17.2. 𝗧𝘂 𝘀𝗲𝗶 𝗺𝗶𝗮 𝘀𝗼𝗿𝗲𝗹𝗹𝗮

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Tina's POV

Con un enorme sorriso Tina si congedò da Percival. Lui le aveva detto di non pensarci, di dormire sogni tranquilli almeno per quella sera. Non avrebbe dovuto pensare ad Achilles Tolliver per un bel po' di tempo, le aveva sussurrato che avrebbe potuto benissimo parlarne con lui se la cosa la inquietava troppo. Ma lui era soltanto il suo capo, non era il suo migliore amico, o confidente. Non che non si fidasse di lui, ma quando lo guardava non poteva far altro che pensare a Gellert Grindelwald. E non era la sola che cercasse di limitare i rapporti di lavoro al minimo sindacale. Ma lei cercava di andare oltre, ormai aveva imparato a distinguere ciò che lo caratterizzava, il suo carattere burbero e, a volte, particolarmente loquace.

«Ciao, Percival. Ovviamente ci vediamo domani.» se non le avessero inviato un sicario di Grindelwald a ucciderla nel sonno, pensò.

Già consapevole della lunga pila di scartoffie pronte ad attenderla nel suo ufficio. L'ennesima lunga e snervante giornata. Era stato così gentile da accompagnarla fino alla piccola bottega nei paraggi della casetta di sua sorella, dove aveva acquistato un sacchetto colmo di fragole, ovviamente fuori stagione. Praticamente introvabili. E poi l'aveva riaccompagnata a casa di Queenie, e l'aveva salutata con uno sbadiglio e uno sguardo che per lui era più che colloquiale. Poco male, almeno non era diventato irritabile.

Non era poi così tanto lontana dal suo appartamento, e lei ne approfittava per sfruttare al massimo quel lieve portico color caramello, per sfuggire felicemente alle sfuriate e ai commentini frivoli della sua cara, anzi carissima -come la definiva Percy- padrona di casa. Con un sacchetto di carta marrone in mano, imbevuto di succo e una borsetta decisamente odiosa nell'altra, suonò il campanello, ad altezza di gnomo da giardino. Sicuramente Jacob e Queenie erano impegnati, non una fonte di luce a illuminare la stanza.

A meno che... no... proprio No!

Non voleva certamente pensare di aver interrotto qualcosa di tanto emozionante per sua sorella. Erano giorni che desiderava fare loro una visita, ma tutte le volte che lo programmava finiva sempre per sedersi a tavolino con Percy, a parlare del brillante modello Achilles Tolliver.

Uomo bello, emozionante... decisamente "unico nel suo genere".

Tina se lo figurava sempre con un paio di zanne appuntite al posto dei canini, e due fessure al posto del naso. Una specie di rettile. Ma, per quanto non presentasse alcuna di queste nobili caratteristiche, era pur sempre simile a un ghoul. Forse pensare che fosse simile a una creature del genere era piuttosto sconveniente... un insulto a Newt, che lodava la loro bizzarra intelligenza. E con ragione... Achilles, a dir la verità, era più paragonabile ai loro prodotti di scarto, e sicuramente non meritava neanche di finire sotto qualche suola. Non ne valeva la pena sporcarsi per lui le scarpe, assolutamente. I serpenti erano molto più interessanti di lui, anche le vipere.

Già dal portico era ben visibile quel tocco di femminilità della sorella, i fiori nelle fioriere, la vernice bianca ben applicata sulle colonnine della porta di ingresso, non un petalo di fiore bruciato per il clima anomalo. Giornate troppo calde o troppo fredde, che certamente non erano l'ideale per un praticello in fiore. Ma sua sorella Queenie era davvero abile ad incantare gli oggetti, tutti gli esseri viventi in verità. E, a dirla tutta, aveva molta più dimestichezza di lei in pozioni... probabilmente per tutto il tempo trascorso a preparare maschere di bellezza e filtri d'amore.

Certo non si sarebbe confuso nessuno a trovare la casetta di Queenie Goldstein e Jacob Kowalski, l'unica casa rosa pesca della via, un colpo all'occhio nonostante gli immensi grattacieli che la circondavano. La porta cigolò rumorosamente prima di aprirsi, rivelando un uomo grassoccio alto due teste e mezza in meno di lei, avvolto nel suo morbido pigiama grigio scolorito. Jacob si stropicciò gli occhi più e più volte prima di guardarla per l'ennesima volta dall'alto al basso. Inarcò un sopracciglio, quasi scioccato, quando vide su quali razza di trampoli decisamente esagerati poggiassero i suoi piedi.

«Tina? Non, non mi aspettavo di trovarti qui... a quest'ora presto e con, con... questo vestitino...!» fischiò, arricciando le labbra mentre annuiva con la testa. Sto diventando matto, pensò. Ma i vestiti non mutarono, quando riaprì gli occhi.
«Bene... non sto diventando matto!» si quietò, battendo nervosamente le mani, senza tuttavia riuscire a smettere di guardare la profonda scollatura in pizzo nero, incapace di figurarsi la cognata con un tale indumento addosso. Tina si sentì le guance infiammare per l'imbarazzo.
«Forse devo chiedere a Queenie di non darmi più quella roba per dormire.» si grattò nervosamente l'orecchio, scuotendo nervosamente la testa, allibito.

