18.1. 𝗨𝗻 𝗴𝗲𝗹𝗮𝘁𝗼 𝗮 𝗖𝗲𝗻𝘁𝗿𝗮𝗹 𝗣𝗮𝗿𝗸

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Jacob and Tina's POV

«Quindi...» proseguì Jacob, voltandosi di tanto in tanto a guardare la cognata mentre faceva una gran faticaccia a seguirla tra le macchine posteggiate, troppo svelta per il suo passo impacciato. Ansimava per lo sforzo e dovette fermarsi due volte raggiunto il marciapiede, per riprendere per qualche secondo una mezza boccata d'aria.
«No, non puoi diventare un mago.» Scrollò frettolosamente le spalle con un mezzo sorrisetto stampato sul viso. Jacob si adombrò, di nuovo.
«Ma...» Sembrava piuttosto affranto, «Neanche una pozione...un'incantesimo? Solo, solo per un giorno...una sola ora...?» Continuò supplichevole ad implorarla, quasi pregandola.
Tina lo guardò appena e scoppiò a ridere sonoramente, visibilmente divertita.
«Sono un auror, non una dea! Non guardarmi così...se avessi potuto farlo, lo avrei già fatto, non credi?» Gli sorrise, avvolgendogli l'avambraccio con le dita e trascinandolo energicamente per obbligarlo ad affrettare il passo, facendolo quasi ruzzolare sul marciapiede a causa di un gradino troppo alto in prossimità della strada.

«Scusa.» Lo tirò frettolosamente in piedi, avvolgendogli le spalle con le braccia.
Ma Jacob non ci badò troppo, pensava alla condizione che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita: non sarebbe mai stato un mago.
«Uhm...che peccato!» mormorò, rassegnato, «Però qualcun che»
«No.» rise lei, alzando un sopracciglio, «Non implorarmi! Noi maghi non possiamo fare nulla! Ma se ti fa sentire a tuo agio... potresti aiutarmi a preparare delle pozioni!»
il no-mag parve rincuorarsi almeno un pochino, sollevò lo sguardo dal marciapiede nella sua direzione, visibilmente e colpito e, a dirla tutta, molto più speranzoso.
«Ah sì?» Avrebbe fatto di tutto per far parte di quel mondo che lo aveva accolto, che lo aveva fatto sentire a casa, « Davvero?»

«Beh...se sei disposto a perdere uno, o entrambi gli arti...perchè no? Mi piacerebbe avere due mani in più. In effetti non ho mai abbastanza tempo per preparare pozioni.» rispose naturalmente, tirandolo per il braccio.
Jacob ebbe un conato di vomito, quasi si sentì mancare, goffo e fragiluccio com'era, ancora doveva farci l'abitudine. Lui che di cose strane ne aveva viste, anche abbastanza. Probabilmente non si sarebbe mai abituato a quel mondo, che non avrebbe smesso di sorprenderlo. Non smise di camminare, come poteva smettere? Ad ogni secondo di pausa, doveva come minimo fare un centinaio di passi in tutta fretta. E Tina lo avrebbe sicuramente trascinato ed incitato a muoversi, e lui non desiderava affatto farla indispettire.
«P-perdere?» balbettò paonazzo. Tina annuì.
«Sì... beh, voi non magici reagite in maniera diversa, ma nessun problema. Se dovesse succedere, possiamo pur sempre farlo ricrescere.»
«Ah sì?» mai Newt gli aveva detto qualcosa del genere, gli aveva accennato che i loro guaritori erano molto più specializzati e all'avanguardia dei medici babbani, che avevano una buona conoscenza sia della medicina che di rimedi e pozioni per un'immediata guarigione.

«È una cosa...normale!» scrollò le spalle con noncuranza, cercando di non farsi investire, con un sorrisetto sghembo sul viso. Jacob in tutta risposta si grattò la nuca.
«E io che vado ancora dal dentista.» scosse energicamente la testa, «Tutto normale.»

Divenne estremamente nervoso, una valanga di domande pronte a sommergerlo. Ma perchè non avevano usato quelle tecniche straordinarie per aiutare i dispersi e i mutilati dalla guerra? Essere maghi non li rendeva meno umani o più importanti di altri, erano solo...diversi. Non erano inferiori, non erano...
«Purtroppo la gente non capisce, Jacob. Non possiamo palesarci, anche se vorremmo ardentemente farlo.» parve leggergli la mente, sorrise a quel poveretto che non aveva più aria nei polmoni a furia di muovere la gambe. Arrossì violentemente, e si strofinò le tempie come se cercasse di scacciarla via dalla sua mente. Faceva lo stesso con Queenie, è inutile dire che non funzionava quasi mai.

Tina scoppiò a ridere, mentre osservava il suo viso tinto di rosso.
«Non posso leggerti la mente, non senza una bacchetta almeno.» lo rassicurò. dandogli una leggera pacca sulla spalla, «Non sono una legilimens. E poi, solo Queenie è autorizzata a leggerti la mente.»
«Per un momento ho creduto il contrario.» le accennò un sorrisetto divertito, «Se lo fossi però...ci tengo a precisare che saresti autorizzata a farlo! Insomma, senza offesa... sei molto più seriosa della mia piccola, mi fiderei di te ciecamente»
«Aw, che carino che sei!» ridacchiò teneramente lei, voltando appena la testa di lato per accennargli un sorriso, «Mi aspettavo che avresti detto così, e poi sono la tua cognata preferita!» gli fece l'occhiolino con aria complice, dandogli un buffetto lieve sulla guancia in modo scherzoso. E riprese decisa il passo, e il pasticcere fu costretto a riprendere il ritmo.

