese Albus, con un espressione che indicava la sua profonda esperienza. Una domanda semplice e, a dirla tutta, piuttosto banale.
«Beh... perché siamo temibili, perché ha paura di noi, di cosa potremo fare tutti insieme».
«L'anno scorso si è accorto di cosa siamo capaci, e adesso ha paura,» confermò il professore con un sorriso tirato, «e sa pure che non starò dietro la scrivania a guardare, non questa volta...»
«Vuole indebolirti, Albus. Indebolirci!» sospirò la professoressa Mcgrannit, sollevando appena le spalle.
«In effetti, se siamo da soli non siamo poi una grande minaccia...» balbettò Newt, abbassando lo sguardo.
«Già...» confermò Albus,

«Cosa vuoi fare, Newt? Da che parte stai?» divenne incredibilmente serio.

Si sentì mancare l'aria, non credeva che che il grande Albus Silente continuasse o potesse dubitare della sua lealtà, visto che non aveva mancato di dimostrare il suo coraggio e la sua volontà di sconfiggere una volta per tutte il temibile Gellert Grindelwald. Eppure, non voleva dimostrarsi risentito o deluso da quella domanda, così si limitò a sorridere e a cercare di non mostrare il suo fastidio.

«Ho già preso una posizione parecchi anni fa, mi pare...» abbassò lo sguardo, «creerò un esercito di creature magiche se necessario» continuò a fissarsi la punta delle scarpe, stringendo con una mano callosa il manico della sua preziosissima valigia.
«Non posso proteggerli per sempre, e se dovesse succedere qualcosa alla loro mamma, devono imparare a sapersela cavare da soli, a difendersi se necessario.»
Sul viso del Magizoologo comparve un sorriso triste, malinconico, si sforzò però di tenere per sé la tristezza per non contagiare il resto del gruppo, anche se era quasi impossibile nascondere la paura. Newt era un libro aperto ed era facile leggergli dentro.

«Non è necessario.» si affrettò a dire Minerva Mcgranitt, lanciando una rapida occhiataccia al suo collega.

Anche Theseus Scamander decise di sostenere il suo pensiero, affiancò il fratello, desideroso di proteggerlo insieme alle sue creature, sapeva che non li avrebbe mai più perdonati, se fosse successo loro qualcosa. Ma lui scosse la testa, consapevole che non c'era nessun'altra possibilità, altre opzioni tra cui scegliere.
«Sai che non posso tirarmi indietro, e poi pensa... una colonia di Snasi è riuscita a salvarci! Non credo che lo zouwu non ci difenderebbe nel momento del bisogno» sussurrò, sollevando appena lo sguardo per scrutare i suoi amici.

Sapeva che, da Magizoologo qual era, aveva un dovere nei confronti di quelle creature che custodiva e guidava con tanta cura, e che sicuramente non sarebbe riuscito a difenderli, se non ce l'avesse fatta.

Si trovava in un baratro, lottare tra la mente e il cuore.

La mente, la sua parte razionale gli diceva che era la cosa giusta da fare, che era necessario mettere da parte il cuore perché era necessario in quel contesto di ostilità. D'altro canto il cuore gli chiedeva di mettere da parte la sua razionalità, di agire non per ragione ma per amore, e che sarebbe stato alquanto insensato esporle a un pericolo così grande che neanche lui avrebbe potuto contrastare.

«Un esercito di riserva ci sarebbe molto utile! Sempre pronto in valigia.» confermò Silente, con un mezzo sorrisetto.
Lo osservava in attesa, con le braccia contro il petto, e probabilmente consapevole che l'aveva convinto. Nei suoi occhi apparve un luccichio di speranza, che fortunatamente non era svanita nonostante la crisi che stavano affrontando. Ma in fondo si sa, che la speranza è sempre l'ultima a morire.

«O Newt, so quanto le tue creature siano preziose per te.» Sussurrò a bassa voce Minerva.
Se avesse visto le sue lacrime minacciare di uscire dal bordo dei suoi occhi, probabilmente si sarebbe precipitata da lui per confortarlo, abbracciarlo. Anche se sapeva che non era da lei.
«Loro... devono solo imparare a eseguire gli ordini.» balbettò lui asciugandosi gli occhi con il palmo della mano, «comincerò fin da subito addestrarli, loro mi ascoltano, è facile se hai la loro piena fiducia.» accennò un discreto sorriso.

Ma in fondo... che altre speranze avevano, ripetè di nuovo tra sé e sé.