«Ti prego... non fare commenti!» Lo supplicò lei, coprendosi con le braccia.
In tutta risposta, Jacob le lanciò una maglia nera di lana piuttosto larga, che avrebbe almeno coperto le sue spalle bagnate. Probabilmente la sua, visto che odorava decisamente di pasta frolla. Tina, decisamente mezza congelata, si affrettò a lanciare le scarpe nell'erba, da qualche parte, e indossare la maglia che Jacob le aveva diligentemente offerto in prestito.
«Grazie.»
«Va molto meglio! » sospirò lui, rasserenato, «Eri inquietante, dico davvero!» le accennò un sorriso tirato.
«Comunque...» cambiò repentinamente discorso lei, «C'è Queenie?» gli chiese tremante speranzosa, guardando il cognato come se lo stesse implorando. Jacob si ristabilì dallo shock iniziale, ed annuì con un rapido cenno del capo.
«Sì, ecco lei è in cucina! Mi sta facendo impazzire!» ritrovò la parlantina il pasticcere, che fino a quel momento si era limitato a pronunciare quelle poche sillabe sconnesse.
«Le ho portato un sacchetto di fragole!» si affrettò a spiegargli Tina, mostrandogli il sacchetto che stringeva saldamente tra le dita.
Jacob si strofinò gli occhi smarrito ed annuì, in pò infastidito.
«Ha incantato anche a te, vedo.» mormorò a denti stretti, accennandole un mezzo sorriso forzato, affrettandosi spiegare la sua reazione tutt'altro che cordiale. «Stamattina le ho comprato due tavolette di cioccolata, e...»
«Cosa?»
«Ne è rimasta mezza!»
«Oh...»
«Forse

Rimasero in silenzio a fissarsi reciprocamente, quando Jacob decise di rompere il silenzio.
«C'è freddo... non vuoi entrare in casa?»
«In effetti, sì!» ridacchiò lei, in attesa che lui le lasciasse lo spazio per passare e si scostasse dalla porta. Ma non si mosse. Solo quando lei stirò i muscoli della fronte, Jacob si fece da parte.
«Ah, ehm...sì, scusami tanto. É che.... ecco...è così strano vederti così, con questo vestitino! Sei diversa» ammise, «Non è da te, Tina.»
Porpentina Goldstein annuì appena, tingendosi nuovamente sulle guance. «In effetti, è stato solo un caso. E quindi...»
«Accomodati pure!» le fece cenno di seguirlo agitando una delle sue mani grassocce, « Scusami se sono un po' distratto...sai, è per Queenie...sei arrivata proprio nel momento giusto!

Dovette abituarsi gradualmente alle varie sfumature di rosa nella stanza, quasi non riconobbe Queenie, semi nascosta dietro lo sportello della cucina, con una vestaglietta (palesemente rosa), con la carta argentata della cioccolata in una mano, una riga di cioccolata infilata in bocca e una prugna succosa nell'altra. Quando vide la mora con le braccia sul petto, si affrettò a nascondere velocemente le prove del suo crimine, richiudendo con un tonfo lo stipite della cucina.

«Uhm, davvero furba...» esclamò la maggiore inarcando un sopracciglio e scuotendo lievemente la testa in segno di assenso.
«Non stavo mangiando!» Si giustificò, accennando le un sorisetto che la sapeva lunga.
«...che spudorata! Anche le tue labbra dicono il contrario, presumo.»
Queenie si affrettò a ripulirsi con l'orlo della camicetta da notte.
«Sei tutta sporca, confettino.» la canzonò l'auror, che godeva del suo imbarazzo. Era raro che Queenie avesse dei comportamenti del genere, ed era bello che per la prima volta non fosse lei a fare l'ennesima figuraccia. Poteva approfittarne... magari per minnaciarla e ricattarla, in futuro, «A chi vorresti prendere in giro?Certo non a tua sorella...»

«Ma ho fame!» si lamentò lei, «E tu e Jacob vi siete messi d'accordo per non farmi mangiare!!»Borbottò fastidiosamente lei, accarezzandosi il ventre prominente.
Tina in tutta risposta allungò la mano per mostrarle il sacchetto che stringeva saldamente tra le mani.
«Hm...veramente, amore...ti avrei portato un sacchetto di fragole. Ma se non le vuoi, me le riprendo...me le mangio a casa.»

Si voltò e finse di andarsene, aspettandosi quella reazione che non tardò ad arrivare. Queenie, come Tina si era aspettata, non solo l'aveva bloccata per il braccio, ma aveva colto la sua distrazione per strapparle di mano il sacchetto. Nonostante fosse decisamente più rotonda dell'ultima volta in cui l'aveva vista, era decisamente più che agile, quando era animata dall'euforia del momento.