«Comunque mi dispiace che» abbassò la voce per evitare che il resto dei passanti potesse udirli, «vorrei tanto che non vi dobbiate nascondere, insomma potreste fare tanto per il mondo... per la gente, hanno bisogno di voi.»
«Già.» mormorò Tina adombrandosi, «Si fa quel che si può.» sospirò, scrollando le spalle, «tutto per evitare una caccia alle streghe.»
«Quindi...tutte quelle storie, e le streghe...»
«Erano vere!» confermò Tina, «Quasi tutte streghe, che non hanno fatto proprio una bella fine. Solitamente donne, i maschi erano inviolabili e intoccabili... insomma, le donne sono perfide! Esistono streghe ma non stregoni o maghi!» gli sussurrò sarcastica, invogliandolo ad oltrepassare in tutta fretta una curva. Jacob, che a stenti riusciva a rimanere in piedi, annuì in un disperato e affaticato tentativo di risponderle.

«Hm Hm... non è che potresti rallentare un po'?» la implorò, «Non riesco» si dimenticò di svuotare i polmoni, «a starti dietro!»

Il sole stava già calando da un pezzo, un leggero rossore colorava il cielo creando un'atmosfera mista tra il romantico e lo spettrale. O almeno in base al punto di vista con cui si decideva di guardare. Era una bella giornata, calda e piacevole come non avevano mai visto da parecchi mesi.

Tina era felice di poter finalmente sfoggiare in pubblico la sua elegante camicetta bianca, di non doverla oscurare da quel pesante cappotto che era solita indossare. Amava i cappotti, ovviamente, ma di tanto in tanto amava variare. A volte aveva la follia di indossare una gonna, e i suoi colleghi non facevano altro che lanciarle occhiatacce interrogative.

Quando aveva voglia di essere un po' più graziosa, spesso le chiedevano se stesse bene, altri invece si complimentavano con lei, cercando di essere gentili con lei per la sua carente bellezza, decisamente in netto contrasto con quella di sua sorella.

Più che una passeggiata era una corsa, almeno per Jacob Kowalski che cominciava a grondare sudore da tutti i pori della pelle. In quei giorni si chiedeva che cosa ci fosse di strano in lui, aveva dei riflessi da paura!

E anche quella volta era riuscito ad evitare giusto in tempo un lampione, a pochi centimetri dal suo orecchio destro. Forse era l'euforia a fargli smuovere le gambe e i sensi, e in effetti era molto più svelto di prima, oppure era merito della sua energica cognata.

«Tina.» mormorò nuovamente, ricadendo esausto sulla sua spalla.
La ragazza si voltò verso di lui, urtandogli accidentalmente il naso con la fronte, una testa in meno di altezza rispetto a lei.
«Uffa!! Sei davvero lentissimo!!» sbuffò, rallentando di qualche metro orario il suo passo frettoloso.
«No...sei tu che sei troppo veloce!» sospirò. Tina ridacchiò, sempre con la risposta pronta.
«Dovrai essere sempre più veloce con la piccola!» ridacchiò, « E poi, non posso farci niente! Insomma, vado sempre così di corsa!»
«Lo avevo notato...» ironizzò lui, saltellando per sistemarsi la cintura dei pantaloni. Forse era meglio una taglia in meno. Passarono accanto a un gruppetto di donne vestite di tutto punto intente ad ammirare un'anonima vetrina di dolci.
«Se solo vedessero i miei.» mormorò il babbano orgoglioso, facendole l'occhiolino.
«Molto modesto!» ridacchiò l'auror americana, dandogli una spallata per fargli abbassare bonariamente la cresta e farlo scendere dal piedistallo. Poi, senza preavviso Jacob prese in mano la situazione, la costrinse a voltare rapidamente direzione, «Passiamo dal parco».

Lei non era solita a scegliere quella via, ma si sentì costretta a dargli fiducia, dopo avergli fatto fare più di tre chilometri a piedi a tutta velocità, nonostante potesse benissimo smaterializzarsi in qualunque vicolo cieco. Non lo avrebbe mai e poi mai confidato a Jacob, non aveva intenzione di farlo. E poi, conosceva bene New York, molto più di Jacob. Senza preavviso, dopo averlo seguito fino all'altro capo della strada, lo spinse in un viale, un angolo e poi l'ennesimo.

Un vicolo piuttosto buio e nauseabondo. Jacob tentò invano di orientarsi, di guardarsi intorno per capire dove si trovasse e per non calpestare qualcosa di indesiderato. Lanciò un urlo quando sentì una coda accarezzargli la caviglia.
«Oh!!!»

E Tina non riuscì astenersi dal ridere.
«T-Tina!!» balbettò il suo nome, quando comprese che quella scatola sulla quale si era poggiato era in realtà un cassonetto della spazzatura.
«Da piccola avevo un topolino, era così carino!» lo canzonò lei, senza smettere di ridacchiare sotto ai baffi.
I topi lo disgustavano, specialmente se abitanti dei quartieri.
«Dimmi che sono topi e non ratti!!»
«Uhm, solo qualcuno. Credo.»
Jacob si sentì mancare il terreno, o meglio il sacco nero della spazzatura su cui poggiava i piedi.