Gellert Grindelwald aveva trovato un'arma sconosciuta e letale da usare contro di loro. Anche loro avevano un'arma, un'intera schiera di amici pronti a battersi per una giusta causa, ma questo sarebbe andato contro i suoi i suoi principi, l'ultima speranza, l'ultima spiaggia a disposizione. Guardò Piquette nel taschino del cappotto che squittiva, risalire zampettando sul palmo della sua mano.

Aveva smesso di lamentarsi nel momento stesso in cui i suoi piccoli occhietti penetranti incrociarono lo sguardo cristallino e offuscato del suo padrone. Era troppo difficile vederlo piangere, così gli fece una pernacchia, in un dolce e tenero tentativo di rincuorarlo, tranquillizzarlo, riuscire a strappargli un sorriso.

E ci riuscì, in qualche modo.

«Mi darai una mano, Piquette?»

Era così piccolo, poco più stretto del suo mignolo, eppure aveva coraggio da vendere molto più di lui. E già sapeva in anticipo che se ne sarebbe pentito aspramente, e che non sarebbe riuscito a perdonarsi, se fosse successo loro qualcosa. Pensava ancora e non riusciva a smettere di farlo a quel piccolo e difeso cucciolo di ippogrifo che aveva appena imparato a volare a sbattere le ali.

Era ancora un cucciolo, che non aveva avuto paura di battersi per loro, per salvare la sua mamma. Newt non aveva fatto nulla per fermarlo, non aveva potuto... forse avrebbe potuto insegnargli a lottare, a difendersi, ma era arrivato troppo tardi. Non lo aveva fatto, nonostante ci avesse pensato così tante volte.

E quella scelta, anche se non del tutto consapevole, lo stava uccidendo. Le conseguenze lo stavano divorando. Sapeva di non avere colpa non era stato lui a utilizzare la bacchetta. Ma ne era responsabile, e lo sarebbe stato anche in quel caso, in un modo o nell'altro. Se scelto di non agire, non avrebbe avuto la possibilità di difenderli, non erano abbastanza forti da affrontare un esercito di maghi, ma se li avesse addestrati li avrebbe esposti volontariamente al pericolo in quel caso avrebbe potuto perderli. In entrambi i casi dei suoi creature sarebbero state in pericolo.

E se le avesse perse, a quel punto sarebbe crollato in una spirale o oscura e buia, e non sapeva se sarebbe riuscito a rialzarsi. E lo stesso valeva per i suoi amici.

Aveva visto Leta morire, e non era certo di essere pronto a rivivere la sua morte una seconda volta.

Percival and Tina's POV

Tina osservò con la coda nell'occhio Achilles che beveva il caffè, con il giornale spiegato sulle gambe. Era talmente concentrato, che non si accorse che Percival Graves si era avvicinato a lui, con il duplicato stretto saldamente tra le mani. Lo scosse leggermente per la spalla e l'auror sollevò appena lo sguardo, un po' sorpreso di essere disturbato durante la sua pausa di lavoro.

«Signor Graves, ha bisogno di qualcosa?» Gli chiese, quando si rese conto di chi si trattasse. Percival accennò un sorriso, che non andava oltre l'amichevole.
«Volevo solo sedermi, Tolliver.» rispose lui con la sua solita freddezza, con le braccia incrociate al petto.
«Hai occupato tutto il sedile!» si lamentò, facendogli notare il suo atteggiamento da padrone.

Il mago sbiancò repentinamente, e si affrettò a balbettare una scusa. Si rimise composto, togliendo le scarpe sporche di fango dal sedile in velluto della poltrona.
«Mi scusi.» abbassò lo sguardo.
«Ti pare?» mormorò Graves, ripulendo il sedile dalle orme e sedendosi accanto a lui. Nel mentre era riuscito a far scivolare la collana sulle gambe del grindelwaldiano, appena appena sotto al giornale, riuscendo a non farsi notare.
«Come mai é di buon umore, Tolliver?» iniziò, cercando di fare conversazione per non destare sospetti.

Achilles si portò le mani al collo e, non sentendo più la catena metallica legata intorno, si accigliò. Iniziò ad agitarsi visibilmente e Percival capì di essere riuscito nel suo intendo, adesso doveva solo imparare la sua parte. Doveva soltanto far finta di niente.

«Tutto bene?» gli chiese innocentemente, fingendosi preoccupato.
Achilles annuì energicamente con la testa, e cercò di darsi un contegno.
«Credevo di aver perso qualcosa di davvero importante, sai...un vecchio cimelio di famiglia.»sospirò.

Viscida serpe schifosa, pensò Graves.