Con una rapidità che avrebbe fatto storcere il naso a chiunque, si affrettò a riprendere la postazione di prima, a riaprire lo sportello per afferrare una grande ciotola a fiori, e schiaffarci dentro un pugno di fragole, decisamente eccessivo per una sola persona. E, dopo averle sciacquate per benino ma frettolosamente, cominciò ad addentrarle una ad una, con una velocità tale da farla indietreggiare di qualche passo.

«V-vacci piano, sorellina!»
Non voleva certamente praticare manovre anti soffocamento! Con i piedi doloranti,Tina si trascinò fino alla sedia più vicina e si lasciò cadere su di essa
«Questo piccolino qua ha tanta fame!»
«I bambini non mangiano così tanto!» Protestò la maggiore, scuotendo la testa infastidita, «Devi cercare di contenerti! Lo sai che ci sono delle diete consigliate!»

Ora che Tina la guardava attentamente si rese conto come quel piccolo pancione crescesse a vista d'occhio, un rigonfiamento che adesso era ben visibile nonostante la vestaglia larga. E Queenie aveva preso un bel po' di peso in quelle ultime settimane, e sicuramente non solo per il bambino che custodiva con cura in grembo. Le guance erano più paffutelle e il suo viso più tondeggiante, mentre lei doveva averne perso qualcuno, considerando le sue guance appena scavate e le scapole appena sporgenti.

«Ne desideri una? Un po' di cioccolata?» Le chiese, continuando a mangiucchiare felicemente. Il succo di fragola si miscelò alle tracce di cioccolata sporca sul corpetto della sua vestaglia da notte e ai margini del mento e della bocca. Tina rabbrividì.
Sollevò lo sguardo dalle ginocchia e scosse la testa, cercando di mascherare la sua preoccupazione per la sua fame decisamente incontrollata, e le accennò un sorrisetto tirato.
«Serviti pure!»
«A bene!» Parve più che contenta della sua risposta, «Sicura?»
«Sicurissima.»sospirò, appoggiando di nuovo la testa fra le ginocchia scoperte, senza tuttavia smettere di guardarla, «Serviti pure.» Ovviamente non ebbe bisogno di un invito per farlo.

Non ce la faceva proprio più, e in quella posizione sentiva i muscoli contratti della schiena bruciare fastidiosamente, così chiuse gli occhi e poggiò la testa sul tavolo della cucina, senza curarsi della distanza della sedia. Se Queenie non avesse continuato a parlarle e farle domande di ogni tipo, si sarebbe sicuramente addormentata.
E lei rispondeva sempre allo stesso modo, con quel repertorio di risposte che era solita usare quando non aveva voglia di articolare un discorso sensato.

«Tutto bene, solite grane.» Rispose all'ennesima domanda di routine di sua sorella, pur sapendo di star sparando una frottola madornale, annoiata come sempre. E fu un quel momento che decise, o meglio dimenticò di tenere alte le barriere della sua mente, di abbassare le sue difese. Trasalì e quasi ebbe un infarto quando Queenie cacciò un urlo e sbattè furiosamente il piatto sul tavolo, facendo schizzare i cocci fra i suoi capelli. Queenie la afferrò dalle spalle e iniziò a scuoterla con una ferocia che non ricordava.
«Tu sei folle!!» le urlò. Tina non vide arrivare neanche la sberla che la colpì in pieno viso, lasciandole per la prima volta un segnaccio rosso pari alla forma della sua mano minuta.

Faceva male, non lo avrebbe mai detto. Era piccola ma vigorosa, pesante. Si portó istintivamente una mano alla guancia, e con la manica del cappotto zuppo di vino si tastò il labbro inferiore, che aveva iniziato a sanguinare copiosamente. Ecco la ciliegina della giornata, pensò. E lei che stava facendo tutto quello per sua sorella. Non rispose. Si limitò a studiare il suo alluce gonfio e rosso pomodoro. Sentiva le lacrime minacciare di uscire, ma Tina Goldstein non piange.E non lo fece neanche in quel caso.

«Hai intenzione di correre incontro al pericolo, uhm? Dargli quello che vuole? Tu sei folle, Porpentina Esther Goldstein!!»
Non l'aveva mai vista così arrabbiata, neanche quando aveva perso per un istante l'amore della sua vita.
E anche questa volta non rispose.
«Per quanto tempo hai intenzione di continuare questa recita? Quando avresti voluto dirmelo? Al momento del tuo funerale?!»

Jacob, che era rimasto in disparte sulla poltrona, si affrettò ad intervenire. Vide la faccia paffuta e rossa della moglie che sbraitava senza controllo, e la cognata che appariva più come un cucciolo terrorizzato con la coda fra le gambe. Scorse subito l'impronta della mano sulla sua guancia, nonostante fosse parzialmente coperta dal sul palmo. Tina non lo degnò di uno sguardo.