«Stai tranquillo, questo luogo ci serve solo per smaterializzarci! » annunciò allegramente lei, stringendogli saldamente il braccio. Jacob sollevò il viso, tremendamente spaventato.
«No! Non, non di nuovo!»

La sentì girare su se stessa, e stringergli così saldamente il braccio da indolenzirgli i muscoli, e fu a quel punto che Jacob sentì nuovamente il terreno mancare, questa volta per davvero, i timpani scoppiargli e lo snaso di cioccolato, che aveva stuzzicato, minacciare di uscire sotto forma liquida dallo stomaco.

Riapparvero dietro un albero e una siepe piuttosto fitta per la stagione. Il no-mag si guardava intorno completamente esterrefatto, con la testa che gli pulsava e la bile in gola.

Come facevano a occupare da un momento all' altro un altro spazio?

«E ci risiamo!» Sospirò lui, trattenendo un conato di vomito a stenti. Si tenne stretto all'albero che li aveva celato dagli sguardi indiscreti dei babbani. Forse non era il caso di mangiare un gelato considerando come si sentiva. Sottosopra.
«Ah ah...dovrai abituarti!» Gli sussurrò la strega in risposta, aiutandolo a rimettersi dritto. Mentre Jacob aveva l'aspetto di un inferius, pallido e sudaticcio, lei era raggiante, forse un po' meno colorita del solito. Decisamente più vitale del suo compagno di avventure.

«Ma come fai tu a sopportarlo?»
«Beh... diciamo che volente o nolente... devo farlo, visto che il lavoro me lo richiede anche parecchie volte al giorno. Ci si abitua in fretta!»
Udite quelle parole, Jacob abbassò lo sguardo visibilmente imbarazzato, forse stava facendo il solito esagerato, il classico no-mag spaesato ed impacciato. Eppure gli sembrava di starsi ambientando piuttosto bene, a dir la verità. Tina notò la sua espressione e ridacchiò.
«Non ti preoccupare, Jacob. Pensa che la prima volta ho quasi rischiato di vomitare addosso all'istruttore. O forse l'ho fatto...ma non ricordo molto bene, credo in effetti di averlo rimosso.»
E forse era meglio così, pensò lei, tingendosi lievemente di rosa sulle guance.

«È una cosa buona...insomma, non hai vomitato. Non ancora, almeno.» gli accennò un sorrisetto, cercando di stemperare la situazione con un pizzico di ironia.

«Ma voi maghi...non potete usare le automobili?» ridacchiò.
Tina scrollò le spalle in risposta. Perché usare le auto...? Erano così inquinanti ed ingombranti...
«Preferisco gli spostamenti via volo...perché usare quelle enormi scatole di latta, quando ho a disposizione una scopa?»
«Giusto...»
«Ma,» si affrettò a specificare lei, «preferisco di gran lunga la metropolvere...è più rapida, e decisamente più sicura per gli spostamenti. Anche se ti tracciano molto più facilmente.»
Nuovamente si guardò intorno, come volesse assicurarsi di non essere seguita, «Anche le passaporte... ma a te non piacciono. Dico bene?»

E dopo aver capito di non essere osservata da nessuno uscì dal suo nascondiglio e strattonò Jacob verso di sè, per incitarlo ad affrettare il passo perché potesse seguirla. Si sedettero su una panchina, Tina lo fece non tanto perché era stanca, ma per pura bontà d'animo, per permettere a suo cognato di riprendere fiato. Sotto la chioma ondeggiante di un albero imponente, un'enorme quercia secolare che creava una penombra davvero piacevole per i lettori che cercavano un po' di confort nel parco. Dava le spalle a un enorme fontana, che era coperta quasi del tutto da un fila di cespugli spinosi.

«Stanca?» la canzonò bonariamente lui, «Non si direbbe!»
Tina sollevò lo sguardo e gli scoccò un'occhiataccia truce, e si lasciò scappare una smorfietta.
«Direi di sì...visto che ho dovuto trascinarti per mezza New York!» lo rimbeccò lei. Ma suo cognato Jacob non ci fece particolarmente conto, la sua pancia a una sola cosa pensava.
«Allora... lo prendiamo o no questo gelato?» incrociò le braccia al petto, «Queenie non vede l'ora di mangiarlo...»
«Uhm... Queenie... o te?» non riusciva a smettere di ridacchiare, cercando di non guardare il suo faccione sudaticcio, «Quello sembra buono.» indicò una piccola insegna ai margini della piazza, dall'altro lato del parco.

Jacob ebbe un dubbio, come avrebbero fatto a portare a Queenie il gelato in una giornata tanto calda?

«E il gelato di Queen? Non si scioglie?» inarcò un sopracciglio.
Tina aveva sempre apprezzato Jacob e, quel che le piaceva di più di lui era la sua genuina curiosità.
«Hai un incantesimo anche per questo?»
«Uhm... può darsi.» gli fece l'occhiolino con fare complice, «Vedrai... con il tempo.» Si strofinò gli occhi per la stanchezza. Forse sarebbe riuscita a chiudere occhio quella sera, riuscendo un pochino a scaricare la tensione.
«E puoi anche trasformare un cagnolino in una tazza di tè?» Ironizzò Jacob parlando per assurdo.
Tina annuì, sollevò orgogliosamente il naso all'insù e scrollò le spalle con noncuranza.
«Uhm... posso provarci, anche se sono anni che non trasfiguro animali. Newt mi ammazzerebbe!»
«Ci credo!» Ridacchio il pasticcere, molto più confuso che persuaso, «Davvero potresti farlo?» Spalancò la bocca, era più un'affermazione che una domanda.
«Potrei provarci...»
«Wow!!» E nuovamente fu incapace di darsi un contegno, tremando come una foglia questa volta per l'emozione.