Era perfino abile a mentire spudoratamente, bravo ad inventarsi qualcosa sul momento. Sarebbe stata una lunga battaglia, a quanto pareva. Troppo difficile da inchiodare.
«Sono certo che lo ritroverai!» mormorò Percival con un sorriso tirato «parlando di altro, » gli fece l'occhiolino,» non mi hai ancora detto perché sei così allegro, ultimamente.» Achilles sollevò appena lo sguardo e gli accennò un sorriso che la sapeva lunga.
«Beh...» Iniziò lui, grattandosi il cuoio capelluto, «se continuo così, ottengo ciò che desidero!»Esclamò soddisfatto.

Percival fece finta di non capire, sul viso del mago era apparso un'espressione di soddisfazione come se avesse già vinto. Ma lui sapeva già a chi si riferisse, chi fosse il suo bottino. La sua preda del memento.
«Cosa?» chiese ad alta voce accigliandosi.
Il mago gli accennò un sorrisetto e si avvicinò ancora di più a lui, si guardò intorno come se volesse assicurarsi di non essere ascoltato da quell'ammasso di marmaglia alla ricerca di una notizia interessante, un tacito secreto fra due colleghi.
«Da uomo ad uomo... Credo che sappia a cosa alludo, no?» gli fece l'occhiolino.
Ma Percival Graves continuò a fingere di non aver capito.
«Proprio no!» esclamò lui in risposta, cercando di non sembrare troppo gelido.

Povera Tina...sapeva che non sarebbe stato facile per lei affrontare una situazione del genere. Lui che, nonostante stesse vivendo quella scena in terza persona, sentiva la freddezza di quel mago contro la propria pelle.

Certamente non l'avrebbe lasciata da sola, nelle fauci di quel mostro travestito da agnellino.

«È un'ottima compagna! Bella, attraente e»
«Chi?» lo interruppe bruscamente il direttore non dandogli il tempo di concludere la frase. Ebbe un nodo alla gola, ed inarcò un folto sopracciglio, costretto a gestire quel teatrino improvvisato.
«Ma Tina ovviamente!» quasi urlò.
E fu quel punto che il direttore Graves si lasciò scappare una sonora risata, mentre Tina continuava a spiarli a debita distanza, nascosta dietro una colonna. Non era una risata spontanea, ma abbastanza realistica da far bloccare Achilles, che impallidì ed abbassò lo sguardo attonito.
«Cosa c'è che non va?»

Percival smise di ridere, gli diede un colpetto allegro sulla spalla ed annuì.
«Tina, Tina è... una racchia!!» Sbottò, cercando di apparire serio,«hai gusti orribili in fatto di donne, amico mio! Devo assolutamente dirtelo!» ridacchiò lui, continuando a dargli colpetti allegri sulla spalla.

Non voleva dire il contrario di ciò che pensava, ma doveva, se voleva equilibrare la situazione. Tina, che aveva sentito quelle parole dalla sua bocca, abbassò lo sguardo. Anche se sapeva che le aveva dette non per ferirla né per deriderla, in un certo senso sapeva che erano vere. Lei non era bella, non era quel genere di donna apprezzabile, non come sua sorella Queenie.

Lei era testarda, cocciuta ed insicura.

Quando Queenie passeggiava per i corridoi del Macusa tutti si soffermavano ad ammirare la sua rara bellezza, le lanciavano sguardi e sorrisi soddisfatti, e a volte si complimentavano per il suo vestito, per la sua eleganza. L'unico, che si soffermava parlare con lei perché desideroso di demolirla, era Aberthy. Graves diede un occhiata fugace al suo orologio da polso, e dopo aver dato un rapido saluto a quella fogna di mago, si alzò dalla sedia accanto ad Achilles e se ne andò.

Si avvicinò a Tina quando la vide dietro alla colonna, fece cenno di seguirlo nel corridoio. Ovviamente lei si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e il trucco sbavato sotto gli occhi per via del pianto dei minuti precedenti.

«Hai...?»
«Tutto ok!» confermò lui con un sorriso.

Quando raggiunsero la distanza ideale dal caffè, Percival si bloccò e la tenne lievemente per il braccio.

Voleva scusarsi con lei per quello che probabilmente aveva sentito.

«Comunque, scusami se ti ho definita...»
«Una racchia?» sussurrò lei con un mezzo sorriso, fingendosi divertita. Percival sapeva che, dietro quel sorriso, si nascondeva qualcosa di più.
«Sì, ovviamente non è vero! Doveva solo crederci, insomma avrebbe cercato di allontanarmi da te. Ovviamente non sei una... racchia, affatto! Sei molto bellina, in verità!»
Tina gli accennò un leggero sorrisetto e si tinse lievemente sulle guance per aver ricevuto un complimento, erano rari i complimenti di Percival Graves. Rari e preziosi.