«Queenie!» La rimbeccò, affrettandosi ad afferrare un fazzoletto di stoffa per immergerlo sotto l'acqua del rubinetto e passarlo alla cognata, che rifiutò sistematicamente.
«Non, non importa, Jacob.» Balbettò lei, asciugandosi gli occhi umidi, «Ero solo venuta per le fragole.» Mormorò con un filo di voce. Si alzò in piedi pronta ad andarsene, quando la sorella si pose tra lei e la porta, imperterrima.
«Credi che abbiamo finito?!»
«Queenie, cerca di controllarti...lo sai che non puoi arrabbiarti...ti fa male!!» Cercò di placarla il marito, avvicinandosi a lei per abbracciarla, ma lei lo allontanò decisa, con gli occhi iniettati di sangue.
«Doveva pensarci prima!!» tuonò, «Esce con un criminale...e lei lo sa!!»
Voleva ucciderla, prima che lo facesse lui.
«Io ti ammazzo!!» Si scagliò nuovamente contro di lei, con una furia che certamente non le apparteneva. Fortunatamente Jacob era un pilastro quasi perfetto, ed era riuscito a tenerle a debita distanza le une dalle altre. In quel momento si sentiva un facile bersaglio. Non aveva i riflessi pronti, e raramente riusciva ad essere veloce quando era l'occasione di farlo, ma stranamente era riuscito ad evitare un pugno diretto alla ragazza alle sue spalle, giusto in tempo.

«Io ti uccido!!» ripetè la minore delle sorelle, facendo un giro introno a Jacob pronta a dimostrare il suo malcontento, «Non mi interessa che io sia la minore.» le lesse nel pensiero, «Comando Io!!»afferrò una fragola dal sacchetto e gliela scaraventò contro, e Tina, come Jacob, fu abbastanza rapida da piegarsi per evitarla.
«Adesso basta, Queenie!» cercò di essere più autorevole che mai, mentre si nascondeva terrorizzata dietro alle spalle del cognato che, poverino, non sapeva che cosa fare per calmarle. Di contro il pasticcere dovette tenersi ben stretto alla porta, divenire un tutt'uno con il telaio, per non perdere l'equilibrio che già gli mancava.

«Io, io, io non ci capisco più niente!» mugugnava il pasticciotto, cercando di avere tutti e cinque i sensi pronti.
«Gli hai pure permesso di baciarti?! Sei una pezzente!»
«Modera il linguaggio, tesoro...»
«Niente affatto!!» lo provocò la biondina, con le braccia sui fianchi, pronta ad afferrare questa volta una rossa gela dal cesto di frutta, «Non può fare sempre l'eroina solo perchè è un auror! Non ti facevo così stupida!! Ma lo vuoi capire che il mondo non dipende da te? Tu non puoi salvare tutti, Teenie!!»

Povera scema! Di questo passo si farà ammazzare, ne era certa! L'atmosfera era quasi diventata irrespirabile, in quegli otto anni in cui erano stati insieme Jacob non aveva mai visto una così accesa lite tra sorelle. E se avessero deciso di utilizzare le bacchette? Lui non era un mago, come avrebbe fatto a impedire loro di ferirsi a vicenda. Sapeva che Tina non avrebbe minimamente sfoderato la sua bacchetta, ma sua moglie Queenie? Avrebbe fatto di tutto pur di impedire a sua sorella di fare l'eroina, di salvare il mondo. Eppure, lui stesso avrebbe fatto lo stesso, se si fosse presentata lui un occasione per essere utile. Il mondo aveva decisamente bisogno di loro, lo pensava Albus, lo pensava Newt, e iniziava a crederci anche lui. Queenie aveva ragione, ma anche sua cognata Tina ne aveva.
«Guardati!! Fai schifo!! Sei orribile!» le urlò, osservando le sue lunghe e belle gambe scoperte e in evidenza.

«Sei stata tu a dirmi di essere un po' più te...che fai...ti mangi le parole?»

Quella genuina forma di ironia non fece che accentuare ulteriormente la sua ira. E a farla reagire, ma non come Tina si aspettava. La vide cambiare repentinamente espressione, e affrettarsi a cingersi il viso con entrambe le mani, prima di abbandonarsi a un pianto esasperato.

Perchè doveva comportarsi in quel modo?

Perchè faceva sempre quel che faceva?

Perchè una volta per tutte non si toglieva dalle scatole e finalmente prendeva consapevolezza che lei valeva, che anche i suoi sentimenti erano importanti a differenza di quel che credeva?

Doveva smetterla! Era stanca di vederla sempre rinunciare a tutto per il bene degli altri, stanca di leggere nella sua mente quei pensieri che decisamente non le appartenevano. Si ostinava a credere che lei non era buona come realmente era, e ciò la faceva stare male. Sua sorella Tina non era più la dolce ragazza vispa che conosceva. Si stava uniformando, a quella banda di carrieristi ipocriti della quale si vantava di non farne parte.

«E tu!» puntò il dito contro al marito con aria minacciosa, «Da che parte stai, Uhm? Questa qua,» indicò la sorella, «finirà per farsi uccidere se continua così!» adesso non riusciva più a contenere le lacrime. Stupidissimi, fottutissimi ormoni sballati!