Fantastico! Quante altre cose erano capaci di fare, a parte ricostruire di punto in bianco una casa dalle macerie?

«Vorrei essere un mago!!»
Tina si sentì morire, specialmente quando una signora con un cappello di perle scoccò loro un'occhiataccia, che la intendeva lunga, e istintivamente l'auror si affrettò a coprirgli la bocca con entrambe le mani, incitandolo al silenzio, o meglio obbligandolo, con le orbite che le schizzavano dagli occhi e uno diretto all'ambiente circostante.

«Jacob...lo statuto!! Lo statuto nazionale di segretezza!!» lasciò libera la sua bocca quando si rese conto che il poverino boccheggiava, non avendo neanche il naso libero per respirare, «Ti ricordo che esiste ancora...» disse acida, con un dito premuto sulle labbra e la testa inclinata di lato.
Jacob imbarazzatissimo abbassò lo sguardo e mormorò delle scuse, muovendo appena le labbra come se non trovasse il coraggio di farlo. Lei gli diede una leggera spallata e cercò di non darci troppa importanza.
«Mi dispiace.»
«Non fa niente, solo cerca di contenere l'entusiasmo. D'accordo?» sospirò, accennandogli un sorrisetto.
Sapeva che era difficile per lui contenere l'entusiasmo che, certamente, non gli mancava affatto. Non le dispiaceva che fosse così eccentrico, ma avrebbe preferito che mantenesse un po' più per se stesso questa sua caratteristica, o comunque in circostanze più intime.
«E ovviamente...il gelato lo offro io.»

Jacob fece per replicare, ma lei lo zittì decisa con un'ulteriore proposta.
«Domani offri tu la cena. Ti dispiace se io e Queenie...»
«Affatto!» non le diede neanche il tempo di concludere la frase, « Non c'è neanche bisogno di chiedermelo! Sei sempre la benvenuta, Tina. E poi...a Queenie farebbe molto piacere, lo sai.»
«Una cena da sorelle, insieme. Come ai vecchi tempi.» accennò un sorriso. Lui annuì.
«Sarebbe grandioso.»
«Già.» si asciugò una lacrima al margine dell'occhio.

Cari vecchi tempi. Le mancavano, tutti insieme a fare baldoria. Avevano passato due giorni indimenticabili, tutti insieme.

«Per me potete uscire sempre, non dovete neanche chiedermelo. »
Tina annuì, se solo il Macusa glielo concedesse! Un'utopia, ovviamente.
«Magari.» sbuffò, e subito le venne in mente un'idea, «Potresti venire al Macusa con me...e offrire quei tuoi pasticcini, potresti incantare i miei colleghi con quel tuo buon cibo, e magari placare in qualche modo quegli idioti!»

Un'idea che la faceva fremere per l'emozione, chissà se era illegale mettere della soporifera nell'impasto, negli snasi destinati ad Abernathy. Ci pensò bene...Nah! Ridacchiò fra se e se, un ingenuo pensiero che non passò inosservato neanche a suo cognato Jacob.

«Non farti strane idee!» scoppiò in una sonora risata, ricambiando la spallata, «Non credo che sia sufficiente per farli smettere di cantare.»
«Neanche se ti pagassi? Qualche centinaio di galeoni?» lo implorò con sguardo stucchevole.
«Non vorrei andare a trovare la mia unica cognata dietro le sbarre.» scrollò le spalle, continuando a ridere sotto ai baffi.
«Uffa! Sei davvero snervante!» si finse offesa, voltando la testa di lato. Lo aiutò ad alzarsi dalla panchina, strattonandolo per il braccio.
«E tu saresti un auror?»
«Hm Hm. Capo del dipartimento auror americano!» gli fece l'occhiolino.
«Potere alle donne!» le diede il cinque.

Era una brava ragazza, se lo meritava. Dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per accaparrarsi il "privilegio" di combattere i cattivi alla pari di un uomo. Lui stesso sentiva di non essere in grado di gestire una tale responsabilità, e poi Tina era perfetta per quell'incarico.

«Era ora!»

E a dirla tutta anche lei era piuttosto orgogliosa, e ogni tanto non riusciva a non farne vanto. Finalmente erano lì, più che rilassati, a parlare di lavoro in una giornata lontana dal lavoro. Jacob sembrava piuttosto a suo agio, nonostante fosse sotto la traiettoria del vento e miriadi di foglie acerbe gli ricadevano sulle spalle. Lei invece amava godersi una volta per tutte il silenzio, respirare l'aria non del tutto fresca, e non quella polverosa dei corridoi del Macusa.

Si era riposato abbastanza, e poi aveva troppa fame per continuare ad indugiare.