«Sempre il solito gentiluomo...» ironizzò lei senza smettere di sorridere. E lui almeno, in questo caso, la conosceva bene, sapeva a cosa stesse pensando. O almeno si illudeva di conoscerla.
«Non volevo offenderti!»
«Non lo hai fatto, Percival. Hai trovato l'aggettivo adatto.» sorrise lei, a denti stretti.
Fece per andarsene quando a Percival venne un'idea, perfetta per farsi perdonare.

Che sapeva che la sua migliore dipendente non avrebbe disprezzato.

«Hey! Che ne dici se ti offrissi un hot-dog stasera? Così discutiamo a tavolino su cosa fare con... con quel coso là...» concluse lui, abbassando lo sguardo.
Tina lo osservò appena, e quando vide quella smorfia di fastidio dipinta sulle guance si lasciò scappare sorrisetto divertito. Fece un passo avanti e sollevò appena lo sguardo per guardarlo negli occhi, oltre la sua spalla.
«Hm... perché no?»
«Offro io, ovviamente.» si affrettò a precisare.
«Sai che non mi dispiace? Proposta piuttosto allettante...»

Percival Graves sorrise appena, figurandosi già la sua migliore dipendente con qualche traccia di mostarda sulle labbra. PoveroHot-dog, sapeva che non avrebbe avuto alcuna chance davanti alla sua fame insaziabile. Sapeva quanto fosse golosa, e di tanto in tanto le faceva trovare qualche panino farcito sulla sua scrivania. Come premio per il suo lavoro, oltre lo stipendio. E Tina faceva lo stesso con lui, e con molti altri suoi dipendenti. Anche se, non si poteva definire un'ottima cuoca, anzi per niente. Era davvero pessima in cucina. Si chiedeva come facesse a non avere qualche mal di stomaco acuto.

È il pensiero che conta, si ripeteva spesso, soprattutto quando si ritrovava a bere il suo caffè bruciato.

«Hm... un hot-dog ti farà certamente dimenticare tutto...» rimase nel vago, le accennò un sorrisetto e inarcò un sopracciglio.

Tina non disse nulla, si limitò a studiare le mattonelle del pavimento, un po' imbarazzata. Non sapeva se accettare o meno l'invito, avrebbe sicuramente detto di solo per mettere in bocca quel panino dal sapore avvolgente. Ma dover discutere di quella giornata per l'ennesima volta, le faceva paura. Sapeva che avrebbe sicuramente sentito ciò che non voleva sentirsi dire. E che avrebbe dovuto affrontare sfide, che andavano ben oltre le sue possibilità.

«Ti ho convinta, quindi?» Le lanciò un'occhiata che la sapeva lunga. «Da amici, ovviamente!»
«Direi di sì! Sai che vado matta per gli hot Dog!» non riuscì a smettere di ridere.
Percival fu abbastanza soddisfatto della risposta, le lanciò un ultimo sguardo prima di allontanarsi da lei e dirigersi nel suo ufficio. Sapeva già che dietro la porta del suo ufficio lo attendevano scartoffie su scartoffie, e che lo avrebbero tenuto impegnato per molto molto tempo.
«Bene!» Le urlò a qualche metro di distanza.
«Mancano ancora due ore lunghe ed estenuanti di lavoro!» sospirò Tina in risposta.

Due lunghe, anzi lunghissime ore di lavoro, durante le quali sarebbe potuta accadere qualunque cosa. Avrebbe dovuto sicuramente cercare di stare alla larga da Achilles, evitarlo il più possibile.
Giornata estenuante, ben quattro ore di assemblea internazionale, che sicuramente non avrebbero conteggiato come ore di lavoro, quel bacio memore sulle labbra. Era notte fonda, probabilmente le due del mattino, e lei non aveva ancora concluso tutto ciò che doveva fare. Non ci vedeva più per la stanchezza, ma sicuramente avrebbe fatto un piccolo sforzo per affondare i denti in quell'hot-dog.

«Sono riuscito a farmi perdonare?» Continuò a urlacchiare il direttore fra un sorrisetto e l'altro, fermandosi davanti al suo ufficio.
«Sicuro!» squittì in risposta lei, con un rapido gesto della mano «solo...» indugiò a lei, «non dire niente a Queenie!»

Angolo autrice
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, proverò a non farvi attendere troppo per il prossimo. I prossimi capitoli avranno all'incirca la stessa lunghezza di questo ( con un margine di 1000/1500 parole in più ).
Vi invito a esprimere le vostre opinioni a riguardo, e farmi sapere se la storia vi sta piacendo 🥰🌷 e Soprattutto a scrivermi eventuali teorie👀
Virgy

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