«É snervante sapere per chi hai messo quel vestito! Sembri una meretrice!!» sempre la solita veemenza.
«Grazie, Queenie.»

Alla ciliegina si aggiungeva la panna montata.

Era contenta che almeno non fosse evidente la scollatura a V che le metteva in evidenza il seno, grazie Jacob.
«Davvero!! Sei ripugnante! Ma ti rendi conto a che punto ti sei spinta con la tua testardaggine?»
«Ah ah.»
«E»
«Hai finito?» sperava che apparisse più come un'affermazione che una domanda.
E nuovamente Queenie si sentì morire, «Mi hai ascoltata?!»
«No.» le rispose con veemenza lei, sentendosi in colpa subito dopo. Probabilmente le aveva fatto nuovamente male, divenuta pallida come un cencio.
«E comunque, » Proferì lei, «smettila di urlare, ti ricordo che sei incinta!»
E Queenie, a quel punto, sentitasi tradita fino al midollo si zittì, girò i tacchi e sparì, lasciandosi alle spalle una lunga scia di singhiozzi.

Ma che cosa avevano tutti nella testa? Come poteva, Tina la sua unica sorella, la sua unica parente stretta in vita. La sorellanza non valeva niente, allora? Si sentiva tradita, ancora più tradita dall'amore della sua vita. Li aveva letti i suoi pensieri, e contro ogni sua aspettativa lui concordava con sua sorella... con lei...
con lei!!

Si sentiva adesso nuovamente la testa in fiamme, come quando si ritrovava a passare per una libreria affollata o un elegante negozio di moda. Jacob non si mosse, rimase in un angoletto angusto della stanza più rosa della casa, a giocherellare con i cocci di ceramica sparsi della scodella. In lontananza poteva ancora sentire la sua piccola Queenie prendere a calci i cuscini che le impedivano il passaggio. Poco male.

La cucina, solitamente sistematissima ed impeccabile, adesso era cosparsa di succo di fragole, di orme di scarpe e cocci in frantumi. Ma adesso il suo buon senso gli stava chiedendo, anzi urlando di fare qualcosa, di prendere una decisione consona alla svelta. Sapeva che Queenie lo riteneva dalla parte della sorella, e in effetti era parzialmente vero. Adesso doveva solo assicurarsi di stare dalla parte giusta, senza tuttavia creare delle fratture in quella piccola famiglia.

«Mi devi delle spiegazioni, ora!» cercò di non guardare la sua guancia segnata dall'impatto, cercando di essere più autoritario del necessario. Forse anche troppo considerando le spalle basse e l'espressione rassegnata della cognata.
«Non posso parlarne, è una missione segreta e pertanto non posso parlarne con nessuno, tanto meno con voi due.»
«Uhm...Beh, dovrai affrettarti invece a darmi una spiegazione plausibile, bambola!»
Bambola? Erano anni che non la apostrofava a quel modo dal... 1926. Incredibile come fosse passato il tempo. Jacob era inamovibile, e sapeva che non avrebbe accettato un "no" come risposta. E forse era giusto così.
«Voglio farlo parlare. Confessare. È molto vicino a Grindelwald, me lo ha confermato Aurelius. Ma non abbiamo abbastanza prove per incriminarlo. Così ho accettato di fare un po' la civetta con lui, sai per...per sciogliergli un po' la lingua.» Abbassò lo sguardo imbarazzata.
«E sta funzionando?» inarcò un sopracciglio lui in risposta.
Tina scosse la testa e scrollò le spalle.
«Io non lo so.» le sue parole si dispersero nella stanza, insieme ai sonori singhiozzi di Queenie dal soggiorno.
«E quanto durerà?»
La risposta fu sempre la stessa.
«Non lo so.» mormorò nuovamente lei, «Non abbiamo tracce, di Grindelwald. Io e Graves siamo arrivati alla conclusione che questo sia l'unico modo che abbiamo per sconfiggerlo. Si sta facendo furbo, astuto. Più subdolo.»

Un brivido di freddo gli attraversò la spina dorsale, riuscendo solo allora sentire quella paura cieca che si ritrovava nuovamente a vivere la moglie. Poteva Gellert Grindelwald essere più astuto di quanto egli già non fosse? Di una cosa Jacob Kowalski era fermamente convinto: quell'uomo non era un uomo. Non conosceva limiti, e questo lo rendeva capace di spingersi chissà in quali meandri oscuri della mente. Non era riuscito a dimenticare quei bollenti coltelli affilati tagliuzzargli tutti insieme la carne, nessun uomo meritava di provare un dolore del genere. Neanche quel mostro di Gellert Grindelwald, per quanto oggettivamente meritasse quel genere di trattamento. E sicuramente la paura era la stessa, quella di perdere una sorella.