«Allora, signor Kowalski, come lo prende il gelato?» gli chiese lei autoritaria, raddrizzandosi nelle spalle.
«Come lo prendete voi ragazze, capo!» si protrasse ai suoi piedi in un inchino mellifluo ma sincero, arrivando a toccare con il panciotto la punta delle sue scarpe. Tina ridacchiò appena e sollevò il naso all'insù, fingendosi orgogliosa.
«È un onore, signor Kowalski.» gli scompigliò i capelli e gli stirò il cappotto spiegazzato con le mani.
«Allora Vaniglia!» dichiarò lei, battendo le mani euforica.

Era parecchio tempo che non la vedeva così allegra, solitamente persa fra i propri pensieri e piuttosto ombrosa. Vi era una ragione dietro il suo incessante ragionamento, e lui ne era venuto a conoscenza soltanto qualche giorno prima. Si ritrovò a fissarla, a studiare la sua camicetta bianca e i suoi pantaloni a palazzo che le conferivano una certa eleganza e un portamento sublime. La giovane strega se ne accorse e si affrettò a coprirsi con entrambe le braccia, come se volesse mascherare un po' la sua sagoma slanciata. Forse era stato un po' troppo diretto, ma non voleva però farlo apposta, o metterla a disagio. La vide impallidire, abbassare lo sguardo.

«Qualche problema?»
«Certo che no... è solo che,» si affrettò a risponderle, «è così piacevole vedere che adori ancora i pantaloni. L'altra sera pensavo che avessi ricevuto una brutta botta in testa! » rabbrividì appena, le accennò un sorrisetto tra il divertito e l'imbarazzato. Lei si ritrovò ad annuire.

«In effetti...credo che quella burrobirra non fosse esattamente una burrobirra...»

«No, non penso.» non c'era altra spiegazione razionale altrimenti, «Non che ti stesse male, solo che... Porpentina Goldstein con un vestito?!» scoppiò a ridere, tenendosi la pancia che iniziava a fargli male a furia di borbottare.

Tina divenne ancora più pallida e imbarazzata, si grattò l'orecchio cercando di stemperare la tensione.
«In effetti...» mormorò a fior di labbra, abbassando lo sguardo.
«Come dire...è come se Queenie venisse a casa con indosso una giacca e una cravatta... come la prenderesti tu?»
«Direi che sono gli ormoni della gravidanza...»

Impossibile.

«Direi che Abernathy si è dimesso.» si corresse.

Ancora più impossibile.

«Ecco, appunto!!!» squittì.
«Ma se succedesse, sarebbe bello...» mormorò lei, con area trasognata, ben consapevole che non sarebbe mai successo.
Jacob dapprima annuì, ma subito dopo scosse la testa nel tentativo disperato di togliersi l'immagine di Queenie con una cravatta rosa ben annodata sopra la camicia.
«Senza offesa, ma Queenie mi va benissimo così! E poi ci vuole stile per indossare una camicia, non che Queenie non ne abbia, ma è diverso...tipo te, per esempio. Tu e i pantaloni siete un binomio incorruttibile!»
Neanche voleva figurarsi sua sorella Queenie con indosso un completo così all'avanguardia!
«Hai ragione...sarebbe alquanto inquietante.» sospirò lei, ridacchiando. Ci voleva una certa immaginazione per sforzarsi a vedere quell'immagine decisamente agli antipodi dalla realtà.
Anche lei doveva essere inquietante con quel vestitino, a pensarci bene. Meglio una tenuta da auror, un paio di scarpe in cuoio o al massimo degli stivaletti in pelle, e certamente non delle ballerine in vernice!
Queenie era sempre stata sinonimo di bellezza, il suo opposto. Eppure vi era un certo fascino in quelle due soavi creature, entrambe belle anche se tremendamente diverse.

Continuarono a comminare, fino a quando la gelateria non apparve davanti ai loro occhi, molto più piccola di quanto avessero immaginato, quasi non si accorsero di nulla, poiché troppo concentrati a parlare di Queenie e del loro futuro.
Jacob si fermò nervosamente davanti alla vetrina e iniziò a guardarsi intorno, pensieroso e in attesa di ordini e direttive da parte della sua accompagnatrice.

«Per Queenie... dici che tre le bastano?» le domandò insicuro, continuando ad osservare il piccolo negozio di dolciumi che forse faceva abbastanza da concorrenza al suo.
Ultimamente sua moglie mangiava un po' troppo, e spesso lui stesso sbagliava a conteggiare la quantità di cibo necessaria da mettere sulla tavola. A volte si ritrovava a cucinare di nuovo, cercando di placare la sua fame insaziabile.

Certo che... i bambini consumavano, e anche abbastanza a quanto poteva notare!

«Mangia per due, non per cinque!» rise divertita Tina, lanciandogli un'occhiatina intenerita, « Davvero?»
Era così dolce quando parlava di sua sorella, finiva sempre per esagerare, e a dirla tutta faceva parecchia tenerezza vedendolo così premuroso, così impacciato, così innamorato.
«Sei così dolce!» si strinse le mani intenerita.
Jacob accennò un sorrisetto, arrossando visibilmente sulle guance un po' paonazzo.
«Il fatto che...» cercò di trovare le parole giuste, « che lei si mangerebbe anche i piedi del tavolino di questi tempi... Non hai idea di quanto sia affamata!»