«Io lo faccio per Queenie, Jacob.»
«Lo so.» le sussurrò lui, facendole una carezza sulla guancia dolorante.
Non lo aveva mai fatto, neanche da cognato, era la prima volta che sentiva la necessità di dimostrarle quanto quel sacrificio fosse importante. E per un momento il bruciore alla guancia scomparve.
«Continuerebbe a seguirvi. E io non posso permetterlo, voglio che abbiate un periodo di tregua!»
«Non devi farlo per forza, lo sai. Tu non ci devi niente, e neanche se ci dovessi qualcosa noi non ti chiederemmo mai di farlo. Io non sono magico, non posso difenderla come vorrei ma continuerò a farlo, finché vivo.»

Un'affermazione convinta degna di vera considerazione. Non aveva mai conosciuto un no-mag così valoroso e coraggioso. E nuovamente Tina sentì che quel che stava facendo era terribilmente sbagliato, ma non poteva tirarsi indietro.
La mora sentendo quelle parole gli sorrise ed annuì, con una strana calma nel cuore.
«Lo so, Jacob. L'hai resa così felice! Lei si sente al sicuro con te, molto più che con me. Ed è questo che conta.»

«Io la amo, e mi rende davvero triste vederla piangere. Tina, tu sei tutto per lei. Fai attenzione! Se non lo fai per te stessa, fallo almeno per lei. Resta viva!»
«Io lo so che tu la ami, Jacob.»
Era consapevole che non esisteva un amore così grande come il loro, così come il loro amore fraterno. E lei stessa neanche minimamente si sarebbe potuta illudere di provare anche un accenno di quell'amore.
«Se è necessario... fallo! Inchioda quel verme! Solo,» Abbassò lo sguardo e la voce il pasticcere, «pensa anche a Newt. Lui ci tiene a te.»
Tina lo sapeva, ma era troppo tardi per tornare indietro. E quelle parole, che avrebbero dovuto darle un minimo di sollievo, non fecero che scuotere il suo animo già tormentato.
Lui ci tiene a te.
Lui ci tiene a me, pensò.

Queenie and Tina's POV
Queenie smise di singhiozzare, non ce la faceva più dopo un'abbondante mezz'ora. Si asciugò gli occhi gonfi con un fazzoletto che aveva fatto apparire dal nulla, e si soffiò sonoramente il naso con una tale prepotenza da sentire le venuzze pulsare. Queenie si sentiva spaesata, e non sapeva che cosa pensare. Perchè sua sorella Tina non le aveva detto niente? Era forse troppo delicata per saperlo? Non ci poteva credere, non ci poteva pensare, loro che erano sempre state così complici e inseparabili. Ma evidentemente non era così, aveva torto marcio. Quasi non la sentì entrare nella stanza, e ovviamente fece finta di non vederla.

«Hey. Mi dispiace di averti fatta arrabbiare e di non averti detto nulla. Ma sai come ragiona Grindelwald.» le sussurrò la mora, occupando lo spazio libero sul comodo divanetto rosa pesca accanto a lei. Queenie sollevò lo sguardo e vide che anche i suoi occhi erano velati, e che scintillavano al buio per via delle lacrime che le offuscavano la vista.
«Anche a me. » le rispose la legilimens piuttosto risentita, «Mi dispiace che dopo trent'anni non ti fidi ancora di me. E per la cronaca, non mi dispiace di averti picchiata, te lo meriti.»
«Hai ragione.» sospirò Teenie, cercando di non guardarla direttamente negli occhi, "Ho una testa di un troll certe volte. Ma io mi fido di te, Queenie»
A quelle parole, la biondina scattò in piedi come una molla pronta a scagliarsi di nuovo verbalmente contro il suo interlocutore.
«Ah si? E allora perchè non mi parli neanche degli incarichi miseri che ti affidano a lavoro? Pensi che non sappia tenere un segreto?» incrociò le braccia al petto in attesa di una risposta da parte sua.

Tina scosse la testa. Mentì, le mentì spudoratamente.
«No.» abbassò lo sguardo, «Il mio lavoro è così, lo sai.» una mezza verità che prima o poi le sarebbe potuta costare molto cara.
«Non mentire a me, Porpentina Esther Goldstein! Io lo so!! Tu non mi dici più niente di te, non mi rendi più partecipe della tua vita da mesi! Credi che bastino le giustificazioni? Che venire qui per portarmi le fragole risolva tutti i tuoi mesi di assenza?»

Se ne accorgeva sempre, quando non era del tutto sincera con lei.
«Io avevo pensato che, essendo sposata, avessi bisogno di un po' di privacy. Non viviamo più' insieme, lo so. Le cose sono cambiate parecchio tra di noi . Ci siamo perse, e poi ritrovata. E forse hai ragione, magari dovremmo cercare di essere più aperte. Magari passare del tempo insieme.» propose la maggiore delle sorelle Goldstein, cercando di rompere quel muro di ghiaccio, che entrambe avevano innalzato.

«Tu pensi?! Hm... Dici? E questa brillante idea ti è appena venuta adesso?» le chieste sarcastica, con gli occhi fuori dalle orbite.

Tina, per la prima volta, non sapeva come prendere in mano la situazione con sua sorella, per la prima volta stava vincendo lei.
«Volevo solo non coinvolgere né te né il bambino!»
Queenie, che stava cercando di esporre chiaramente le migliaia di ragioni da urlarle contro la sua pessima condotta, a quelle parole sentì la mente svuotarsi. Si voltò piano verso di lei e scosse la testa.
«E, non potevi dirlo prima?» si asciugò una lacrima che le bagnava il mento. Tina in tutta risposta le piantò un bacio sulla fronte, speranzosa che quel lieve gesto potesse almeno placare la sua ira.
«Tu, non, non mi hai dato il tempo di dirtelo.» balbettò, con lo sguardo basso, «Sai essere terrificante, sorellina.»

In effetti era vero, non aveva mai avuto così paura di sua sorella come mai prima d'ora. Neanche quando l'aveva incrociata casualmente per le strade di New York, vestita completamente di nero. Un'ombra oscura di se stessa. In quella circostanza aveva avuto il coraggio di inseguirla, desiderosa di farle definitivamente cambiare fronte di battaglia.
«E vorresti che non mi fossi mai unita a Grindewald.»

Era come se le avesse letto nel pensiero.

«Vorresti che le cose fossero andate diversamente, non puoi cambiare il passato senza stravolgerlo totalmente.»
Da quanto era così saggia?
«Hai paura di avermi persa per sempre. Ma sai una cosa? Io sono io, Queenie, la vera Queenie Goldstein. E si... questa esperienza mi ha cambiata, ma mi ha fatto capire come tutto passa in secondo piano, quando stai con la tua famiglia. E anche tu dovresti averlo capito! Non puoi salvare tutti, Teenie. Sei una donna, una donna sola. Come pensi di fare?»
Il suo volto tornò ad essere ombroso nuovamente, e forse nuovamente pronta ad esplodere.
«Mi dispiace, Queenie. Ma ho delle responsabilità.»

Non avevano osato minimamente accarezzare nuovamente il ricordo di quel che era successo con Gellert Grindelwald, quella terribile notte al cimitero. Nessuno delle due a distanza di anni aveva avuto
il coraggio di parlarne.

Era arrivata la fatidica ora.

Forse per paura, per timore, non ne avevano mai parlato.

Forse perchè temevano che sarebbe potuto succedere nuovamente.

Un incubo ricorrente.

«Anche a me manca passare del tempo con te.» Ammise Tina, con mezzo sorrisetto accarezzandole la guancia con il pollice, «Solo che avevo paura di starti accanto, non sarei riuscita a tenere questo segreto troppo a lungo.»
Queenie era abilissima come ligilimens, e sapeva quali erano i punti deboli di sua sorella, come abbattere le barriere della sua mente con un battito di ciglia.
«Già.» mormorò la legilimens, «Abbiamo perso tanto tempo...mi piacerebbe poterlo recuperare, in qualche modo. »

Con uno sventolio di bacchetta, accese il paralume sul tavolino in frassino.

E Tina dovette abituarsi nuovamente, stavolta con maggiore rapidità, alle varie tonalità di rosa cotto e salmone nella stanza. Povero Jacob! Sapeva che non sapeva assolutamente dirle di no. Fortunatamente le pareti, di un verde menta, creavano un minimo contrasto con i mobili e il resto delle decorazioni casalinghe. Le parve di essere rientrata in casa Esposito. Ovviamente, tutto assolutamente impeccabile. Se solo il suo fosse minimamente paragonabile al loro in campo di pulizia ed ordine. Adesso che ci pensava bene, aveva dimenticato di raccogliere i panni dallo stendino da tre giorni. Li avrebbe sicuramente trovati lì...se Lally non si fosse presa la briga di toglierli al posto suo.
E, ad attenderla, si ergeva una lunga pila di pergamene sgualcite sul tavolo del soggiorno. Anche in quel caso poteva contare su Eulalie Hicks, che si teneva impegnata leggendole al posto suo.

«Che ne dici di prendere un gelato un giorno di questi? Alla vaniglia, come piaceva alla mamma, come quando eravamo piccole.» propose la mora, questa volta riuscendo a mantenere il contatto visivo per più di qualche secondo. Le prese quelle piccole, minute ma pesanti mani fra le sue, e prese ad accarezzarle con affetto materno.
Un gesto che non passò inosservato a Queenie Goldstein. Il problema era un'altro: come avrebbe fatto ad entrare in gelateria senza assaggiare ogni singolo gusto?
« È una bella idea. Ma dovrai prenderlo tu per me, sai che ultimamente sono eccessivamente golosa.»
«Va bene. Ci penseremo io e Jacob.» Ridacchiò lei, divertita, «E potrei invitarvi a pranzo e a cena. Sarete miei ospiti per un'intera giornata. Cucino io!» si affrettò a specificare.

E Queenie a quelle parole quasi cadde dalla sedia, o meglio dal divano.

Possibile?

No, impossibile.

Doveva aver bevuto parecchio whisky incendiario, sì...
era quella la ragione.

Ma... aspetta... sua sorella non beveva, o almeno molto raramente. Chissà sotto quale fattura si trovasse.