Tina annuì e sospirò, ne sapeva qualcosa, erano settimane che la ammoniva continuamente, soprattutto al lavoro quando le venivano richiesti dei vassoi di biscotti. Raramente arrivavano tutti interi, la maggior parte delle volte ne perdeva qualcuno durante il percorso. E Tina cercava in qualche modo di non andare nuovamente in escandescenza.

«D'accordo, Jacob. Le prendiamo una coppetta più grande, va bene?» tentò di rassicurarlo, e fortunatamente le sue parole ebbero l'effetto desiderato.
Va bene acconsentì, la piccola Queenie era la sua priorità al momento ed era lui responsabile dei suoi bisogni, dei loro bisogni.

Tina lo spinse delicatamente dentro il locale facendo tintinnare la porta al loro passaggio, furono subito accolti dal suono melodioso di una campanella sul cardine della porta e inondati da una piacevole frescura e da quell'intenso aroma di vaniglia e cioccolata che aveva forse dimenticato, nascosto nei membri della sua mente. Erano mesi se non anni che non prendeva un bel gelato, troppo impegnata a lavorare, sommersa dalle responsabilità per prendere una boccata d'aria, per gustarsi ciò che amava.

Jacob Kowalski si era ormai abituato a quel mondo fantastico e si immaginava di trovare almeno delle tazze volanti accoglierli, fluttuare a mezza aria insieme ai cucchiaini che accompagnavano solitamente le palline di gelato, e magari qualche pipistrello dalle orecchie appuntite occupati ad apparecchiare i tavolini sgombri del locale.

Rimase piuttosto deluso di non trovare assolutamente nulla, soltanto uno noioso ragazzetto dietro al bancone, che stringeva un enorme cucchiaio da gelato in una mano e una coppetta vuota nell'altra. un ragazzetto anonimo, che probabilmente non desiderava essere lì.

Eppure riempiva i coni con incredibile rapidità, con un sorriso rispondeva alle richieste dei clienti, mentre agiva con le mani con una velocità sbalorditiva. Passò un cono grondante di panna e cioccolata fondente a una cliente vestita di tutto punto. La stessa donna che li aveva degnati di uno sguardo truce qualche minuto prima al parco.

«La ringrazio.» mormorò a lei.
Il ragazzetto le sorrise, e le fece lieve inchino  di rispetto, « Mi saluti Charlotte, le dica di non mangiare il cioccolato la sera!»
La giovane donna, che Tina riconobbe come una delle streghe alla reception del Macusa, scosse la testa esasperata, «Dubito che mi darà retta, quella birbante! È una vera peste, ed ha solo due anni!»

A Tina le si drizzarono i capelli, non riusciva ad immaginarsi sposata...soprattutto se con un bambino! Era sicura che in quella circostanza sarebbe impazzita.

In effetti erano ben visibili le occhiaie di stanchezza sul suo viso, quelle linee blu appena marcate, a dimostrazione che anche lei aveva bisogno di chiudere occhio.
«Spero di essere riuscito a rendere più sopportabile la sua giornata!» Cercò di mantenere un atteggiamento cordiale ma allo stesso tempo distaccato.

Tina giurò di averlo visto sorridere sotto ai baffi. E non appena uscì dal locale, subito quel curioso ragazzetto si rivolse ai nuovi clienti di turno, Jacob e Tina, che si guardavano come se volessero assicurarsi di desiderare la stessa cosa.

Erano anche un po' confusi dinanzi a quella esposizione invidiabile di gusti, una sola selezione premium di vaniglia con qualche decina di varianti. Sicuramente non ne avevano mai visto così tante. Poco male, avrebbe puntato per il classico.

«Solitamente quando ho voglia di variare prendo quello alla burrobirra, ma la vaniglia rimarrà sempre il mio gusto preferito.»
Il babbano si grattò la nuca confuso, «Potremmo gentilmente parlare la stessa lingua?» e Tina ridacchiò di nuovo, quel babbano la faceva morire! Aveva ancora troppo da imparare, e lui non vedeva l'ora di apprenderne tutti i segreti che celava il loro mondo.

«Vedrà, signor Kowalski. Prima o poi le farò assaggiare ogni delizia!»
Quella affermazione gli fece ricordare di avere nuovamente fame, così il suo stomaco riprese a borbottare prepotentemente, facendosi sentire per tutta la gelateria.
«Spero solo di non assaggiare quegli scarafaggi, spero!!»
All'inizio li aveva trovati piuttosto carini, i serpeverde. Gli avevano concesso un'accoglienza con i fiocchi, almeno di questo si era convinto...fino a quando Newt gli aveva fatto notare delle antenne che spuntavano dalla sua bocca. Al solo pensiero rabbrividì, e si costrinse a non pensarci più.
«No, ma qualche ape frizzola potresti pure assaggiarla, no?»
«Ow!!» Borbottò lui, chinandosi per trattenersi lo stomaco.

Continuarono per un po' a parlare del più e del meno, fino a quando una voce zelante non li riportò alla realtà.
«Avete scelto, signori?»
Tina sollevò lo sguardo ed incontrò gli occhi bruni del ragazzo dietro al bancone che, quando la vide, le accennò un enorme sorriso, iniziando a studiarla curiosamente.
«Sì, grazie.» Dichiarò l'auror sicura di sé come non mai, «Due coni e una coppetta media, vaniglia. E crema.» Aggiunse.

Fece cenno a Jacob di avvicinarsi e lui le trotterellò intorno impacciatamente.
Il ragazzetto rimase lì a studiarla per qualche secondo, per poi rimettersi al lavoro subito dopo, senza tuttavia distogliere lo sguardo dai suoi occhi color miele. La giovane strega si sentì particolarmente in imbarazzo, così tanto in imbarazzo che iniziò a fissare un punto fisso nella stanza, fingendo che le importasse particolarmente ciò che stava ammirando con tanto fervore.
Già sentiva che dietro quel sorriso si nascondeva qualcos altro, aveva imparato a leggere tra le righe, tra i sorrisi e le espressioni. In questo la sua formazione le era giovata a qualcosa.
«Sembra stanca.» Iniziò lui.

Tina sospirò fra se e se, si voltò di scatto verso di lui ed annuì, cercando di mascherare le escandescenze. Era contenta di essere abbastanza brava ad improvvisare, ma non era altrettanto brava a mentire.
«Solo un pochino. Ho finito di lavorare e un bel gelato è quello di cui avevo bisogno. Mio cognato ne sa qualcosa, vero Jacob? » Si voltò di scatto verso di lui, con un sopracciglio inarcato, in attesa che dicesse qualcosa. In attesa che suo cognato facesse da cavaliere e la salvasse, almeno da una situazione cosi tanto imbarazzante.

Continuò a sorridergli impacciatamente, mentre si sistemava i capelli e di tanto in tanto scagliava qualche gomitata velata al pasticcere. Ma lui non disse nulla, almeno fino a quando l'auror tossicchiò in attesa di una sua battuta, e non per schiarirsi la gola.
«Sì sì, c-certo!» Quasi si affocò con la sua stessa saliva, mosse la testa, una cannonata che per poco non colpì Tina alla spalla.
«Non ne dubito. Bel cappotto comunque!» Ammiccò il ragazzo, dopo che Tina si impossessò del proprio cono gelato, con una certa "urgenza".

«Grazie...»
Jacob rimase in silenzio, già consapevole di come sarebbero andare a finire le cose e che Tina ne sarebbe uscita vincitrice.
"...Per il gelato."

Ovviamente.

Jacob ci mise una grande forza di volontà per non ridergli in faccia, si sforzò clamorosamente sia per rispetto...ma soprattutto per paura. come minimo Tina gli avrebbe fatto pagare i gelati se si fosse infuriata e minacciato di farlo arrestare, aveva un certo potere sua cognata Tina... quindi rimase zitto zitto come un cagnolino mansueto. Non riuscì però a trattenere un singhiozzo, e ricevette di conseguenza un'occhiata assassina, e un bell'alluce dolorante. Una piccola pressione con i tacchi delle scarpe.
«Ogni tanto ti vedo dalla vetrina del locale, se non mi sbaglio.»
«Non ti sbagli.» Gli accennò un sorriso forzato, continuando a tormentarsi le mani.

Tina fu ben contenta di lasciare soli i due ragazzi, approfittando del fatto che Jacob si fosse già appropriato del proprio gelato, prese a passeggiare nervosamente per il locale, continuando a fingersi interessata a uno dei tavolini in mezzo al passaggio.
«Davvero buono!» Fece conversazione il pasticcere, ripulendosi le dita con uno di quei fazzoletti i che non asciugava affatto. Un morso tira l'altro...e poi aveva una fame da lupi! Mentre il bando giovane rimase lì, a guardarlo mangiare, prendendo volontariamente tempo.
«Contento che le piaccia...Jacob.»

Adesso gli dava pure del tu? E chi era diventato costui...suo cognato forse? Mentre Tina fuori di se non ne poteva più di aspettare, e di essere sottoposta a una tale attenzione. Si avvicinò decisa al bancone, questa volta non mascherando volontariamente il fastidio, con le braccia sui fianchi e un sorriso forzato.
«Scusami, ma noi avremmo da fare...» Borbottò, per poi abbassare subito lo sguardo educatamente.
Il giovane annuì e mormorando delle scuse che Tina non riteneva affatto scuse, si rimise all'opera. Sospirò nuovamente e Jacob ricevette l'ennesima gomitata della giornata da parte sua.
«Ad ogni modo...se ti va, un giorno di questi potremmo fare quattro chiacchiere, se non è troppo stanca per parlare...» propose il gelatiere, tingendosi lievemente sulle guance.

Tina deglutì a forza, trattenendo dapprima un urlo e poi una risatina nevrotica. Era ovvio che era troppo stanca, sia per per parlare, sia per ascoltare... soprattutto per ascoltare ragazzi come lui. Ma dov'era la galanteria? Questi stolti imbecilli erano convinti che bastasse un invito a cena, per conquistare il cuore di una ragazza...

E poi sembrava così piccolo! Quanti anni aveva... venticinque al massimo?

Una cosa però doveva ammettere...era carino, almeno di aspetto, tutt'altro che rude e, considerando il modo di porsi, anche un pochino colto. Ma nonostante tutto non era il tipo di persona che desiderava avere a cena... e poi lei aveva trent'anni! Era l'unico momento della giornata in cui poteva godere della propria solitudine, di quel sacro silenzio che la aiutava a mettere le idee a posto... e a dirla tutta,era molto egoista a riguardo, non volendolo condividere con nessun altro. Adesso ce usciva con Graves e con quel serpente a sonagli... doveva tenersi libera,anche se era quel

genere di ragazzo al quale raramente si riusciva a dire di no.
«Io ho già un ragazzo.» Un sorriso e niente di più, seguito dall'eco dei singhiozzi sommessi di Jacob che proprio non si decideva a stare zitto. Poco male...lo avrebbe portato a fare un bel giretto per il Macusa...