«E?!» inarcò un sopracciglio, «Tina Goldstein che si propone di cucinare?!»
«Beh...sì, perchè...»
«Tu odi cucinare!!» Era più che stupita. Era scioccata.
«Sì, ma...ecco, amo più te. E so che ti fa piacere stare tutti insieme. Ci prendiamo due giorni di vacanza, ci mettiamo ai fornelli e...»
Ma Queenie non la stava più ascoltando, con una forza trovata la strinse fra le braccia, quasi soffocandola.
« Niente lavoro?» era incredula, non ci poteva credere.
«Niente lavoro.» confermò.

«E poi...ti ho sopportato per trent'anni...riuscirò a sopravvivere per qualche ora in cucina.»
«Hm...ne dubito!» scoppiò a ridere, figurandosi già la fronte imperlata di sudore della sorella, mentre armeggiava pericolosamente ai fornelli. Non si fidava di lei, specialmente quando cucinava. A volte era così sbadata.
«Guarda che anche io ti ho sopportato per trent'anni. Sei una persona difficile, sai?»
«Hm...basta che non inizi a mangiucchiare tutto, sorellina.»

Jacob dall'altra stanza trasse un profondo sospiro di sollievo. Era stato piuttosto bravo a calmare entrambe, forse era quello il suo super potere, saper parlare alla gente, riuscire a farsi dire tutto ciò che solitamente rimaneva segreto. Lui non usava chissà quale tecnica di psicologia contorta, gli bastava essere se stesso, un gran sorriso e la volontà di ascoltare ciò che gli altri avevano da dirgli. Era il momento giusto per mettersi da parte, lasciare loro un po' di privacy.

Era giusto così.

«E... faresti quel che stai facendo per me?» chiese Queenie titubante. Tina annuì.
«Sto facendo tutto per te.» abbassò lo sguardo, «anche la mia missione... e tu devi accettarlo.» concluse.
Queenie sentì il cuore balzarle nel petto e un brivido di freddo attraversarle la schiena.
«Io non posso accettarlo. Sei mia sorella! Non voglio che tu lo faccia e basta!»
«Non dipende da ciò che voglio, ma da ciò che devo fare. Sapevo a cosa sarei andata incontro una volta diventata auror. Lo sai anche tu, amore.»

E di nuovo la guancia riprese a bruciare. Le luci dell'immenso lampadario di cristallo sopra le loro teste iniziarono a lampeggiare pericolosamente, e l'acqua contenuta nel vaso di rose si increspò visibilmente.

«E poi, non sono sola. Sono pronta! C'è Percy con me. Lui non mi toglie gli occhi di dosso, neanche quando sono a lavoro. Mi tiene fastidiosamente d'occhio, ma lo fa per impedire ad Achilles di avvicinarsi troppo. Non devi temere, Queen.»
La biondina si ritrovò nuovamente ad annuire. Nessuno, nemmeno lei, avrebbe potuto farle cambiare idea, impedirle di fare il suo lavoro. Aveva però un'ultima occasione: venire a compromessi con lei. Anche lei non sarebbe rimasta sulla panchina a guardare.

«Va bene.» Acconsentì, «Ma a una sola condizione. Ci sarò anch'io. Dovrai dirmi tutto, dove vai, cosa ti dice, che cosa ti propone di fare.Voglio sapere tutto! Non ho intenzione di rimanere all'oscuro.»
Proprio quello che temeva, proprio il motivo per cui aveva deciso di far rimanere tutti i suoi amici e familiari all'oscuro e allontanarsi da lei, fisicamente ed emotivamente. Adesso, non aveva più altra scelta, se non voleva perdere definitivamente la sorella. E lei non voleva che questa potesse accadere di nuovo, questa volta per sempre.
«Io non voglio metterti in pericolo.»
Queenie annuì, e si affrettò a tranquillizzarla con il suo sorrisetto sbarazzino, che mascherava il suo gelo interiore.
«Non lo farai.»
«Ne sei sicura?»
«Assolutamente!» dichiarò decisa la biondina, con un tono e un espressione che non ammetteva repliche da parte sua e da nessun altro.

Poi fece una cosa che fece tremare Queenie, per l'emozione. Agitò la bacchetta e sfilò dai suoi polsi dei sottilissimi braccialetti argentei. La guardò colpita. Lei era una criminale, come avrebbe fatto a dimostrare al macusa il contrario?
«Non ne hai più bisogno. Te l'ho detto...io mi fido di te.»

Queenie le sorrise teneramente, «Grazie, Teenie.» se la strinse al petto, pronta a proteggerla da un mostro come quello che era disposta ad attaccare. Lei era l'unica parte che restava della sua famiglia, e non avrebbe mai permesso che succedesse qualcosa all'amore della sua vita, la sua migliore amica. Sarebbe scesa in campo di battaglia, se necessario. Le accarezzò la guancia, quella segnata dallo schiaffo.
«Mi dispiace per questo, non te lo meritavi. » le sussurrò all'orecchio, senza smettere di sfiorarle la pelle contusa, «Credo che ti ci vorrà un bel po' di cipria, domani.»

Nonchè una bella pomata contro il bruciore.

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