Il moro sembrò adombrarsi per qualche istante, lo vide cambiare rapidamente espressione, parve più che deluso dalla sua risposta. Eppure non l'aveva mai vista uscire con qualcuno, o almeno non aveva mai attraversato quella parte del parco. Era bellina... lo aveva sempre pensato, anche se un po' le faceva paura, specialmente appariva nel buio all'improvviso, di punto in banco... doveva essere molto molto veloce.
«C'era da aspettarselo, comunque.»
«A si?»
«Nessuno si lascia sfuggire una ragazza così carina.»
A quel punto per Jacob Kowalski, alias "il pasticciotto" fu letteralmente impossibile smettere di ridere. E nuovamente fu zittito da una sua vigorosa gomitata.
«Mi piace, suo cognato...è divertente!»
«Non sa quanto...» divenne...velenosa.

«Però questo non impedirà di offrirle almeno il suo gelato.»
«A sì?» Se non si fosse affrettata a chiudere la bocca, le sarebbe potuta entrare benissimo una mosca.
«Davvero...non deve!»
«Insisto! Magari questo gelato la inviterà a venire nuovamente qui, ed allora potrà assaggiare questo!» Indicò con un gesto plateale della mano un'altra vaschetta di gelato in esposizione. L'aspetto non era niente male, un lilla candito con delle striature di giallo, probabilmente mirtilli e limone.
Ci stava riprovando, lo sapeva. Anche quello spiritoso di suo cognato lo sapeva!
«E sarebbe...?» si grattò l'orecchio.

Forse per educazione sarebbe dovuta apparire interessata...ma lei non voleva essere educata.

«Una mia ultima invenzione...non si rivelano i trucchi del mestiere...» le fece l' occhiolino. Se prima aveva una minima simpatia, adesso l'aveva completamente persa. Strinse i denti, tirò fuori i suoi dieci dollari, affrettandosi a prendere il vassoio destinata alla sorella. Per una volta era contenta che non ci fosse, almeno non avrebbe provato ad accasarla nuovamente.

«Sembra interessante... ma so già che sarò troppo impegnata.» E se avesse avuto un attimo, certamente non lo avrebbe sprecato per lui. Su questo era più che certa.
«Quanto le devo per il mio?» Insistette, accentuando il distacco.
«Assolutamente nulla, davvero.» Adesso sembrava piuttosto in difficoltà. Solo alla fine Tina si arrese, ma solo perché voleva andarsene via di li, e perché non riusciva a sopportare che gli occhi di lui fossero direttamente puntati sulla sua fossetta sul mento.

La voglia di schiaffeggiarlo aveva raggiunto un livello considerevole, solo sua sorella poteva permettersi di fissare le sue imperfezioni.

Jacob ovviamente cercò di pagare, di prendere il suo posto, ma Tina fu veloce di lui. Facendo attenzione a non toccare la sua pelle scoperta dai guanti, lasciò scivolare i soldi nel suo palmo.
«Sarà per la prossima volta, te l'ho già detto!» Gli sussurrò, anche se era ben propensa a riguardare l'accordo, considerando l'immenso "aiuto" che le aveva offerto. Così l'unica cosa che potè fare il pasticcere fu annuire, e a prenderle dalle mani il piccolo vassoio di cartone destinato alla moglie. Il ragazzo ricambiò il sorriso e subito dopo si voltò raggiante verso Tina, una nuove luce negli occhi. Speranza, forse?
«Spero solo che il suo ragazzo sia all'altezza e che la rispetti.»

Ovviamente...sì...

Anche questo era la cosa più bella che le avesse detto un estraneo durante la giornata, tanto bella quanto fallace. Sapeva che era una terribile bugia, dato che il suo ragazzo ancora non esisteva. Questa volta non poté accennargli un sorrisetto timido e lo salutarlo, dandogli del tu. Forse non era così male, dopotutto. Una persona con la testa sulle spalle, anche piuttosto carino, doveva ammetterlo. Però non come Newt, era di una bellezza diversa.

Si bloccò un attimo, aveva appena pensato che il magizoologo che la faceva arrossire aveva un certo fascino?

Lei? No, doveva avere uno di quegli esseri che le offuscavano la mente... come li aveva definiti quella sua collega... nargilli?

E della peggior specie. O forse era solo chimica, chi lo sa...delle piccole creature che entravano nelle orecchie e le confondevano il cervello mettendo in atto una serie di reazioni chimiche del tutto naturali. Se avesse dovuto dare una spiegazione razionale a ciò che non era affatto razionale...beh...avrebbe anche lei abbracciato questa opzione.

Jacob, che era rimasto in silenzio e guardingo per tutto il tempo, alle prese con un nemico invisibile che voleva divorargli il gelato, diede una rapida occhiata alla cognata mentre tentava di starle dietro, approfittò che lei oltrepassasse la soglia, prima di rivolgersi nuovamente al ragazzetto dietro al bancone.
E metterlo al corrente della verità.
«Lei si chiama Tina, comunque. Carina, eh? E sai una cosa? Non è neanche fidanzata!» E prima che Tina si irritasse ancora di più con lui, uscì dal locale.

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